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Autore: KukakuShiba    06/02/2017    14 recensioni
DESTIEL teen AU
Il mondo del giovane Dean Winchester incontrerà inevitabilmente quello di Castiel Novak, nuovo vicino di casa, affetto da un handicap invisibile. Insieme, i due impareranno qualcosa di prezioso sull'amicizia, sull'amore e sulla vita.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO VENTI - PARTE SECONDA
 
“A un cuore in pezzi
nessuno si avvicini,
senza l’alto privilegio
di aver sofferto altrettanto”
 
Sillabe di seta – Emily Dickinson
 
 
 
 
Tre settimane dopo
 
Amelia si chiuse la porta di ingresso alle spalle e avanzò lungo il corridoio.
“Balth” – chiamò poi.
“Sono qui!”
La voce del figlio maggiore guidò la donna verso il salotto.
“Ehi” – disse lui, quando la madre fece capolino nella stanza.
“Ciao, tesoro” – fece eco lei, avvicinandosi al divano dove era seduto il ragazzo – “Come va?” – aggiunse, facendo un cenno del capo in direzione del piano di sopra.
Il più grande scrollò piano le spalle.
“Il solito” – rispose.
“Ha mangiato qualcosa?”
“Sì, un po’ di cereali, quando si è svegliato”.
“Ok” – sospirò Amelia, guardando di sfuggita l’orologio – “Magari più tardi gli preparo qualcosa”.
Balthazar si alzò dal divano e prese la tracolla, mettendosela sulla spalla.
“Devo andare, o farò tardi per il tirocinio”.
“Va bene…” – annuì la madre – “Ah, Balth” – lo richiamò poi – “Grazie…per esser rimasto qui con tuo fratello…” – proseguì, indugiando – “…è che non volevo lasciarlo a casa da solo…”
Balthazar abbozzò un sorriso.
“Non devi neanche dirlo”.
“Lo so che sei molto impegnato e che ti sto chiedendo tanto…”
“Non ti preoccupare” – la tranquillizzò lui – “Ho detto al responsabile che avevo bisogno di qualche ora libera e gli ho anche spiegato il motivo, e lui ha capito”.
“Mi dispiace…” – mormorò lei, con voce incrinata.
“No, no, mamma” – intervenne il figlio, facendo un passo avanti e stringendo la madre in un tenero abbraccio – “È tutto a posto, davvero”.
La donna chiuse gli occhi e sospirò forte.
“Non so più cosa fare con lui…”
Balth si scostò leggermente e incrociò gli occhi di Amelia.
“Stasera proverò a parlargli di nuovo, se vuoi” – propose.
La donna si morse un labbro, esitando, e infine annuì.
“D’accordo, allora” – disse lui, rivolgendo all’altra un sorriso – “Ci vediamo più tardi”.
Amelia annuì di nuovo e salutò il ragazzo con un cenno della mano. Quando la porta d’ingresso si chiuse, la donna si trovò da sola, nel silenzio più assoluto della casa. Rimane ancora qualche minuto in salotto, come per raccogliere le forze. Infine, si diresse verso le scale e salì al piano di sopra.
 
La signora Novak indugiò di fronte alla camera di Castiel.
In quelle ultime settimane, la preoccupazione della donna per il figlio più piccolo si era ingigantita a dismisura. Il comportamento assunto da Castiel, infatti, aveva stravolto completamente e inspiegabilmente quei pochi punti fermi che la famiglia Novak aveva raggiunto faticosamente in tutti quegli anni. La prima certezza a crollare era stata l’istruzione del ragazzo. Da un giorno all’altro, infatti, Castiel si era rifiutato di fare lezione con Naomi. Inizialmente, Amelia credeva che si trattasse di un capriccio momentaneo, magari dettato dalla stanchezza in previsione del diploma, come le aveva suggerito tempo addietro il marito. Ma la situazione era andata avanti, e il diniego di Castiel, di fronte all’argomento scuola, era diventato definitivo: non voleva più continuare. A nulla erano valsi gli sforzi dei genitori di fargli cambiare idea. Castiel sembrava un muro di gomma e ogni loro tentativo veniva continuamente respinto. Una volta sopraggiunta la sordità, l’istruzione di Castiel era stato un punto dolente per Amelia e James. Dopo essere stati costretti a ritirare il figlio dalla scuola che frequentava, infatti, si erano trovati in difficoltà, dal momento che il più piccolo non aveva intenzione di frequentare una scuola speciale. Quella del tutor, pertanto, era apparsa come una soluzione ideale, visto che andava incontro alle esigenze di entrambe le parti, Castiel da un lato e i genitori dall’altro. Ma ora che anche questa opzione era venuta meno, i signori Novak si trovavano smarriti e senza alternative. Come se non bastasse, Castiel aveva smesso completamente di uscire di casa. Quella di venire a contatto con il mondo esterno e con altre persone, era stata una conquista recente da parte del ragazzo con gli occhi blu, e di cui Amelia e James erano stati felici. Vederlo interagire con ragazzi della sua età era stato per loro motivo di gioia e di sollievo. E la donna sapeva che il merito di tutto era stato del figlio dei vicini, Dean. Quel ragazzo era stata una benedizione per i signori Novak. Aveva offerto a Castiel un’amicizia sincera, coinvolgendolo in tante cose e facendogli conoscere altre persone. Ma quando Castiel aveva ripreso ad isolarsi e a passare la maggior parte del tempo chiuso nella sua camera, alla donna era sembrato di rivivere un incubo. In un primo momento, Amelia si era chiesta se l’atteggiamento del figlio avesse qualcosa a che fare proprio con Dean. Più volte aveva domandato a Castiel se ci fosse stato un litigio o un’incomprensione tra di loro, ma il ragazzo scuoteva il capo o evitava addirittura di rispondere. Non volendosi arrendere di fronte alla reticenza del figlio più piccolo, Amelia aveva deciso di tentare un’altra strada: parlare con Dean, chiedergli se conoscesse il motivo dell’improvviso isolamento di Castiel o se, in qualche modo, il ragazzo gli avesse confidato qualcosa che lo turbava. Tuttavia, anche su questo fronte, la donna aveva incontrato non poche difficoltà. In quel periodo, infatti, il giovane Winchester non era mai presente alle sue lezioni, e, quando lo incontrava nei corridoi, il ragazzo era sfuggente, quasi come se volesse evitarla. E questo aveva portato la donna a farsi sempre più domande, senza però ottenere risposte. Inoltre, c’era un’altra questione che aveva turbato la famiglia, e non poco…
La donna scrollò la testa, per liberarsi da quei pensieri che la stavano opprimendo, e che avevano reso la sua vita particolarmente difficile nelle ultime settimane. Amelia guardò di sfuggita il pulsante accanto alla porta, indecisa su cosa fare. Anche se avesse attivato il segnale luminoso nella stanza di Castiel, il ragazzo non sarebbe mai venuto ad aprire la porta spontaneamente.
Amelia fece un sospiro e girò la maniglia, socchiudendo la porta e facendo capolino nella camera.
Castiel era sdraiato sul letto e sembrava avere gli occhi chiusi.
La donna si avvicinò e, con una mano, gli accarezzò dolcemente i capelli, facendolo sussultare e aprire gli occhi contemporaneamente.
“Ehi” – sorrise lei – “Stavi dormendo?”
Il ragazzo scrollò la testa e si sollevò leggermente.
“Tuo fratello è andato al tirocinio” – lo informò la madre, sedendosi sul bordo del letto.
Il più piccolo annuì, sovrappensiero.
La donna si soffermò un attimo sui lineamenti dell’altro e sul blu increspato dei suoi occhi.
“Cassie” – lo richiamò lei, toccandolo – “Stavo pensando…che ne diresti di uscire un po’ oggi pomeriggio? Ho il resto della giornata libera, potremo fare una passeggiata…”
Castiel fece segno di no con il capo.
“Perché no? C’è un bel sole fuori, è un peccato rimanere chiusi in casa…” – lo incitò l’altra.
[…]
La donna si sentì stringere il petto. Eccola lì l’altra questione che aveva gettato lei e il resto della famiglia nella confusione e nello sconforto più totale: Castiel aveva smesso di usare la voce e aveva ripreso a comunicare con la lingua dei segni. I Novak avevano trascorso interi anni in quella situazione, era vero, eppure, tornare indietro, dopo aver sentito di nuovo la voce di Castiel, era stato tremendo, come se fosse stata la prima volta.
“Lo so che non hai voglia, ma una volta fuori sono sicura che cambieresti idea…”
Castiel scrollò di nuovo la testa.
Amelia sospirò, affranta.
All’improvviso, un ronzio ovattato attirò la sua attenzione. La donna si guardò in giro un attimo, per poi posare gli occhi sul comodino lì accanto. Incuriosita, aprì il cassetto e vide il cellulare di Castiel con lo schermo illuminato.
“Credo che ti sia arrivato un messaggio” – disse lei, toccandolo con una mano e indicando il comodino con un cenno del capo.
Il ragazzo guardò di sfuggita il cassetto, ma non si mosse.
“Non vuoi vedere chi è?” – lo incitò Amelia.
Il giovane fece cenno di no.
Amelia sentì crescere la frustrazione dentro di sé. Non solo Castiel non voleva vedere nessuno, ma non era neanche intenzionato a mantenere contatti a distanza. Perché? La donna non capiva, non riusciva a comprendere il motivo di un cambiamento così improvviso.
Amelia si prese un momento e poi guardò il figlio, pensierosa.
“Sai…” – iniziò – “Oggi è successa una cosa a scuola…”
Castiel si limitò a fissare la madre, dando segno di non essere particolarmente interessato a quello che lei aveva da dire.
Amelia si stropicciò le mani, indecisa se continuare o meno. In un certo senso, era quasi sicura che, proseguendo, avrebbe attirato l’attenzione dell’altro, ma contemporaneamente, temeva di turbarlo.
“Riguarda Dean…” – trovò la forza di andare avanti.
Una luce brillò nel blu degli occhi del giovane e Amelia se ne accorse, incoraggiandola così a proseguire.
“Ho…ho saputo che lui e un altro studente si sono picchiati nel cortile della scuola…”
Castiel spalancò gli occhi, mentre un chiaro turbamento ne velava le iridi, offuscando la luce di prima.
Le mani del ragazzo si mossero piano, incerte.
[…]
“Non so cosa sia successo di preciso…”
[…]
“Credo che stia bene. Per fortuna qualcuno è intervenuto subito”.
Il giovane abbassò lo sguardo e serrò le labbra.
“Cassie” – lo richiamò lei, toccandogli un braccio – “Potresti andare a trovarlo e vedere come sta, che ne dici?”
Castiel deglutì un paio di volte e scrollò forte la testa.
“Sono sicura che a Dean farebbe piacere”.
Il ragazzo scosse ancora il capo.
“Ok, come vuoi…” – sospirò forte lei.
 
“Tesoro, vorrei che tu parlassi con me. Vorrei che mi dicessi cosa c’è che non va…”
Il figlio incrociò gli occhi dell’altra, ma non rispose.
“Io e tuo padre siamo preoccupati, e anche Balth”.
Castiel si morse un labbro e distolse lo sguardo.
La madre posò delicatamente due dita sulla guancia dell’altro, richiamandone così l’attenzione.
“Vogliamo solo aiutarti…”
Il giovane schiuse leggermente la bocca, per poi serrarla in un’espressione amareggiata.
[…]
I lineamenti di Amelia si tesero dolorosamente.
“P-perché dici che non possiamo farlo? Lascia almeno che ci proviamo…”
Il ragazzo dagli occhi blu si lasciò andare stancamente contro il cuscino e abbassò le palpebre.
Di fronte alla chiusura emotiva del figlio più piccolo, Amelia sentì l’impotenza dilagare dentro di sé. Ben presto le lacrime iniziarono a pungere, e lei fu costretta a rivolgere lo sguardo altrove. In seguito allungò una mano e accarezzò piano i capelli del ragazzo che, a quel tocco, socchiuse leggermente gli occhi.
“Se hai bisogno di qualcosa, io sono in cucina, ok?”
Il giovane annuì debolmente, per poi chiudere di nuovo gli occhi.
Amelia si alzò dal letto e si diresse verso la porta, girandosi verso il figlio un’ultima volta, prima di uscire del tutto dalla stanza. E quando si ritrovò da sola nel corridoio, le lacrime iniziarono a scendere prepotenti, senza che lei riuscisse a fermarle.
 
Castiel rimase sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi, scandendo il tempo che passava con i battiti del suo cuore, come se stesse aspettando qualcosa.
Era così che trascorreva gran parte della sua giornata: in attesa. E nelle ultime settimane non aveva fatto altro. Da quando aveva posto fine alla sua relazione con Dean, Castiel aveva aspettato con pazienza che il suo desiderio di sentire (insieme a tutto ciò che comportava) si affievolisse, che tornasse a dormire come aveva fatto prima di conoscere Dean. Tuttavia, quel desiderio non si era placato, anzi, se possibile, sembrava ancora più forte e aggressivo di prima. Castiel non era ingenuo, in realtà sapeva benissimo che una cosa simile non sarebbe mai potuta accadere, e questo perché lui non era più la persona di prima. Castiel non era più il ragazzo che abitava a Pontiac, il suo incontro con Dean lo aveva cambiato, lo aveva trasformato al punto tale che per il giovane era ormai impossibile tornare indietro. Dean era entrato dentro di lui, modificando gli ingranaggi del suo animo e conferendo loro un ritmo e un movimento nuovi, del tutto diversi.
Ma allora perché farlo? Perché aspettare una cosa che si sa già che non accadrà? La verità era che Castiel si era aggrappato con tutto sé stesso a questa illusione, a questa vana attesa, per non pensare all’unica cosa che continuava a tormentarlo e a straziarlo in modo insopportabile: la mancanza di Dean.
Quando stava ponderando la decisione di lasciare andare il giovane Winchester, Castiel aveva provato ad immaginare la sua vita senza di lui, e il solo pensiero era stato insostenibile. E purtroppo, la realtà era stata anche peggio, amplificata fino all’esasperazione da tutti gli stimoli esterni che raggiungevano il giovane. L’assenza di Dean era ovunque intorno a lui: nei piccoli regali che il biondo gli aveva fatto e che Castiel custodiva gelosamente; nella sedia vuota della scrivania, dove Dean preferiva indugiare in baci, anziché fare i compiti; nel block notes aggiustato, che adesso il moro teneva sempre accanto a sé; nell’odore dell’altro sulla federa del cuscino, che sembrava resistere, sbiadendo solo un istante quando veniva lavata; in quello stesso letto dove era sdraiato e che, senza Dean, sembrava più grande, e più vuoto. Castiel aveva immaginato che sarebbe stato difficile, ma quello che forse non si era aspettato era quanto. Lasciare Dean era stato come una bomba che, esplodendo, aveva dato vita ad un’onda d’urto, capace di spazzare via tutto quanto in un battito di ciglia. All’improvviso niente nella vita di Castiel aveva più senso: le lezioni con Naomi, l’imminente diploma, nemmeno l’amicizia con Charlie, che continuava a tempestarlo di messaggi a cui lui non rispondeva, e infine…l’uso della voce. Quest’ultimo aspetto della vita di Castiel era strettamente legato al giovane Winchester. Il ragazzo dagli occhi blu, infatti, aveva affidato a Dean quella parte di sé che non riusciva a raggiungere, affinché l’altro lo facesse per lui. Ma da quando Dean non faceva più parte della sua vita, per il giovane l’uso della voce non aveva più significato. Castiel non sentiva quello che diceva a parole, ma poteva farlo con la lingua dei segni: vedeva le sue mani, i gesti del suo corpo…sentiva quello che diceva con la vista, e quello gli bastava.
Ma c’era un’altra cosa, con la quale Castiel non aveva fatto i conti e che, invece, si era presentata in tutta la sua crudeltà, infierendo su di lui in modo impietoso: il pentimento. Castiel si era pentito della sua scelta appena tornato a casa, quel pomeriggio stesso in cui aveva lasciato Dean. Il suo corpo tremava, faceva fatica a reggersi in piedi, si sentiva soffocare e non riusciva ad impedire alle lacrime di scendere. E i giorni successivi non erano stati da meno. Ogni volta che chiudeva le palpebre, vedeva il modo in cui Dean lo aveva guardato, la disperazione con la quale si era opposto alla sua decisione. Di notte, non riusciva a dormire e la nausea lo costringeva a digiunare spesso. Tutto, in lui, si stava ribellando a quell’allontanamento forzato, a quell’addio non voluto, e lo stava punendo, nel peggior modo possibile. Persino allo specchio, il suo riflesso puntava un dito accusatorio contro di lui, per quello che aveva fatto. E Castiel provava a difendersi, inutilmente, continuando a ripetere a sé stesso di avere fatto tutto quanto per Dean, per il suo bene.
 
“Riguarda Dean…”
“…lui e un altro studente si sono picchiati…”
 
Castiel spalancò gli occhi, mentre una lacrima sfuggiva via, andando a morire lungo la sua guancia.
Sebbene avesse cercato di non darlo a vedere, quello che gli aveva riferito la madre su Dean, lo aveva profondamente turbato. Nelle ultime settimane non era passato un minuto, senza che Castiel si fosse chiesto cosa stesse facendo Dean, come si sentisse. E la sola idea che l’altro stesse passando anche solo la metà di quello che stava passando lui, lo preoccupava, al punto di annientarlo. Castiel riconosceva di essere un ipocrita nel preoccuparsi delle condizioni di Dean, quando lui stesso era responsabile proprio di quella situazione, ma non poteva farci nulla, era più forte di lui. Il senso di colpa nei confronti di Dean, per averlo fatto soffrire, per avergli detto quelle cose, era già lacerante di per sé. Ma adesso, di fronte a quell’episodio che vedeva coinvolto l’altro, davanti alla possibilità di esser causa anche di questo, lo era ancora di più.
Era stata davvero colpa sua se Dean aveva picchiato quel ragazzo?
Castiel si sentì schiacciato da questa responsabilità, mentre un senso di smarrimento e confusione dilagava nel suo animo. Possibile che, nonostante non fosse più nella vita di Dean, Castiel gli creava ancora problemi? Ma allora, se fosse davvero così, a cosa era servito tutto quello che aveva fatto? A cos’era servito mettere il bene di Dean prima del proprio?
Castiel si girò su un fianco, iniziando a singhiozzare e coprendosi gli occhi con le mani, per non vedere quella nuova realtà che gli si era parata di fronte e con la quale avrebbe dovuto ben presto fare i conti.
 
 
°°°
 
 
“Amelia?”
A quel richiamo la donna batté le palpebre due volte e sollevò lo sguardo. James era fermo di fronte a lei che la osservava, preoccupato.
La famiglia Novak aveva appena finito di cenare. Durante la cena, James si era soffermato più volte a guardare la moglie, sorprendendola spesso con lo sguardo assente o mentre muoveva distrattamente la forchetta nel piatto. Contemporaneamente, l’uomo aveva riservato anche un’occhiata fugace al figlio maggiore, seduto a tavola con loro, e al posto vuoto di Castiel, che anche quella sera si era rifiutato di uscire dalla sua stanza per mangiare.
“Eri silenziosa, a cena” – disse lui – “E non hai mangiato molto” – continuò, indicando con un gesto del capo il cibo avanzato nel piatto della donna.
Amelia incrociò per un istante gli occhi del marito.
“Non è niente…” – tentò lei, abbozzando un sorriso tirato e continuando a sparecchiare la tavola.
L’uomo sospirò e fece un passo in avanti, per poi prendere le posate che la donna teneva in mano e posarle di nuovo sul tavolo.
“Guardami” – disse.
La moglie incontrò di nuovo gli occhi di James.
“Questa cosa di nostro figlio ti sta sfinendo…”
Amelia esitò un attimo.
“Non so più cosa fare…” – ammise poi, flebile.
Per qualche secondo, entrambi rimasero in silenzio.
“Oggi ho provato a parlare di nuovo con lui” – disse lei, poco dopo – “Gli ho proposto di uscire con me, ma non ha voluto…”
“Gli ho anche detto di quello che è successo a scuola oggi” – riprese – “Sai, per cercare di scuoterlo un po’…” – spiegò, gesticolando.
“Perché, cos’è successo?” – domandò l’uomo, aggrottando la fronte.
“Dean…lui e un altro ragazzo si sono picchiati nel cortile della scuola”.
James schiuse le labbra, sorpreso.
“Davvero?”
La donna annuì.
“Il motivo?”
“Non si sa…”
“E Cassie? Cos’ha detto?”
“Non ha detto molto, ma si vedeva che era preoccupato…e così gli ho suggerito di andare a trovarlo. Speravo che magari in questo modo…e invece niente”.
Amelia abbassò lo sguardo e fece una smorfia.
L’uomo la guardò attentamente e capì che c’era dell’altro.
“E poi?” – chiese, incoraggiandola a proseguire.
La donna posò lo sguardo sul tavolo e accarezzò la tovaglia con la punta delle dita, prendendosi del tempo.
“Io…” – esitò un attimo – “L’ho pregato di parlare con me, di dirmi cosa c’è che non va…”
“E lui?”
Lei non rispose.
“Amelia?”
La donna chiuse gli occhi un istante, per poi aprirli subito dopo, incrociando quelli del marito.
“Mi ha detto che non possiamo aiutarlo…”
 
“Perché?” – domandò lei dopo un po’, cercando una risposta nel volto di lui – “Perché dice che non possiamo aiutarlo?”
James sospirò piano.
“Non lo so…”
“Mi sembra di rivivere un incubo” – sussurrò l’altra, con voce incrinata.
“Amelia…” – tentò l’uomo, cingendole le spalle con un braccio e attirandola a sé.
La donna appoggiò la fronte contro il petto del marito e chiuse gli occhi, soffocando un gemito.
“Si sta isolando di nuovo, come quando…” – si interruppe, non riuscendo ad andare avanti.
James le accarezzò dolcemente i capelli, cullandola.
Sebbene il signor Novak fosse fuori casa per gran parte della giornata, veniva comunque tenuto aggiornato dalla moglie sulla situazione del figlio più piccolo, situazione che sembrava peggiorare di giorno in giorno. Tuttavia, proprio perché non riusciva ad essere più presente, l’uomo si sentiva in colpa e impotente di fronte a quello che stava accadendo. E questi sentimenti si erano fusi con la preoccupazione per Castiel, al punto tale da non riuscire più a distinguerli. Nonostante tutto, però, James aveva deciso di non lasciarsi prendere dallo sconforto e di mostrarsi forte, per la sua famiglia, e soprattutto per Amelia.
“Perché?” – chiese la moglie, iniziando a singhiozzare ed interrompendo così i suoi pensieri – “Perché ci sta succedendo tutto questo?”
James non rispose, ma strinse di più la donna a sé.
“Cosa abbiamo fatto di male per meritarcelo?” – gemette lei, prima di abbandonarsi al pianto tra le braccia del marito.
Colpito da quelle parole, l’uomo serrò le palpebre un istante, per poi riaprirle. E fu in quel momento che i suoi occhi blu incontrarono quelli azzurri di Balthazar, che li stava osservando appena fuori dalla sala da pranzo.
 
 
°°°
 
 
Balthazar salì l’ultimo gradino della scala e percorse il corridoio, fino a fermarsi di fronte alla camera di Castiel, mentre dentro di lui si agitavano sentimenti contrastanti.
Quella mattina aveva promesso alla madre che avrebbe parlato di nuovo con il fratello, sebbene, a dire il vero, avesse ormai esaurito le strategie di approccio al più piccolo. Durante i suoi tentativi di dialogo con Castiel, in quelle settimane, Balth aveva tirato fuori il nome di Dean più volte, in quanto aveva intuito da tempo che l’improvviso cambiamento del fratello avesse a che fare con lui. E ogni volta, con i suoi dinieghi e i suoi rifiuti di parlare di Dean, Castiel non faceva altro che confermare la sua teoria. Nonostante questo, però, il maggiore avrebbe scelto ancora questa mossa, perché era convinto che, facendo leva sulla figura del giovane Winchester, prima o poi avrebbe portato il fratello al punto tale di confidarsi con lui. Ed era questa la sua intenzione, se non fosse che, quanto visto poco prima in sala da pranzo, aveva fatto nascere in lui una scintilla di rabbia. Quello che la madre e il padre si erano detti, e le lacrime della donna, lo avevano spinto a provare del risentimento nei confronti del minore. Lui e la sua famiglia erano sempre stati vicini a Castiel, lo avevano supportato in tutto, dal voler comunicare solo con la lingua dei segni, al non voler frequentare una scuola speciale. E ora, di fonte alla loro preoccupazione, davanti alla mano che gli stavano tendendo, lui aveva risposto con un rifiuto. Balth conosceva Castiel, sapeva quanto potesse essere testardo e quanto fosse difficile arrivare a lui e, soprattutto, sapeva quanto il fratello soffrisse la sua condizione, e proprio per questo era sempre stato paziente con lui. Ma nell’ultimo periodo, il comportamento di Castiel non aveva fatto altro che sfiancare e ferire la sua famiglia, in particolar modo la madre. E la scena a cui aveva assistito poco prima era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Balth fissò per un istante la porta della stanza, immaginandovi oltre la figura di Castiel, chiuso nel suo ostinato isolamento. In quel momento, il maggiore dei Novak trovò la sua risoluzione: avrebbe parlato con il fratello, certo, ma lo avrebbe affrontato in modo diverso. Un modo che, sicuramente, all’altro non sarebbe affatto piaciuto, ma che rappresentava l’unica possibilità che Balth aveva per ottenere qualcosa da lui.
Balthazar prese un profondo respiro e aprì la porta, entrando in camera. Castiel era sdraiato sul letto, voltato di spalle. Il maggiore si soffermò a guardarlo e, per un attimo, la sua risolutezza vacillò. Quello che stava per fare sarebbe stato difficile per lui, visto il profondo attaccamento che provava per il più piccolo, e non avrebbe mai voluto arrivare a questo punto, ma doveva farlo, proprio per l’affetto che nutriva nei suoi confronti.
Balth si avvicinò al letto e posò una mano sulla spalla del fratello che, a quel tocco, sussultò, girandosi di scatto.
“Non volevo spaventarti” – si scusò il più grande.
Castiel scrollò la testa e puntò le mani sul materasso, mettendosi poi seduto sul bordo del letto, con i piedi appoggiati a terra.
Balth indugiò un po’ prima di parlare.
“Perché non eri a cena con noi stasera?” – chiese infine.
Castiel batté le palpebre un paio di volte, un po’ sorpreso dalla domanda, visto che era certo di aver detto il motivo alla madre.
[…]
“Non avevi fame, certo…” – annuì piano Balth, come se stesse soppesando la risposa dell’altro – “Ultimamente succede spesso”.
Castiel lo guardò, corrugando leggermente la fronte.
“Vuoi forse negarlo?”
Il minore esitò un istante e poi fece cenno di no con il capo.
Ad un tratto, l’attenzione di Balthazar venne catturata da un oggetto sul letto, accanto al cuscino, che il ragazzo riconobbe come un block notes.
“Cosa stavi facendo?”
[…]
“Niente…” – ripeté il più grande – “Anche questo succede spesso” – sottolineò poi.
Castiel si irrigidì leggermente e fissò il fratello, socchiudendo gli occhi e senza rispondere.
Balthazar vide la reazione dell’altro, ma non si scompose.
“Quindi…hai intenzione di continuare così ancora per molto?” – domandò, invece.
Il ragazzo dagli occhi blu serrò le labbra in una linea dura.
“Non credi che sia ora di smetterla con questo atteggiamento?” – infierì il maggiore.
Le mani di Castiel si mossero veloci.
[…]
“Sai benissimo di cosa sto parlando, Cassie”.
Il minore distolse lo sguardo.
Balth fece un passo in avanti e si chinò di poco verso di lui, catturandone di nuovo l’attenzione.
“Tu non ti rendi conto di cosa succede fuori da questa stanza, vero?”
Castiel non si mosse.
“No, come potresti…a te non interessano gli altri, conti solo tu, non è così?”
Il più piccolo strinse le mani in un pugno e scattò in piedi, trovandosi così faccia a faccia col fratello.
[…]
“Sto dicendo la verità” – replicò l’altro, fronteggiandolo con calma.
Castiel guardò Balth duramente.
[…]
Il più grande scrollò piano la testa e stirò le labbra in una linea amara.
“È così che speri di risolvere il problema? Cacciandomi dalla stanza?”
[…]
“Voglio che tu ti renda conto che, dietro a quella porta, hai un padre e una madre che ti amano tantissimo e che farebbero qualsiasi cosa per te”.
[…]
“E invece no, non lo sai”.
Balth fece una pausa.
“La mamma stava piangendo poco fa”.
Il minore spalancò gli occhi e schiuse le labbra, mentre i suoi lineamenti si tendevano dolorosamente.
“Lei e papà sono molto preoccupati, perché non capiscono cosa ti stia succedendo” – continuò l’altro – “E lo sono anch’io”.
D’istinto, Castiel rivolse lo sguardo altrove, schiacciato dal senso di colpa che lo assalì improvvisamente.
Balth gli toccò la spalla, richiamandolo.
“Hai detto alla mamma che non possiamo aiutarti”.
Il più piccolo non rispose.
“Quindi questo significa che c’è un problema” – insisté il maggiore.
Castiel rimase fermo.
“Maledizione, Cassie! Smettila di fare l’egoista!” – sbottò il più grande, allargando le braccia.
Gli occhi di Castiel saettarono rapidi sul fratello, guardandolo torvo.
[…]
“Sì, egoista. Hai capito bene”.
[…]
“Sì che lo sei!” – ribatté l’altro, puntandogli un dito contro – “Questa famiglia si è fatta in quattro per te! Ti abbiamo sempre accontentato in tutto! E tu invece che fai? Non solo te ne freghi di noi, ma ci chiudi anche fuori!”
Castiel aggrottò la fronte.
[…]
“Davvero, Cassie?” – replicò sardonico il maggiore – “E allora come lo chiameresti quello che stai facendo? Te ne stai chiuso tutto il giorno in camera, a malapena ti vediamo a tavola, non parli più con noi…per non parlare della tua assurda decisione di smettere di studiare!”
Il giovane alzò le mani, per controbattere, ma fu subito interrotto dal fratello.
“E che mi dici di Dean, eh?”
Castiel si irrigidì, esitando un attimo sul posto, e poi fece per voltarsi, ma Balth lo trattenne per un braccio.
“Hai chiuso fuori anche lui?”
Le labbra del più piccolo tremarono leggermente.
Balth se ne accorse e trattene il fiato, per un istante. Nonostante avesse intuito che il giovane Winchester c’entrasse qualcosa con quello che stava accadendo a Castiel, in realtà non sapeva bene in che modo. Pertanto, la muta ammissione del fratello lo colse un po’ impreparato.
“Non ci posso credere…” – mormorò – “Lo hai fatto davvero?”
Castiel spostò lo sguardo altrove.
“Perché?” – lo richiamò, stringendo la presa sul suo braccio.
Il minore tentò di sottrarsi al tocco del più grande, ma Balth glielo impedì.
“Rispondimi, Cassie!”
Castiel si dimenò malamente, riuscendo a liberarsi.
[…]
Quelle parole pungolarono Balthazar, alimentando la sua rabbia.
“E invece sono affari miei!” – tuonò in risposta – “Sono affari di tutti noi, dal momento che ti stai comportando così!”
Balth fece una pausa, per riprendere il controllo.
“Ma non lo capisci che il tuo atteggiamento non fa altro che ferire mamma e papà? Non ti rendi conto che in questo modo tutta la famiglia ne risente? Credi davvero di essere l’unico a soffrire?”
Castiel fece un passo indietro, per poi socchiudere di poco gli occhi e riservare al più grande uno sguardo risentito. Le braccia si alzarono rapide, come una freccia scoccata da un arco teso fino allo spasmo.
[…]
Questa volta fu il turno di Balth di rimanere in silenzio e di soppesare il dolore che traspariva dai gesti del fratello.
“È vero, io non so niente” – disse dopo un po’ – “Non so niente perché tu non parli con noi, non ci dici quello che ti sta succedendo”.
Balth avanzò di un passo, ricercando gli occhi blu del minore con i propri.
“Parla con me, Cassie. Lascia almeno che io provi a capire”.
Castiel si strinse a sé e scrollò la testa.
“Perché no?” – insisté il più grande.
[…]
“In che senso non cambierebbe nulla? Spiegami” – incalzò l’altro.
Il più piccolo fece una smorfia, spazientito.
[…]
“Continui a dire che non possiamo aiutarti. Ma non ci dici in cosa non possiamo farlo” – sottolineò Balth.
Balth vide un’increspatura nelle iridi blu dell’altro e in quell’istante seppe di aver trovato un punto su cui poter far leva per scuotere il fratello. Pertanto strinse i denti e andò avanti, anche se tutto quello stava facendo del male anche a lui.
“Dimmi cosa ti sta succedendo”.
Castiel fece cenno di no col capo e indietreggiò di poco.
Balth azzerò di nuovo la distanza tra loro, deciso a non lasciargli la possibilità di sottrarsi alle sue domande.
“Cassie, non puoi continuare così, e lo sai anche tu! Tutto questo tuo rifiuto di affrontare le cose non ti porterà da nessuna parte!”
Il giovane serrò le labbra e si portò i palmi delle mani sugli occhi.
Di fronte alla continua reticenza del più piccolo, il maggiore alzò le braccia e strinse le dita sui suoi polsi, forzando le mani ad abbandonare il viso.
“Smettila di essere così testardo!”
Castiel fece leva per divincolarsi dalla presa del fratello, ma Balth lo trattenne in modo fermo.
“Non ti lascio andare se prima non mi dici cosa ti succede!”
“IO VOGLIO SENTIRE DI NUOVO!”
La voce di Castiel graffiò l’aria, ferendola.
Balth spalancò gli occhi, colpito da quelle parole, rese ancora più esasperate dal suono incrinato che uscì dalle sue labbra. Improvvisamente, le forze lo abbandonarono, svuotandolo completamente e costringendolo a mollare la presa sui polsi del fratello, mentre il suo sguardo cadeva nel vuoto.
“Sei contento adesso?!”
Il richiamo di Castiel riportò il maggiore alla realtà.
“È questo che volevi sapere, no?”
Balth incrociò gli occhi dell’altro. Il blu delle sue iridi sembrava un mare in tempesta, rabbioso certo, ma anche carico di dolore, per essere così succube del volere del cielo.
Il maggiore schiuse la bocca, senza però mettere alcun suono.
“Allora, puoi farlo?” – domandò il più piccolo, incalzandolo.
“Cassie…”
“Puoi fare in modo che io senta di nuovo?”
Il rancore e la sofferenza di Castiel colarono da ogni lettera pronunciata, dilagando tra i due fratelli. Balth si sentì impotente di fronte a tutto quello e abbassò lo sguardo.
“Balth…”
La voce di Amelia riecheggiò nella stanza, facendo girare di scatto Balthazar.
Sia la madre che il padre erano sulla porta, che li guardavano, e dai loro volti smarriti e confusi Balth capì che avevano sentito tutto.
Il maggiore si soffermò sugli occhi della donna, ancora segnati dal pianto di prima.
“Mamma…”
Amelia fece qualche passo dentro la camera, imitata dall’uomo, per poi fermarsi davanti ai figli.
“Tesoro…” – iniziò incerta, rivolgendosi al più piccolo – “È…è vero quello che hai detto?”
Castiel non disse nulla.
La donna fece un passo verso di lui.
“È questo che ti turba tanto?”
Il ragazzo deglutì un paio di volte, sgomento.
La madre sospirò piano, di fronte a quella muta amissione.
“Da quando tu…?” – si interruppe, cogliendo la risposta nello sguardo del figlio.
“Perché non ne hai mai parlato con noi?” – riprese poi.
Il minore incrociò gli occhi di lei, ma non rispose.
“Te lo sei tenuto dentro per tutto questo tempo…” – continuò l’altra – “Avresti dovuto dircelo…”
“Non sarebbe servito a niente”.
Amelia rimase spiazzata dalla risposta amara del giovane.
“Perché dici così?” – tentò poi – “Non è vero, noi-”
“Non avreste capito” – la interruppe bruscamente il minore.
“Cassie…” – intervenne il padre – “Sappiamo quanto sia difficile per te-”
“E invece no!”
Castiel strinse i pugni lungo i fianchi.
“Voi non sapete niente!”
I genitori e il fratello rimasero in silenzio, immobilizzati dalla reazione del ragazzo.
“Non avete la minima idea di quello che provo io! Non potete immaginare cosa voglia dire svegliarsi la mattina e non sentire nulla intorno a me, nulla!”
Il ragazzo allargò le braccia, disperato.
“Non sapete cosa voglia dire continuare a guardare le labbra degli altri, con il terrore di non capire quello che dicono e di dover chiedere di ripetere! E ogni volta che mangio con qualcuno non riesco a seguire la conversazione, perché non posso fare entrambe le cose!”
“Non capite cosa provo, quando non mi rendo nemmeno conto di quello che succede perché non sento nessun rumore! Le macchine che passano, se qualcuno sta suonando il campanello di casa, o…che ne so, il rumore della pioggia!”
“Come credete che ci si senta ad essere così isolati da tutto e da tutti, eh?”
Con uno scatto, Castiel si portò una mano alla testa, picchiettando poi sulla tempia con due dita.
“Io qui dentro sono completamente solo!”
Le grida di Castiel si dispersero nella stanza come un’eco doloroso, che incatenò gli altri in una spirale di dolore, rendendoli impotenti e incapaci di fare o dire qualsiasi cosa.
“Non posso vivere come gli altri, non posso fare le cose che fanno tutti! Non so nemmeno che futuro potrei avere! E non-”
Le parole gli morirono sulle labbra, soffocate da un nodo che gli strinse la gola e dalle lacrime che iniziarono a cadere. Castiel si coprì con le mani e iniziò a singhiozzare, lasciando che la disperazione prendesse il posto della rabbia.
“Non riesco neanche a ricambiare il suo amore…”
Nessuno dei presenti riuscì a muoversi o a parlare per un periodo di tempo incalcolabile. Gli occhi di tutti erano puntati sulla figura dei Castiel, mentre il loro animo era in sintonia con la sofferenza del ragazzo.
Il primo ad intervenire fu Balthazar, che si avvicinò al fratello e, con cautela, lo strinse a sé.
Castiel si abbandonò alle braccia dell’altro, piangendo più forte.
Il maggiore ricercò l’attenzione dei genitori con lo sguardo, e fece un lieve cenno del capo in direzione della porta, chiedendo implicitamente loro di lasciarlo solo con Castiel.
James annuì e posò una mano sulla schiena della moglie.
“Amelia” – la richiamò in un sussurro.
La donna si voltò, con gli occhi persi nel vuoto.
“Andiamo” – la incitò dolcemente lui, cingendole poi le spalle e accompagnandola fuori dalla stanza.
 
Il respiro di Castiel veniva interrotto ogni tanto da un singhiozzo che scuoteva il ragazzo, facendolo sussultare per un istante.
Dopo che i genitori erano usciti dalla camera, Balth aveva guidato il più piccolo, facendolo sedere sul bordo del letto e cullandolo in un abbraccio, finché il pianto del giovane non era andato via via scemando.
Castiel si mosse leggermente tra le braccia del fratello, per poi scostarsi piano e sciogliere il contatto con l’altro.
“Va meglio?” – chiese Balth, cercando la sua attenzione.
Il minore si limitò a guardarlo e non rispose.
Balthazar osservò Castiel per qualche secondo, soffermandosi sugli occhi sciupati dalle lacrime e sui lineamenti sbattuti del viso. Sebbene una parte di lui fosse sollevata per lo sfogo del fratello, un’altra parte, invece, soffriva terribilmente. Nonostante conoscesse la difficoltà dell’altro a convivere con il suo handicap, tuttavia non aveva immaginato quanta rabbia, frustrazione e dolore si fossero accumulati in lui in tutti questi anni. E il fatto che Castiel non si fosse mai confidato con lui, faceva male. In quel momento, però, Balth si sentì anche un po’ in colpa per non essere riuscito a captare dei segnali o qualsiasi altro indizio che avrebbe potuto rivelargli lo stato d’animo del più piccolo.
Balth fece un profondo respiro.
“Cassie” – lo richiamò – “Mi dispiace…”
Castiel incrociò i suoi occhi con quelli del maggiore, ma non disse nulla.
“Io…” – indugiò un attimo il più grande – “Io non immaginavo che tu…” – si interruppe, non riuscendo a trovare le parole adatte.
“Anche se…avrei dovuto capirlo” – riprese poco dopo.
Castiel abbassò lo sguardo sulle proprie mani e rimase in silenzio.
Balthazar si prese un momento per riflettere.
Quando aveva deciso di parlare con il fratello, usando un approccio più duro, lo aveva fatto con lo scopo di scuoterlo un po’. Tuttavia, non si sarebbe mai aspettato un risultato simile. Un risultato che poteva essere sfruttato a vantaggio di Castiel, per il suo bene. Certo, doveva essere cauto, ma le possibilità di riuscita erano incoraggianti, soprattutto perché ora le difese emotive del fratello erano notevolmente abbassate.
Il maggiore allungò una mano e toccò la spalla dell’altro, che sollevò lo sguardo verso di lui.
“Sai…avevi ragione” – esordì poi, con calma.
Castiel inclinò di poco il viso, con aria interrogativa.
“Io non posso farti sentire di nuovo…” – spiegò il più grande.
Il ragazzo deglutì rumorosamente.
“Ma tu potresti…” – continuò l’altro.
Castiel aggrottò la fronte, perplesso.
“E…” – proseguì Balth, senza perdere di vista il volto del fratello – “Non è vero che tu non puoi vivere come gli altri…”
Il minore socchiuse gli occhi, confuso.
“La verità è che non vuoi…” – concluse Balth.
Lo sguardo di Castiel si adombrò e il suo corpo si irrigidì.
“Voglio dire” – intervenne subito il maggiore, alzando una mano – “Tu hai una possibilità”.
Castiel rimase immobile, a fissarlo.
Balthazar sospirò piano.
“Cassie, tu hai una possibilità, l’hai sempre avuta, ma per qualche motivo non hai mai voluto prenderla in considerazione”.
Il giovane si morse un labbro, ora conscio di dove il fratello volesse andare a parare.
“Sto parlando dell’impianto cocleare”.
D’istinto, Castiel portò lo sguardo altrove.
“Cassie” – lo richiamò Balth – “Perché non hai mai voluto fare l’impianto?”
Il ragazzo dagli occhi blu fissò un punto indistinto oltre le spalle del fratello. Balthazar si rese conto di aver incontrato un grosso ostacolo sulla strada che portava all’animo di Castiel, ma decise di non arrendersi subito e di lasciare al minore tutto il tempo di cui aveva bisogno.
“Ho paura…” – mormorò all’improvviso Castiel.
Il maggiore trattenne il fiato, di fronte a quelle parole.
“Hai…hai paura dell’intervento?” – chiese poi.
Castiel abbassò le palpebre e scrollò la testa.
“Hai paura che potrebbe non funzionare?”
Il più piccolo fece una smorfia.
“Anche…”
“E cos’altro?” – lo sollecitò dolcemente Balth.
Castiel fece vagare lo sguardo sulla stanza, cercando di raccogliere il coraggio di dire quello che finora non aveva mai detto a nessuno, nemmeno a Dean. In seguito, riportò la sua attenzione sugli occhi azzurri del fratello, che lo guardavano, in attesa.
“Ho paura di cambiare…” – riuscì infine a dire.
 
“È normale aver paura di cambiare” – disse Balth, dopo un po’.
“Io…” – tentennò il minore – “Vorrei tornare ad essere la persona che ero prima, ma…non posso farlo”.
Il più grande indugiò.
“No, non puoi…e devi accettarlo”.
Castiel si morse un labbro.
“Ma c’è qualcos’altro che puoi fare” – continuò Balth – “Se vuoi”.
Il più piccolo guardò l’altro, in attesa.
“Puoi provare a superare la paura”.
 
“Non so cosa fare…” – mormorò Castiel.
Balth sollevò una mano e accarezzò dolcemente la testa del fratello.
“Vorrei poterti dire cosa fare, ma…” – sospirò piano – “Te l’ho già detto una volta, Cassie…la scelta è solo tua”.
Castiel abbassò lo sguardo, ma Balth gli prese il viso tra le mani, riportando i suoi occhi su di sé e abbozzando un sorriso.
“Ma voglio che tu sappia che, qualsiasi cosa deciderai di fare, io e i nostri genitori saremo qui per aiutarti…”
 
“Prima…” – esitò Balth – “Hai detto di non riuscire a ricambiare il suo amore…”
Castiel stirò le labbra e poi annuì piano.
“Cos’è successo con Dean?”
Il ragazzo rimase in silenzio per poi voltarsi leggermente e prendere il block notes che era sul letto, vicino al cuscino. Con i polpastrelli ne accarezzò la copertina e i bordi, arrivando in seguito a fogliarne lentamente le pagine.
“L’ho lasciato andare…” – sussurrò.
Il maggiore sospirò, affranto.
“Cassie…”
Castiel chiuse il block notes e lo strinse tra le mani.
“Lui…” – indugiò – “Lui mi ha sempre detto che la mia sordità non è un problema e che io vado bene così come sono”.
Il minore fece una pausa, come se stesse raccogliendo le forze per andare avanti.
Balth rimase in attesa, senza dire nulla.
“Ma sono io che non…” – riuscì a dire, senza però proseguire.
“…sei tu che non ti vai bene così come sei, giusto?” – lo aiutò Balth.
Castiel incrociò gli occhi del fratello e fece cenno di sì con la testa.
 
“Sai, Cassie, io credo che una parte di te sappia già cosa deve fare”.
Castiel inclinò leggermente il viso, con aria interrogativa.
“Ed è proprio la stessa parte di te che non si accetta così com’è” – continuò l’altro.
Il ragazzo dagli occhi blu strinse la bocca e non rispose.
“Prova a pensarci” – lo incitò dolcemente il fratello – “Questo tuo voler sentire di nuovo, questo tuo non accettarti così come sei adesso…” – si interruppe, gesticolando – “Non potrebbe essere un valido motivo per provare a superare quella paura, per provare a sfruttare quella possibilità?”
Il giovane schiuse le labbra e per un attimo fece vagare gli occhi nel vuoto.
Balthazar alzò entrambe le braccia, tenendo le mani a mezz’aria.
“Quella parte di te che vuol sentire” – disse, muovendo la mano sinistra – “Potrebbe andare incontro a quella che ha paura” – proseguì, spostandola verso la mano destra – “E sfruttare insieme la possibilità che hai” – concluse, congiungendo entrambe le mani e incrociando le dita tra loro.
Il giovane seguì attentamente i gesti del maggiore e si morse un labbro.
 
“E Dean? Cos’hai intenzione di fare con lui?” – chiese Balth, dopo un po’.
Castiel si sistemò meglio sul bordo del letto, a disagio.
“Io…”
“Prova ad andare da lui” – suggerì l’altro – “Parlagli, spiegagli come ti senti, come hai fatto con noi”.
Castiel spalancò gli occhi, sgomento.
“No” – disse poi, risoluto.
“Perché no?”
Il più piccolo non rispose.
“Cassie?”
“Non…non posso fare una cosa simile. Non posso andare da lui come se niente fosse, non dopo quello che gli ho fatto”.
Balth fece un profondo respiro.
“Cassie, è evidente che ti sei pentito di averlo lasciato, e non ci sarebbe niente di male ad ammetterlo e a tornare sui tuoi passi”.
Il minore si stropicciò le mani, mentre un nodo gli stringeva la gola.
“Non mi perdonerebbe mai” – sussurrò, con un lieve tremolio nella voce.
“Non lo puoi sapere, se non ci provi” – replicò il più grande – “E, a dirla tutta, tu sottovaluti Dean. Quel ragazzo non si è mai fermato di fronte a niente, nemmeno davanti alla tua sordità. E tu questo lo sai”.
Balth vide i lineamenti del fratello tendersi dolorosamente.
“Ehi” – gli disse, appoggiando una mano sulla sua – “Prenditi del tempo per pensarci, ma promettimi che lo farai davvero”.
Castiel incontrò lo sguardo del maggiore e abbassò le palpebre. Infine, annuì debolmente, per poi sporgersi in avanti e appoggiare la fronte contro la spalla del fratello, sospirando stancamente.
 
 
°°°
 
 
“Come sta?”
Balthazar alzò lo sguardo, per poi incontrare quello del padre, in piedi lungo il corridoio. Il maggiore si chiuse la porta della camera di Castiel alle spalle e si avvicinò all’uomo.
“Si è addormentato” – disse.
James annuì piano.
“La mamma?” – chiese il figlio.
“Sta riposando” – rispose l’altro, facendo un cenno del capo in direzione della propria stanza.
“E lei come sta?”
L’uomo fece una smorfia.
“È provata…” – ammise.
Balth non riuscì a dire nulla.
“Sai” – continuò il padre – “Lei è stata più vicina a Cassie di quanto non lo siamo stati io e te. Ha smesso di lavorare per stare con lui quando è diventato sordo e io so che per lei è stato difficile”.
James fece una pausa.
“Avrei voluto aiutarla di più…”
“Papà…”
“Lei c’è sempre stata, in tutti questi anni. Ha sempre sopportato tutto, ma questo…” – si interruppe, gesticolando in direzione della stanza del minore – “Questo l’ha sconvolta…quelle cose che Castiel ha detto, quello che si è tenuto dentro per tutto questo tempo. Non mi sarei mai aspettato una cosa simile…”
“Nemmeno io…” – fece eco Balth.
 
“Lui…” – esordì il padre, dopo un po’ – “Ha detto che non riesce a ricambiare il suo amore…”
Balth si irrigidì, trattenendo il fiato.
“Castiel…” – esitò James – “Castiel sta frequentando qualcuno?” – domandò l’uomo.
Il maggiore nicchiò, indeciso su cosa dire. Ovviamente non poteva negarlo, dal momento che lo stesso Castiel lo aveva fatto intendere con le sue parole. Tuttavia, non poteva neanche dire di più e scendere nei particolari, visto che non spettava a lui riferire ai genitori la natura della relazione del fratello.
“Sì…” – si limitò infine ad ammettere.
Balthazar colse un sottile dispiacere sul viso del padre.
“Mi dispiace non avervi detto nulla” – si affrettò poi a dire – “Ma si è confidato con me e io-”
“Non ti preoccupare” – lo interruppe dolcemente l’altro – “Sono contento che ne abbia parlato almeno con te” – ammise – “E, a dire il vero, neanche Cassie ha mai fatto la spia sulle ragazze che frequentavi tu” – aggiunse, stirando le labbra in un sorriso.
Il maggiore abbozzò un sorriso a sua volta.
 
“Balth” – lo richiamò James – “Cosa dobbiamo fare adesso?”
Il figlio guardò la camera del fratello con la coda dell’occhio. Una parte di lui avrebbe voluto fare di più, avrebbe voluto convincere l’altro a fare quella che sapeva essere la scelta più adatta per lui. Ma un’altra parte invece era convinta che, prendere una decisione da solo, fosse il punto chiave del processo di crescita del fratello.
Con questi pensieri, Balth tornò a guardare l’uomo.
“Dobbiamo solo aspettare”.
 
 
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Come avete visto, il nostro Castiel non se la passa meglio di Dean, anzi. Dopo aver posto fine alla sua relazione con il giovane Winchester, Castiel entra in uno stato di regressione, nel quale si isola in maniera ostinata (da buon testardo qual è). Il suo atteggiamento sconvolge la famiglia Novak, soprattutto la madre, che richiama alla memoria i primi tempi dopo l’insorgenza della sordità. In Balthazar, invece, il comportamento del fratello fa scattare la decisione di affrontare l’altro in maniera più dura, rispetto a quanto fatto finora, con lo scopo di scuoterlo dal suo torpore e di farlo reagire. E l’obbiettivo viene centrato in pieno quando Castiel si sfoga davanti ai genitori a al maggiore, buttando fuori tutto, ma proprio tutto.
E ora, cosa accadrà? Cosa deciderà di fare Castiel? Lo vedremo nel prossimo ed ultimo (sto già piangendo al solo pensiero >.< ) capitolo, prima dell’epilogo finale. A tal proposito, devo informarvi che il capitolo è ancora in fase di stesura e revisione, e magari riesco a completarlo in tempo per il prossimo aggiornamento, ma c’è una buona probabilità che questo non avvenga. Tuttavia voglio tranquillizzarvi: la storia verrà completata, assolutamente. L’unica cosa è che questo potrebbe non avvenire in tempi regolari, come invece è stato finora.
Bene, questo è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, mi raccomando!
Alla prossima!
Sara
   
 
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