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Autore: DeathOver    06/02/2017    2 recensioni
FNAF fanfiction.
Renèe non è mai stata una donna come tante altre, ha sempre e comunque voluto staccarsi dalla massa, ma la sua vita cambia per sempre quando, per puro divertimento, decide di rispondere all'annuncio del Freddy Fazbear's Pizza, proponendosi come guardia notturna.
"Paura? Was für ein unsinn! Dovresti saperlo: io non ho paura di nulla..~"
|| PICCOLO PS. Ho preferito utilizzare per i personaggi i nomi dati dai fan della serie, so benissimo anche io che sono nomi non originali. Inoltre se vi aspettate una storia esclusivamente romantica non siete nel posto giusto. Grazie per l'attenzione!
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I CAPITOLI SEGUONO UNA PUBBLICAZIONE MENSILE DURANTE IL PERIODO LAVORATIVO-SCOLATICO, E' POSSIBILE CHE NE VENGANO PUBBLICATI MOLTEPLICI LO STESSO MESE DURANTE IL PERIODO ESTIVO.||
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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La donna si guardo attorno svariate volte come per volersi assicurare che nel corridoio non vi fosse nessuno, per poi entrare nell'ufficio: voleva capire cosa succedeva lì dentro e sapeva che in quella stanza avrebbe per lo meno trovato degli indizi. 

 Dopo esser entrata si chiuse a chiave nello studio, il quale era sempre caotico come la prima volta in cui vi aveva messo piede.

 Si guardò intorno: da dove iniziare?Beh, magari poteva dare uno sguardo ai suoi colleghi: sapeva già dove trovare le loro cartelle, perciò andò a colpo sicuro, si avvicinò ad uno dei cassetti e lo aprì, prendendo i fascicoli di suo interesse: Fitzgerald, Vincent, Fritz e il suo titolare già li conosceva, mentre gli altri nomi le erano nuovi.L'occhio le cadde su un fascicolo contrassegnato da un nome femminile: Victoria Richardson, a detta del fascicolo era anche lei una sottospecie di tecnico ma non aveva ancora avuto modo di incontrarla. 

 Ne prese un altro paio e richiuse il cassetto, collocando i documenti nella stampante al fine di fotocopiarli, dopodiché passo oltre; aprì molteplici cassetti ma in essi trovò poco nulla, finché una mappa del locale rinvenuta sul fondo di uno di questi non richiamò la sua attenzione: vi erano tutte le stanze a lei familiari ed una aggiuntiva, con il nome cancellato con un pennarello indelebile nero. 

 Si avvicinò e gratto con le unghie sulla vernice, scoprendo il nome nascosto: "Safe Room".Era localizzata poco distante dalla stanza dei robottoni fuori uso: non amava entrare là dentro visto il cattivo odore che riempiva il luogo, era il probabile motivo per cui dopo quasi due settimane di lavoro non si era mai resa conto di una stanza del genere. 

 Prese un pennarello nero dalla scrivania e ricoprì il nome della stanza: ora doveva solo trovarne la chiave... o un modo alternativo per entrarci. Tra le due possibilità optò per la seconda: avrebbe impiegato troppo tempo per trovare la chiave, poteva aprirla senza destare alcun sospetto se avesse agito con discrezione. 

 Rimise tutto nel posto in cui si trovava prima del suo arrivo e chiuse la porta, per poi alzare lo sguardo verso la vetrata di essa, fissando il proprio riflesso. 

 "Si chiama privacy Rainy, e hai appena infranto tutte le leggi che la tutelano!" ridacchiò il riflesso. 

 -Sie halt die Klappe.- rispose la donna voltandosi, innervosita. 

 Dalla voce del riflesso uscì un'altra voce, e poi un sussurro, un altro e un altro ancora, sino a diventare troppi per poterli contare. 

 "Devi andartene da qui!" Diceva una voce, "Porta fino in fondo questa storia!" rispose l'altra, "Finirai di nuovo dalla signorina strizza neuroni di questo passo." Se ne aggiunse un'altra ancora. 

 "Morirai se resterai qui."

 Renèe si portò una mano al capo massagiandosi la fronte e osservando l'ambiente che la circondava: quei momenti finivano sempre per causarle mal di testa insopportabili. 

Si inoltrò per i corridoi sino a giungere alla "Parts and Service Room"; come al solito la porta era stata lasciata socchiusa da uno disattento dipendente e al suo interno la telecamera si muoveva vigile.

 Poggiata all'uscio sbirciò nella stanza, solo per vedere un ammasso di vecchi, enormi giocattoloni arrugginiti. Alcuni di loro, come Freddy o Bonnie, li ricordava ancora vividamente a cantare e scherzare sul palco della vecchia sede: non sopportava quei modi scherzosi di rivolgersi ai marmocchi; parlavano con dei bambini, non con un sacco di imbecilli. Ciò che la lasciava più perplessa era cosa di tutta quella situazione potesse far ridere i bambini: non si sentivano presi in giro?! 

 Sospirò, per poi gettare nuovamente lo sguardo verso la telecamera: impiegava pochi secondi a fare un giro, meno di dieci, e per sei si fermava su un punto fisso. 

 La donna scivolò furtiva nell'ombra nel momento in cui la telecamera riprese il suo giro, nascondendosi dietro la macchinetta dei giochi arcade in disuso.  Si guardò intorno, prima di picchiettare il dito contro la parete: se i suoi sospetti erano giusti, questa avrebbe suonato a vuoto e non impiegò molto a trovare il punto in cui la parete suonava in maniera differente.

 Scostò la macchinetta degli arcade rivelando, coperta dalla medesima carta da parati della stanza, una porta chiusa. 

 Si chinò e buttò un occhio all'interno della serratura ma non potè scorgere altro che l'oscurità totale; doveva aprirla.Si assicurò che nessuno la vedesse mentre estraeva dalla tasca dei pantaloni un coltellino svizzero, dopodiché si svilò una forcina dai capelli. 

 Utilizzando il coltellino come perno aprì la forcina e la fece girare per qualche secondo nel buco della serratura, tastando con essa i meccanismi sino a sentire questa scricchiolare una, due e tre volte. 

 Non servì nemmeno spingerla: la porta si aprì da sola.La stanza era ancora più maleodorante della precedente, odori di muffa e di vecchio si mescolavano ad un fastidioso fetore che mai le era capitato di sentire prima. 

 Finse di non rendersene conto accendendo la torcia e illuminando ciò che la circondava: la stanza era piena di cianfrusaglie e vecchi giornali poggiati su scaffali impolverati.  Ciò che richiamò di più la sua attenzione fu però la presenza di due animatronici da lei mai visti prima, non riuscì a distunguerne il colore talmente questi erano rovinati dal tempo.

 Fece qualche passo in avanti, dirigendosi verso alcune scartoffie abbandonate su una mensola tra i rottami e gettandovi uno sguardo: erano per lo più resoconti di ispezioni igienico sanitarie, solo uno cambiava dagli altri; firmato dall'ufficio investigativo locale era un mandato di perquisizione, con relativo rapporto.

 Perché si trovava lì? Le forze dell'ordine si erano già occupate di fare indagini sul locale in passato? Cos'era successo? 

 Renée, che voleva risposte, si accorse di aver trovato solamente più domande e che se fosse rimasta in quel luogo pochi minuti di più i suoi amiconi robotici le avrebbero organizzato davvero una grande festa con i fiocchi, idea che non la rendeva poi così pazza di gioia. 

 Prese ciò che le interessava e dopodiché si voltò, stava per uscire quando, con il riflesso della luce elettrica, vide un'ombra muoversi nell'oscurità.

Si voltò di scatto ma non vide nulla fuori posto, fece qualche passo avanti nella stanza puntando la luce negli angoli e rimanendo in guardia nella speranza di avvertire qualche rumore, ma il silenzio regnava sovrano. 

 A quel punto, si rassegnò all'idea di essersi immaginata il tutto, uscì e si chiuse la porta alle spalle, rimettendo la macchinetta nella sua posizione originaria.  Come poco prima attese che la telecamera compisse il suo giro prima di abbandonare quello sporco magazzino, ritrovandosi nel corridoio principale. 

 Tornò alla sua postazione di lavoro, sedendosi sulla poltrona e accavallando le gambe sulla scrivania. Poggiò il tablet sulle cosce e, mentre indossava la maschera, una nuova notte iniziava.

 

 

 Nel buio freddi occhi grigi scrutavano la figura della guardia dai lunghi capelli biondi muoversi indaffarata; il disastro ghignò fissandola con interesse: finalmente dopo tanto un po' di vero divertimento bussava alla porta. 

 

 

 Le ore passarono rapide dentro quel parco giochi infernale: stava ancora tentando di scacciare una delle "polle" (come soleva chiamarle lei) quando il ticchettio dell'orologio rimbombò per la stanza.

 Il robot si arrestò di colpo, per poi tornare nella sua postazione originaria, immobile come una statua: e anche quella notte l'aveva scampata.Rainy raccolse le sue cose, mettendole svogliatamente nel borsone e finì la bibita che aveva sgraffignato dalle cucine gettandone il contenitore vuoto nel cestino. 

 Prese le chiavi tra le mani e uscì dall'ufficio tranquilla, mentre frugava nelle tasche della felpa alla ricerca di cuffie e walkman.

 Percose tutto il corridoio sino alla sala principale, dove incrociò Vincent poggiato contro alla parete. 

 -È tutta sua, Mister.- salutò distrattamente il collega con un cenno della mano e senza nemmeno togliere le cuffie. Le ci vollero diversi secondi per realizzare: cosa diavolo ci faceva lì un suo collega?! 

 Doveva essere la sola nella pizzeria; nessuno doveva uscire e nessuno doveva entrare.

 -Ehi! Fermati un attimo..-Si voltò tornando indietro, guardando il suo collega arrestarsi sul posto. -Che diamine ci fai qua tu?!- 

 -Lavoro, cos'altro?- rispose questi con nonchalance, facendo leggermente innervosire la donna.

 -Lo sai che intendo: come sei entrato?-

 Impiegò qualche secondo a pensare alla risposta, qualche secondo di troppo.

 -Ovviamente ho una copia delle chiavi, in quanto guardia.-Nessuno le aveva parlato di chiavi multiple, conosceva l'esistenza di due uniche copie: le sue e quelle che teneva il Boss. 

 Per tutta la conversazione Vincent non l'aveva mai guardata negli occhi: questo portò la donna a chiedersi se non stesse mentendo, anche se sembrava così calmo e rilassato. 

 Non riuscì a cogliere il minimo segno di nervosismo dai movimenti del suo corpo, nemmeno un accenno: non poteva fare nulla se non dimostrava i suoi sospetti. 

 Decise di fare marcia indietro, seguendo l'uomo.-E la tua roba?- indossava gli stessi vestiti del giorno precedente, quindi le venne automatico chiedersi se non si fosse portato anche un cambio dietro. 

 -La mia presenza non basta?- sollevò un sopracciglio lui, guardandola con la coda dell'occhio. 

-Sei vestito com'eri vestito ieri.-

 -Hai finito di fare domande o stai facendo pratica perché hai intenzione di unirti alla Gestapo?-

 Renèe sbuffò indispettita a quel commento, portando le braccia incrociate al petto.-Non sono nazista, Coso Viola.- 

 -Come dice lei, Führer.-Da quest'utile conversazione Vincent ne ricavò solo una decisa gomitata nello stomaco, mentre la donna lo superava nel passo, tornando verso l'entrata principale. 

 -Tch, stupido.-Stava per lasciare la stanza sul serio, quando il compagno richiamò la sua attenzione con una domanda: -Hei, biodina.-

 -Rainy.- ribatté lei, fermandosi per voltarsi. 

 -...Biondina. Questa notte hai visto per caso qualcosa di...strano? Insolito?- domanda curiosa da parte sua. 

Renèe pensò alla risposta, poi scosse la testa. -Nein, solamente un'altra notte all'inferno.- risposte con distacco, lasciando poi la stanza. 

Stava mentendo? Ovviamente, ma sentiva di non potersi fidare di nessuno lì dentro.Buttò ancora un'occhiata agli eroi della pizzeria, prima di aprire le porte e lasciare il locale per la giornata.

 

._ . _ . _ . _ . _ . _ 

 

 Some years before... 

 

 Una ragazzina dai disordinati capelli biondi si sedette sul divanetto riccamente decorato. Mentre si stendeva, sulla poltrona accanto al letto prese posto un'altra donna: la dottoressa Hubermann avrà avuto ai tempi poco più di trent'anni e risultava una donna con un fascino tutto suo, l'ordine nel quale pareva vivere ispirava alla bionda emozioni contrastanti tra loro, non sapeva se sentirsi a suo agio o a disagio in tutta quella perfezione.

 Era ancora giovane e inesperta, ma alla biondina non importava granché: era una sua connazionale e lei non avrebbe accettato di parlare con nessun americano, grande o piccolo che fosse.La ragazza sospirò, prima di incrociare le mani sul ventre, aspettando.

 -Cominciamo dalle domande semplici come al solito: come ti chiami? Nome completo, intendo.- si schiarì la voce la donna, mentre prendeva carta e penna. 

 -Renèe Wolfram Zvezda.- 

 -Data di nascita?- 

 -15 Agosto 1962-

 -Quanti anni hai?-

 -Quattordici.- 

 -Dove sei nata?- 

 -Berlino nord-ovest, in Germania.-

 -Da quanti anni ti trovi in America?-

 -Sei- 

 -..Va bene. Ti dirò delle parole, tu dimmi a cosa ti fanno pensare: iniziamo.Settembre? - 

 Pausa. Solo il ticchettio delle lancette dell'orologio parlava. 

 -L'orologio mi "infastidia", può spegnerlo?- Nonostante gli anni passati faceva ancora fatica a parlare bene la sua nuova lingua; le capitava spesso di sbagliare verbi o termini. 

 -Come preferisci, Renèe.-

 -Dottoressa?-

 -Sì?-

-Non mi chiamare Renèe.-

 -Perché?-

 -Nessuno mi chiama così.- 

 -Sei tu a chiederlo?- 

 -Sì.- 

 -Cos'ha il tuo nome di sbagliato?- 

 -...La Renèe con cui tutti tentate di parlare... Non c'è più.- 

 -E dov'è andata?- 

 -Via.- 

 -Quando?-

 -A Settembre.- 

 -Perché a Settembre?- 

 -Perché sì.- 

 -Se non sei Renèe, tu chi sei?-

 -...Mi chiamo Renèe.-

 -E come se ne andata Renèe?-

 -...- 

 -Qual'è l'ultimo ricordo che hai di lei?- 

 E di nuovo silenzio. 

 -Non le ho detto io di andare via- 

 -E chi?-

 -Qualcuno.-

 -Perché qualcuno l'ha mandata via?- 

 -Non voleva..- La ragazza sentì la voce tremarle in gola, deglutendo a vuoto mentre, agitata, picchiettava con le dita il ventre.

 -Cosa?-

-Non voleva.-

   
 
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