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Autore: Blackvirgo    03/06/2009    2 recensioni
C'è una guerriglia che ormai diventa guerra. Ci sono due amiche che chiacchierano: una racconta una leggenda, l'altra ascolta. Poi ricorda.
Ambientazione nei Forgotten Realms.
Partecipa a Temporalmente, iniziativa del sito I Criticoni.
Genere: Malinconico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Laflihn Caelesti'
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"Sometimes I feel I'm gonna break down and cry."
(Living on my own – Freddie Mercury)
 

“È una bella storia, Ehrunn Ariaer. Una bella storia davvero,” aveva commentato Laflihn Caelesti, con l’animo sereno, cullata dalla voce dolce dell’amica.
A Laflhin Caelesti piaceva ricordare quell’episodio.
Avevano camminato nel Bosco della Luna, a nord di Quaervarr, verso quel luogo sacro e solitario che era la Gola del Canto e, una volta arrivare, si erano sedute a riposare, guardando il cielo azzurro e freddo di quel mattino di primavera. Forse era l’influsso della benevola Eilistraee, patrona del luogo, oppure era semplicemente il fato che aveva deciso di dar loro un momento di pace, ma a entrambe parve di essere lontanissime da quella guerriglia che, lentamente e inesorabilmente, stava sfociando in guerra aperta. Il Bosco della Luna non era più un posto pacifico e forse non lo sarebbe mai più stato, non da quando il Popolo del Sangue Nero – maledetti seguaci di Malar – avevano deciso di mondare la foresta da ogni forma di vita civile.
La giovane elfa, Laflhin, esploratrice e messaggera di professione, aveva pensieri cupi: i loro nemici – per lo più licantropi – si stavano trasformando, stavano evolvendo oltre la loro natura animalesca. Avevano smesso di essere solo bestie sanguinarie con barlume di umanità, ora sembravano uomini bestiali che univano l’intelligenza alla brutalità e questo li aveva fatti diventare più pericolosi. Molto più pericolosi.
Ehrunn aveva preso la sua arpa, l’aveva accarezzata come fosse un gatto,  ne aveva sfiorato le corde e aveva lasciato alcune note cristalline aleggiare nell’aria. E, fra le note leggiadre, le aveva raccontato una storia: la leggenda della nascita dei primi licantropi. Era stata Selune stessa, dea della luna e delle fasi della vita, a scendere su Toril e a creare i mannari, narrava Ehrunn la mezzelfa, con lo sguardo perso nel vento. Lo aveva fatto per salvare alcuni bambini elfi, sottratti da una sacerdotessa dal massacro a cui era andato incontro il resto della loro clan. Era morta invocando la sua dea, la coraggiosa sacerdotessa, aggiungendo il proprio sangue alle sue parole perché queste potessero attraversare piani di spazi e tempi sconosciuti senza perdervisi. Selune, che da sempre osservava ciò che accadeva su Toril, aveva sentito e  aveva risposto:  nelle vesti di una giovane dama d’argento vestita, era scesa in tempo per vedere esalare l’ultimo respiro alla sua devota e per prendere sotto la propria protezione i tre fanciulli. Visse così, fra i mortali, per qualche tempo, e quando, come ogni mese, si stava accingendo a morire per poi rinascere, il suo cuore era pesante al pensiero di lasciare i piccoli da soli. Fu così che decise di donare loro la capacità di vivere nelle terre selvagge, come animali: diventarono lupi, nella forma e nel pensiero, ma senza perdere mai la propria coscienza, senza mai dimenticare di essere elfi, di essere prediletti di Selune. Di aver ricevuto un dono prezioso e non una maledizione. E da allora questi lupi portarono su di loro il marchio della dea in due modi: il loro manto era candido come la luce della luna e solo l’argento, metallo sacro a Selune, da allora diventò sempre l’unico materiale in grado di ferirli.
“Difficile pensare che quei bambini abbiano dato origine a una discendenza tanto maledetta e sanguinaria,” aveva commentato ironicamente Laflihn, riemergendo dal racconto. Aveva lo strano potere di portare i suoi ascoltatori dentro le storie che raccontava, Ehrunn, di farle vivere loro, di farle sentire, vedere.
La narratrice aveva scosso la testa con tale vigore da far sorridere Laflihn: “I lythari sono discesi da quei bambini, Laflhin! I lyhtari! I licantropi del Sangue Nero sono solo la sanguinaria imitazione che ne hanno fatto Shar, la dea dell’Ombra, e Malar il Predatore, non sono sicuramente figli di Selune!”
Aveva una voce splendida, Ehrunn. Era una mezzelfa, cresciuta tra Quaervarr e gli elfi del Bosco della Luna: non spiccava per la sua bellezza o per le sue qualità guerriere, ma appena apriva bocca non potevi fare a meno di fermarti ad ascoltarla, inebriato dalle sue parole – parlate o cantate che fossero.

“È una bella storia, Ehrunn Ariaer. Una bella storia davvero,” pensava amaramente Laflihn Caelesti, mentre si preparava a partire per tornare a Quaervarr. Aveva lasciato il villaggio qualche decade prima su richiesta della druida Amra Clearwater: avrebbe dovuto andare a Silverymoon per trovare tracce di Erhunn e di suo fratello Frale, partiti mesi prima per “trovare notizie di fondamentale importanza per la guerra contro il popolo del Sangue Nero”. Questo aveva detto la druida e questo aveva fatto Laflihn, assieme alla sua compagna di viaggio: aveva battuto metà delle Marche d’Argento cercando informazioni sul gruppo di avventurieri a cui si erano uniti i due ragazzi. La sera prima li avevano finalmente trovati nella vecchia locanda di High Hold. Solo gli avventurieri, però. Erhunn e Frale erano morti.
La notizia l’aveva addolorata in molti modi. In primo luogo aveva perso una buona amica. In secondo luogo avevano perso la possibilità di ottenere informazioni vitali per quella maledetta guerra. Il Popolo del Sangue Nero aveva giurato di distruggere ogni forma di civiltà all’interno del Bosco della Luna e ci stava riuscendo perfettamente. Quelli erano i momenti in cui aveva voglia di mollare tutto, di crollare e di piangere. Erano i momenti in cui – quando si trovava da sola, fra i suoi alberi – si metteva a correre nella libertà delle foreste e sfogava la sua disperazione cercando di ritrovare il motivo della sua vita vagabonda, del rischio continuo a cui si sottoponeva, a cui quella logorante guerriglia costringeva tutti loro. Quella notte non poteva scappare. Quella notte di luna calante era fatta per piangere lacrime amare: di amarezza, di tristezza, di sconforto, chiusa nella piccola stanza di una locanda. Lacrime per chi aveva finito di combattere e per coloro a cui non restava altro da fare. Se le asciugò con il dorso della mano, quelle lacrime salate, alzandosi in piedi e guardando quello spicchio di luna ormai pallido.
“È una bella storia, Ehrunn Ariaer. Una bella storia davvero,” commentò a voce bassa, piena di nostalgia. E si chiese se mai la sua amica avesse avuto l’onore di incontrare un lythare invece di licantropi troppo intelligenti per essere bestie, troppo sanguinari per essere umani.

 

Note dell’autrice e disclaimer: Toril e il Faerun, le divinità e le razze qui nominate appartengono all’ambientazione di Gioco di Ruolo dei Forgotten Realms, della Wizards of the Coast.
I personaggi e la storia (leggenda dei licantropi compresa!) appartengono a me. Nella fattispecie, entrambi i personaggi sono stai miei PG.

   
 
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