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Autore: edoardo811    10/02/2017    3 recensioni
Mentre il mondo è in rovina e Sub City è scenario di una terribile guerra tra bande e conduit, una vita si ritrova nelle medesime condizioni.
Si può davvero fuggire da sé stessi? Rabbia, odio, frustrazione, rancore, un mix letale che ci renderebbero una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, se non si riesce a trovare il modo di disinnescarla.
O qualcuno in grado di farlo.
"Sbagliata. Ecco com’era lei. La sua vita, il suo comportamento, la sua mente. Tutto era sbagliato, in lei. Era una cosa che si ripeteva in continuazione e che, ovviamente, non poteva affatto portare a nulla di concreto. Aveva perso il conto di tutti gli specchi che aveva rotto, pur di non vedere nel riflesso quel volto emaciato che aveva imparato ad odiare con ogni fibra del suo essere: perché se doveva assegnare la colpa a qualcuno per tutte le sue sventure, quel qualcuno era proprio sé stessa."
Spin-off di InFAMOUS: The Darkness' Daughter.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Blackfire, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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III

COLPE

 

 

 

 

«Dannazione, di nuovo loro!» esclamò Ursula, allontanandosi di scatto dalla finestra, probabilmente per non farsi vedere.

Amalia la imitò subito dopo, osservandola sorpresa. «Conosci quei tizi?!»

La donna annuì, nervosa. «Sono un gruppo di conduit che vive in questa zona e che adora causare problemi, ma credevo che fossero scappati tempo fa, quando sono arrivati quegli uomini armati.»

«Gli Underdog?» chiese ancora Komi, inarcando un sopracciglio.

«Sì, loro. In genere si occupavano sempre dei conduit che causavano problemi.»

 Allora non erano poi così inutili..., osservò Amalia tra sé e sé, con un po’ di amarezza.

«Perché sono venuti proprio qui?» domandò ancora la ragazza, con il cuore che le batteva all’impazzata nel petto. Una parte di lei conosceva la risposta a quella domanda, e il terrore che Ursula potesse trovarsi in pericolo per colpa sua era enorme. Al solo pensiero, sentiva i sensi di colpa divorarla. Come se non ne avesse già abbastanza, tra l’altro, di sensi di colpa.

«Non lo so.» L’albina scosse la testa. «Probabilmente vogliono qualcosa da me. In passato sono già venuti ad estorcermi cibo o medicine. Se gli darò quello che vogliono probabilmente mi lasceranno in pace.»

«Ho paura che questa volta non vogliano solo del cibo...» commentò Amalia, cupa, ottenendo uno sguardo perplesso da parte della donna. La giovane si sentì tremendamente a disagio sotto quegli occhi scuri come la pece.

«Che intendi dire?» le domandò Ursula, incrociando le braccia.

Komand’r sospirò profondamente, poi decise di vuotare il sacco. «Loro... sono i conduit che mi hanno aggredita.»

Ursula spalancò gli occhi. «Oh... cazzo...» sussurrò, dopo un attimo di silenzio.

«Credi che ti abbiano vista mentre mi salvavi?» interrogò ancora la ragazza, continuando a gettare occhiatine furtive alla finestra.

«Non... non lo so. Io non ho visto nessuno mentre ti caricavo sulla mia macchina, ma non devono averci messo molto a fare due più due.»

Amalia soffocò una delle sue migliori imprecazioni. «Che cosa facciamo?»

«Tu devi nasconderti» asserì la donna, con sicurezza. «Se non ti trovano qui probabilmente lasceranno perdere.»

«Se sono qui è perché sanno che tu c’entri qualcosa. Se non trovano me, faranno sicuramente del male a te.» La giovane si avvicinò alla donna, posandole una mano sulla spalla. «Dobbiamo scappare, tutte e due.»

«E come? La mia macchina è fuori, vicino alla loro!»

«Merda!» Questa volta Amalia non si trattenne. Si voltò di nuovo verso la finestra e si affacciò appena, per poi scoprire con suo enorme orrore che i tre erano spariti. Probabilmente erano entrati e ora stavano salendo. Il tempo stringeva. Mise in moto il cervello per trovare una soluzione, anche se di scappatoie non ne vedeva molte. L’unica che le veniva in mente, era quella che involveva una delle poche cose che aveva imparato a fare in quei mesi di sopravvivenza disperata: combattere.

Cercando di ignorare la voce nella sua mente che le urlava disperata di non avere speranze contro tre conduit, tornò a guardare l’albina. «Tu... hai qualche arma?»

Ursula parve capire immediatamente quali fossero i suoi pensieri, perché la guardò allarmata. «Vuoi... vuoi ucciderli?»

Komand’r si irrigidì sotto allo sguardo dell’interlocutrice. Distolse gli occhi da lei. Proprio non riusciva a spiegarsi il perché quella donna le facesse quell’effetto. Si sentiva condizionata da lei, dalle sue reazioni. Era quasi come se... non volesse deluderla, e non ne capiva il motivo.

Forse... era perché le aveva salvato la vita. Ed era stata gentile con lei. E, beh, le sembrava davvero una brava persona, e di brave persone in giro non ne aveva viste molte, a parte Tara. Le aveva dato una chance, pensando di avere a che fare con una ragazza per bene, ed Amalia non voleva che invece anche lei dovesse confrontarsi con la persona schifosa che in passato era stata. Aveva finalmente l’occasione di cambiare, di essere una persona migliore e, soprattutto, di dimostrare davvero di tenere alle persone che la circondavano. Conosceva Ursula da poco, ma, sì, teneva a lei. Perché l’aveva salvata. Perché l’aveva aiutata. E perché... erano molto più simili di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Non poteva negare di non essere rimasta colpita dalla sua storia, dalle sue parole. Il suo coraggio di essere sé stessa anche quando i tempi erano altri e come il semplice amore potesse averla cambiata ed aiutata ad essere una persona migliore.

Forse era proprio quello che il destino aveva in serbo per lei: farle conoscere quella donna. L’unico modo che aveva per scoprirlo, era rimanere accanto a lei, proteggerla e soprattutto... cercare di non deluderla.

«No» rispose, infine. «Non... non voglio farlo. Non se non sarò costretta. Ma se loro ci trovano... non avranno pietà. Dovremo difenderci in qualche modo.»

Ursula la osservò attentamente per un momento, sicuramente cercando di capire se fosse sincera oppure no, ma poi, probabilmente per la mancanza di tempo – anche se Amalia preferì pensare che si stesse fidando di lei – decise di annuire lentamente. «D’accordo. Il mio vicino di casa era un cacciatore, prima che... beh, hai capito. Forse nel suo appartamento c’è qualcosa.»

Un bagliore di speranza si accese immediatamente, come un faro, per Amalia. Forse la sua nave non era ancora destinata ad affondare. La ragazza fece un cenno di assenso. «Me ne occupo io. Ora però dobbiamo uscire da qui, arriveranno da un momento all’altro.»

Senza farselo ripetere, la donna albina le diede le spalle e si diresse verso la porta, seguita dalla giovane. Una volta nella tromba delle scale, riuscirono perfettamente ad udire gli schiamazzi di quell’odioso nano e i brontolii del colosso, il quale probabilmente non stava gradendo quella lunga scalata verso la sua preda. In effetti, Amalia li aveva davvero fatti penare per catturarla. Sicuramente sarebbero stati più che felici di metterle le mani addosso e saziare tutti i loro bisogni. La mora rabbrividì a quel pensiero, poi scosse la testa. Avrebbe preferito morire piuttosto che fare quella fine. Si voltò verso Ursula: «L’appartamento, qual è?»

L’albina le indicò una porta verso il fondo del corridoio di fronte a loro. «Però temo sia chiusa.»

«Non è un problema per me. Tu continua a salire, io li distraggo e quando vedi che la via è libera corri alla macchina. Io vedrò di raggiungerti.»

Non menzionò nulla sull’eventualità che quel piano, campato così grossolanamente all’aria, fallisse. E nemmeno Ursula lo fece. Semplicemente, non doveva fallire.

«Ci vediamo alla macchina» asserì Ursula, per poi correre su per le scale. Amalia annuì, chiuse la porta dell’appartamento per far sì che prima andassero a cercarle lì e dopodiché si diresse verso la sua meta.

L’ingresso era sbarrato, ma la serratura era vecchia ed usurata e la porta era realizzata con un legno piuttosto scadente. Alla ragazza bastò muovere un paio di volte la maniglia per accorgersi di come quella stesse ancora chiusa per grazia divina. Prese una leggera rincorsa, dopodiché con una spallata riuscì a scardinarla, pregando di non aver fatto troppo rumore. Richiuse immediatamente l’ingresso e spazzò via tutti i trucioli che aveva creato, tentando di non lasciare tracce. Osservando l’appartamento si rese conto che era praticamente identico a quello di Ursula, perciò non le fu difficile orientarsi. Non sapeva esattamente cosa cercare fino a quando non aprì la porta della camera degli ospiti, dove non trovò nessun letto bensì degli armadietti di ferro ed un banco da lavoro.

«Bingo!» sorrise la ragazza, per poi entrare nella stanza. Ma il buon umore svanì alla svelta, non appena si rese conto che gli armadietti erano tutti vuoti.  «No, no, no!» esclamò, mentre ne apriva uno dietro l’altro trovandoci dentro solamente polvere ed insetti morti. Niente armi, solo un pugno di mosche. Letteralmente. L’unica cosa degna di nota fu un mazzo di fascette, ma con quelle, più che legarsene una attorno al collo, non sapeva che farci.

La ragazza imprecò coloratamente, poi sbatté la porta dell’ultimo armadietto. «Che diavolo faccio adesso?!» Si guardò attorno, non ancora pronta ad arrendersi, e notò qualcosa sul tavolo da lavoro. Si avvicinò di nuovo colma di speranza, per poi rimanere delusa per l’ennesima volta. Una fiamma ossidrica. «E a cosa può servirmi, invece, questa?!» sbottò, afferrandola ed osservandola attentamente. Provò ad accenderla e con sua enorme sorpresa funzionò, sprigionando la sua piccola fiamma blu dal beccuccio. 

Amalia sospirò e la abbassò, dopodiché il suo sguardo cadde ai piedi del banco da lavoro, dove, accanto ad esso, notò qualcos’altro. Si chinò e vide meglio: una tagliola. La ragazza inarcò un sopracciglio: che diavolo di cacciatore era il vicino di Ursula?!

Si avvicinò all’oggetto per esaminarlo. Era più ruggine che altro, ma comunque il meccanismo sembrava ancora intatto. Komi la afferrò, dopodiché posò ciò che aveva trovato sul bancone. Un mazzo di fascette, una tagliola portatrice di tetano ed una fiamma ossidrica. La ragazza si passò una mano tra i capelli. «Sono spacciata...» mugugnò.

Un tonfo secco la fece sobbalzare e voltare di scatto. Qualcuno aveva sfondato la porta. La ragazza si irrigidì come un chiodo quando sentì il rumore dei passi dello sconosciuto nuovo arrivato ed un parlottare soffuso. Si infilò le fascette in tasca, dopodiché afferrò la fiamma ossidrica, decidendo di abbandonare, per il momento, la tagliola. Era troppo ingombrante da prendere e probabilmente non le sarebbe servita a nulla. Si appoggiò contro al muro della stanza e spense la luce, facendola piombare nel buio. La porta del corridoio si aprì con un lento cigolio e la ragazza riuscì ad udire meglio la voce del nuovo arrivato: era il ragazzo di colore.

«Che stronzi...» borbottò questo con diverse vene di irritazione nella voce, mentre si muoveva nel corridoio. «"Io e Mammoth pensiamo alla ragazza, Seymour, a te se vuoi lasciamo la vecchia"» recitò con voce in falsetto, probabilmente imitando il proprio capo. «Tsk. Dici una volta che ti piacciono le donne stagionate e rimani marchiato a vita...»

Amalia trattenne un conato di vomito udendo quelle parole. Ma con che razza di gente aveva avuto il dispiacere di aver a che fare?! Scosse la testa e si appiattì contro al muro, stringendo con forza l’impugnatura della fiamma ossidrica. Il rumore dei passi si avvicinò. Komi trattenne il fiato. Un’ombra penetrò nella stanza. Seymour, il ragazzo, mugugnò mentre cercava l’interruttore. «Come se quella schizzata potesse davvero trovarsi qu...»

Non finì mai quella frase. Non appena accese la luce, Komand’r lo colpì alla tempia con il calcio della sua arma improvvisata. Il ragazzo gridò di dolore e cadde a terra, tenendosi una mano sulla testa. Amalia non perse tempo e si chinò su di lui, stendendolo con un’altra mazzata. Il conduit si accasciò sul suolo con il capo, una chiazza di sangue fresco che scivolava sotto l’attaccatura dei corti capelli castani. Amalia controllò le sue condizioni e notò che respirava ancora. Tirò un sospiro di sollievo; per un momento temeva di averlo fatto fuori, il che avrebbe mandato al diavolo tutti i suoi buoni propositi di poco prima, ma fortunatamente così non era stato. Anche se, probabilmente, dopo due simili colpi alla testa lo aveva lobotomizzato.

Beh, almeno è ancora vivo... è pur sempre un piccolo passo avanti.

Senza perdere altro tempo, la giovane afferrò le fascette e bloccò polsi e caviglie del conduit. Probabilmente non sarebbero bastate ad immobilizzarlo a lungo, ma visto lo stato in cui era ridotto era anche altrettanto probabile che non si sarebbe svegliato poi così presto. Osservò poi le fascette, compiaciuta. Alla fin fine, erano davvero servite a qualcosa. Soffocando dopodiché diverse imprecazioni, trascinò il corpo in un angolo della stanza e lì lo abbandonò. Una fitta di dolore le colpì la zona in cui era stata colpita da quello stesso conduit e solamente allora si ricordò di tutte le sue fasciature e della sua brutta ferita. Represse una smorfia, sperando che la cosa non si rivelasse un problema troppo grave. Mise le proprie armi nelle tasche del giaccone, spense la luce e chiuse la porta, abbandonando Seymour all’interno. Ed uno era sistemato. Ne mancavano altri due.

La ragazza tornò nella tromba delle scale, per poi notare la porta dell’appartamento di Ursula sfondata. Era ovvio che gli altri due fossero entrati. Sperò che Ursula fosse riuscita ad aggirarli e che fosse sana e salva, mentre iniziava a scendere di corsa. Più gradini percorreva e più accelerava, voleva solamente più andarsene da quel luogo, scappare da quei folli che la inseguivano e sperare di non rivederli mai più. Lasciare direttamente la città, possibilmente. Tuttavia, quando credeva i essere quasi arrivata, un’altra atroce fitta di dolore la fece trasalire e per poco perdere l’equilibrio. Ebbe la freddezza di afferrare il corrimano per evitare una disastrosa caduta, ma subito dopo si ritrovò piegata su sé stessa ad annaspare.

«Merda, merda, merda...» imprecò, portandosi una mano sulle fasciature sotto la canottiera. Quel lievissimo contatto le causò ancora più dolore di quanto già non ne provasse. Non andava bene, non andava per niente bene. Sola contro il mondo, disarmata e perfino ferita. Una situazione decisamente sgradevole. Sperò davvero che Ursula la stesse già aspettando in macchina. Lentamente, riprese a scendere le scale, questa volta però senza accelerare il passo e tenendo una mano sul corrimano. Gradino dopo gradino, fitta dopo fitta, imprecazione dopo imprecazione, la giovane riuscì a raggiungere il piano terra. Zoppicò fino all’uscita e rientrò in strada, dove una folata di aria gelida la travolse. Un vero toccasana per il suo umore.

«Ursula?» chiamò, incerta, avvicinandosi alla macchina della donna. «Ci sei?» Si affacciò sul finestrino, per poi sbiancare; il sedile era vuoto.

Indietreggiò di scatto, con un gemito. Cominciò a girare attorno alla macchina, mentre il panico si insinuava lentamente dentro di lei, dapprima solo superficialmente e poi, poco per volta, sempre più profondamente, fino a stritolarle il cuore e a contorcerle le interiora. Non c’era. Ursula non c’era.

«Cerchi qualcuno?»

Quella voce la trafisse come una lancia. La ragazza si voltò lentamente, il terrore di sapere che cosa la aspettasse che si faceva sempre più forte, dopodiché ogni speranza di sbagliarsi fu vanificata. Dietro di lei, sull’uscio del condominio, il nano ed il gigante avevano Ursula in ostaggio, con quest’ultima tenuta per il collo e sollevata da terra di almeno dieci centimetri dal braccio di Mammoth.

«Amalia... mi dispiace...» sussurrò la donna, prima che il colosso stringesse la presa attorno al suo collo, facendola gemere di dolore. Cercò di liberarsi dalla stretta e scalciò, ma quello non parve nemmeno notare i suoi sforzi, perché rimase concentrato ad osservare Komand’r.

«Pensavate che fossi nato ieri, eh?!» domandò poi il nano, attirando l’attenzione su di lui.

«Vista la tua statura, sì» replicò Amalia, suscitando una risatina dal gigante, il quale venne subito folgorato con lo sguardo dal compare. Ursula, invece, si limitò a scuotere la testa, per farle capire che, forse, non era il caso di peggiorare ulteriormente la situazione.

«Hai ucciso il nostro amico, mi hai calpestato la faccia ed ora hai anche il coraggio di fare battute?!» piagnucolò il bamboccio, pestando i piedi per terra. «Mi hai davvero stancato. E che diavolo hai fatto a Seymour?!»

«Chi?»

«Non prendermi per il culo!» ululò ancora il moccioso, estraendo una pistola che nelle sue mani pareva quasi un giocattolo.

Amalia sollevò le mani. «Sta facendo un pisolino» rispose a quel punto, calma. «È ancora vivo, se è quello che ti importa.»

«Portami da lui» ordinò a quel punto il suo interlocutore.

«Ma è qui so...»

«HO DETTO PORTAMI DA LUI!»

Komi sussultò, per la prima volta in assoluto quel tizio riuscì ad inquietarla. Annuì lentamente. «O-Ok... però, lasciate andare lei. Non ha nulla a che fare con questa storia» disse, accennando con il mento ad Ursula, la quale la osservava sempre più spaventata.

Un sorriso sadico si accese sul volto del nano, a quella richiesta. «Non sei nella posizione di dare ordini, puttanella. Adesso tu fai quello che ti dico, dopodiché, forse, lascerò andare la tua amichetta.»

«"Forse" non è una condizione che mi sta bene...» mugugnò Amalia, quasi ringhiando.

«Peccato che tu non abbia molta scelta» incalzò ancora quello, agitando la pistola e continuando a sorriderle. «E adesso, prego, prima le signore.»

Komand’r fece una smorfia, poi, con il capo chinato, si diresse di nuovo verso la porta. Mentre faceva ciò, la sua mente elaborava la prossima strategia. Aveva ancora la fiamma ossidrica nascosta nella tasca del cappotto, fortunatamente non l’avevano perquisita, ma non aveva la più pallida idea di come usarla. Semplicemente, avrebbe dovuto aspettare l’occasione d’oro. Ma con il dolore al fianco che non le dava tregua, Ursula tenuta in ostaggio ed una pistola puntata alle sue spalle, faticava ad immaginare uno spiraglio per poter agire. E il peggio doveva ancora venire: una volta scoperto in che condizioni era stato ridotto Seymour, quei due si sarebbero incazzati come iene. Stava passando dalla padella alla brace e non aveva la più pallida idea di che cosa fare se non riempirsi da sola di insulti per aver abbandonato le persone più simili a degli amici che avesse incontrato.

Rachel, Rosso, Tara... se fosse rimasta con loro non si sarebbe cacciata in quel guaio. E anche se fosse successo, loro l’avrebbero aiutata a tirarsene fuori. Non credeva che avrebbe mai potuto rimpiangere in quel modo la compagnia di quei tre, anche se, sotto sotto, doveva ammettere che si era affezionata a loro. A Tara, soprattutto.

Tara...

La mora strinse i pugni. No, non doveva arrendersi. Non ancora. Lei era Komand’r Anderson. La pazza dal grilletto facile, colei che aveva ficcato un coltello nel collo di Deathstroke, colei che aveva fatto fuori quel sociopatico di Jeff Dreamer. Ne aveva viste di cotte e di crude, aveva combattuto contro giganti di ferro, uomini armati, psicopatiche drogate, ed era la stessa che, già una volta, era riuscita a fregare quei quattro babbei, ormai solo più tre, che stavano minacciando lei e la sua nuova conoscente, una donna innocente che aveva semplicemente commesso l’errore di trovarsi nel posto sbagliato ma al momento giusto. Era stanca di essere la responsabile dei problemi altrui. Doveva rimediare, doveva salvarla. E lo avrebbe fatto, da sola.

Salirono le scale, in silenzio. Il dolore al fianco non dava tregua ad Amalia, ma lei per tutto il tempo si sforzò di ignorarlo. Infine, si ritrovarono di fronte all’appartamento in cui aveva lasciato Seymour. Mentre entravano, il suo cervello viaggiava a mille chilometri orari, macinando pensieri su pensieri nel tentativo di trovare un modo per cacciarsi fuori da quella situazione. Infine, si ritrovarono di fronte alla stanza delle armi.

«Qui dentro» asserì Amalia, cercando di apparire più sicura possibile.

«Cosa aspetti ad entrare, allora?» domandò il nano.

«Coso, ti prego...» sussurrò Ursula, parlando di nuovo per la prima volta. «Deve esserci un altro modo...»

«No, non c’è invece. E comunque, nessuno ti ha interpellata, vecchia!»

«Ma ascolta...»

«Ti ho detto di tacere!» esclamò Coso, arrabbiandosi di nuovo, per poi sollevare la pistola. «O preferisci che...»

«Basta!» si intromise Amalia, alzando la voce ed ottenendo lo sguardo di tutti. La ragazza, poi, osservò la donna albina. «Non preoccuparti, Ursula. Vedrai che andrà tutto bene.»

«Nei tuoi sogni, forse » sghignazzò Mammoth.

Komi represse una smorfia. Si limitò a volgere ad Ursula un cenno del capo, poi inspirò profondamente e si voltò verso la porta. Sapeva cosa fare. Era rischioso, folle, ed inoltre aveva anche bisogno dell’aiuto dell’albina, ma sapeva che quella avrebbe capito. Se davvero erano simili come lei stessa aveva detto, sicuramente lo avrebbe fatto. Se così non fosse stato... beh, erano comunque spacciate, quindi il risultato finale non sarebbe cambiato poi così tanto.

Avvicinò la mano alla maniglia ed aprì la porta. I quattro entrarono nella stanza ed Amalia approfittò della penombra per infilare una mano nella propria tasca.

Tre...

«Puoi accendere la dannata luce, per favore?» domandò Coso, irritato.

La giovane obbedì, posando un dito sull’interruttore.

Due...

Accese la luce. Non appena Mammoth e il suo capo videro in che condizioni Amalia aveva ridotto Seymour, questi sgranarono gli occhi. E Komi poté approfittare di quel minuscolo momento di distrazione.

UNO!

«Ma che diav...» Coso tentò di parlare, ma fu immediatamente interrotto dalla legnata che si beccò su una tempia. Il nano urlò e cadde a terra, perdendo la pistola. Nello stesso momento, Mammoth si riprese dallo stupore per Seymour e si rese conto di quello che stava succedendo. Urlò di rabbia, ma qualsiasi cosa volesse fare fu interrotta dal morso di Ursula, che conficcò con quanta forza possedesse ancora i propri incisivi nel polso del colosso. Questo tramutò così il proprio grido di rabbia in uno di dolore misto a sorpresa. Mollò la presa sull’albina, che cadde pesantemente a terra, ma non ci mise molto a riprendersi dallo stupore. Sollevò entrambe le mani e cercò di avventarsi sulla donna, ma Amalia si frappose tra loro brandendo la fiamma ossidrica. Mentre inceneriva la faccia del colosso facendolo sbraitare come un condannato alla pena capitale, un sorriso di trionfo si accese sul suo volto; Ursula aveva capito, e aveva fatto molto meglio di quello che avrebbe potuto aspettarsi.

Un disgustoso odore di carne bruciata si diffuse nell’aria mentre Mammoth cadeva a terra coprendosi il volto, sempre senza smettere di urlare. La ragazza a quel punto fece per piombarsi su di lui e finirlo, ma l’urlo di Ursula la fece voltare. «Amalia!»

La giovane vide Coso e l’albina litigare per prendere possesso della pistola del primo, il quale si era già rialzato dopo il colpo subito. Era una scena quasi surreale, vista la loro elevata differenza di statura, ma Ursula non era più una ragazzina, era troppo debole, perfino per uno come lui. Aveva bisogno di aiuto. Amalia fece  per correrle incontro, ma qualcosa la afferrò per una caviglia, facendola cadere rovinosamente. Gridò di dolore, per la caduta e per l’ennesima fitta al fianco, poi si accorse della mano di Mammoth attorcigliata attorno al suo stivale. Il conduit la osservava con il volto dilaniato dalle ustioni e dal sangue raggrumato, un occhio cieco e con un’espressione di pura rabbia. Komi dimenò il piede per liberarsi, ma quello non era assolutamente intenzionato a mollarla. A quel punto la ragazza urlò di rabbia e con la gamba libera sferrò un calcio sul volto del rosso, facendolo grugnire. La presa si affievolì e a quel punto Komand’r gliene sferrò un altro, poi un altro e poi un altro ancora.

Usò il suo volto come zerbino, letteralmente, udendo perfino lo scricchiolio delle ossa del suo naso rotte, fino a quando quello non la lasciò andare, gridando nuovamente per il dolore ed afferrandosi il volto ormai ridotto ad una maschera di sangue.

La ragazza a quel punto si alzò in piedi, fece per correre ma un boato la bloccò all’istante. Vide la scena a rallentatore. Ursula che barcollava all’indietro, Coso che invece veniva sbalzato via. Amalia ci mise un momento per capire cosa fosse successo, ma quando si accorse della mano di Ursula premuta sul proprio addome, più il liquido vermiglio che le macchiava la maglia, capì ogni cosa. L’albina avanzò ancora di qualche passo, poi si voltò verso la giovane. Le due si guardarono per un breve momento, ma parve durare un’ eternità. Fu un semplice sguardo, che però valse più di qualsiasi altra parola. Dopodiché, la donna roteò gli occhi e si accasciò al suolo.

Amalia la osservò paralizzata mentre il suo corpo si accasciava esanime sul pavimento con una lentezza straziante. Dopodiché, quando si fu capacitata a cento percento di quanto fosse successo, il suo urlo disperato giunse fino al fondo della tromba delle scale.

Senza perdere altro tempo, la ragazza corse da lei. Le si inginocchiò accanto dopodiché le prese il volto tra le mani. «Ursula!» chiamò, ormai prossima alla disperazione. «URSULA!»

La donna aveva gli occhi sbarrati, un rivolo di sangue le colava dalla bocca. Amalia continuò a chiamarla e a scuoterle il capo, senza nessun successo. La donna non riapriva gli occhi.

NO, NO, TI PREGO, NO!!

Amalia continuò con quel suo tentativo disperato di svegliarla, ma più i secondi passavano, più la dura realtà si abbatteva su di lei con il suo peso schiacciante. Continuò fino a quando non sentì le braccia cederle per la fatica, dovuta anche al continuo ed incessante dolore al fianco. Gli unici movimenti che ormai riusciva solo più a compiere, erano quelli involontari delle spalle, causati dal suo pianto, di cui nemmeno aveva fatto caso fino a quel momento.

Morta. Ursula era morta. Di fronte a lei. Senza che lei potesse fare nulla per salvarla. Morta per colpa sua, dopo che lei aveva giurato a sé stessa di salvarla.

Era morta. Morta, come Kori. Morta, come Ryan. Morta, come i suoi genitori.

Morta.

Per colpa sua.

Non l’aveva nemmeno ringraziata per averla salvata, ora che ci pensava. Nemmeno per aver cercato di aiutarla con i suoi problemi. Anzi, le aveva urlato contro. Ed ora era lì, immobile, come una statua di cera. Proprio davanti ai suoi occhi.

Se solo non avesse perso la voce nell’urlo di poco prima, Amalia avrebbe gridato di nuovo. Invece, si limitò a chinare il capo sul ventre dell’albina e a riempirlo di lacrime.

Rivide Ryan, nella sua mente. Rivide il suo corpo esanime, la sua figura insanguinata. E dopo rivide Kori, e dopo i suoi genitori. E poi tutte quelle persone a lei care che erano morte. Attorno a lei, tutto quanto svanì. Si ritrovò immersa nel buio più totale, circondata da tenebre, senza più alcuna fonte di luce. Ancora una volta, terra bruciata era stata fatta. Quel ciclone che era la sua vita ne aveva spazzata via un’altra, di nuovo. E lei, come al solito, era rimasta illesa. Perché, perché quel proiettile non aveva colpito lei anziché Ursula?! Perché lei continuava ad essere viva?! Perché non poteva esserci lei al suo posto, o al posto di Ryan, o a quello di Kori?!

Perche? PERCHÈ?!?!

Un rumore improvviso la fece destare da quello stato di semicoscienza. Era rimasta così concentrata su quanto appena accaduto che si era dimenticata perfino dello scontro precedente. Rivide Coso rialzarsi a fatica, brontolando qualcosa di incomprensibile, mentre, alle sue spalle, Mammoth continuava a piagnucolare per il dolore alla faccia.

Quando Coso drizzò lo sguardo e si accorse di Amalia ed Ursula sgranò gli occhi. Komi lo osservò, in silenzio, apatica. Il nano parve apparire sempre più spaventato man mano che i secondi passavano, come se avesse intuito lo stato d’animo della giovane. Si voltò verso la pistola, probabilmente era stato proprio lo sparo di quest’ultima a farlo cadere, e si fiondò su di essa. Ma Amalia fu più veloce.  Il moccioso mise mano sul calcio dell’arma, per poi ritrovarsela schiacciata contro di essa dalla suola dello stivale di Komi. Quello sussultò, per poi alzare lo sguardo. Komand’r non poteva vedersi in faccia, ma sapeva per certo che lo sguardo che gli rivolse mai era stato rivolto a qualcun altro.

Uno sguardo di odio puro, misto a rabbia. Uno sguardo che mai, mai, una deviata mentale come lei avrebbe dovuto avere.

«As... aspetta, ti pre...»

Coso non ebbe il lusso di poter finire quella frase. Il calcio che si beccò in pieno volto gli fece cadere di netto le parole dalla bocca, assieme anche a qualche dente. Il nano fu sbalzato dall’altra parte della stanza e si afferrò il naso, facendo diversi versi di dolore. Komand’r nel frattempo si chinò per prendere la pistola, dopodiché rimosse il caricatore e svuotò la canna. Non voleva che accadessero altri spiacevoli incidenti con quell’arma e non voleva nemmeno che le cose si risolvessero così facilmente. Lasciò cadere la pistola, dopodiché si diresse verso la fiamma ossidrica, che le era caduta di mano quando Mammoth l’aveva fatta inciampare. Il suo sguardo cadde poi sulla tagliola per orsi, rimasta in disparte in un angolo della stanza fino a quel momento. Subito dopo, la ragazza controllò la tasca; le fascette c’erano ancora.

Amalia si guardò attorno, concentrandosi sui corpi dei due bastardi che l’avevano trascinata in quella situazione di merda. Strinse con forza i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi fino a farsi male.

Avrebbero pagato. Avrebbero pagato fino all’ultimo centesimo, con tanto di interessi. E quella non era una minaccia, ma una promessa. Una promessa che, questa volta, era intenzionata a mantenere.

Dopo averlo immobilizzato con le fascette, si avvicinò al nano, brandendo la fiamma ossidrica. Questo sollevò lo sguardo, terrorizzato. Tentò di supplicarla, con le lacrime agli occhi, ma lei non lo ascoltò. Non sentì più nulla.

Mentre deturpava quel volto odioso con la fiamma ossidrica, non vedeva altro che il corpo di Ursula mentre si accasciava a terra. Mentre Coso gridava, scalciava, piangeva e il sangue colava come una cascata dal suo volto, Komand’r vedeva suo fratello Ryan, sua sorella Kori, i suoi genitori, tutti quanti.

Man mano che la pelle rosa del nano si trasformava in un mosaico di ustioni, tagli e liquido vermiglio, la ragazza ripensava al dolore, alla sofferenza, alle occasioni perdute. Quei pensieri deviati che le avevano distrutto la vita e che non era mai riuscita ad esprimere.

Fu così persa in quel turbinio di ricordi ed emozioni contrastanti che non si accorse nemmeno del momento preciso in cui Coso smise di gridare, anche se immaginava che dovesse essere accaduto quando gli aveva aperto quel buco talmente grosso sulla fronte da poterci vedere la carne viva attraverso. Ma nonostante il nano fosse morto, lei continuò ad infierire, incurante, insensibile a tutto e tutti, fino a quando non udì un verso provenire alle sue spalle. La ragazza a quel punto mollò sul pavimento l’ex capo della banda, ormai irriconoscibile, tuttavia non si voltò.

Udì la massiccia figura di Mammoth rialzarsi lentamente. Lo udì muoversi, udì i suoi passi, capì che era diretto verso di lei, ma non si mosse ugualmente. Lo sentì ringhiare di rabbia e sentì anche le sue nocche scrocchiare, ma rimase, ancora, impassibile. Quello camminò ancora verso di lei, fino a quando un rumore metallico non ruppe improvvisamente il silenzio. Si udì uno scatto, come quello di un meccanismo che si attivava. E subito dopo, le urla strazianti del gigante. Solo a quel punto la ragazza si voltò, per poi vedere il conduit stramazzato a terra, intento a tenersi per la caviglia dilaniata. Dilaniata dalla tagliola per orsi disposta in precedenza dalla mora, proprio lì di fronte al colosso.

Komand’r si alzò, brandendo fiamma ossidrica e fascette, e si diresse anche verso di lui. Mentre lo immobilizzava come aveva fatto con gli altri due, quello la osservò con sguardo a metà tra il terrorizzato e il disgustato. Anche se era difficile intuirlo, viste le condizioni del suo volto.

«Tu sei... pazza...» sussurrò lui, oramai impossibilitato a muoversi anche se lo avesse voluto.

Amalia sospirò, inginocchiandosi ed osservandolo con aria assente. «Magari fosse solo questo» rispose con voce atona, semplicemente. Quella sensazione, quella sensazione di vuoto che la assaliva, quel suo non provare più nulla, la totale apatia, nei confronti degli altri, nei confronti di sé medesima, nei confronti della vita stessa... non era bello. Non era bello per niente. Non ricordava di essersi mai sentita così... strana. Così fuori posto. Così... sbagliata.

Accese la fiamma. Per la seconda volta di fila, le urla strazianti della sua vittima le parvero distanti anni luce.

   
 
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