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Autore: HadleyTheImpossibleGirl    13/02/2017    4 recensioni
Il 13 Febbraio 2016 pubblicavo per la prima volta una storia, ATP. Ho deciso di celebrare questo anniversario a modo mio, tornando ai personaggi che mi hanno scaldato il cuore e portando alla luce un po' del loro passato e un ricordo per ognuno di loro.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Auror Training Program'
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Buongiorno!
Esattamente un anno fa seguivo il consiglio di una cara amica e dopo anni passati a fare la lettrice su efp mi sono decisa a pubblicare qualcosa. 
Non avrei mai pensato di conoscere persone così meravigliose...
Quindi a un anno di distanza dalla pubblicazione di ATP ho deciso di tornare in questo mondo ma fare un salto nel passato e portarvi una serie di ricordi ambientati prima di ATP.
Questa raccolta vuole rappresentare un piccolo ringraziamento per tutti voi. 

H.

Zeek
La scuola era finita ormai da qualche giorno e come al solito si era isolato in camera sua per quasi tutto il giorno, con la scusa di studiare per l’ammissione all’Accademia per Auror. La realtà è che non riusciva a concentrarsi minimamente sui libri, aveva la testa da tutt’altra parte. Sbuffò, ormai era tardi, tanto valeva andare a letto, anche se sapeva che il suo sonno sarebbe stato tormentato dai troppi pensieri.
Un bussare alla porta. Sua sorella Victoria spuntò sull’uscio senza neanche aver atteso una risposta.
“Ho visto che c’era ancora la luce accesa” disse semplicemente prima di entrare e sedersi sul letto accavallando le gambe.
“Come va lo studio?” chiese di nuovo.
“Così così” rispose Zeek ma a quel punto lei lo guardò con la tipica faccia del e io dovrei crederti?
“So che non stai studiando…che ti succede?” domandò di nuovo Victoria “Andiamo, sai che a me puoi dire tutto”
Alla fine Zeek si rassegnò e sputò fuori il rospo. “Rose è incinta”
La mascella della giovane per poco non sfiorò il pavimento dallo stupore “Rose, Rose Mulligan, la stessa Rose con cui sei uscito quante, tre volte?”
“Sì, Rose, quella Rose” specificò lui spazientito.
“Cavolo”
Il fratello si passò una mano tra i capelli prima di rivolgerle uno sguardo accorato “Cosa devo fare? Lei non vuole sentire ragioni! Non ha intenzione di tenere il bambino, vuole darlo in adozione appena nascerà”
“Zeek…” iniziò a dire lei allungando una mano sul ginocchio di lui.
“Sarei un pazzo a volerlo tenere? A volerlo crescere io? Insomma, sono suo padre!” sbottò in un turbine di sentimenti che nemmeno lui riusciva a decifrare.
“Zeek…hai solo 18 anni…insomma, questa cosa condizionerà la tua vita per sempre…non so se…”
Le labbra di lui si piegarono in una smorfia. “Ho bisogno del tuo sostegno, ho bisogno che tu mi dica che ce la farò, che tu abbia fiducia in me anche se non è vero, perché se tu non credi in me allora davvero non ce la farò”
Victoria sorrise prendendogli le mani tra le proprie. “Ce la farai, so che ce la farai” affermò con tono dolce e decido allo stesso tempo “Ce la farai perché non sei solo, io sono con te”.

 

Sean
Era inginocchiato sul divanetto con il viso schiacciato contro il vetro della finestra. Non riusciva a vedere praticamente nulla a causa della pioggia che batteva violentemente contro il vetro, si mise la mani ai lati degli occhi nel tentativo di vedere meglio ma niente.
“È inutile che stai lì ad aspettare, non sappiamo a che ora tornerà” ribadì suo fratello Sam che se ne stava sul divano a leggere.
“Sono sicuro che tornerà presto” ribadì un piccolo Sean guardando il fratello maggiore con astio. L’altro alzò gli occhi verso il soffitto ma venne subito rimbrottato da Seth, il maggiore dei tre “Lascialo stare”.
Lo sguardo di Sean si illuminò nel vedere una figura scura che varcava il vialetto di ingresso.
“Papà è tornato! Papà è tornato” esclamò tutto eccitato, poi rivolse uno sguardo truce ai fratelli “Ve lo avevo detto che sarebbe tornato in tempo per aprire i regali!”
Ci avrebbe scommesso. Anche se il padre aveva dovuto lavorare perfino il giorno di natale era sicuro che sarebbe tornato per aprire i regali tutti insieme, come facevano sempre.
Scese velocemente dal divanetto e si precipitò ad aprire la porta.
“Ciao papà” trillò “Quanti cattivi hai combattuto oggi? Eh? Quando potrò farlo anche io?”
L’uomo ridacchiò mentre gli passava una mano tra i capelli. “Quando sarai più grande” gli ripeté per l’ennesima volta.
Il bambino gli trotterellò davanti mentre Caleb Stuart si affacciò in salotto per salutare i due figli maggiori che risposero a malapena e poi avvicinarsi alle fiamme del camino per scaldarsi, gettando uno sguardo a tutto ciò che aveva intorno a sé, tre splendidi figli, una bella casa e una bella moglie. Si sentiva davvero fortunato.
Dalla cucina spuntò fuori una donna con una lunga coda di capelli castano chiaro. “Bentornato caro” sorrise salutando il marito con un bacio a fior di labbra.
“Forza, ora tutti a cena” disse ai figli, invitandoli a seguirli in sala da pranzo. Per poter stare tutti insieme, per poter essere famiglia.

 

Emily
Era seduta in cucina a fare merenda con succo d’arancia e i fantastici biscotti con le gocce di cioccolato che aveva preparato con sua nonna quella mattina. Erano davvero buoni!
Sorrise allegra alla donna che faceva avanti e indietro per casa nel tentativo di pulire tutto, come faceva sempre perché i suo fratello minore Alexander faceva sempre casino gettando tutti i giocattoli in giro ma la loro nonna non si arrabbiava mai con quella piccola peste di cinque anni.
Vide qualcosa di scuro passare e posarsi davanti alla finestra. Un gufo? Cosa diavolo ci faceva un gufo davanti alla sua finestra, in pieno giorno?
La ragazzina si alzò e si avvicinò alla finestra cercando di fare movimenti lenti e silenziosi in modo da non spaventare l’animale che invece non sembrava minimamente interessato ad andarsene, anzi sembrava aspettarla, con una lettera nel becco.
Aprì la finestra. “Ciao bello” salutò l’animale facendo per accarezzarlo sulla testa mentre lui grufolava felice. Prese piano la lettera e si fermò ad osservare il sigillo di ceralacca poi la voltò. Era proprio indirizzata a lei!
La aprì e lesse incredula le parole. Cos’era, uno scherzo di suo fratello Fabian?
“Tuo fratello ha di nuovo fatto cadere il suo succo sul tappeto” sbuffò la nonna entrando di nuovo lì in cucina per prendere uno straccio bagnato ma si fermò alla vista della nipote “Cosa leggi, tesoro?”
“Nonna, che cos’è Hogwarts?”
La donna guardò la lettera, quella che lei aveva atteso per anni e che non era mai arrivata.
“Oh tesoro…”
Quando la nonna le finì di raccontare tutto ciò che sapeva sul mondo magico Emily si sentì più leggera, come se tutti i tasselli del puzzle fossero andati al proprio posto.
Allora tutte quelle cose strane che le erano capitate e di cui non aveva mai fatto parola con nessuno avevano una spiegazione. Non era pazza!
La settimana prima voleva prendere un libro e questo era levitato verso di lei, provò a fare la stessa cosa e di nuovo il suo libro preferito si alzò dal tavolo e volò direttamente nelle sue mani. Wow! Allora era davvero magica!

 

Elias
Era seduto nel salottino del piccolo cottage completamente immerso nella natura che i suoi genitori avevano comprato per tenere al sicuro la piccola Gemma. Era il 31 Agosto e il giorno dopo sarebbe partito per Hogwarts, da solo. Avrebbe tanto voluto che la sua sorellina potesse andare con lui, da piccoli avevano passato molto tempo a sognare quella scuola ma un anno prima tutti i loro sogni si erano incrinati come il vetro e ora si ritrovava a vivere quel sogno senza di lei. I loro genitori avevano detto che era più sicuro così. “Hogwarts non è un posto adatto per un lupo mannaro” aveva detto suo padre, eliminando qualsiasi suo appello sul nascere. Lui che a 11 anni ancora non aveva ben capito che in realtà i signori Corner avevano fatto credere a tutti che la loro figlioletta fosse morta.
Così ora si trovava a dover salutare la sua sorellina. Gli era stato accanto dopo ogni luna piena e ora non l’avrebbe rivista per mesi!
Lei naturalmente non se l’era presa. No, Gemma era troppo buona e troppo pura eppure condannata a un destino così crudele.
“Mi mancherai” gli disse semplicemente abbracciandolo.
“Tornerò a trovarti ogni volta che posso” le promise ma era una promessa che faceva quasi più a se stesso. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di intaccare il rapporto che aveva con la sorella. Erano gemelli, avevano un legame particolare che nessuno a parte loro avrebbe mai capito.
“Tranquillo, me la caverò anche da sola” gli sorrise “Anche se mi annoierò un po’ di più” ammise facendogli l’occhiolino perché in realtà in quel cottage isolata si annoiava un bel po’ in quei giorni in cui si avvicinava la luna piena e lei aveva bisogno di distrarsi poteva invece solo leggere e sognare una vita che non avrebbe potuto vivere appieno.
“Ci vediamo a natale” lo salutò prima che lui se ne andasse.
“E ti porterò un sacco di regali” le promise. Promesse, tutte promesse che avrebbe mantenuto.

 

Sadie
Tamburellava con le dita sul tavolo ormai da un bel po’ e già parecchi studenti l’avevano squadrata a causa del rumore che faceva con le unghie ma non riusciva a non essere impaziente. Insomma, la sua migliore amica Beatrice l’aveva costretta ad alzarsi presto quella mattina, nonostante la sera prima avessero fatto tardi per festeggiare la vittoria della squadra dei Grifondoro e ora neanche si presentava!
Era in ritardo di mezz’ora…dovevano assolutamente studiare, visto che mancava poco ai GUFO! Sbuffando si alzò e uscì dalla biblioteca, scontrandosi quasi con Micheal, un suo compagno di casa.
“Mike hai visto Becky? Doveva venire qui a studiare! Non mi va di sprecare la domenica ad aspettarla”
Lui scosse la testa e lo sorpassò per tornare nel dormitorio. Arrivata andò dritta in quella che non era la sua camera ma era un po’ come lo fosse.
Era immersa nell’oscurità, tutti i letti erano vuoti fatta eccezione per quello di Beatrice. La ragazza era seduta, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e le gambe raccolte con le braccia, lo sguardo fisso nel vuoto.
“Becky…” la chiamò piano avvicinandosi ma lei non fece una piega. Le si sedette vicino e senza dire nulla appoggiò la testa sulla sua spalla. Dopo un tempo interminabile l’altra parlò “I miei sono morti”.
Fu come se il sangue le si gelasse. Ricordava bene i genitori di Becky, le loro madri erano colleghe e lei la aveva sempre tratta come una seconda figlia. Non ci poteva credere.
L’ennesimo omicidio. L’ennesima famiglia spezzata. La situazione peggiorava di giorno in giorno. Non era la prima persona cara che vedeva soffrire a causa del suo sangue.
Mentre con un braccio stringeva le spalle esili della sua migliore amica, Sadie si ripromise che un giorno avrebbe fatto qualcosa, che avrebbe contribuito a far finire tutto quello.

 

James
“Studia” lo rimbeccò nuovamente Abby mentre si dondolava sulla sedia. Non aveva nessuna voglia di leggere quelle stupide guerre di folletti.
“Non potrei avere qualcosa in cambio?” domandò con fare suadente sporgendosi sul tavolo. Quello sguardo avrebbe incantato buona parte della popolazione femminile della loro classe ma la bionda di fronte a lui non sembrò affatto impressionata.
“Charlie, puoi convincerlo tu?” fece lei rivolta al gemello di James che se ne stava con la faccia sepolta nel libro.
“Ci ho rinunciato tempo fa” rispose lui senza alzare lo sguardo.
“Merlino e Morgana quanto siete noiosi” sbuffò mentre faceva gli occhi dolci a una Tassorosso di passaggio che ricambiò sbattendo le lunghe ciglia.
James si alzò suscitando uno sguardo disperato da parte di Abby. “Voi state pure ad ammuffire qui, io ho intenzione di approfittare della prima giornata di sole dopo tanto tempo” annunciò pronto ad andare a flirtare con l’ennesima ragazza.
Quando rientrò quella sera, dopo aver passato il pomeriggio in compagnia si fermò davanti alla finestra e la aprì per respirare un po’ di aria fresca. Un’altra ragazza da aggiungere alla lista. Un’altra ragazza che non gli aveva trasmesso niente. L’avrebbe dimenticata ma lei probabilmente non avrebbe dimenticato lui visto quanto tempo era che lo guardava languida. In fondo era questo l’importante, rimanere nei pensieri di qualcuno.
Lui non era come suo fratello, non era così intelligente e studioso. Era facile che passasse inosservato o venisse ricordato solo per cose negative, in fondo lui era il gemello cattivo, combinaguai. Già, di guai ne aveva combinati tanti ma insomma, non era stato niente di così grave. A tutti deve essere concesso il lusso di sbagliare, no?
In fondo voleva solo essere notato, essere nei pensieri e nel cuore di qualcuno. Qualcuno tipo Abby.

 

Hayden
Da quando qualche giorno prima era nato il suo fratellino gli adulti non facevano altro che stare intorno a quel fagottino. Glielo avevano fatto vedere, certo era carino ma non gli sembrava tutto questo granchè. Non da generare tutto questo interesse.
Aveva provato anche prima ad avvicinarsi a quella camera quando aveva sentito quel bambino minuscolo piangere, aveva provato a raccontargli una barzelletta ma sua madre lo aveva sgridato dicendogli che il piccolo doveva dormire.
Era uscito con il morale sotto le scarpe ed era andato in giardino dove si era seduto su un grande masso e con un bastoncino aveva iniziato a fare dei disegni a terra. Era una cosa che faceva spesso quando si annoiava o quando era triste.
Era ancora occupato in quell’attività quando sentì la familiare e profonda voce del padre che lo chiamava. “Hayden”
Il bambino si alzò velocemente già pronto a essere sgridato visto che probabilmente avrebbe portato un po’ di fango in casa. L’uomo si avvicinò e si inginocchiò accanto al figlio porgendogli un grosso blocco da disegno e una matita.
“Vedrai che così sarà meglio” lo incoraggiò con un sorriso.
Quell’uomo che sembrava sempre freddo e ingessato aveva appena compiuto uno dei gesti che sarebbero stati più significativi nella vita di Hayden.
Avrebbe così iniziato a disegnare e disegnare sarebbe stato il suo sfogo, il momento in cui si isolava del mondo.
Disegnava quando non aveva voglia di studiare, quando si annoiava a lezione (e spesso la cosa lo portava a cacciarsi nei guai), quando era malato e costretto a stare a letto, stava disegnando anche quando il suo sguardo venne catturato da un ragazzo che giocava a Quidditch, era della sua stessa casa ma di qualche anno più grande.

 

Krystal
Era finalmente arrivato il 1 Settembre. Il giorno che aveva tanto aspettato. Finalmente come i fratelli maggiori avrebbe potuto prendere quel treno che la portava in una scuola dove le avrebbero addirittura insegnato a fare le magie. Sembrava il paradiso!
Le dispiaceva solo non poter portare con sé Vanilla, la piccola femmina di Crup che i suoi fratelli le avevano regalato per farsi perdonare dello scherzo con i clown che suo fratello Daniel le aveva fatto per il suo compleanno, facendola spaventare a morte.
Era così eccitata che quasi saltellava sulla banchina, in attesa di poter salire sul treno, quando arrivò il momento dei saluti però fu costretta a fermarsi. Abbracciò stretto suo fratello Louis, che aveva terminato la scuola l’anno prima e la sua mamma. La stessa cosa fecero i tre fratelli maggiori, per fortuna avrebbe avuto loro anche a Hogwarts. Le erano mancati così tanto quando partivano ogni settembre e tornavano solo a natale.
Era cresciuta con i suoi fratelli. Avevano sostituito il padre che non aveva mai avuto e non le avevano mai fatto mancare affetto, coccole e divertimento. Per questo era stato difficile stare lontano da loro.
Salirono tutti insieme sul treno e si accomodarono in uno dei grandi scompartimenti, con il finestrino che dava sul marciapiede. Si appiccicò al vetro e con lo sguardo cercò sua madre ma non riusciva proprio a trovarla, probabilmente da lì non si vedeva.
Finì con l’inquadrare tutte le altre famiglie che si stavano salutando…vedeva solo famiglie con entrambi i genitori. Erano fortunati quei ragazzini ad avere sia una mamma che un papà, mentre il suo invece se ne era andato senza più voltarsi. Come una macchia di colore in mezzo al grigio spuntarono sua madre e suo fratello, la sua famiglia. Certo, forse era un po’ disastrata, ma non l’avrebbe cambiato per nulla al mondo

 

 
Ezra
Stare in quel collegio era un tortura, avrebbe tanto voluto poter essere indipendente e invece gli dicevano tutti che era troppo piccolo e lo costringevano a stare lì e a vedere coppie che venivano a scegliersi bambini neanche fossero andati a far spese. Nessuno naturalmente guardava i più grandi e poi lui non voleva essere adottato, non era mica un orfano di entrambi i genitori, suo padre se ne era semplicemente andato, abbandonandolo a se stesso. E non lo avrebbe mai perdonato per questo. Capiva la sua tristezza, suo padre aveva perso sua moglie ma lui aveva perso sua madre!
Odiava l’estate. Non vedeva l’ora che finisse. Non vedeva l’ora di tornare ad Hogwarts, almeno lì si sentiva più a casa.
Uscì nel giardino dell’istituto, quel giardino con una rete così alta che sembrava di essere in prigione.  Era sotto un albero quando sentì qualcosa cadergli addosso, alzò la testa di scatto e vide nient’altro che un frusciare, un movimento tra le foglie. Resto fermo e in silenzio e vide un nuovo movimento ed una minuscola testina spuntare fuori. Sembrava quasi un criceto.
Cercò di attirarlo in qualche modo ma quel piccolo esserino non si muoveva dal suo nascondiglio. Gli mise una nocciola ai piedi dell’albero, ma niente. A quel punto se ne andò.
Il giorno dopo uguale. Il giorno dopo ancora tornò a vedere se l’aveva mangiata e già 10 minuti dopo la nocciola non c’era più, doveva proprio essere affamato quel piccoletto!
La settimana seguente il piccolo si affacciò che lui era ancora lì e quando planò verso il terreno Ezra capì che si trattava di uno scoiattolo volante.
Ci mise un bel po’ a far sì che quell’animaletto. Ci mise tempo ma ne valse decisamente la pena.

 

Abby
“Non voglio andarci!” protestò la piccola Abby battendo il piede a terra. Non voleva lasciare la sua casa, la sua cameretta, non voleva trasferirsi in un altro Paese, in una città che non conosceva!
“Dobbiamo farlo per forza, il nuovo lavoro di papà è a Londra” le spiegò dolcemente la madre dopo essersi abbassata al suo livello ma la bambina puntò di nuovo i piedi.
“Io non voglio punto e basta!”
La bambina si voltò e se ne andò in camera sua con la lunga treccia di capelli biondi che ondeggiava a ogni suo passo, afferrò il suo peluche preferito e se lo strinse tra le braccia poi successe proprio quello che voleva. La porta della sua cameretta si chiuse con uno sbam senza che nessuno la toccasse. Si voltò stupita ma non ci diede molto peso e si rifugiò nel suo angolino, nella piccola tenda che aveva fatto con una coperta.
Non sapeva quanto tempo era passato quando suo fratello entrò in camera e si inginocchiò davanti a lei.
“Ciao scricciolo”
“Che vuoi?” rispose Abby burbera.
Nathan si sedette davanti alla sorellina. “Sei arrabbiata perché ci trasferiamo a Londra?” le domandò e lei lo guardò come a dire mi pare evidente poi aggiunse “Non voglio lasciare la mia cameretta!” sbuffò.
“Non è come pensi tu, potrai portarti tutte le tue cose a Londra, sarà solo una casa diversa…” le spiegò pazientemente.
“E non potrò più andare ad Ilvermorny!” protestò incrociando le braccia.
Nathan sorrise “Nemmeno io, ma papà è andato ad Hogwarts e ha detto che quella è la scuola più bella del mondo, vedrai che ti piacerà” poi le porse la mano per aiutarla ad alzarsi e Abby la afferrò con un piccolo sorriso, fidandosi delle parole del fratello.

 

 

Eveline
Sbuffò nuovamente, quell’incantesimo non le riusciva proprio! Scagliò con frustrazione il libro dall’altra parte della Stanza delle Necessità. Quegli incantesimi oscuri erano molto molto difficili! Puntò di nuovo gli occhi chiari sui manichini che aveva allineato lungo la parete, i suoi bersagli.
Chiuse gli occhi e si passò una mano sulla tempia nel tentativo di concentrarsi anche se a quell’ora della notte cominciava ad essere piuttosto difficile!
Prese un bel respiro e si preparò a lanciare l’incantesimo. Colpì a ripetizione uno e poi un altro bersaglio, spostandosi velocemente. Al terzo bersaglio i suoi piedi impattarono contro qualcosa, con tutta probabilità il libro che aveva lanciato poco prima mentre camminava avanti e indietro.
Inciampò e cadde rovinosamente a terra, in qualche modo il suo stesso incantesimo le si rivoltò contro, sentì un dolore atroce al braccio. Un urlo atroce riecheggiò all’interno della stanza. Per fortuna nessuno dall’esterno avrebbe sentito.
Si guardò l’avambraccio dove correva un taglio profondo e sanguinante. Le faceva un male cane ma più che per il dolorante era nel panico. E adesso, cosa poteva fare? Non poteva certo presentarsi in infermeria così! Avrebbero fatto troppe domande.
Con una smorfia ed un “Ferula” si fasciò la ferita ed uscì dalla stanza. Si precipitò verso l’infermeria, sapeva che la capo infermiera dormiva a quell’ora. Si intrufolò facendo più piano che poté, percorse in punta di piedi il corridoio tra i letti fino ad arrivare alla porta della dispensa dei medicinali.
Dopo una ricerca riuscì a trovare una pomata in grado di rimarginare la ferita in tempi brevi, se ne spalmò un po’ e la rimise a posto. Se ne andò, non voleva restare lì un secondo più del necessario.
Già la mattina seguente il taglio si era rimarginato ma la cicatrice era ancora lì e fu costretta a nasconderla sotto il maglioncino. Consultò decine di libri di Medimagia, praticamente tutti quelli che erano in biblioteca ma non trovò niente, niente funzionò. La cicatrice sarebbe rimasta sempre lì a memoria del fatto che non bisognava giocare con le arti oscure.

 

Richard

Guardava fisso il pavimento sotto le sue scarpe, con la speranza che si trattasse tutto di un sogno o meglio di un incubo.
Non poteva essere vero. Era stata una serata orribile, forse la più brutta della sua vita. Prima l’attacco, la lotta con i sostenitori di Colui-che-non-deve-essere-nominato per poi scoprire che dietro una di quelle maschere c’era la sua sorellina, la sua adorabile Amelia. Cosa le era successo? Quando nel percorso della vita si era persa? Era talmente preso dall’accademia prima e dal suo lavoro poi da non accorgersi che Amelia era diventata una barca alla deriva.
Avrebbe dovuta fermarla e farla ragionare ma sapeva cosa avrebbe aspettato Amelia se l’avessero presa: una vita ad Azkaban o peggio…
L’aveva lasciata scappare, non era riuscito a non avere pietà della sua sorellina. Le voleva troppo bene.
Ma poi era successo il putiferio, un vortice di eventi in cui non ci aveva francamente capito nulla, tranne che era colpa sua. A quanto aveva sentito dire ad altri colleghi Amelia aveva fatto fuggire con sé altri mangiamorte e nella fuga avevano ucciso un auror e ferito altri tre.
E ora Moody voleva parlare con lui, in privato. Sarebbe voluto morire in quell’istante. Sapeva che dietro quella porta non c’era niente di buono. Sarebbe già stato un miracolo se si fosse limitato a licenziarlo!
Un’ora più tardi camminava di nuovo lungo quel corridoio, consapevole che sarebbe stata l’ultima volta.
Alastor non l’aveva licenziato. Peggio. L’avevo spedito a fare l’insegnante in accademia. Avrebbe passato il resto della sua vita lavorativa a guardare giovani diventare quello che lui non sarebbe più potuto essere.

 

Charlotte
Aveva ben stampato nella mente lo sguardo deluso di Adam quando gli aveva confessato, mentendo, di avere un altro uomo e di non poterlo sposare proprio per quello. Sapeva di avergli inferto una coltellata e di averne inferta una a se stessa. Ma non c’era altro modo, non sarebbe mai partito altrimenti. E Adam aveva bisogno di quel viaggio, era la sua grande occasione e chi era lei per privarlo di tale occasione?
Le aveva intimato di andarsene da quell’appartamento che aveva affittato per lui e in cui Charlotte aveva passato le vacanze quando era in accademia e in cui si era trasferita subito dopo.
Uscì in strada senza sapere precisamente cosa fare o dove andare. Alla fine materializzò che c’era un solo posto dove poteva rifugiarsi ed era tra le braccia della sua migliore amica, quello che aveva di più simile ad una sorella.
“Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi” le disse Gwen mentre la faceva accomodare nella stanza degli ospiti.
Il giorno dopo tornò all’appartamento per prendere le sue cose, sicura di dover affrontare lo sguardo glaciale di Adam invece si ritrovò in un appartamento vuoto. Certo, c’erano ancora tutti i mobili ma se lo sentiva che era vuoto. Lo sentiva ancora prima di vedere che tutte le cose di Adam non c’erano più. La sua tazza, i suoi libri, i suoi vestiti. Si sdraiò in quel letto vuoto, respirando ancora l’odore dell’uomo che amava e pensando che non sarebbe riuscita a vivere lì, sempre nel ricordo di lui e di quello che erano stati, di quanto erano stati felice e innamorati.
Non sapeva che ci sarebbero tornati a vivere di nuovo, di nuovo insieme, anni e anni dopo.

  
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