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Autore: cartacciabianca    02/06/2009    4 recensioni
Desmond le viene strappato via all'improvviso e Giorgia non sa di che rispondere alle minacce dei misteriosi rapitori, i quali la costringono al silenzio attraverso una messaggistica segreta: e-mail, telefonate anonime, bigliettini nei posti più impensabili... Non resta alto che aspettare, aspettare che nessuno venga a prendere anche lei o minacci oltremodo di uccidere il suo ragazzo.
Otto mesi più tardi la sparizione del suo amato, gli stessi strambi tizi la contattano annunciandole che Desmond tornerà presto a casa.
Su di loro cadde un silenzio pieno di sottintesi. C’erano tanti punti da chiarire, tante domande da farsi prima di abbandonare le proprie speranze nelle mani altrui.
Desmond dipendeva da Altair e Altair dipendeva da Desmond. Ognuno nel tempo dell’altro, se la sarebbero vista con i problemi quotidiani di due vite l’una molto differente dall’altra.
-E così- rise Altair. –Me la ritrovo nuda, la tua ragazza…- bofonchiò.
Desmond sorrise. –Qualcosa mi dice che non ti dispiace affatto!-.
L’assassino condivise la sua gioia. –Vedrò di… trattenermi- fece malizioso.

Gli effetti collaterali al trattamento possono assumere diverse sfumature su ciascun paziente. Il soggetto 17 soffre di "sdoppiamento di personalità". La coscienza del suo antenato si capovolge alla propria nei momenti meno opportuni così da creare situazioni drammatiche ed imbarazzanti. Ma quando il gioco diventerà una triste realtà ci sarà un ultimo viaggio, e poi i tasselli del puzzle resteranno scambiati per molto allungo. Comincia la caccia ai farmaci che l'Abstergo custodisce nei suoi laboratori, unici medicinali che possono riportare tutto alla normalità. Giorgia, accompagnata dalla coscienza di Altaïr che ha preso piede nel corpo di Desmond, dovrà vedersela con un addetto alla sicurezza senza scrupoli e i suoi scagnozzi. Alex Viego farà di tutto per proteggere la segretezza del progetto, ma Giorgia lotterà con le unghie per riavere il suo Desmond. [CONCLUSA]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Desmond Miles , Lucy Stillman , Nuovo personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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-Fate come foste a casa vostra- disse Lucy inserendo la chiave. –Ovviamente non ne farò parola con nessuno, dovete stare tranquilli di questo- aggiunse girando la chiave e facendo scattare la serratura. -Non c’è neppure bisogno che mi ringraziate, so quanto l’Abstergo stia facendo cazzate ultimamente- sbottò aprendo la porta. -Non si danno pace con la ricerca dei Frutti, ed ora che hanno scoperto che molti dei luoghi dove questi sono situati sono sbagliati, faranno di tutto per tornare a lavoro con più foga di prima!- poggiò le chiavi sul mobile dell’ingresso e si apprestò ad accendere le luci che balenarono in tutto il salone, rischiarando l’intera casa.
-Prego, entrate- assentì lei poggiando le buste della spesa a terra, spogliandosi del suo cappotto e lanciandolo alla svelta sul divano del salotto. –Vado un attimo in bagno, nel frattempo accomodatevi- i tacchi della donna risuonarono sul pavimento di legno e presto scomparve nel corridoio assieme al suono dei suoi passi, ora attutito dal tappeto che traversava quella zona della casa.
Udii una porta chiudersi e solo a quel punto decisi di muovere un muscolo, entrando completamente in salone.
Vi era un ampio ingresso che dava sul salotto. L’appartamento, sviluppato su un solo livello e situato, se ricordavo bene, al settimo piano dell’edificio, era ben arredato di mobili né troppo antichi né troppo moderni. Lucy Stilman aveva un buon gusto per l’arredamento, ma in quella casa sembrava non passare parecchio tempo poiché fosse davvero pulita e ordinata, come nuova. Alternativa a ciò c’era il fatto che fosse una di quelle donne maniacali dell’ordine.
Altair mi afferrò d’un tratto il polso trascinandomi nuovamente fuori dall’ingresso. –Aspetta- disse.
Lo osservai in silenzio alcuni istanti, giusto il tempo di assumere un’espressione confusa. –Che succede, ora?- domandai.
Il ragazzo allungò un’occhiata alle mie spalle, guardandosi attorno. –Non so se è una buona idea. Dovremo andarcene-.
Sbuffai. –Non uscirtene coi tuoi brutti presentimenti, adesso!- sibilai. –Scordatelo che ce ne andiamo! Lucy è l’unica che può aiutarci, l’hai detto anche tu, ricordi?!- sbraitai sotto tono, strattonandolo assieme a me nel centro della stanza.
Lui fece altrettanto, avvicinandomi ulteriormente contro il suo petto, guardandomi dall’alto al basso, trafiggendomi coi suoi occhi neri e infiniti. –Scusa tanto se solo adesso mi rendo conto che è stato tutto troppo facile…- mormorò. –Perché non cogli l’ironia di tutto questo?- mi chiese allegro, e i nostri nasi quasi si sfioravano.
Socchiusi gli occhi e aggrottai la fronte. –Ironia? Non capisco di cosa stai parlando…-.
-Ti prego- insistette lui chinandosi lentamente, e potei accorgermi del suo respiro lambirmi le labbra. –Ho sbagliato a portarti qui, ora dobbiamo filarcela!- fece per voltarsi portandomi con sé, ma io lo sorpassai alla svelta e richiusi la porta d’ingresso, così da sbarrargli la strada.
-Ascolta bene- mi avvicinai a lui facendolo indietreggiare. –Quella donna ha i contatti necessari all’interno dell’Abstergo per procurarci quei medicinali! Ti ricorda niente la parolina “cellulare”?- gli chiesi come fosse ovvio, e questa volta fu lui la vittima del mio sguardo.
L’uomo restò però imperturbabile e rigido come solo un assassino sapeva stare. –Ti comporti come una ragazzina; piantala di lagnarti e guarda in faccia la realtà- disse.
A quel punto fu troppo: stava scendendo in dettagli che non mi piacevano. –Quale realtà? Quella che Desmond potrebbe non tornare mai più?!- il mio tono di voce salì di un’ottava al minimo. Rimuginare su certi schiaccianti argomenti non mi rallegrava certo. Anzi, sentii qualcosa premermi all’altezza dello stomaco, come un’improvvisa vampata di tristezza che stava risalendo il mio intestino fino alla gola. I miei occhi s’inumidirono appena e fui costretta a voltarmi.
Altair mi osservò in silenzio mentre cercavo di darmi un poco di contegno.
-Ho già fatto i conti con quest’eventualità molto tempo fa…- singhiozzai. –E’ vero, hai ragione: Desmond non tornerà mai più! Sono pronta a ricostruirmi una vita, se questo sarà necessario… ma ormai siamo entrambi animali braccati, e questo potrebbe anche diventare, non so… eccitante!- mi girai di botto. –Ma che diamine! Non me ne andrò senza combattere!- gli puntai l’indice al petto. –E non sarai mica tu ad impedirmi di andare ad istinto! Sai dove mi ha portato il mio istinto? No? Bene, te lo dico subito: all’apice del successo, lontano dalla mia famiglia che odiavo, lontano dai debiti, lontano dalla droga, lontano dalla mafia, lontano dalla galera, dalla guerra! Mi fido del mio istinto più di quanto non confidi in Dio! E sono sicura che il mio istinto saprà anche tirarmi fuori da questo Giallo di merda! Quindi fammi un favore: se non sei dalla mia parte, allora schierati altrove!- urlai, ma se la mano di Altair non si fosse poggiata sulla mia bocca, avrei potuto proseguire in quel modo per altri dieci minuti, senza risparmiargli poi il fatto che di mezzo ci stavano andando certi sentimentalismi che mi davano sui nervi!
Ovviamente, non riuscii a non dare un ultimo tocco tragico a quella situazione già di per sé delirante, da folli.
I miei occhi si fecero ancor più sofferenti, e una lacrima mi colò sulla guancia andando a bagnare le dita dell’assassino che sfioravano le mie labbra. Mi lasciai cadere su di lui senza preavviso, affondando il viso nell’incavo del suo collo, accasciandomi tra le sue braccia, lasciandolo piuttosto interdetto ed, inizialmente, esitante su dove mettere le mani.
E fatto ciò: iniziai a piangere.
-Non ho mai detto di volerti abbandonare, mai…- mormorò lui al mio orecchio, e potei percepire il suo fiato caldo infrangersi contro la pelle sensibile di quel punto. –Mai, non lo farei mai, e lo sai. Sia perché l’ho promesso a Desmond e sia perché sarebbe sciocco, da irresponsabile e da veri stronzi, se permetti- ridacchiò carezzandomi la schiena, risalendo fino ai capelli sciolti che avevo sulle spalle. Iniziò a giocherellare con una mia ciocca nel mentre il mio corpo era smosso da singhiozzi continui e inarrestabili; ormai la soglia del pianto l’avevo varcata per bene, e mi ci sarebbero volute un paio d’ore prima di riprendermi del tutto.
-Quello che sto tentando di dirti è che ho sbagliato a portarti qui, solo adesso me ne rendo conto…-.
-Smettila di mentirmi. Tanto l’ho capito che ti sei affezionato troppo al mio tempo- sorrisi mestamente. –E stai facendo di tutto per non andartene…-.
Lo sentii ridere, ma quella sua allegria durò ben poco.
-Giorgia, quelli dell’Abstergo potrebbero aver contattato Lucy e averle chiesto di…- non terminò la frase che la donna ricomparve nel salone.
Parli del Diavolo, spuntano le corna… pensai.
Lucy restò immobile al suo posto. -È successo qualcosa?- domandò stupita di vederci così intimamente abbracciati.
L’assassino si allontanò subito da me, però accertandosi con premura che, in un modo o nell’altro, avessi comunque terminato di piangere.
-Niente di grave; piuttosto: devi scusarci, ma…- sapevo cosa avrebbe detto, ma prima che potesse scusarsi con Lucy di una nostra improvvisa fuga da casa sua, lo interruppi bruscamente sovrastando le sue parole:
-Ma siamo piuttosto affamati- tirai su col naso.
Altair mi fulminò con un’occhiataccia, ed io, abilmente, non gli diedi spago.
La donna allungò le labbra in un sorriso allegro. –Certo, venite. Stavo giusto per preparare la cena, ma poi sono dovuta uscire di corsa! Precisamente quando mi sono accorta di non avere nulla da mettere sotto i denti- disse lei dirigendosi nella saletta accanto.
Fui la prima a seguirla sino in cucina. –Ah, ecco spiegato cosa ci facevi in quel supermercato!- sorrisi.
Lucy si apprestò a mettere dell’acqua in una pentola, il tutto a bollire sul fuoco. Poi la guardai dirigersi in salotto e trascinare fino nella stanza dov’ero rimasta le buste della spesa appena portate in casa. Le poggiò sul bancone accanto al frigo e cominciò a svuotarle sistemando la roba nelle varie dispense. Prese un pacco di pasta e la versò per interno nell’acqua, non appena essa cominciò a fare bollicine.
Altair comparve al mio fianco senza scollarmi gli occhi di dosso, come cercando il mio sguardo pur di riuscire a convincermi che saremmo dovuti scappare alla svelta.
Eppure, il mio sesto senso dicevo che c’era da fidarsi.
Lucy era agli arresti domiciliari, ma le era comunque permesso di girare per la città andando a fare la spesa senza alcun controllo? Ecco, a quel punto qualche dubbio mi sorse eccome e, mentre la donna si dimenava coi preparativi, decisi di farle alcune domande:
-Sei un’assassina?- mi venne spontanea, e subito la ragazza assecondò la mia richiesta arrestando ogni suo movimento, voltandosi lentamente verso di me.
Annuì seria e tornò a girare la pasta. –E adesso l’Abstergo lo sa-.
-Perché non ti hanno uccisa?- domandò questa volta Altair, e mi stupii del fatto che si fosse interessato al discorso. –Come hanno fatto con gli altri, intendo. Perché lasciarti in vita?- insisté.
Di quell’argomento sapevo poco e niente, ma tu, Desmond, mi avevi raccontato degli assassini moderni accennando per di più allo sterminio della tua fattoria, la tenuta di campagna dove avevi vissuto la tua infanzia assieme a molti tuoi coetanei.
Lucy sospirò girandosi a guardarci. La sua espressione si fece pensosa, il suo sguardo molto più serio di quel che immaginassi. –Non appena riavranno quello che stanno cercando, verranno a chiamarmi perché ritorni a lavorare con loro al progetto- disse. –Per questo temo che casa mia possa essere un luogo poco sicuro per voi- aggiunse.
Con la coda dell’occhio, vidi l’uomo che avevo affianco fulminarmi con un’occhiataccia.
Lo ignorai del tutto: -Ma noi…- cominciai. –Noi possiamo fidarci di te, vero?-.
Lucy parve confusa. –In che senso?-.
Esitai, e ciò rallegrò il ragazzo che avevo accanto. –Possiamo star certi che è stato un caso incontrarti, giusto?-.
Lucy scoppiò in una fragorosa risata. –Credete che sia un burattino dell’Abstergo?- formulò dandoci le spalle e scolando la pasta nel lavandino.
-Ecco…- lo guardai e Altair mi fissò imperturbabile. –Sì, lo pensavamo…- dissi flebile.
-Ovviamente non ho mezzi per dimostrarvelo- fece lei rovesciando la pasta in un contenitore di ceramica bianco; mischiandovi poi del sugo di pomodoro. –Perciò se vi sentite in pericolo- sorrise divertita –quella è la porta- indicò l’ingresso di casa.

Stavo finendo di apparecchiare la tavola quando il tuo antenato comparve al mio fianco improvvisamente, guardandosi attorno spaesato.
-Che c’è ancora?- ridacchiai sistemando i bicchieri.
-Ah!- alzò gli occhi al cielo lui. –Davvero non capisci? Anch’io ho un certo istinto…- mi derise.
-Davvero?- chinai la testa da un lato, andando a mettere le forchette alla sinistra dei piatti.
Lui annuì compiaciuto. –Ridi, ridi…- borbottò. –Ma non venire a piangere da me se accadrà qualcosa di spiacevole-.
Sbattei con violenza una forchetta sul tavolo e mi voltai di colpo verso di lui. –Smettila- dissi.
I suoi occhi vuoti si fecero strada nei miei, ma non proferì parola.
-Smettila, chiaro?- proseguii. –Rilassati, va bene? Non ci accadrà nulla, vedrai…- tornai ad apparecchiare. –Ti prego, mi metti ansia- sibilai. –Quindi smettila, smettila, smettila!- ripetei.
-D’accordo, ma adesso smettila tu!- ridacchiò lui facendomi voltare. –Hai ragione, scusa- mormorò chinando lo sguardo. –Mi comporto da stupido, ma mi è stato insegnato a dubitare di tutti e fidarmi solo di me stesso e del mio giudizio, non posso farci nulla- fece rammaricato.
-Accetto le tue scuse, ma sappi che neppure io ho abbassato la guardia- gli sorrisi lanciando un’occhiata in cucina, dove Lucy stava raggruppando le portate per la cena. –E poi- ripresi guardandolo negli occhi. –Credi davvero che non me ne importo nulla? Credi davvero che ti metterei in pericolo consegnandoti così nelle mani nemiche?-.
Altair aggrottò la fronte, confuso. –Cos…-.
Lo abbracciai, lasciandolo piuttosto interdetto. –Scordatelo: l’Abstergo non ti avrà senza passare sul mio cadavere! E tanto meno, tu non te ne tornerai nel tuo tempo fin quando Desmond non sarà di nuovo tra noi!- dissi allegra.
-Apprezzo il coraggio- sottinse accarezzandomi i capelli. –Lo apprezzo tanto, e so quanto è stato ed è ancora dura per te. Se ho detto, fatto o solo pensato qualcosa che potesse ferirti, ti chiedo di perdonarmi-.
Soffocai una risata. –Come mai sei in vena di scuse, ‘sta sera?- domandai stanziandomi da lui di qualche passo, allungandomi verso la cucina.
Il tuo antenato mi seguì sospirando. –Forse sto cominciando a rilassarmi…-.
-Bene!- gioii attirando l’attenzione di Lucy, la quale filò subito in sala da pranzo portando con sé la caraffa d’acqua e il cesto del pane.
Afferrai il ciotolone con la pasta e lo portai in tavola; sedemmo all’istante e consumammo la cena piuttosto in silenzio. Giunti agli sgoccioli del buffet, attaccammo con un discorso che catturò subito la mia curiosità.
Lucy ci parlò del progetto in tutte le sue forme. Dalle riunioni sindacali al confronto dei risultati raggiunti coi clienti. Fece dei nomi che fui pronta a stamparmi bene nella testa affinché, un giorno, avrei potuto fare loro causa se mai avessi trovato il coraggio di prendermi un buon avvocato.
Restammo seduti parecchio allungo, discutendo dei dati raccolti dall’analisi dei tuoi ricordi, e durante tale conversazione avvertii nuovamente quella fastidiosa sensazione alla base dello stomaco.
Maledetta astinenza, pensai sbuffando senza farmi notare troppo.
Bastava che Lucy pronunciasse il tuo nome, e già mi sentivo svenire. Mi mancavi troppo, ora più di pochi giorni prima. Ora che le faccende stavano prendendo una piega sempre peggiore, mi mancavi, avevo bisogno di te, avevo bisogno di… qualcuno che mi ricordasse di te!
Istintivamente guardai verso di Altair, il quale ascoltava assorto le parole di Lucy, che parlava a raffica senza fermarsi.
I miei occhi si soffermarono nei suoi, assorti invece nell’intendere al meglio ciò che Stilman stava tentando di spiegare più a me (disattenta) che a lui, che quasi si prendeva degli appunti.
Giustamente, stava facendo di tutto per trovare un modo per tornarsene nel suo tempo, e forse sbagliavo ad avere questa visuale distorta di lui come uomo del passato che si è affezionato troppo a questo nuovo tempo. La verità era che eravamo entrambi così simili, costretti agli stessi dolore, che gli stessi sentimenti ci allontanavano delle volte l’uno dall’altra.
No.
No.
Ehi, no! E ancora no!
Non ero mica nata ieri. Mi accorgevo piuttosto alla svelta quando cominciavo a provare interesse per qualcuno, e questo era uno di quei momenti.
Lo guardavo troppo spesso, lo abbracciavo troppo spesso, parlavamo troppo vicini troppo spesso! Aaaaah! Stavo impazzendo, scossi la testa, distogliendomi dall’ammirare la sua figura composta seduta proprio affianco a me.
Lui, così simile a te…
Dovetti darmi un pizzico sul ginocchio per riprendermi da quegli assurdi pensieri, scacciandoli via con il gas antincendio.
-Giorgia- mi sentii chiamare, e all’istante mi volsi verso la voce di donna che in quel momento mi era parsa del tutto estranea.
Lucy mi osservava sbigottita. –Ti senti bene? Hai una faccia…- fece preoccupata.
Altair scostò la sedia. –E’ solo stanca- disse alzandosi. –Come ci sistemiamo per la notte? Così l’accompagno in camera prima che crolli sul pavimento- aggiunse guardandomi.
La donna soffocò una risata. –Ma dei due- cominciò allegra –chi si prende cura di chi?- spostò lo sguardo da me all’uomo e dall’uomo a me.
Battuta di poco gusto, pensai sbuffando.
Scattai in piedi. –No, no!- cominciai a sparecchiare. –Sto benissimo, nel pieno delle forze!- risi istericamente. –Potrei restare sveglia ancora delle ore, lo giuro…- sovrapposi al mio piatto quello di Lucy e del tuo antenato, portando il tutto in cucina.
-Molto sinceramente- intervenne lui versando dell’acqua nel suo bicchiere. –Mi accontento del divano- ridacchiò bevendo.
Lucy mi raggiunse in cucina posando sul bancone la ciotola vuota di pasta. Mi fermò prendendomi il polso prima che potessi cominciare a lavare i piatti. –Giorgia, lascia. Ci pensa domani la donna delle pulizie-.
Aggrottai la fronte allontanandomi dal lavandino. –Hai una donna delle pulizie?- chiesi.
Stilman annuì, e Altair comparve al mio fianco.
Entrambi ci soffermammo a guardare la ragazza che avevamo di fronte, mentre questa diceva:
-C’è una camera degli ospiti accanto alla mia- sorrise. –La camera degli ospiti ha un letto doppio. La mia camera ha un letto doppio e…- si mosse di qualche passo –e nel salotto c’è il divano con un posto singolo- allungò ulteriormente il suo sorriso.
-Scherziamo?- sobbalzai. –Sono solo le…- mi voltai più volte cercando un orologio da qualche parte e, quando lo trovai poggiato su una mensola del salone, vidi che dopotutto si era fatta una certa ora. –Le undici e… mezza- balbettai. –Ma!- provai a ribellarmi come facevo da bambina, ma le mani del tuo antenato si strinsero attorno alle mie spalle e mi spinsero verso il corridoio, uscendo dalla cucina.
-Passo più tardi a dare la buona notte?- domandò Lucy mentre ci allontanavamo.
-Non ce n’è bisogno, grazie!- rispose Altair, e già tale risposta m’insospettì non poco.
Le luci del salotto non arrivavano fin lì e, per un breve tratto, io e l’assassino camminammo avvolti dal buio, dirigendoci alla cieca verso quella che parve effettivamente la camera ospiti.
Fu lui ad aprirmi la porta, e fu lui a farmi strada nella stanza, accendendo la luce appena entrato.
-Vedo che ti abitui in fretta- sorrisi guardandomi attorno.
-In che senso?-.
-Ci vogliono certe capacità a trovare l’interruttore della luce, per uno venuto dal XII secolo come te- dissi sbadigliando e avvicinandomi al letto matrimoniale sistemato poco sotto la porta finestra, che dava su un piccolo terrazzino affacciato sul corso principale del quartiere.
Il cielo nero si stagliava infinito sopra i tetti dei palazzi, le vie asfaltate della città erano insolitamente silenziose e spopolate.
Mi avvicinai alla finestra e la aprii con un colpo secco, facendo entrare nella camera una ventata d’aria fresca che mi scompigliò appena i capelli.
D’un tratto, sentii la porta chiudersi e mi voltai, lentamente, avvolta da un brutto, brutto presentimento.
-Si è chiusa da sola- ridacchiò Altair nel centro della stanza. –Il vento, sai…- provò a dire passandosi una mano sul collo.
Sorrisi, muovendo un passo nel terrazzino. –E’ inutile che aspetti che mi addormenti. Non accadrà prima di un paio d’ore-.
Quando fui del tutto all’aperto, mi sporsi dal parapetto guardando di sotto, lasciando che i capelli volteggiassero a quella leggera brezza notturna intensa e magnifica.
Il tuo antenato mi raggiunse appoggiandosi alla ringhiera al mio fianco, girandosi a guardarmi. –Ah, davvero?- mi chiese, e certo non potei notare il colore ancor più intenso della tua… cioè della sua pelle alla luce della città attorno a noi. –E quello sbadiglio di poco fa?-.
Cercai di distogliere lo sguardo da lui, ma ciò mi fu pressoché impossibile. –Smettila di preoccuparti così tanto per me…- parlottai tornando in stanza.
Mi sedetti sul letto e andai giù con la schiena, fino a poter ammirare per bene il soffitto chiaro come fosse a pochi centimetri dal mio naso.
Improvvisamente, il viso del tuo antenato entrò nel mio capo visivo, quando invece avevo sperato che mi lasciasse un attimo in pace! Mi sentivo dilaniare da quello che stavo provando, dall’intollerabile dolore che mi ardeva dentro il petto e chiedeva qualcosa che non potevo dare, che non potevo avere, che non volevo avere.
Altair mi fissò allungo, in silenzio. –Sei stanca, eh?-.
Sbuffai, provocandogli un’allegra risata.
Afferrai il cuscino e gli sbattei sulla faccia senza neppure pensarci due volte. Di tutta risposta, il tuo antenato si sorbì il trattamento, ma giusto qualche istante più tardi tentò di vendicarsi nel modo più assurdo possibile.
Mi afferrò per i fianchi sollevandomi su una sua spalla, tenendomi in perfetto equilibrio su di essa. I miei piedi non toccavano terra, le mie ginocchia premevano contro il suo petto, mentre le mie braccia scivolavano a penzoloni lungo la sua schiena.
Mi aveva issata in braccio come un sacco di patate, pensai accorgendomi della massa di capelli che avevo davanti agli occhi e mi offuscavano la vista.
-Soffri il solletico, Giò?- mi chiese ridendo.
Sulle prime non capii dove volesse arrivare e, ovviamente come solo una deficiente stupida avrebbe fatto, annuii. –Sì, perché?-.
Lo sentii ridere ancora più sfacciatamente. –Quanto scommettiamo che tra pochi minuti sarai così stanca da non poterti più reggere in piedi?-.
Inarcai un sopracciglio. –E’ una minaccia?!- il mio tono di voce salì di un’ottava al minimo.
Detto ciò, sentii due dita del tuo antenato sfiorarmi il lembo di pelle scoperta all’altezza dei fianchi, e lì fu la mia fine.
Scoppiai a ridere all’istante, come una forsennata, dimenandomi nel peggiore dei modi; eppure, allo stesso modo di come mi parve un immenso fastidio, era piacevole. Mi aveva toccata appena, senza neppure prolungare troppo il contatto, ed io già gridavo come una matta. Fu una tortura che durò pochi minuti, giusto il tempo necessario per allertare Lucy, la quale bussò ad un tratto alla porta chiusa della stanza.
-Se posso- intervenne lei entrando nella camera. –Se posso chiedervi cosa…- arrestò le sue parole non appena il suo sguardo cadde su di noi.
I suoi occhi si addolcirono d’improvviso, scontrandosi prima coi miei, quasi lacrimanti dal ridere, e in seguito con quelli gioiosi e divertiti dell’assassino.
Ne approfittai per riprendere fiato e calmare il battito irregolare del mio cuore, il quale tamburellava con violenza contro la gabbia toracica provocandomi un leggero dolore.
-Spero di non aver interrotto nulla!- ridacchiò la donna. –Comunque, non so voi, ma la mia giornata termina qui. Altair: ho lasciato coperte e cuscini in salotto, sul divano. Giorgia: il letto è già fatto e se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a chiedere, capito? La mia è la stanza accanto-.
Il tuo antenato mi mise giù sorridendo. –Grazie, a domani- disse.
-Sì, a domani…- brontolai io, tentando in vano di darmi alla fuga.
Non appena Lucy ebbe richiuso la porta, mi strattonai da lui cercando di darmela a gambe, ma il tuo antenato mi attirò nuovamente a sé senza il minimo sforzo.
Perché si stava comportando così? Dove credeva di arrivare facendomi sbraitare come una bambina, solleticandomi nei punti più sensibili e sfiorandomi con le sue dita che avvertivo scottare sulla mia pelle.
-Basta, ti prego, smettila!- digrignai trattenendo a stento le immense risate che mi salivano alla gola, sfociando come piccoli singhiozzi.
-Tutto ciò ha uno scopo ben preciso- lo sentii ridere.
-Non crollerò mai dal sonno!- ruggii vendicativa, pronta a non dargliela vinta così facilmente.
I miei bruschi movimenti lo sbilanciarono in avanti, ed entrambi cademmo avvinghiati sul materasso del letto. Non appena si accorse di essere completamente sdraiato sopra di me, il ragazzo si sollevò facendo leva su un braccio e mi guardò dall’alto, sorridendo per nulla benevolo. Mi porse una mano che osservai allungo.
-Bastardo- sibilai voltandomi, poggiando una guancia sul copriletto e riprendendo fiato.
-Divertente, non trovi?- perché era così… felice?!
-Hai vinto!- strillai esasperata. –Sono distrutta, ma ti supplico…- e lo supplicai per davvero, lanciandogli una di quelle occhiate che avrebbe impietosito mia suocera. –Basta solletico-.
L’assassino fece un gran sospiro e insistette col porgermi la mano.
Poggiando le mie dita delicatamente sulle sue, avvertii una certa e insolita scossa passarmi da parte a parte del corpo e, senza neppure che me ne accorsi, invece di lasciarmi aiutare da lui, lo tirai verso di me, ribaltando successivamente i nostri corpi; trovandomi improvvisamente a cavalcioni sul suo basso ventre.
Il mio cuore rallentò i battiti, fino a diventare quasi impercettibile persino a me stessa. Alcune ciocche dei miei capelli scivolarono da dietro le orecchie e andarono a solleticare il viso dell’uomo che aveva a pochi centimetri dal mio.
Il gioco si era trasformato in qualcosa di davvero allettante, pensai. Era lì, alla mia portata, mi dissi mordendomi un labbro. Una cosa rapida e indolore, aggiunse la parte di me che non sopportava certi caratteri di una tale astinenza.
Dio quanto avrei voluto baciarlo.
E lo feci.
Premetti flebilmente le mie labbra sulle sue, avvertendo il familiare pizzicorio della barba giovane, assieme a quell’irresistibile e leggendaria cicatrice sull’angolo destro delle vostre bocche.
Dopo neppure pochi secondi, quel bacio immobile si trasformò in ciò di cui avevo bisogno. Percepii la punta della sua lingua sfiorarmi i denti, accompagnando con una passione che non mi aspettavo ogni mio gesto.
Avevo involontariamente sollevato i bordi della sua maglia, ma, incredibile, lui aveva fatto lo stesso.
All’inizio ci rimasi di sasso, irrigidendo ogni parte di me; avevo anche tentato di allontanarmi da lui, ma Altair, non appena avvertite queste mie esitazioni, aveva di conseguenza preso le necessarie precauzioni: afferrandomi per i fianchi e con un movimento svelto mi aveva sollevato di poco da sé e sospinta assieme a lui verso il centro del letto.
Mentre le mie braccia si stringevano attorno al suo collo, mi accorsi del tocco sempre più presente delle sue mani sul mio corpo; una delle quali mi afferrò sotto un ginocchio e l’altra andò a stuzzicare la pelle sensibile della schiena, carezzandomi sotto la maglietta.
In tutta sincerità, attendevo fiduciosa che fosse lui a spogliarmi, cosa che però non fece.
Anzi.
Sospettai che la sua improvvisa rigidezza fosse dovuta al fatto che… stavamo per farlo, ma invece mi sbagliavo… c’era un motivo ben diverso del perché lo sentii bloccarsi d’un tratto, arrestando persino il suo respiro agitato.
Mi ero di poco sollevata, staccandomi da lui e interrompendo il nostro bacio; il tempo necessario per sfilarmi la maglietta, quando avvertii il suono di una voce vecchia ma nuova che chiamava il mio nome:
-…Giorgia- mormorasti tu.
Sgranai gli occhi. -…Desmond?- balbettai.
   
 
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