Buongiorno!
Esattamente un anno fa seguivo il consiglio di una cara amica e dopo
anni passati a fare la lettrice su efp mi sono decisa a pubblicare
qualcosa.
Non avrei mai pensato di conoscere persone così
meravigliose...
Quindi a un anno di distanza dalla pubblicazione di ATP ho deciso di
tornare in questo mondo ma fare un salto nel passato e portarvi una
serie di ricordi ambientati prima di ATP.
Questa raccolta vuole rappresentare un piccolo ringraziamento per tutti
voi.
H.
Zeek
La scuola era finita ormai
da qualche giorno e come al
solito si era isolato in camera sua per quasi tutto il giorno, con la
scusa di
studiare per l’ammissione all’Accademia per Auror.
La realtà è che non riusciva
a concentrarsi minimamente sui libri, aveva la testa da
tutt’altra parte.
Sbuffò, ormai era tardi, tanto valeva andare a letto, anche
se sapeva che il
suo sonno sarebbe stato tormentato dai troppi pensieri.
Un bussare alla porta. Sua sorella Victoria spuntò
sull’uscio senza neanche aver atteso una risposta.
“Ho visto che c’era ancora la luce
accesa” disse
semplicemente prima di entrare e sedersi sul letto accavallando le
gambe.
“Come va lo studio?” chiese di nuovo.
“Così così” rispose Zeek ma a
quel punto lei lo guardò con
la tipica faccia del e io dovrei
crederti?
“So che non stai studiando…che ti
succede?” domandò di
nuovo Victoria “Andiamo, sai che a me puoi dire
tutto”
Alla fine Zeek si rassegnò e sputò fuori il
rospo. “Rose
è incinta”
La mascella della giovane per poco non sfiorò il
pavimento dallo stupore “Rose, Rose Mulligan, la stessa Rose
con cui sei uscito
quante, tre volte?”
“Sì, Rose, quella Rose”
specificò lui spazientito.
“Cavolo”
Il fratello si passò una mano tra i capelli prima di
rivolgerle uno sguardo accorato “Cosa devo fare? Lei non
vuole sentire ragioni!
Non ha intenzione di tenere il bambino, vuole darlo in adozione appena
nascerà”
“Zeek…” iniziò a dire lei
allungando una mano sul
ginocchio di lui.
“Sarei un pazzo a volerlo tenere? A volerlo crescere io?
Insomma, sono suo padre!” sbottò in un turbine di
sentimenti che nemmeno lui
riusciva a decifrare.
“Zeek…hai solo 18 anni…insomma, questa
cosa condizionerà
la tua vita per sempre…non so se…”
Le labbra di lui si piegarono in una smorfia. “Ho bisogno
del tuo sostegno, ho bisogno che tu mi dica che ce la farò,
che tu abbia
fiducia in me anche se non è vero, perché se tu
non credi in me allora davvero
non ce la farò”
Victoria sorrise prendendogli le mani tra le proprie. “Ce
la farai, so che ce la farai” affermò con tono
dolce e decido allo stesso tempo
“Ce la farai perché non sei solo, io sono con
te”.
Sean
Era inginocchiato sul
divanetto con il viso schiacciato
contro il vetro della finestra. Non riusciva a vedere praticamente
nulla a
causa della pioggia che batteva violentemente contro il vetro, si mise
la mani
ai lati degli occhi nel tentativo di vedere meglio ma niente.
“È inutile che stai lì ad aspettare,
non sappiamo a che
ora tornerà” ribadì suo fratello Sam
che se ne stava sul divano a leggere.
“Sono sicuro che tornerà presto”
ribadì un piccolo Sean
guardando il fratello maggiore con astio. L’altro
alzò gli occhi verso il
soffitto ma venne subito rimbrottato da Seth, il maggiore dei tre
“Lascialo
stare”.
Lo sguardo di Sean si illuminò nel vedere una figura
scura che varcava il vialetto di ingresso.
“Papà è tornato! Papà
è tornato” esclamò tutto eccitato,
poi rivolse uno sguardo truce ai fratelli “Ve lo avevo detto
che sarebbe
tornato in tempo per aprire i regali!”
Ci avrebbe scommesso. Anche se il padre aveva dovuto
lavorare perfino il giorno di natale era sicuro che sarebbe tornato per
aprire
i regali tutti insieme, come facevano sempre.
Scese velocemente dal divanetto e si precipitò ad aprire
la porta.
“Ciao papà” trillò
“Quanti cattivi hai combattuto oggi?
Eh? Quando potrò farlo anche io?”
L’uomo ridacchiò mentre gli passava una mano tra i
capelli. “Quando sarai più grande” gli
ripeté per l’ennesima volta.
Il bambino gli trotterellò davanti mentre Caleb Stuart si
affacciò in salotto per salutare i due figli maggiori che
risposero a malapena
e poi avvicinarsi alle fiamme del camino per scaldarsi, gettando uno
sguardo a
tutto ciò che aveva intorno a sé, tre splendidi
figli, una bella casa e una
bella moglie. Si sentiva davvero fortunato.
Dalla cucina spuntò fuori una donna con una lunga coda di
capelli castano chiaro. “Bentornato caro” sorrise
salutando il marito con un
bacio a fior di labbra.
“Forza, ora tutti a cena” disse ai figli,
invitandoli a
seguirli in sala da pranzo. Per poter stare tutti insieme, per poter
essere
famiglia.
Emily
Era seduta in cucina a
fare merenda con succo d’arancia e
i fantastici biscotti con le gocce di cioccolato che aveva preparato
con sua
nonna quella mattina. Erano davvero buoni!
Sorrise allegra alla donna che faceva avanti e indietro
per casa nel tentativo di pulire tutto, come faceva sempre
perché i suo
fratello minore Alexander faceva sempre casino gettando tutti i
giocattoli in
giro ma la loro nonna non si arrabbiava mai con quella piccola peste di
cinque
anni.
Vide qualcosa di scuro passare e posarsi davanti alla
finestra. Un gufo? Cosa diavolo ci faceva un gufo davanti alla sua
finestra, in
pieno giorno?
La ragazzina si alzò e si avvicinò alla finestra
cercando
di fare movimenti lenti e silenziosi in modo da non spaventare
l’animale che
invece non sembrava minimamente interessato ad andarsene, anzi sembrava
aspettarla, con una lettera nel becco.
Aprì la finestra. “Ciao bello”
salutò l’animale facendo
per accarezzarlo sulla testa mentre lui grufolava felice. Prese piano
la
lettera e si fermò ad osservare il sigillo di ceralacca poi
la voltò. Era
proprio indirizzata a lei!
La aprì e lesse incredula le parole. Cos’era, uno
scherzo
di suo fratello Fabian?
“Tuo fratello ha di nuovo fatto cadere il suo succo sul
tappeto” sbuffò la nonna entrando di nuovo
lì in cucina per prendere uno
straccio bagnato ma si fermò alla vista della nipote
“Cosa leggi, tesoro?”
“Nonna, che cos’è Hogwarts?”
La donna guardò la lettera, quella che lei aveva atteso
per anni e che non era mai arrivata.
“Oh tesoro…”
Quando la nonna le finì di raccontare tutto ciò
che
sapeva sul mondo magico Emily si sentì più
leggera, come se tutti i tasselli
del puzzle fossero andati al proprio posto.
Allora tutte quelle cose strane che le erano capitate e
di cui non aveva mai fatto parola con nessuno avevano una spiegazione.
Non era
pazza!
La settimana prima voleva prendere un libro e questo era
levitato verso di lei, provò a fare la stessa cosa e di
nuovo il suo libro
preferito si alzò dal tavolo e volò direttamente
nelle sue mani. Wow! Allora
era davvero magica!
Elias
Era seduto nel salottino
del piccolo cottage
completamente immerso nella natura che i suoi genitori avevano comprato
per
tenere al sicuro la piccola Gemma. Era il 31 Agosto e il giorno dopo
sarebbe partito
per Hogwarts, da solo. Avrebbe tanto voluto che la sua sorellina
potesse andare
con lui, da piccoli avevano passato molto tempo a sognare quella scuola
ma un
anno prima tutti i loro sogni si erano incrinati come il vetro e ora si
ritrovava a vivere quel sogno senza di lei. I loro genitori avevano
detto che
era più sicuro così. “Hogwarts non
è un posto adatto per un lupo mannaro” aveva
detto suo padre, eliminando qualsiasi suo appello sul nascere. Lui che
a 11
anni ancora non aveva ben capito che in realtà i signori
Corner avevano fatto
credere a tutti che la loro figlioletta fosse morta.
Così ora si trovava a dover salutare la sua sorellina.
Gli era stato accanto dopo ogni luna piena e ora non
l’avrebbe rivista per
mesi!
Lei naturalmente non se l’era presa. No, Gemma era troppo
buona e troppo pura eppure condannata a un destino così
crudele.
“Mi mancherai” gli disse semplicemente
abbracciandolo.
“Tornerò a trovarti ogni volta che
posso” le promise ma
era una promessa che faceva quasi più a se stesso. Non
avrebbe permesso a
niente e nessuno di intaccare il rapporto che aveva con la sorella.
Erano
gemelli, avevano un legame particolare che nessuno a parte loro avrebbe
mai
capito.
“Tranquillo, me la caverò anche da sola”
gli sorrise
“Anche se mi annoierò un po’ di
più” ammise facendogli l’occhiolino
perché in
realtà in quel cottage isolata si annoiava un bel
po’ in quei giorni in cui si
avvicinava la luna piena e lei aveva bisogno di distrarsi poteva invece
solo
leggere e sognare una vita che non avrebbe potuto vivere appieno.
“Ci vediamo a natale” lo salutò prima
che lui se ne
andasse.
“E ti porterò un sacco di regali” le
promise. Promesse,
tutte promesse che avrebbe mantenuto.
Sadie
Tamburellava con le dita
sul tavolo ormai da un bel po’ e
già parecchi studenti l’avevano squadrata a causa
del rumore che faceva con le
unghie ma non riusciva a non essere impaziente. Insomma, la sua
migliore amica Beatrice
l’aveva costretta ad alzarsi presto quella mattina,
nonostante la sera prima
avessero fatto tardi per festeggiare la vittoria della squadra dei
Grifondoro e
ora neanche si presentava!
Era in ritardo di mezz’ora…dovevano assolutamente
studiare, visto che mancava poco ai GUFO! Sbuffando si alzò
e uscì dalla
biblioteca, scontrandosi quasi con Micheal, un suo compagno di casa.
“Mike hai visto Becky? Doveva venire qui a studiare! Non
mi va di sprecare la domenica ad aspettarla”
Lui scosse la testa e lo sorpassò per tornare nel
dormitorio. Arrivata andò dritta in quella che non era la
sua camera ma era un
po’ come lo fosse.
Era immersa nell’oscurità, tutti i letti erano
vuoti
fatta eccezione per quello di Beatrice. La ragazza era seduta, con la
schiena
appoggiata alla testiera del letto e le gambe raccolte con le braccia,
lo
sguardo fisso nel vuoto.
“Becky…” la chiamò piano
avvicinandosi ma lei non fece
una piega. Le si sedette vicino e senza dire nulla appoggiò
la testa sulla sua
spalla. Dopo un tempo interminabile l’altra parlò
“I miei sono morti”.
Fu come se il sangue le si gelasse. Ricordava bene i
genitori di Becky, le loro madri erano colleghe e lei la aveva sempre
tratta
come una seconda figlia. Non ci poteva credere.
L’ennesimo omicidio. L’ennesima famiglia spezzata.
La
situazione peggiorava di giorno in giorno. Non era la prima persona
cara che
vedeva soffrire a causa del suo sangue.
Mentre con un braccio stringeva le spalle esili della sua
migliore amica, Sadie si ripromise che un giorno avrebbe fatto
qualcosa, che
avrebbe contribuito a far finire tutto quello.
James
“Studia”
lo rimbeccò nuovamente Abby mentre si dondolava
sulla sedia. Non aveva nessuna voglia di leggere quelle stupide guerre
di
folletti.
“Non potrei avere qualcosa in cambio?”
domandò con fare
suadente sporgendosi sul tavolo. Quello sguardo avrebbe incantato buona
parte
della popolazione femminile della loro classe ma la bionda di fronte a
lui non
sembrò affatto impressionata.
“Charlie, puoi convincerlo tu?” fece lei rivolta al
gemello di James che se ne stava con la faccia sepolta nel libro.
“Ci ho rinunciato tempo fa” rispose lui senza
alzare lo
sguardo.
“Merlino e Morgana quanto siete noiosi”
sbuffò mentre
faceva gli occhi dolci a una Tassorosso di passaggio che
ricambiò sbattendo le
lunghe ciglia.
James si alzò suscitando uno sguardo disperato da parte
di Abby. “Voi state pure ad ammuffire qui, io ho intenzione
di approfittare
della prima giornata di sole dopo tanto tempo”
annunciò pronto ad andare a
flirtare con l’ennesima ragazza.
Quando rientrò quella sera, dopo aver passato il
pomeriggio in compagnia si fermò davanti alla finestra e la
aprì per respirare
un po’ di aria fresca. Un’altra ragazza da
aggiungere alla lista. Un’altra
ragazza che non gli aveva trasmesso niente. L’avrebbe
dimenticata ma lei
probabilmente non avrebbe dimenticato lui visto quanto tempo era che lo
guardava languida. In fondo era questo l’importante, rimanere
nei pensieri di
qualcuno.
Lui non era come suo fratello, non era così intelligente
e studioso. Era facile che passasse inosservato o venisse ricordato
solo per
cose negative, in fondo lui era il gemello cattivo, combinaguai.
Già, di guai
ne aveva combinati tanti ma insomma, non era stato niente di
così grave. A
tutti deve essere concesso il lusso di sbagliare, no?
In fondo voleva solo essere notato, essere nei pensieri e
nel cuore di qualcuno. Qualcuno tipo Abby.
Hayden
Da quando qualche giorno
prima era nato il suo fratellino
gli adulti non facevano altro che stare intorno a quel fagottino.
Glielo
avevano fatto vedere, certo era carino ma non gli sembrava tutto questo
granchè. Non da generare tutto questo interesse.
Aveva provato anche prima ad avvicinarsi a quella camera
quando aveva sentito quel bambino minuscolo piangere, aveva provato a
raccontargli una barzelletta ma sua madre lo aveva sgridato dicendogli
che il
piccolo doveva dormire.
Era uscito con il morale sotto le scarpe ed era andato in
giardino dove si era seduto su un grande masso e con un bastoncino
aveva
iniziato a fare dei disegni a terra. Era una cosa che faceva spesso
quando si
annoiava o quando era triste.
Era ancora occupato in quell’attività quando
sentì la
familiare e profonda voce del padre che lo chiamava.
“Hayden”
Il bambino si alzò velocemente già pronto a
essere
sgridato visto che probabilmente avrebbe portato un po’ di
fango in casa.
L’uomo si avvicinò e si inginocchiò
accanto al figlio porgendogli un grosso
blocco da disegno e una matita.
“Vedrai che così sarà meglio”
lo incoraggiò con un
sorriso.
Quell’uomo che sembrava sempre freddo e ingessato aveva
appena compiuto uno dei gesti che sarebbero stati più
significativi nella vita
di Hayden.
Avrebbe così iniziato a disegnare e disegnare sarebbe
stato il suo sfogo, il momento in cui si isolava del mondo.
Disegnava quando non aveva voglia di studiare, quando si
annoiava a lezione (e spesso la cosa lo portava a cacciarsi nei guai),
quando
era malato e costretto a stare a letto, stava disegnando anche quando
il suo
sguardo venne catturato da un ragazzo che giocava a Quidditch, era
della sua
stessa casa ma di qualche anno più grande.
Krystal
Era finalmente arrivato il
1 Settembre. Il giorno che
aveva tanto aspettato. Finalmente come i fratelli maggiori avrebbe
potuto
prendere quel treno che la portava in una scuola dove le avrebbero
addirittura
insegnato a fare le magie. Sembrava il paradiso!
Le dispiaceva solo non poter portare con sé Vanilla, la
piccola femmina di Crup che i suoi fratelli le avevano regalato per
farsi
perdonare dello scherzo con i clown che suo fratello Daniel le aveva
fatto per
il suo compleanno, facendola spaventare a morte.
Era così eccitata che quasi saltellava sulla banchina, in
attesa di poter salire sul treno, quando arrivò il momento
dei saluti però fu
costretta a fermarsi. Abbracciò stretto suo fratello Louis,
che aveva terminato
la scuola l’anno prima e la sua mamma. La stessa cosa fecero
i tre fratelli
maggiori, per fortuna avrebbe avuto loro anche a Hogwarts. Le erano
mancati
così tanto quando partivano ogni settembre e tornavano solo
a natale.
Era cresciuta con i suoi fratelli. Avevano sostituito il
padre che non aveva mai avuto e non le avevano mai fatto mancare
affetto,
coccole e divertimento. Per questo era stato difficile stare lontano da
loro.
Salirono tutti insieme sul treno e si accomodarono in uno
dei grandi scompartimenti, con il finestrino che dava sul marciapiede.
Si
appiccicò al vetro e con lo sguardo cercò sua
madre ma non riusciva proprio a
trovarla, probabilmente da lì non si vedeva.
Finì con l’inquadrare tutte le altre famiglie che
si stavano
salutando…vedeva solo famiglie con entrambi i genitori.
Erano fortunati quei
ragazzini ad avere sia una mamma che un papà, mentre il suo
invece se ne era
andato senza più voltarsi. Come una macchia di colore in
mezzo al grigio
spuntarono sua madre e suo fratello, la sua famiglia. Certo, forse era
un po’
disastrata, ma non l’avrebbe cambiato per nulla al mondo
Ezra
Stare in quel collegio era
un tortura, avrebbe tanto
voluto poter essere indipendente e invece gli dicevano tutti che era
troppo
piccolo e lo costringevano a stare lì e a vedere coppie che
venivano a
scegliersi bambini neanche fossero andati a far spese. Nessuno
naturalmente
guardava i più grandi e poi lui non voleva essere adottato,
non era mica un
orfano di entrambi i genitori, suo padre se ne era semplicemente
andato,
abbandonandolo a se stesso. E non lo avrebbe mai perdonato per questo.
Capiva
la sua tristezza, suo padre aveva perso sua moglie ma lui aveva perso
sua
madre!
Odiava l’estate. Non vedeva l’ora che finisse. Non
vedeva
l’ora di tornare ad Hogwarts, almeno lì si sentiva
più a casa.
Uscì nel giardino dell’istituto, quel giardino con
una
rete così alta che sembrava di essere in prigione. Era sotto un albero quando
sentì qualcosa
cadergli addosso, alzò la testa di scatto e vide
nient’altro che un frusciare,
un movimento tra le foglie. Resto fermo e in silenzio e vide un nuovo
movimento
ed una minuscola testina spuntare fuori. Sembrava quasi un criceto.
Cercò di attirarlo in qualche modo ma quel piccolo
esserino non si muoveva dal suo nascondiglio. Gli mise una nocciola ai
piedi
dell’albero, ma niente. A quel punto se ne andò.
Il giorno dopo uguale. Il giorno dopo ancora tornò a
vedere se l’aveva mangiata e già 10 minuti dopo la
nocciola non c’era più,
doveva proprio essere affamato quel piccoletto!
La settimana seguente il piccolo si affacciò che lui era
ancora lì e quando planò verso il terreno Ezra
capì che si trattava di uno
scoiattolo volante.
Ci mise un bel po’ a far sì che
quell’animaletto. Ci mise
tempo ma ne valse decisamente la pena.
Abby
“Non voglio
andarci!” protestò la piccola Abby battendo
il piede a terra. Non voleva lasciare la sua casa, la sua cameretta,
non voleva
trasferirsi in un altro Paese, in una città che non
conosceva!
“Dobbiamo farlo per forza, il nuovo lavoro di papà
è a
Londra” le spiegò dolcemente la madre dopo essersi
abbassata al suo livello ma
la bambina puntò di nuovo i piedi.
“Io non voglio punto e basta!”
La bambina si voltò e se ne andò in camera sua
con la
lunga treccia di capelli biondi che ondeggiava a ogni suo passo,
afferrò il suo
peluche preferito e se lo strinse tra le braccia poi successe proprio
quello
che voleva. La porta della sua cameretta si chiuse con uno sbam senza che nessuno la toccasse. Si
voltò stupita ma non ci
diede molto peso e si rifugiò nel suo angolino, nella
piccola tenda che aveva
fatto con una coperta.
Non sapeva quanto tempo era passato quando suo fratello
entrò in camera e si inginocchiò davanti a lei.
“Ciao scricciolo”
“Che vuoi?” rispose Abby burbera.
Nathan si sedette davanti alla sorellina. “Sei arrabbiata
perché ci trasferiamo a Londra?” le
domandò e lei lo guardò come a dire mi pare evidente poi aggiunse
“Non
voglio lasciare la mia cameretta!” sbuffò.
“Non è come pensi tu, potrai portarti tutte le tue
cose a
Londra, sarà solo una casa diversa…” le
spiegò pazientemente.
“E non potrò più andare ad
Ilvermorny!” protestò
incrociando le braccia.
Nathan sorrise “Nemmeno io, ma papà è
andato ad Hogwarts
e ha detto che quella è la scuola più bella del
mondo, vedrai che ti piacerà”
poi le porse la mano per aiutarla ad alzarsi e Abby la
afferrò con un piccolo
sorriso, fidandosi delle parole del fratello.
Eveline
Sbuffò
nuovamente, quell’incantesimo non le riusciva
proprio! Scagliò con frustrazione il libro
dall’altra parte della Stanza delle
Necessità. Quegli incantesimi oscuri erano molto molto
difficili! Puntò di
nuovo gli occhi chiari sui manichini che aveva allineato lungo la
parete, i
suoi bersagli.
Chiuse gli occhi e si passò una mano sulla tempia nel
tentativo di concentrarsi anche se a quell’ora della notte
cominciava ad essere
piuttosto difficile!
Prese un bel respiro e si preparò a lanciare
l’incantesimo. Colpì a ripetizione uno e poi un
altro bersaglio, spostandosi
velocemente. Al terzo bersaglio i suoi piedi impattarono contro
qualcosa, con
tutta probabilità il libro che aveva lanciato poco prima
mentre camminava
avanti e indietro.
Inciampò e cadde rovinosamente a terra, in qualche modo
il suo stesso incantesimo le si rivoltò contro,
sentì un dolore atroce al
braccio. Un urlo atroce riecheggiò all’interno
della stanza. Per fortuna
nessuno dall’esterno avrebbe sentito.
Si guardò l’avambraccio dove correva un taglio
profondo e
sanguinante. Le faceva un male cane ma più che per il
dolorante era nel panico.
E adesso, cosa poteva fare? Non poteva certo presentarsi in infermeria
così!
Avrebbero fatto troppe domande.
Con una smorfia ed un “Ferula” si fasciò
la ferita ed
uscì dalla stanza. Si precipitò verso
l’infermeria, sapeva che la capo
infermiera dormiva a quell’ora. Si intrufolò
facendo più piano che poté,
percorse in punta di piedi il corridoio tra i letti fino ad arrivare
alla porta
della dispensa dei medicinali.
Dopo una ricerca riuscì a trovare una pomata in grado di
rimarginare la ferita in tempi brevi, se ne spalmò un
po’ e la rimise a posto.
Se ne andò, non voleva restare lì un secondo
più del necessario.
Già la mattina seguente il taglio si era rimarginato ma
la cicatrice era ancora lì e fu costretta a nasconderla
sotto il maglioncino.
Consultò decine di libri di Medimagia, praticamente tutti
quelli che erano in
biblioteca ma non trovò niente, niente funzionò.
La cicatrice sarebbe rimasta
sempre lì a memoria del fatto che non bisognava giocare con
le arti oscure.
Richard
Guardava fisso il pavimento sotto
le sue scarpe, con la
speranza che si trattasse tutto di un sogno o meglio di un incubo.
Non poteva essere vero. Era stata una serata orribile,
forse la più brutta della sua vita. Prima
l’attacco, la lotta con i sostenitori
di Colui-che-non-deve-essere-nominato per poi scoprire che dietro una
di quelle
maschere c’era la sua sorellina, la sua adorabile Amelia.
Cosa le era successo?
Quando nel percorso della vita si era persa? Era talmente preso
dall’accademia
prima e dal suo lavoro poi da non accorgersi che Amelia era diventata
una barca
alla deriva.
Avrebbe dovuta fermarla e farla ragionare ma sapeva cosa
avrebbe aspettato Amelia se l’avessero presa: una vita ad
Azkaban o peggio…
L’aveva lasciata scappare, non era riuscito a non avere
pietà della sua sorellina. Le voleva troppo bene.
Ma poi era successo il putiferio, un vortice di eventi in
cui non ci aveva francamente capito nulla, tranne che era colpa sua. A
quanto
aveva sentito dire ad altri colleghi Amelia aveva fatto fuggire con
sé altri
mangiamorte e nella fuga avevano ucciso un auror e ferito altri tre.
E ora Moody voleva parlare con lui, in privato. Sarebbe
voluto morire in quell’istante. Sapeva che dietro quella
porta non c’era niente
di buono. Sarebbe già stato un miracolo se si fosse limitato
a licenziarlo!
Un’ora più tardi camminava di nuovo lungo quel
corridoio,
consapevole che sarebbe stata l’ultima volta.
Alastor non l’aveva licenziato. Peggio. L’avevo
spedito a
fare l’insegnante in accademia. Avrebbe passato il resto
della sua vita
lavorativa a guardare giovani diventare quello che lui non sarebbe
più potuto
essere.
Charlotte
Aveva ben stampato nella
mente lo sguardo deluso di Adam
quando gli aveva confessato, mentendo, di avere un altro uomo e di non
poterlo
sposare proprio per quello. Sapeva di avergli inferto una coltellata e
di
averne inferta una a se stessa. Ma non c’era altro modo, non
sarebbe mai
partito altrimenti. E Adam aveva bisogno di quel viaggio, era la sua
grande
occasione e chi era lei per privarlo di tale occasione?
Le aveva intimato di andarsene da quell’appartamento che
aveva affittato per lui e in cui Charlotte aveva passato le vacanze
quando era
in accademia e in cui si era trasferita subito dopo.
Uscì in strada senza sapere precisamente cosa fare o dove
andare. Alla fine materializzò che c’era un solo
posto dove poteva rifugiarsi
ed era tra le braccia della sua migliore amica, quello che aveva di
più simile
ad una sorella.
“Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi” le disse
Gwen
mentre la faceva accomodare nella stanza degli ospiti.
Il giorno dopo tornò all’appartamento per prendere
le sue
cose, sicura di dover affrontare lo sguardo glaciale di Adam invece si
ritrovò
in un appartamento vuoto. Certo, c’erano ancora tutti i
mobili ma se lo sentiva
che era vuoto. Lo sentiva ancora prima di vedere che tutte le cose di
Adam non
c’erano più. La sua tazza, i suoi libri, i suoi
vestiti. Si sdraiò in quel
letto vuoto, respirando ancora l’odore dell’uomo
che amava e pensando che non
sarebbe riuscita a vivere lì, sempre nel ricordo di lui e di
quello che erano
stati, di quanto erano stati felice e innamorati.
Non sapeva che ci sarebbero tornati a vivere di nuovo, di
nuovo insieme, anni e anni dopo.