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Autore: AnyaTheThief    12/02/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“E questo signori e signore era Jad l’equilibrista!! Un applauso!!”

Jad si inchinò un’ultima volta, godendosi lo scrosciare degli applausi prima che l’occhio di bue venisse puntato contro qualcun altro.

“Siete pronti per un po’ di magia?! Date il benvenuto al grande THIIIIIBAUD!!”

Jad sorrise a se stesso. Era arrivato tardi allo spettacolo, avevano dovuto anticipare il numero dei giocolieri per dargli tempo di prepararsi, si sarebbe preso una grande sgridata dal direttore, ma non aveva in mente nient’altro che lei; mentre camminava sulla fune la vedeva dall’altra parte ad aspettarlo, nel suo vestitino azzurro tirato giù fino alla vita a lasciarle i seni scoperti, le gambe aperte, invitanti, e quel sorriso malizioso sul volto che aveva cambiato per sempre il modo in cui la immaginava.

Non si sarebbe mai tolto quell’immagine di testa, non poteva credere che fosse successo davvero, e che sarebbe potuto succedere tante altre volte. Ancora prima che aprisse la porta della roulotte, però, ebbe un tuffo al cuore: un brutto presentimento. Non ci badò.

“Mamma...” esordì, pronto a darle spiegazioni. Era sicuro che avrebbe capito, era sempre stata molto aperta in quel senso, ed aveva sempre adorato Iris.

“Eri in ritardo.” la voce fredda di lei lo raggelò. Sapeva già tutto.

“E’ stato per una buona causa.” cercò di giustificarsi, per arrivare subito al punto. Lei era in piedi, come se avesse appena smesso di fare avanti e indietro, impaziente.

“So cosa stai facendo, Jad.” continuò. Lui notò che stava cercando di mantenere la voce su un tono piatto, ma non poté far a meno di sentire un lieve tremolio nel suo nome. Tabatha scosse la testa. “Non è una buona idea.” disse, addolcendo leggermente l’espressione.

“Cosa…?” Jad era attonito. Era l’ultima cosa che si aspettava di sentirsi dire.

Tabatha deglutì, vistosamente nervosa. Gli si avvicinò, i suoi grandi occhi verdi, lucidi ed incerti. Gli posò una mano sulla guancia, mentre gli leggeva l’anima nello sguardo.

“Soffriresti troppo, Jad. Sto solo cercando di proteggerti.” sussurrò. C’era qualcosa nelle sue parole che lo faceva tentennare; se non fosse stata sua madre, se ne sarebbe già andato. Ma Jad sapeva cosa poteva fare quella donna, e soprattutto che non gli aveva mai negato nulla in tutta la sua vita.

“Non puoi farmi questo. Cosa sai?” ebbe un brivido. Aveva guardato nel suo futuro, in quello di Iris: lei sapeva.

La sua mano scese sul collo segnato dai morsi, e corse lungo la collana fino a fermarsi sul pendente. Se lo rigirò nella mano con un sorriso lieve, poi lo strappò.

“Cosa…?!” scattò Jad, nervoso ed attonito. “Perché l’hai fatto?”

“Dimmi: ho mai sbagliato una sola predizione?” domandò, calma ma affranta.

Jad prese qualche lungo respiro, cercando di mantenere il controllo e maledicendo il fatto che fosse una donna e che fosse sua madre; altrimenti l’avrebbe già colpita.

“Sei davvero così presuntuosa… da pensare che ogni cosa che vedi si avveri sicuramente? Hai mai pensato che forse siamo noi a costruirci il nostro futuro? Hai mai pensato che forse possiamo cambiarlo? Che non è tutto scritto?!” alzò la voce man mano che la rabbia montava in lui, sfogandola in gesti ampi e teatrali e stringendo i pugni stretti.

Tabatha contenne una risata, ma i suoi occhi erano pieni di lacrime. “Ci ho pensato, eccome.” confessò. “Non importa, tesoro.” tornò ad accarezzargli la guancia. “Non importa che tu lo capisca ora. Presto ti sarà tutto più chiaro.”

Jad parve calmarsi, nel vedere sua madre così sconvolta ma allo stesso tempo rassegnata. “Non puoi semplicemente dirmi cos’hai visto?” domandò, più pacatamente.

Lei scosse il capo, serena. Lui annuì, sempre più nervoso. Si riprese il ciondolo a forza, in un gesto repentino al quale sua madre non oppose alcuna resistenza. Restò a fissarla col fiato corto ed il cuore in gola, rabbioso, ferito. Poi, inaspettatamente, scagliò la collana a terra ed uscì dalla roulotte a passo svelto; non voleva vedere nessuno.

In fondo sapeva che lei aveva sempre ragione, ma non lo avrebbe accettato, non quella volta.

 

 

Porthos aveva iniziato a tenere d’occhio quell’individuo, il marchese di Cinq-Mars, che si faceva chiamare “Monsieur le Grand”. Probabilmente per via del suo smisurato ego, a parere del moschettiere; la sola presenza di quell’uomo – ed era sempre presente – lo irritava al punto che il Re stesso aveva notato la sua irrequietezza. Quando il marchese gli lanciava frecciatine sul colore della sua pelle, o sulla sua stazza, tutto il disgusto che provava per quel tizio traspariva dalla sua espressione che tratteneva evidentemente dell’astio. Louis cercava sempre di allentare la tensione, dandogli forti pacche sulla schiena e dicendogli, tra le risate, di “non stuzzicare il can che dorme”, e distraendolo con la proposta di una passeggiata.

Non aveva mai visto il Re camminare così tanto come in quel periodo. Adorava passare tutto il suo tempo con il marchese ed aveva persino iniziato a trascurare Gisela, che trascorreva invece le sue giornate a prendersi cura del Delfino. Porthos percepiva vibrazioni negative provenire da lei ogni volta che salutava il marchese in un tono glaciale e distaccato.

Ma pareva che a Monsieur le Grand non importasse del parere di nessuno. Non aveva attenzioni che per il Re e si sforzava così tanto per cercare di compiacerlo ogni volta, che sia Athos che Porthos non riuscivano a capire come Louis non si rendesse conto di quanto falsi fossero i suoi sorrisi ed i suoi complimenti.

Athos giurava che una volta aveva sentito il Re dire che “non ci si può fidare delle donne, mio caro marchese. Anne mi ha spezzato il cuore e non sono sicuro di potermi concedere di nuovo completamente ad un’altra.”

Confessò a Porthos che gli erano venuti i brividi. Era sposato con Gisela da alcuni anni, ormai, e fino a pochi mesi prima pareva che non avesse occhi che per la sua adorata nuova moglie ed il Delfino. Poi era sbucato dal nulla uno sbarbatello poco più che ventenne, e il Re era tornato bambino d’improvviso: tutti lo rincorrevano per fargli firmare carte di cui a lui non pareva importare molto, rimandava riunioni e ridusse le apparizioni pubbliche. Ridacchiava come un ragazzino ad ogni battuta infantile del marchese, ed ogni giorno chiedeva di essere scortato assieme a lui nel cuore dei giardini, in quel piccolo angolo fiorito a cui soltanto lui aveva accesso, dove poi puntualmente congedava la sua guardia. Dopo tre o quattro ore un’altra guardia aveva il compito di tornare nei giardini e scortarli di nuovo a palazzo.

Porthos non riusciva a credere di stare per farlo seriamente; dare retta ad una donna che odiava dal profondo del suo cuore, tradendo gli ordini del suo Re, che forse poi tutti i torti non li aveva: “non ci si può fidare delle donne”. Non c’era altro a cui il Moschettiere riusciva a pensare quando, invece di allontanarsi come gli era stato comandato, si appostò dietro ad una siepe per sbirciare attraverso le sue fronde.

Si sentiva sporco, non era giusto, era come se stesse spiando una donna nuda farsi il bagno in un lago. Continuava a ripetersi che era per Josèphine. E per il Re, ovviamente, il suo Re. Lo stava spiando, sì, ma era per il suo bene.

Milady aveva scoperto la cospirazione attraverso “informatori fidati”, e sembrava piuttosto sicura del fatto che Cinq-Mars avrebbe attuato il suo piano molto presto. Non gli aveva dato molte altre informazioni e molte erano le domande che restavano aperte. Perché avrebbe voluto uccidere il Re, se era il suo favorito? E soprattutto, perché non lo aveva già fatto? Le occasioni non erano di certo mancate.

Louis aveva abbassato decisamente la guardia: in quel momento non era nemmeno armato, mentre Cinq-Mars portava con sé una pistola ed una spada. Le sentì risuonare in un suono metallico, quando cozzarono l’una contro l’altra nel momento in cui il ragazzo si sfilò la cintura dalla quale pendevano, e la posò a terra, accanto al punto dove poi si sedette. Il Re lo imitò, mentre chiacchieravano di quelle che Porthos reputava sciocchezze, e di certo lo erano, in confronto agli affari ben più importanti che Louis non stava sbrigando per stare seduto sul prato con un ragazzino.

Il Moschettiere distolse lo sguardo, annoiato, e si sedette dietro la siepe con l’orecchio teso.

“...Vostra moglie sembra in forma… State pensando ad un altro figlio?”

“… Avrei voluto spedire la cuoca alla ghigliottina...”

“… Una composizione molto interessante, sono sicuro la gradirete...”

“… Dov’è finito il tenebroso dagli occhi chiari che ci scortava settimana scorsa?”

Porthos sollevò le sopracciglia. Di tutto il gossip che aveva dovuto sorbirsi in quei minuti interminabili, forse era arrivata la parte più interessante.

“Athos?”

“Già. Anche se pure il negretto fa la sua figura...”

Porthos fece una smorfia. Ora non sapeva se volerlo uccidere per l’insulto razzista o… Era un complimento quello?

“Fossi in te non lo stuzzicherei più di tanto. Non lo hai visto combattere.”

Ben detto, Vostra Altezza.

“Ci avete fatto un pensiero?”

Cosa? Ma come si permetteva? Eppure il Re non reagì nella maniera in cui Porthos avrebbe pensato. Anzi, si mise a ridacchiare come una ragazzetta.

“Siete il solito!”

“Il solito? Non è forse ciò che volete da me? Che sia sempre lo stesso?”

“Che siate sempre sincero, sì, ma la Vostra sfacciataggine riesce sempre a sorprendermi.”

“Vediamo se riesco a battere me stesso nel sorprendervi, allora.”

Porthos sollevò le sopracciglia in un’espressione più che stupita. Il Re non rispondeva, ma in compenso udì un verso gutturale del tutto inaspettato, come quello che aveva udito molte volte provenire dalla gola di chi viene pugnalato all’improvviso.

“VOSTRA ALTEZ--” scattò immediatamente, saltando in piedi e facendo per intervenire, quando si rese conto del grandissimo errore che lo avrebbe messo in un mare di guai.

In quel momento, guardando Louis e Cinq-Mars mezzi svestiti, avvinghiati in atti che mai avrebbe voluto vedere, oltre alla vergogna non riusciva a provare altro che rabbia verso quella grandissima stronza che lo aveva fregato di nuovo.

Gli fu inoltre chiaro il soprannome di “Monsieur le Grand” che il marchese si era attribuito.

Mai fidarsi delle donne.

 

 

L’adrenalina gli scorreva ancora in corpo quando raggiunse, per la seconda volta quel giorno, la porta di casa di Iris. Era piena notte ormai, era stato in macchina per più di nove ore in totale quel giorno, senza contare tutto il sesso che avevano fatto, e lo show che aveva appena eseguito al circo.

Da qualche minuto fissava la porta, ma man mano che l’adrenalina lo abbandonava, tutta la sua determinazione andava svanendo. Sua madre non sbagliava mai. Ma il suo istinto nemmeno. Mai una volta lo aveva tradito quando camminava sulla corda, altrimenti ora non sarebbe lì come uno scemo, il cellulare in mano e la faccia da pesce lesso.

Aveva davvero guidato di nuovo fin lì, soltanto per poi tornare indietro? Era un dubbio amletico, di nuovo in equilibrio sulla fune. Fissava sul piccolo schermo del telefono il nome di Iris e si chiese cosa avrebbe potuto dirle, realmente.

Per tutto il viaggio si era immaginato lei corrergli incontro, di nuovo nel suo vestitino azzurro, e lui che le diceva qualcosa del tipo: “scappiamo insieme”, oppure “ti amo”. Ma in quel momento, tutto ciò sembrava proprio irrealistico.

Le utopie lo abbandonavano insieme alle sue forze, ma venne riscosso improvvisamente dalla suoneria acuta del cellulare che iniziò a squillare e vibrare, mentre “Mamma” lampeggiava sullo schermo.

Lo zittì con un gesto secco del pollice, rifiutando la chiamata, infastidito. Si sentì immediatamente in colpa. Pensò di mandarle un messaggio, solo per dire che stava bene e che sarebbe tornato subito, ma quando aprì la casella di testo, sentì una voce chiamarlo in un sussurro.

“Jad?”

Sollevò lo sguardo per vedere Iris affacciata alla finestra che lo guardava in un misto di stupore ed allegria. Tutti i suoi dubbi svanirono. Le sorrise malizioso.

Lei sparì per un istante e poi ricomparve, esattamente come se l’era immaginata. Iniziò a pensare che forse l’ipotetico dialogo che si era costruito in testa non fosse così irrealistico come credeva. Gli comparve un sorriso ebete sul volto, che lei riuscì a cancellare con due parole, poco dopo.

“Mi prendi?”

Inizialmente credette che fosse una proposta, ma quando la vide salire in piedi sulla finestra, strabuzzò gli occhi.

“Aspetta! Aspetta, non lo so se...”

“So che mi prenderai.” sorrise, e si buttò.

Aveva ragione, per fortuna. Ancora una volta Jad mantenne l’equilibrio, afferrandola saldamente prima che cadesse a terra. Certo avevano aiutato tutti gli anni ad allenarsi come trapezista, prima di intraprendere la carriera da funambolo. Il telefono gli cadde di mano, la batteria si staccò, così come il retro della cover.

“Tu sei pazza! Pazza!” la rimproverò sottovoce, rimettendola a terra ed andando a rimontare il suo cellulare, senza tuttavia riaccenderlo.

“Dai, muoviti!” lo prese per mano e lo trascinò, ancora incredulo, lungo il vialetto, verso la macchina del ragazzo, parcheggiata in strada. Iniziò a baciarlo già prima di salirvici sopra. Lo tirò a sé, lasciò che il suo corpo la spingesse contro la portiera piacevolmente fresca. Jad si immerse di nuovo nei ricordi di quel pomeriggio; era proprio come lo aveva immaginato.

La spinse dentro all’auto, sul sedile posteriore, e poi la seguì posizionandosi sopra di lei e chiudendo la portiera dietro di sé.

In quel momento le parole di sua madre risuonavano lontane e vaghe, come un sogno confuso; era lui che le aveva rinchiuse in un angolo della sua mente. Non voleva sentirle, voleva dimenticare tutto e stare soltanto così, a leccare il suo seno e farle sentire il suo desiderio, premendo contro il suo corpo esile che si contorceva già dal piacere, tra risolini e sussulti.

“Ti prendo...” le mormorò in una voce profonda, animalesca, affondando le dita nelle sue cosce, mentre lei già gli graffiava la schiena e lo avvolgeva con le gambe.

 

 

 

  
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