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Autore: Frelyora    13/02/2017    0 recensioni
Storia di mia completa immaginazione quindi Buona lettura!
***tratto dal testo***
Riuscì a frenare i singhiozzi e, quando le proclamò che aveva finito, mi strinsi a lei, impedendole di scappare. “Non mi lasciare…rimani qui con me.” Implorai. Lei sorrise e disse “Se me lo chiedi così non potrei mai rifiutare anche se non rimarrò in questo schifo."
Genere: Erotico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I miei genitori mi avevano detto che il mondo era un posto bellissimo. Un posto in cui esser sempre felici e gentili. Me lo dissero proprio quelle persone che un giorno mi cacciarono di casa dicendomi “Non vogliamo una figlia che non sa badare a se stessa.” E nonostante tutto non riuscivo ad essere arrabbiata, non riuscivo ad odiarli. Riuscivo solo a piangere il vuoto che mi provocava la mancanza di quelle figure che dovrebbero guidare i propri figli verso la maturità. 

Quando mi cacciarono iniziai a vagare senza metà. Alla ricerca…boh...non me lo ricordo neanche cosa cercavo. Un tetto? Degli amici? Un posto dove sprecare la mia esistenza? Si, forse qualcosa di quel genere. Sta di fatto che vagavo per boschi, strade, villaggi chiedendo lo stretto necessario per sopravvivere ma l’una cosa che ottenevo erano gli insulti. Cos’avevo fatto di male per meritarmi “abominio” o “bambina maledetta”?! Solo perché ero diversa da loro? Solo perché invece di avere capelli e occhi marroni li avevo color della luna piena e violetti? Solo perché invece di avere una carnagione molto colorita ero pallida come un morto in confronto a loro? Non mi conoscevano e allora perché mi giudicavano? Possibile che i loro occhi spenti si fermassero all’estetica? Non lo sapevo. Come ogni altra cosa al di fuori delle mura protettive di casa.

Un giorno giunsi ad Elrok. Una città umana molto importante da quanto avevo sentito. Immaginai che le persone lì fossero gentili e cordiali. “Forse lì riuscirò a vivere decentemente” era il pensiero che mi spinse dentro di essa.

Come al solito rimasi delusa. Ogni volta che mi avvicinavo o mi lanciavano addosso pezzi di pane e posate o mi picchiavano. Neanche fossi spazzatura della peggior specie. Persino quelli ridotti in miseria non mi aiutavano.

Poi, dopo mesi e mesi in quel posto che mi sembrava sempre più un inferno, si superarono.

 Ero andata alla solita bottega, quella dove gli uomini andavano per divertirsi e qualche volta si lasciavano andare e mi lanciavano anche pagnotte intere. Mi avvicinai ad un tavolo pieno di persone  indaffarate con un liquido dal colore giallastro, birra la chiamavano, e chiesi docilmente se potevano donarmi qualcosa per sfamarmi. “Ma sì certo! Se vieni con me ti darò anche un bel pezzo di carne mia piccola amica.” Disse un tipo molto massiccio. Lui e un’altra persona si alzarono e uscimmo dal locale al cenno del primo. Io, entusiasta alla prospettiva del mangiare del cibo vero, mi feci abbindolare dai suoi discorsi di paesi lontani e paesaggi surreali intavolati per trascorrere il tempo finché, percorso le strade principali e alcune stradine laterali non mi inchiodarono contro un muro.

Perché li ho seguiti….perché…..me lo chiedo persino ora. A distanza di 30 anni.

Mi afferrarono gli stracci che chiamavo vestiti e li strapparono. L’aria pungente dell’autunno iniziò ad accarezzarmi. Prima che potessi urlare mi tapparono la bocca con una mano grossa il triplo delle mie.

Avrei preferito morire. Avrei preferito abbandonare tutto al posto di subire quella tortura, di vedermi rubata la sacralità del mio corpo. L’unica cosa che era veramente mia.

Quelli grugnivano felici mentre affondavano dentro di me e, ogni volta che provavo a dimenarmi, i maledetti spingevano sempre più dentro, neanche volessero aprirmi in due. Non potevo neanche urlare quando il secondo uomo si infilò nel mio sedere. Non potevo urlare di dolore mentre la mia mente subiva quell’abominio. Non potevo neanche pregare poiché ogni volta che si spingevano dentro era come se i mostri entrassero nella mia anima e violentassero ogni suo piccolo frammento.

Non so quante volte si scaricarono. Non provai neanche a contarle. Semplicemente mi arresi al destino maledetto che qualcuno mi aveva buttato addosso e pregai che finisse presto, tra le lacrime.

Aspettai… aspettai…aspettai.

Quando uscirono dalle mie intimità uno dei due mi apri a forza la bocca ed entro pure lì. Mi vennero i conati di vomito mentre quella mostruosità varcava pure la mia gola e si scaricava nuovamente, inzozzando tutta la gola di un sapore amaro. E rientrarono nelle mie membra.
 
Tutto mentre ridevano e vomitavano mielosi complimenti al mio corpo dicendo che ero la troia migliore che avessero stuprato. Che ero talmente brava ad assecondare i loro movimenti che lo avrebbero rifatto volentieri. E io che piangevo e imploravo di lasciarmi andare.

Quello davanti mi afferrò il bacino e si spinse fino agli estremi e, con un grugnitò si riversò per l’ennesima volta, facendomi urlare di dolore. Poi fu il turno di quello dietro. Stavolta sentii ogni singola goccia con una chiarezza mostruosa e il mio corpo andò in fiamme.

Venni sbattuta a terra e lasciata lì. Piangente…Umiliata…Usata… Ansimante e marchiata a fuoco. Ero stata derubata dell’ultima cosa totalmente mia. Ora non avevo niente. Niente di niente.
 
Il primo uomo mi schioccò un disgustoso bacio con tanto di lingua e se ne andò, con un sorriso beatamente soddisfatto sul volto.

***
Non mi alzai nemmeno quando se ne andarono. Rimasi immobile, sul ciottolato freddo e grigio, ad ascoltare il mio corpo iniziava a rigettare quella cosa orribile.

Una leggera carezza sulla spalla mi fece rannicchiare d’istinto, ricominciando a tremare visibilmente.

“Ehi piccola… non avere paura. Non ti voglio fare del male come quei bastardi.” Disse una voce dolce e sussurrata. “Lasciami da sola ti prego… non voglio subire altro…ti prego vattene.” Piansi. “Ma io voglio aiutarti…mmmmh..... che ne dici se ti pulisco da quell’orrore?”, “Ti sporcheresti veramente le mani su una come me?” guaii ferita dalle mie stesse parole. “SI, perché sei come me.” annui convinta.

SUlla difensiva, schiusi leggermente gli occhi e li posai sulla pelle di un grigio spento e sugli occhi rossi oltre alla criniera color pece. Sulla coda che scorsi difficilmente e su quelle che dovevano esser e due piccole corna. Il viso gentile della mezzosangue mi sorrise rassicurante. Annui debolmente e le sue braccia mi avvolsero sotto le ginocchia e dietro la schiena. Data la mia statura e la magrezza del mio corpicino debole riuscì facilmente a sollevarmi e portarmi verso una delle fontane meno visitate -era notte-. SI sedette sul parapetto e infilò i miei piedi nell’acqua gelida. Mi porse dell’acqua con la mano a coppa che bevvi e sputai subito dopo. Lo facemmo varie volte fino a fare sparire ogni traccia di quel sapore. Iniziò a ripulire la pancia e le gambe poi passò vicino alle intimità facendomi gemere ai ricordi. Quando ci passò sopra i ricordi si fecero sempre più vividi da sembrare reali, la guardai impaurita e cercai di allontanarmi da lei invano. MI tenne stretta a sé e cominciai a piangere nuovamente. singhiozzando rumorosamente. “Cerca di resistere, non ti farò nulla.” Sussurrò.

Iniziò a cantare una nenia lenta e tranquillizzante mentre passava lì sopra e toglieva ciò che trovava. Riuscì a frenare i singhiozzi e, quando le proclamò che aveva finito sentì subito il bisogno di lei, che non mi lasciasse d asola ancora. Mi strinsi a lei, impedendole di scappare. “Non mi lasciare…rimani qui con me.” Implorai. Lei sorrise e disse “Se me lo chiedi così non potrei mai rifiutare anche se non rimarrò in questo schifo. Voglio scappare ma le guardie si divertono troppo a prendermi a botte anche se mi risparmiano ciò che ti hanno fatto perché ho le scaglie.”, “Scaglie?” chiesi timida. Lei ridacchiò e mi appoggiò sul parapetto alzandosi e scostando dei veri vestiti.
Quasi come decorazioni delle scure scaglie sostituivano i fianchi in una linea sinuosa che partiva dai piedi, poi sulle cosce, sui fianchi e salivano sul collo dove una finiva mentre l’altra finiva sull’occhio. Senza il minimo imbarazzo si scostò le mutande e al posto della pelle trovai solo scaglie -ovviamente non chiesi se anche dentro fosse così-. “Non so se sono una mezzodemone o una mezzodrago, non li ho mai conosciuti i miei. L’uomo che mi ha adottato come cane da caccia mi ha chiamata Yulia” disse. Io rimasi in silenzio continuando a fissarla. “E tu sei?” incalzò. “Io sono Iris. Come il fiore. Mezz’elfa anche se più elfa che umana. Silenzio “Allora mi aiuti a scappare?”. Rimasi qualche secondo a metabolizzare “Ma dove andrai? Cos’hai fuori di qua?”, “La natura. L’aria fresca. Carne in abbondanza e libertà.” Disse nostalgica. “Come si sopravvive nella natura?”, “ Cacciando gli animali e raccogliendo cibo. Preferisci restare qua in balia di quei…quei…uomini?” disse. Suonava peggio di una bestemmia, ed ero d’accordo.
 
Cercai di pensare ad una vita dove avrei dovuto uccidere per sopravvivere. La comparai alla vita che stavo facendo e il risultato era che preferivo uccidere che essere violentata una seconda volta. Chiesi ancora qualche informazione che non tardò ad arrivare e lei decise che saremmo partite domani mattina. Accennai ad un sorriso e mi alzai. Una scossa di dolore nel basso ventre mi fece cadere subito, spaventandomi. Yulia disse che sarebbe passata e mi prese in braccio con una facilità assurda. MI portò dentro una catapecchia abbandonata e mi posò su un giaciglio faccio di stracci ammassati. “Tu dormirai qui e io dormo qua.” Indico una massa di foglie dall’aria molto scomoda. “ Se vuoi posso farmi piccola piccola cosi che tu possa dormire con me. Quelle foglie non hanno un’aria comoda…”. Una scusa peggiore non potevo inventarmela. La verità era che non volevo che mi rilasciasse da sola in balia della volontà della città. Lei capì cosa intendevo e si accoccolo vicino a me, stringendomi a se fino ad arrivare ad un soffio dal mio viso. Ricominciò a cantare quella ninnananna dolce -nel tentativo di farmi addormentare-. Mi persi nelle note che aleggiavano nell'aria libere tanto che sorrisi beata come non facevo da tempo. Infilai la testa nell’incavo tra il giaciglio e la sua testa e mi strinsi ancora di più a lei, addormentandomi.


***
Una storiella che avrà capitoli del genere perchè non ho voglia di scrivere una storia lunga ;)
Spero vi piaccia e aspetto soprattutto le critiche :*
byebye
   
 
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