Epilogo
Derek un
giorno lo chiamò all’improvviso, un giorno poco prima della cerimonia dei
diplomi, ed il cellulare squillò per quasi trenta secondi.
Stiles era
con la testa per aria, completamente sommersa dalle nuvole e così concentrata
nel pensare ad altro tranne che a quello,
che tentò di estraniarsi dal mondo in ogni modo possibile.
Le cuffie
erano ben inserite nelle orecchie e la musica era ad un volume eccessivamente
alto, con le stesse canzoni selezionate, le più rumorose, che si ripetevano in
un ciclo infinito ed intorno a lui, sul letto, erano sparsi libri di ogni
argomentazione; non doveva nemmeno più studiare, le varie prove e i test erano
terminati, ma non riusciva a smettere di consultarli. Si portava avanti per il
futuro, era quella l’unica scusa che si propinava.
Quando notò
il piccolo oggetto tutto schermo che si illuminava e vibrava, con tanto di nome
di Sourwolf che lampeggiava emergendo
al suo centro, si strappò gli auricolari e lì gettò di lato insieme al suo
iPod, senza nemmeno mettere in pausa la musica o spegnerlo. Si fiondò per
prendere lo smartphone e pigiò in fretta e con mani tremanti la scritta rispondi, ricevendo dall’altra parte un
pesante respiro.
Stiles non
perse tempo neanche con il convenevole pronto,
che non gli serviva minimamente, o con un saluto di circostanza, un ehy sbiadito, e
da quell’unico respiro capì tutto quello che il lupo voleva dirgli.
Terminò la
chiamata senza proferire parola e si premurò soltanto di indossare le scarpe,
afferrando i mazzi di chiavi di casa e dell’auto e teletrasportandosi
in essa, facendola partire al volo ed infischiandosene dei limiti di velocità –
nessuno gli avrebbe abolito quella multa meritata.
Si precipitò
a Villa Hale senza salutare la famiglia, trovandosi Cora ad aprirgli la porta e
Malia sulle scale, non salutò nemmeno loro e le ragazze non proferirono parola.
Derek era al
centro del soggiorno, lì dove vi era un tavolo circolare, ricoperto di carte e
lettere di accettazione. Il mannaro le aveva aperte tutte da solo e soltanto
dopo si era preoccupato di informare il sedicenne.
Ma quella
lettera, proprio quella, era diversa da tutte le altre. Era La lettera, quella
che stavano aspettando entrambi, quella che Derek aveva imbucato per prima
l’anno precedente, quella per cui si era deciso ad impegnarsi sul serio, a
mettercela tutta ed a tentare ogni strada per poter accedere proprio al nome
stampato a caratteri cubitali sulla busta.
Era l’unica
lettera per cui avrebbe aspettato Stiles.
«È arrivata» proferì il figlio dello sceriffo con un groppo alla gola e
quella facciata di entusiasmo. Era troppo confuso per capire cosa provasse
realmente, qualunque fosse stata la risposta, avrebbe passato comunque due anni
lontano da Derek ed era un’idea insopportabile. Ma sarebbe stata peggiore se il
verdetto fosse stato negativo e qualora fosse stato l’esatto contrario, toccava
a lui mettercela tutta per raggiungerlo settecentotrenta
giorni dopo – erano davvero troppi se doveva immaginarli senza di lui.
Derek lo sentì appena, un mormorio poco distinto, ma tutta l’ansia e
l’agitazione di Stiles poteva sentirle bene, con molto altro ancora, ma era
troppo concentrato sulla busta ancora sigillata per poter agire in qualche
modo, tranquillizzarlo e stringerselo contro – ora che poteva, ora che poteva
essere suo in ogni modo possibile.
Stiles si
avvicinò un po’, prima piccoli passetti quasi accennati e poi una timida
falcata che lo portò vicino al suo corpo, sfiorandogli il braccio e poggiandovi
sopra la mano sinistra, quella che soggiornava sul tavolo e da cui emergeva
l’anello che una volta gli era appartenuto, la propria, dove figurava lo stesso
oggetto di cui Derek era il precedente proprietario; il mannaro l’accolse
subito. «Derek».
Il mutaforma fece un unico cenno col capo, del tutto impercettibile,
riconoscendo appieno il calore dell’umano che gli invadeva i tessuti e la forza
che gli trasmetteva. Strappò la busta con un artiglio ed aprì la lettera in un
unico gesto, con Stiles che si appiattiva a lui per sbirciare meglio.
Il figlio dello sceriffo soffiò stremato e più leggero alla base del suo
collo, poggiando la fronte proprio lì e curvando le labbra direttamente sulla sua
pelle. «A quanto pare dovrò mettermi d’impegno».
Derek la rilesse soltanto un’altra volta, giusto per accertarsi di aver
compreso appieno il significato di quelle parole e che le emozioni contrastanti
che gli vivevano dentro non avessero contribuito a creare un brutto scherzo,
anche se la reazione di Stiles aveva sopperito a qualsiasi incomprensione –
Stiles era sempre stato più veloce di lui a leggere. Gli riprese la mano
sinistra tra la propria e fece intrecciare le loro dita. «Sei ancora libero».
«Non ti arrendi mai» Stiles non apprezzava quel suo modo di fare, quel modo
in cui Derek lo metteva su un piedistallo, girandoci intorno e volendo solo il
meglio per lui, infischiandosene di se stesso e sacrificandosi. Derek per
Stiles avrebbe rinunciato al mondo intero, ma era del tutto contrariato che
l’umano facesse la medesima cosa. «Ne abbiamo già discusso, tu andrai a New
York e tra settecentotrenta giorni ti raggiungerò».
Il licantropo lo guardò intensamente, inchiodando le iridi di giada in
quelle d’ambrosia. «Li hai già contati?».
Stiles si strozzò con la sua stessa saliva, avvampando come un pomodoro ed
imbarazzandosi oltre l’inimmaginabile. «Non proprio. Insomma, è un conto
facile, considerando che l’anno è composto da trecentosessantacinque giorni – trecentosessantasei nell’anno bisestile – e tu sei due anni
avanti a me e forse sembrano di meno da dire due anni, anche se settecentotrenta è un numero immenso e-» non ebbe mai modo
di finire quel suo sproloquio incontrollato, quel mucchio di parole messe a
caso una dopo l’altra, impilandole in un ordine che capiva soltanto lui; Derek
l’attirò immediatamente a sé e lo incatenò in un bacio mozzafiato,
sottraendogli tutto l’ossigeno ed impedendogli di proferire qualsiasi parola
che riempisse il vuoto e che cercasse solo di salvargli la faccia. Stiles era
perduto da molto tempo prima.
«È una battaglia già persa in partenza con te» dichiarò il lupo sulle sue
labbra, addentandogli quello inferiore per dispetto e tirandoglielo per
sottolineare il concetto. Ma poi gli schioccò un nuovo bacio a cui Stiles non
mancò di rispondere.
«Quindi andiamo a New York?» aveva un altro sapore adesso quel plurale,
quella promessa che doveva strappargli perché tu sei il mio cammino, Stiles; ma io non sono il tuo. Derek gliele
proponeva spesso quelle parole quando era troppo agitato e lo rimproverava
perché non poteva accettare che il mannaro gli dedicasse tutta la sua vita, ma
non gli era permesso fare lo stesso. Come se tutta la fatica dovesse farla
soltanto il lupo completo, rimanendogli fedele sempre e senza inciampare,
mentre lui poteva agire come meglio credeva, inseguendo i suoi sogni e
lasciando tutti gli altri indietro; lasciando Derek indietro. Era soltanto uno
stupido se quel lupastro acido pensava di avere a che
fare con quel tipo di persona; Stiles non l’avrebbe lasciato mai. Era
impensabile e fuori discussione.
Derek in tutta risposta lo rincatenò a sé e Stiles fu completamente perduto
in quel nuovo bacio che gli comunicava ogni cosa. Sì, andiamo a New York.
Andava tutto bene fino a quel momento.
«Mi manchi» disse quando sentì il respiro di Derek rispondere al telefono,
senza permettergli di emettere alcun suono e comunicandogli all’istante come stesse
in quel momento, l’assenza che gli vorticava dentro e la certezza che fosse
troppo presto per poterla colmare.
«Sono via da soli due giorni, Stiles» proferì pragmatico il lupo, alzando
gli occhi verso l’alto.
«Mi manchi lo stesso» sottolineò con cocciutaggine l’umano, ribadendo il
concetto e facendogli sentire quanto fosse vero. «Non manco anche a te?».
«Ero preparato» per due anni aveva considerato quella prospettiva, la
consapevolezza che non avrebbe potuto incrociare Stiles nemmeno per sbaglio, la
sicurezza che non avrebbero coabitato nella stessa città ed il tormento che
soltanto, e con tutte le parti del corpo incrociate, durante il suo terzo anno
avrebbe potuto vedere per caso il suo viso o la sua figura che sfrecciava tra i
vari campus, fiondandosi in numerose aule e tentando di seguire più corsi
possibili. Sarebbe stato estenuante cercare di stargli dietro ed il suo unico
desiderio era tentare di rimanere ad un passo dalla sua orbita, senza che
Stiles avesse mai saputo della sua presenza e del suo interesse.
«Non è una risposta, Der» precisò con la sua
esuberanza, la voce calda e sapiente, la stessa che sembrava conoscerlo così
bene. «E adesso è diverso».
Derek dovette soppesare quelle parole, assaporarle e tentare di estrarre
ogni significato possibile. Era diverso? Era qualcosa che non si era mai
aspettato, qualcosa su cui non aveva mai fantasticato ed a cui non avrebbe mai
ambito. Era enormemente diverso, era qualcosa che andava oltre ogni sua
immaginazione. «Sì, lo è».
«Ti amo» dichiarò Stiles in uno slancio, percependo appieno cosa fosse
contenuto in quelle poche e piccole parole, il tono profondo e pieno dell’amore
che Derek provava per lui, quello che esternava attraverso una chiamata
strappata a mille mila chilometri – 3.886,62 km, per l’esattezza –, mentre
probabilmente si stava ancora ambientando e trafficava per mettere a posto il
suo nuovo appartamento – uno tutto suo.
«Ti amo anch’io» era preparato ad aspettare per due anni il suo arrivo, a
scorgerlo tra i corridoi o alla caffetteria al suo terzo anno, era preparato a
contare i giorni che li separavano, lontano da lui, senza che Stiles sapesse
cosa provasse, senza che lo conoscesse o avesse cognizione della sua persona;
era preparato a non essere nulla per Stiles, ad amarlo in silenzio e
limitandosi a guardarlo da lontano, come aveva già fatto. Ma non era preparato
allo stravolgimento della sua vita, alla consapevolezza che quell’attesa e
quella separazione dovessero viverla in due, contando i mesi, i giorni e i
secondi separati l’uno dall’altro.
Non era preparato a condividere e sopportare la distanza reciproca, mentre
l’altro si trovava nella stessa identica condizione e non era preparato a
sentirsi dire di essere amato dall’altro capo del telefono, a chilometri e
chilometri di distanza, dallo stesso ragazzino che aveva aspettato nella sua
solitudine silenziosa.
Stiles curvò le labbra verso l’alto, in un sorriso pieno e traboccante di
felicità, perché era sempre dannatamente bellissimo sentirselo dire, ogni
singola volta. «Sono soltanto settecentoventotto
giorni».
Era una vittoria, microscopica, ma Derek sapeva quanto per Stiles fosse
importante il trascorrere del tempo, la vicinanza, enormemente lontana, del
traguardo che incombeva su di loro e che dovevano combattere ed affrontare insieme.
Sarebbe stato difficile, massacrante e sfiancante, sarebbero inciampati per poi
aggrapparsi l’uno all’altro ed avrebbero dovuto semplicemente aspettare che i
due anni scadessero, intervallati dagli unici momenti in cui potevano
incontrarsi faccia a faccia, affrontando le sette ore di volo che si
frapponevano tra loro. «Tornerò il prima possibile» avrebbe strappato ogni
minuto concesso per passarlo insieme a Stiles.
«Sourwolf, allora senti la mia mancanza» ammiccò sopraffina la volpe che
sogghignava dalla parte opposta della telefonata e Derek odiava quando riusciva
a trionfare, strappandogli la vittoria con scaltrezza. Ma in realtà non poteva
fare diversamente, e volente o meno, il suo lupo sarebbe sempre stato messo nel
sacco dalla sua volpe.
Esattamente dopo soli quattro giorni, Derek era di nuovo sul suolo della
calda California, davanti alla porta di Stiles a sfatare quanto in realtà
avesse sentito la sua mancanza.
«Sei appena diventato il mio numero
amico» rivelò con esaltazione uno Stiles che smanettava eccessivamente con
il cellulare, provando ad utilizzare le nuove opzioni attivate e studiando il
piano tariffario con più cura, leggendo anche le righe più piccole ed
insidiose.
«Amico?» domandò poco entusiasta il lupo dall’altro capo del telefono,
calcando dispregiativo quella parola.
«Sì, insomma- oh…» l’umano impiegò un momento di troppo per comprendere cosa
desse fastidio a Derek, il tono cupo che aveva usato e l’inclinazione
disturbata che aveva preso. «È solo un optional della mia nuova tariffa. Non
esiste il numero fidanzato o il numero del tipo che sta dall’altra parte del
paese o il numero del lupo brontolone
e musone».
«A cosa ti serve una nuova tariffa?» domandò il mannaro con diffidenza,
ignorando il fiume di parole privo di logica del diciasettenne.
«Sul serio, sei arrabbiato per questo?» chiese con sbigottimento il
liceale, allontanando lo smartphone dall’orecchio per osservare la schermata
luminosa da cui emergeva a grandi lettere il nome del licantropo, con il
contatore dei minuti e secondi che andava avanti. «È solo uno stupido nome. Va’
a lamentarti con i gestori telefonici e fattelo cambiare».
Derek sbuffò scocciato dall’altra parte, battendo un piede per terra. «Non
sono arrabbiato».
«Sì che lo sei» affermò con convinzione il figlio dello sceriffo,
buttandosi a peso morto sul letto sfatto e passandosi una mano sul viso,
esausto. «Dio, Derek, è già difficile così, se reagisci in questo modo non
aiuti nessuno dei due».
«Mi dispiace» nel suo modo burbero e diretto, era sincero ed era
consapevole di quanto la loro situazione fosse difficile e complicata, di come
la distanza, in particolari occasioni, li opprimesse e li facesse scattare per
ogni singola fesseria.
Erano passati a malapena due mesi ed a loro apparivano come decenni, per
quanto continuassero a tenersi in contatto ogni giorno e le visite improvvisate
di Derek, a volte non bastavano a colmare la discrepanza e l’uno continua a
commettere piccoli passi falsi che l’altro doveva puntualmente correggere, per
evitare che si perdessero.
Stiles sospirò e piegò le gambe sul materasso, gettando un’occhiata alla
mano che gli copriva gli occhi e da cui troneggiava in bella vista l’anello che
una volta apparteneva a Derek e che era diventato successivamente di sua
proprietà, l’anello che sanciva il loro essere una coppia. «Volevo soltanto poter
chiamare l’uomo che amo in qualsiasi momento, stare per ore al telefono con lui
senza preoccuparmi della bolletta. È l’unico modo che ho per sentirti».
«Lo so» affermò il diciannovenne con voce calda ed inebriante, abbracciando
tutta l’essenza di Stiles. «Ma per me non è mai stato un problema, posso
rispondere ad ogni tua esigenza».
Stiles storse il naso, borbottando infelice. «Vuoi mantenermi a vita?».
«No» rispose prontamente il lupo mannaro, anticipandolo. «Mi manderesti sul
lastrico» e non l’accetteresti mai.
Stiles soffocò una risata fintamente offesa, soffiando come un gatto
maltrattato. «Antipatico».
Derek curvò appena le labbra nel momento in cui sentì la risata trattenuta
dell’umano, la voce era più colorata e viva ed era così da Stiles che era
incredibilmente doloroso poterla sentire attraverso un microfono, tra
interferenze e chilometri che si susseguivano tra loro. Era estremamente
difficile non essere lì con lui, non poterlo toccare e farlo tacere a suon di
baci. «Quindi, hai un numero amico».
Il tono era diverso adesso, più rilassato e la parola amico sembrava aver perso quella valenza ostica che Derek non
riusciva proprio a digerire, era più piacevole e gli stava dando una
possibilità. «O sì! Posso chiamare in qualsiasi momento, sia di giorno che di
notte, pagando un abbonamento mensile che rimane invariato – insieme a molto
altro – e sono illimitate. Derek, chiamate illimitate!».
«Sono già pentito della tua scelta» affermò il lupo già stremato ed
orripilato, aprendo e chiudendo la punta di una penna a sfera. «Ritorna alla
vecchia tariffa».
«Mostro!» esclamò teatralmente ferito, cullando lo smartphone e
rassicurando il suddetto numero amico,
per niente intenzionato a metterlo via.
Le giornate di Derek sarebbero state più chiassose che mai, ma lui le
trovava splendide ed insostituibili.
«Ho riflettuto su una cosa» rivelò Stiles di punto in bianco, a metà di una
delle loro conversazioni telefoniche – conversazioni che venivano tenute
insieme proprio da lui, mentre Derek si limitava a snocciolare poche parole e
ad ascoltarlo –, distaccandosi dall’argomento madre.
«Non è mai un buon segno» ironizzò il lupo mannaro, per niente
impressionato dalle sue uscite e dalla capacità straordinaria dell’umano di
ingarbugliare più argomentazioni possibili, passando dall’una all’altra e
ritrovando sempre il filo del discorso.
«Simpaticone» lo schernì bonariamente, impossibilitato ad ignorare i suoi
commenti affilati.
Derek lo sentì trattenersi, non sbilanciandosi ed evitando di proferire
qualsiasi parola casuale; nemmeno quello era un buon segno, ma lo era ancor di
più quando Stiles non proferiva nulla, mordendosi le labbra come per ammonirsi
e senza sapere bene se fosse il caso di dare voce ai propri pensieri o di
tenerli per sé. «Parla» a Derek serviva una mezza parola per calmarlo e fargli
capire che poteva sommergerlo di tutto quello che voleva, che avrebbe prestato
orecchio, senza mai smettere di ascoltarlo.
Stiles prese un profondo respiro, emettendo un mezzo singulto mal celato e
mordendosi un angolo della bocca per darsi più coraggio e spinta. «Potrei
diplomarmi in anticipo».
Il silenzio cadde immediatamente su di loro, come una lama affilata che
poteva trafiggerli in qualsiasi momento; la spada di Damocle che incombeva su
di loro.
«Stiles» lo richiamò all’ordine il mannaro, per nulla propenso a quella
proposta.
«Posso farlo. Ho buoni voti e posso impegnarmi tranquillamente per riuscire
a diplomarmi quest’anno. Devo mandare la richiesta entro un paio di giorni,
affiancandola all’iscrizione ed è fatta» disse tutto d’un fiato, evitando che
il mannaro potesse interromperlo in qualsiasi momento e non permettergli di
presentare il quadro generale.
«So benissimo che puoi, ma non devi farlo» dichiarò imperativo il
diciannovenne, conoscitore delle doti straordinarie dell’umano e della sua
capacità di portare a compimento qualsiasi progetto.
Stiles tentennò un momento, rimanendo in attesa e cercando di regolare il
respiro che andava di pari passo con il muscolo cardiaco che non annunciava a
rallentare. «Non mi vuoi lì?».
Quel tono di voce così addolorato ed insicuro era tra i suoni più terribili
che Derek avesse mai udito e non aveva nulla da spartire con il suo ragazzino
spumeggiante. «Certo che sì. Vorrei che tu fossi qui» dichiarò senza
tentennamenti, massaggiandosi le tempie ed adocchiando l’anello che
condividevano, l’unica cosa solida che gli era permesso toccare a così tanta
distanza. «Non immagini neanche quanto, Stiles».
Il fiato gli si incastrò in gola e gli occhi ambrati presero a pizzicare
minacciosamente, il cuore batteva ancora velocemente, ma ad un ritmo scostante
ed intenso. «Ma?».
«Goditi i tuoi ultimi due anni, vivili con i tuoi amici e passa più tempo
possibile con tuo padre» articolò il lupo, meticolosamente e con attenzione
morbida, accarezzandogli i timpani. «Lavora alla tua domanda come vorresti che
fosse, senza accelerare e perderti, raccogli tutti i crediti che ti servono.
Raggiungi il risultato a cui punti, non correre. Non hai alcun motivo per
correre, perché sarò sempre qui ad aspettarti».
Stiles si sentì morire dentro, come ogni volta che Derek usava quel tipo di
parole con lui, tutte quelle volte che gli dimostrava cosa provasse e quanto lo
amasse, perfino nelle piccole cose. Ma quelle non erano piccole e Derek voleva
soltanto che lui si godesse ogni attimo della sua adolescenza, che vivesse
quegli ultimi anni di liceo come un normale studente, procedendo passo passo ed evitando di trovarsi con l’acqua alla gola.
Godersi il suo ultimo anno insieme ai suoi migliori amici, senza trascurarli e
lasciarli indietro prima del tempo, per raggiungere un uomo che comunque
avrebbe camminato al suo fianco. «Quindi tu puoi sacrificarti per me, ma io non
posso fare lo stesso».
«Ho scelto questo percorso tempo fa» era il suo modo di dire sì, esattamente, ma era incredibilmente
vero. Derek aveva fatto le sue scelte fin dal primo momento in cui aveva messo
gli occhi su Stiles e più l’ascoltava ed apprendeva chi fosse, più era disposto
a seguirlo in capo al mondo, ad aspettare finché ce ne sarebbe stato bisogno,
ad attendere che lo sfiorasse appena, in modo del tutto casuale – si era
innamorato dell’astronomia dopo che aveva studiato il programma dell’Hofstra University, il college
che Stiles tanto amava, quello a cui puntava. Si era innamorato dell’astronomia
perché si era innamorato di Stiles Stilinski.
Ma Derek aveva ottenuto molto più di quello e non faceva che crescere ed
aumentare ed andava oltre qualsiasi immaginazione.
Stiles sospirò ed avrebbe voluto ribattere, dirgli che hai scelto senza di me, rinfacciargli in modo crudele quanto
l’avesse tagliato fuori, buttargli addosso tutto il rancore che quella distanza
stava facendo nascere ed inveirgli contro perché l’aveva lasciato lì, a contare
i giorni separato da lui. «Voglio solo stare con te» ma se ne sarebbe pentito
ed avrebbero litigato, non si sarebbero parlati per giorni, forse per
settimane, e sarebbe stato estenuante e distruttivo, li avrebbe ridotti a
pezzi, senza sapere come e chi avrebbe dovuto rimediare per primo. Non ne
sarebbe uscito nulla di buono. E qualcuno, ad un certo punto, avrebbe preso il
primo aereo per raggiungere l’altro.
«Sono qui, Stiles» proferì con voce calda e familiare, un toccasana per i
nervi provati dell’umano, liberandogli l’animo ferito. «Non vado da nessuna
parte».
«C’è la luna piena» non era un segreto o qualcosa di inaspettato, ma era
quasi diventata una frase di rito ed in quel momento era piena di malinconia e
nostalgia.
Stiles era in piedi davanti alla finestra a ghigliottina, a scrutare la
notte dal vetro chiuso ed aveva appena accantonato i libri, terminando di
studiare; non aveva nemmeno guardato a che ora fosse giunto ed aveva lanciato
una sola occhiata all’imposta, trovandola scura ed illuminata dal satellite, ed
aveva afferrato il cellulare buttato tra le coperte, spostando le lenzuola e
facendo partire la chiamata rapida.
«Sì» proferì con voce arrocchita il lupo mannaro, stringendosi tra le sue
coltri.
«È così bella anche lì?» domandò il diciasettenne ammaliante e con
curiosità celata, fissandola intensamente.
«Sì» Derek non aveva bisogno che Stiles gliela descrivesse, gli elencasse
passaggio dopo passaggio come si presentava a lui, quanto fosse brillante e
luminosa, senza alcun ostacolo che potesse nasconderla. Derek sapeva
esattamente a cosa si riferisse.
«Ti ho svegliato? Scusa, continuo a dimenticarmi la storia del fuso orario»
il figlio dello sceriffo impiegò più del solito a comprendere in che stato si
trovasse il licantropo – la sua capacità comunicativa non era delle migliori,
ma non sempre l’umano capiva tutto da una singola sillaba, soprattutto se aveva
la testa altrove –, e l’effettivo orario che aveva raggiunto senza scollarsi
dai libri. Erano le undici di sera e per Stiles erano bazzecole, anche se il
troppo studio portava a spossarlo un po’, ma voleva sentire Derek ed era
importante farlo, lo era molto di più in quella serata specifica. Ma a New York
erano le due di notte e c’era la luna piena alta nel cielo.
«Ero sveglio» dichiarò con tranquillità, rigirandosi tra le coperte e
portandosi nella direzione da dove poteva guardare la sfera d’argento.
A prescindere da qualsiasi situazione, Derek tendeva a lasciare il
cellulare acceso tutta la notte per le emergenze e per Stiles, anche se
quest’ultimo non aveva ancora compreso se facesse parte delle emergenze o fosse
qualcosa di a sé stante. Forse era entrambe le cose. «Come va?» chiese
automaticamente, quando realizzò il perché il mannaro fosse ancora sveglio.
«Procede» disse il diciannovenne con nessuna sfumatura nella voce,
stringendo forte il cuscino sotto di sé. Derek sapeva controllare la sua forma
da licantropo perfettamente, aveva imparato anni prima ed aveva dovuto
rimparare, in circa sei mesi, con il lupo completo che viveva in lui e
difficilmente sfuggiva dalla sua presa; ma la luna poteva sentirla comunque,
chiamarlo e risvegliare la sua natura ed i suoi istinti primordiali. Anche a
distanza di tempo era sempre difficile riuscire a resisterle e lontano dalla
sua Alpha lo era ancora di più. Ma al mannaro non importava nulla di tutto
quello e quelle sottigliezze poteva compensarle tranquillamente, senza alcun
problema; era qualcos’altro che non avrebbe potuto mai sostituire.
Negli ultimi anni era stata la presenza di Stiles a colmare tutto ciò che
aveva dentro – prima che irrompesse nella sua camera dopo una notte passata al
gelo su un tetto –, portandolo a sviluppare un autocontrollo del tutto nuovo e
l’àncora più forte che avesse mai avuto e precisamente un anno prima, aveva
passato quasi ogni luna piena proprio con l’umano, abbandonato nel suo letto e
stretto a lui. Nel suo nuovo appartamento non possedeva nemmeno una scia
sbiadita ed appena accennata del suo odore che lo calmava in quelle notti
difficili; viveva soltanto con il suo pensiero nella testa e la sua àncora che
si ripeteva in continuazione – che erano praticamente la medesima cosa.
Stiles inspirò piano, accennando una carezza affettuosa al davanzale della
finestra ed allontanandosi da essa, per rifugiarsi tra le coperte del proprio
letto; nessuno sarebbe più entrato da lì, finché Derek non sarebbe tornato,
saltuariamente. «È in queste notti che avverto di più la tua assenza» era
doloroso e sfuggente ed a volte faceva così male che doveva ripiegarsi su se
stesso, accucciandosi sul bordo del letto attaccato al muro ed abbracciare, per
quanto gli era possibile, l’anello d’argento che portava sull’anulare sinistro,
l’unico oggetto tattile che gli faceva sentire la sua presenza, che gli urlava
la sua esistenza e che manteneva parte del suo calore. Insieme a quello,
indossava sempre una maglia in disuso di Derek, che abbandonava lì nelle sue
visite più inaspettate e vicino al cuscino vi era il libro sulla licantropia
che sua madre gli aveva regalato anni prima e che Derek aveva fatto rilegare,
donandogli una nuova vita.
«Ti ho abituato male» ironizzò il mutaforma con abile maestria, sottile ed
innocua, una puntina che nessuno poteva percepire, curvando verso l’alto un
angolo della bocca.
«Derek» lo richiamò in un rimprovero bonario, gonfiando appena le guance e
sbuffandogli contro.
Le labbra del lupo si distesero in un sincero sorriso, figurandosi
perfettamente l’immagine e amava davvero tanto le sue reazioni, quelle
infantili e tipiche di Stiles, quelle che lo rendevano unico davanti ai suoi
occhi. «Vale anche per me, Stiles».
A Stiles mancò il fiato per un momento lungo più di un minuto e si sotterrò
sotto le lenzuola, ricoprendosi fin sopra alla fronte e stringendo il cuscino
che cedeva perennemente a Derek – non era per niente un valido sostituto. «Puoi
restare al telefono finché non mi addormento?».
«Sì» rispose immediatamente il mannaro, senza rifletterci minimamente. In
qualunque situazione era Stiles a crollare prima tra i due e Derek si lasciava
cadere nel sonno accompagnato dal respiro regolare dell’umano; era qualcosa che
funzionava straordinariamente bene. Non c’entrava affatto il suo assecondarlo
sempre e l’abitudine che aveva di viziarlo. Serviva ad entrambi, dovevano
sentirsi, soprattutto nelle notti di plenilunio.
Quando Stiles raggiunse le braccia di Morfeo e dall’altoparlante provenne
solo il suo respiro sereno, Derek interruppe la chiamata, raggiungendolo poco
dopo.
Da quella notte si creò una nuova abitudine, una che prendeva vita durante
l’apparizione della luna piena, una che portarono avanti nei due anni
successivi, finché Stiles non sarebbe stato con lui in carne ed ossa.
«Quando è arrivata?» domandò Derek immediatamente, prima che Stiles, una
volta risposto alla chiamata, potesse proferire qualsiasi parola, anticipandolo
sul tempo e deviandolo.
«Che cosa?» chiese a sua volta il figlio dello sceriffo, guardando di
sbieco lo smartphone e scrutandolo guardingo, come se potesse tirargli fuori la
risposta che gli serviva.
«Stiles» chiamò soltanto con un tono che non ammetteva repliche né perdite
di tempo, volendo giungere subito al dunque.
«Come puoi saperlo?» domandò allora il diciottenne, comprendendo appieno
l’antifona e riconoscendo la modalità della voce usata.
«Malia» rispose semplicemente il mutaforma, come se fosse la cosa più ovvia
del mondo.
«Malia?» gli fece eco Stiles interrogativo e con una leggera totalità di
isteria che prendeva mano a mano vita. «Come può Malia esserne venuta a
conoscenza?».
«Non lo sa, infatti» disse sbrigativo il ventenne, annoiato da quella
puntualizzazione e dall’abilità dell’altro di allontanarsi dall’argomento di
cui dovevano trattare. «Ha solo sentito il tuo odore cambiare e non le è
piaciuto, ho solo tirato le somme».
«Ed è subito corsa da te?» chiese in un’esclamazione, con acidità e
secchezza, stringendo con rabbia il cellulare.
«Stiles, è solo più sensibile di tutti noi e ci tiene molto a te, non
arrabbiarti con lei» gli ricordò, riprendendolo al volo, anche se fosse ben
consapevole che non avrebbe dovuto farlo, ma in quel momento nella mente di
Stiles c’era il caos e l’incertezza; sapere di essere stato controllato, anche
se era stato istintivo, non era qualcosa che apprezzava particolarmente,
soprattutto in quell’occasione.
Stiles sospirò esausto e privo di forze, cadendo a peso morto sulla sedia
vicino alla scrivania, portandosi una mano alla testa per scompigliarsi i
capelli con fare frustrato. «Lo so, lo so».
Derek riusciva a sentire lo scombussolamento e la stanchezza che viveva nel
figlio dello sceriffo in quel momento e non poteva fare nulla per aiutarlo ad
alleggerire quel macigno che ricadeva su di lui. Non poteva toccarlo né
sfiorarlo appena, non poteva baciarlo né stringerselo contro, non poteva in
alcun modo fargli sentire la sua presenza. Era minimizzato a presentarsi sott oforma di una voce che proveniva da un oggetto inanimato e
tecnologico. Stiles aveva soltanto quella, una voce. «Quando è arrivata?»
riprovò con più moderazione, dopo che un lauto silenzio cadde tra di loro,
facendo trascorrere il tempo giusto che sarebbe servito all’umano per
riprendere fiato.
«Stamattina» rispose il diciottenne senza esitazione, abbandonandosi
completamente allo schienale della poltrona, facendola ruotare un po’. «Il
postino si è presentato alla mia porta con la busta in mano quando stavo per
andare a scuola; tempismo perfetto. L’ho lasciata a papà».
Malia l’aveva chiamato soltanto quel pomeriggio, dopo le quattro, quando le
lezioni erano terminate e lei era tornata a casa; non sapeva nemmeno se
rivelarglielo o meno e stava combattendo contro se stessa, perché ancora non
riusciva a gestire ed a capire bene le relazioni umane e tendeva a rivelare
tutto senza filtri, con parole precise e dirette, ma senza interrogarsi più di
tanto. Quando si trattava di Stiles però le cose cambiavano un po’ e la
preoccupazione per il suo benessere prendeva il sopravvento e gli interrogativi
nascevano di conseguenza; l’unico a cui poteva chiedere, in quel particolare
caso, era proprio Derek, che riusciva a comprenderlo perfino a chilometri di
distanza. Al lupo non era rimasto che accertarsene di persona. «Ce l’ha ancora
lo sceriffo?».
«No» negò vistosamente, come se Derek potesse essere lì a guardarlo,
lanciando un’occhiata alla scrivania, vicino al computer, individuando una
piccola pila di buste di varie dimensioni ed una messa in evidenza, poggiata in
rilievo sulle altre; sembrava attirare una certa attenzione. «L’ha messa
insieme alle altre».
«Alle altre? Stiles!» domandò il maggiore con confusione, afferrando con un
secondo di ritardo il loro reale significato e pronunciando con rimprovero il
suo nome. «Da quanto tempo ricevi le lettere d’ammissione?».
«Una settimana, all’incirca» rivelò privo di mortificazione, come se quello
non avesse alcuna importanza, anche se il suo animo stava ribollendo ed
esplodendo.
«Una settimana? Le stai accumulando e basta» una settimana; Stiles riceveva
lettere d’ammissione da un’intera settimana e loro si erano sentiti per tutto
quel tempo, ogni giorno, senza saltarne uno, parlando per ore al telefono e
Stiles non aveva mai fatto cenno alla cosa, tenendola tutta per sé, senza
esternare nulla o tradirsi. Se non fosse stato per Malia, Derek avrebbe
scoperto di quella lettera?
«Non ci riesco, Der» rivelò a mezza voce, del
tutto scoperto ed impreparato. «So che dovrei aprirle, ma non ci riesco».
Derek non avrebbe dovuto stupirsene, Stiles tendeva a somatizzare tutte le
cose più importanti della sua vita, facendosene carico e soltanto nelle
occasioni più fortunate, quelle si manifestavano sotto forma di un attacco di
panico; era certo che ce ne fosse stato uno dietro l’angolo in tutti quei
giorni in cui il diciottenne si era dimostrato spensierato e tranquillo, con
l’ansia sempre in agguato, quando in realtà stava morendo dentro.
La cosa che più lo stendeva, era la consapevolezza che Stiles c’era stato
quando erano arrivate le sue lettere d’ammissione, quando era arrivata la più
importante e l’avevano aperta insieme; Derek non poteva essere lì fisicamente,
non ancora, ed a Stiles mancava qualcuno che lo sostenesse, come lui aveva
fatto per il suo lupo. «Puoi farlo, Stiles. Andrà bene».
«E se non fosse così? Se non ci fosse scritto niente di positivo?» chiese
il figlio dello sceriffo retoricamente, ben consapevole di quella prospettiva e
sempre più distrutto da quella realtà. «L’Hofstra
accetta soltanto il 53% delle richieste d’ammissione che riceve ogni anno, il
restante 47% resta a casa».
«Hanno ammesso me, Stiles» gli fece ben presente il ventenne, facendo
chiaro riferimento alla loro media scolastica che non aveva paragoni. «Non
resterai a casa» e pensare che voleva diplomarsi in anticipo e raggiungerlo un
anno prima; sembrava essersi dimenticato di quella proposta bocciata.
«Sei un asso nel basket, Derek, non ci hanno pensato due volte ad
ammetterti ed hai vinto perfino una borsa di studio per quello; chi è lo
stupido che ti avrebbe lasciato scappare?» riassunse l’umano abilmente,
mettendo in evidenza chi fosse realmente Derek Hale e di quanto potenziale
fosse in possesso.
«E tu sei geniale, maledettamente brillante, sarebbero degli stolti ad
ignorarti» ribatté il licantropo, dettandogli ancora una volta cosa pensasse di
lui e delle sue capacità intellettive, quelle che l’avevano costantemente messo
in risalto.
«Derek» lo supplicò, strozzandosi con la sua stessa saliva e sbriciolandosi
completamente. «Voglio davvero raggiungerti. Non voglio essere separato da te,
non ancora».
«Non devi pensare a questo» lo riprese bonariamente il mutaforma,
sospirando internamente, perché aveva lo stesso identico desiderio. «Hai sempre
aspirato a voler entrare qui, è stato il tuo desiderio per anni. Durante il tuo
primo anno non ho fatto altro che sentirtelo ripetere, io sono arrivato
soltanto dopo. Devi pensare a quello, non a me».
«Mi ascoltavi davvero» soffiò sbigottito ed affranto, accecato da quelle
rivelazioni che si manifestavano nei momenti più impensabili, sfuggendo al
controllo corazzato del licantropo.
A volte aveva ancora delle reticenze, il pensiero pazzesco che Derek Hale,
quel Derek Hale, l’avesse amato fin dal suo primo giorno da liceale;
l’assurdità che una cosa del genere fosse accaduta davvero e lui non se ne
fosse minimamente accorto. Eppure era vero, Derek, il capitano della squadra di
basket, quello idolatrato dal popolo femminile e silenziosamente da quello
maschile, aveva avuto occhi esclusivamente per un ragazzino logorroico ed
iperattivo invisibile a tutti gli altri e da quando si erano rivolti la parola
la prima volta, ringhiandosi reciprocamente, non aveva fatto altro che
farglielo notare. Il lupo in ogni modo possibile gli aveva dimostrato quanto
fosse importante per lui e quanta devozione gli dedicasse.
Le labbra di Derek si serrarono all’istante e dovette maledirsi un po’,
perché continuava a lasciarsi scappare le cose senza accorgersene – ci credo che parli poco, Der;
quando apri bocca ti tradisci. «Entrerai, Stiles» dichiarò con certezza
universale, come se avesse davanti tutte le prove che attestassero quanto
detto, eliminando qualsiasi eventualità di scarto. «E se così non fosse, hai
altre mille possibilità di scelta».
«Lontane da te» enunciò l’umano, ben consapevole di quali fossero le altre
candidate in lista e che quelle che figuravano a New York avessero i campus
sparsi per tutta la città ed il suo dipartimento collocato dalla parte opposta
a quella di Derek; non sarebbero riusciti a vedersi nemmeno per un paio d’ore
nei giorni buoni, la situazione sarebbe diventata più frustrante e dispendiosa
e Stiles avrebbe continuato ad avere una relazione con il suo cellulare.
«Troveremo una soluzione» sentenziò univoco, conoscitore della lista
stilata dal diciottenne; Derek aveva mandato le sue richieste d’ammissione ad
ognuna di quelle voci.
Il figlio dello sceriffo prese un lungo respiro, a metà tra un singhiozzo,
e si propense appena verso la scrivania, afferrando la busta messa in evidenza,
con il logo blu e giallo della Hofstra University che emergeva in modo chiaro e distinto, senza
alcuna possibilità di scambio; era preziosa ed importante e Stiles l’aveva
bramata per buona parte della sua vita, ma mai come in quel preciso e
fondamentale momento.
Si sentì il fruscio della carta, la busta che veniva strappata e la lettera
che giungeva per essere estratta, il foglio che si piegava appena e che andava
ad aprirsi per lasciarsi leggere.
Il fiato era trattenuto da entrambe le parti ed a Derek era permesso
conoscere solo il rumore della cellulosa smossa dalle mani tremanti e poco
stabili di Stiles; non avrebbe mai potuto dargli uno sguardo e provare a
rubargli la risposta come lui aveva fatto quando era arrivato il suo turno due
anni prima.
«Dimmi una cosa» proferì l’umano rocamente ed a mezza voce, schiarendosela
con un secondo di ritardo e ricevendo un assenso muto dall’altra parte della
chiamata. «Devo combattere con un altro fan club di scalmanate? Vorrei
prepararmi in anticipo».
Derek comprese immediatamente il significato di quella frase e la natura
scaltra della volpe con cui avrebbe trascorso i successivi anni; tutti quelli
che poteva. «Restatene a casa, non ti voglio qui».
Stiles se la rise di gusto, godendosela appieno e finalmente con il cuore
più leggero.
Strinse al petto la lettera di accettazione più forte che poteva.
Stiles varcò per la prima volta la soglia dell’appartamento dove Derek
aveva passato i primi due anni da universitario, con un certo languore ed
incredulità.
Avevano passato l’estate appena trascorsa insieme, come le due antecedenti,
e l’avevano impiegata a programmare e definire i dettagli – Stiles in realtà,
Derek gli aveva lasciato carta bianca come sempre –, ritagliandosi le giuste
quantità di tempo da passare insieme alla famiglia e agli amici – soprattutto
Stiles –, per poi iniziare ad impacchettare tutto quello che l’umano voleva
portare con sé, riempiendo la casa di scatoloni e facendo impazzire lo sceriffo
ed il lupo mannaro – Derek, portatelo
via, ora!; non era vero, lo sceriffo era l’ultima persona al mondo che
voleva vederlo andar via.
Stiles era la persona più sconclusionata del mondo e poteva far saltare i
nervi come niente, ma era stranamente abile nel seguire le sue liste e nel
mettere tutto in ordine; quelle scatole di cartone erano perfette, ottimamente
etichettate e non si poteva proprio sbagliare nel cercare ciò di cui si aveva
bisogno, ma Stiles era un ansioso cronico e per quanto fosse fiducioso nelle
sue capacità di gestazione, aveva controllato assiduamente i pacchi, aprendoli
in continuazione, finché Derek non lì spedì tutti in massa al loro nuovo
indirizzo, lasciandogli giusto una scatola ed una valigia per le ultime cose.
Stiles si era calmato e le ultime settimane erano state più serene.
Ma poi era arrivato il momento di affrontare l’argomento auto e Stiles non
ne voleva proprio sapere di lasciare indietro la sua amata Jeep, la sua
compagna fedele ed era stato difficile fargli capire che in una città come New
York piena di ogni mezzo pubblico e capitale di imbottigliamento del traffico,
non era il massimo integrare un nuovo motore a quattro ruote, soprattutto se
loro vivevano a due passi dalla facoltà.
«C’è la Camaro» semplificò il lupo, rivelandogli che dopotutto senza mezzi
non rimanevano.
«Vuoi dire che mi farai guidare la tua preziosa e costosa amante?» chiese
Stiles con gli occhi più eccitati che gli avesse mai visto, ghiotto come un
gatto.
Derek si pentì subito di averlo proposto, soprattutto perché Stiles era
impossibile da gestire e sapeva di non avere molta scelta. «Solo se
strettamente necessario» rabbrividì internamente per la sola idea.
Stiles si esibì nel più accecante e luminoso dei sorrisi, baciandolo di
punto in bianco. «Apprezzo lo sforzo».
Il mannaro ancora si chiedeva come avesse fatto a resistergli per tutto
quel tempo e quando Stiles lanciò un’occhiata rammaricata e di prossima
nostalgia alla sua beneamata bambina, Derek cedette – con il tempo aveva
appreso che quell’auto, proprio quella, appartenesse alla madre del ragazzo e
che era rimasta per anni dentro il garage senza che qualcuno la guidasse,
prendendo polvere, anche se lo sceriffo e Stiles le dedicavano amorevole cura,
lavandola con cadenza regolare. Riprese nuovamente vita quando Stiles raggiunse
l’età per guidarla ed abbandonarla equivaleva a separarsi da un nuovo pezzo
della memoria di sua madre. «Se ne avrai bisogno, torneremo a prenderla» perché
Stiles era ancora e sempre il più importante di tutti.
Il figlio dello sceriffo aveva acconsentito con un unico cenno del capo.
Ma ora era lì, nel loft dove il lupo mannaro si rintanava quando le lezioni
terminavano e passava ore seduto da qualche parte a parlare con lui al telefono
– non sarebbero esistiti più quei momenti.
C’era il tocco di Laura in quel monolocale immenso, era troppo ben arredato
e colorato per essere farina del sacco del ventunenne e c’era perfino un enorme
divano rosso di cui Stiles si innamorò immediatamente e, illuminate da una
gigantesca vetrata, sui mobili vi erano sparse delle foto che ritraevano i
componenti di casa Hale e Stilinski, compresi suoi assoli – evidentemente Derek
non era l’unico a tenerlo d’occhio – e all’ingresso soggiornava ancora qualche
scatolone che il mannaro aveva spedito settimane prima e che, evidentemente, la
lupa non era riuscita a sistemare in tempo.
Era perfetto. Era splendido. Ed era loro.
«Non posso credere che sei riuscito a nascondermelo in questi anni» esclamò
quando superò la soglia e fece un rapido sopralluogo visivo, prendendo
familiarità con gli occhi.
«Non c’era alcun motivo per cui dovessi vederlo prima del tempo» disse il
mutaforma entrando dopo di lui, poggiando l’ultima scatola sopra le altre ed
abbandonando le rispettive valigie sull’atrio. «È qui che trascorrerai i
prossimi quattro anni».
«È una promessa?» domandò il diciannovenne con tono intenso e
destabilizzante, incatenandolo con le profonde iridi di miele.
Derek lo guardò di rimando e si ritrovò privo di parole, consapevole che se
avesse pronunciato quella sbagliata non ne sarebbe uscito nulla di buono. «Se è
quello che vorrai».
Stiles indugiò ancora, senza abbassare gli occhi e mantenendo la stessa
carica, ma poco dopo si allontanò in una totale immersione di esplorazione.
Il mannaro non riusciva ancora a capire cosa vivesse esattamente nell’animo
dell’umano, quelle moltitudini di emozioni e sensazioni contrastanti, messe
continuamente in gioco ed in balia delle onde, quelle che si mischiavano tra
loro ed erano impossibili da snodare, trovando in quel caos il vero
capostipite. Era difficile ed incredibile e non c’era nulla che gli suggerisse
quanto Stiles poco apprezzasse quel suo modo di mettere costantemente i suoi
bisogni davanti ai propri, lasciandogli le redini del loro futuro e delle
successive decisioni che ne sarebbero susseguite; ma prima o poi anche quella
sarebbe passata e soltanto un lupo scorbutico e burbero come lui poteva trovare
una volpe ammaliatrice e scaltra che sapeva giostrarlo bene, intrappolata
dentro il corpo di un ragazzino logorroico ed iperattivo.
Stiles giunse davanti alla grande vetrata, perfettamente pulita ed
attraversata splendidamente dai raggi solari pomeridiani e dinnanzi vi era
collocato il grande letto matrimoniale, accarezzato dalla luce e poteva
immaginarsi senza difficoltà il perché Derek avesse scelto quella collocazione
e che esperienza fosse durante la notte, soprattutto quando la luna piena era
alta nel cielo.
Si buttò a capofitto sul materasso ordinato ed impeccabile, girandosi a
pancia all’aria e guardando la vetrata sottosopra. «È prerogativa degli
studenti di astronomia possederne una?» chiese con un guizzo curioso, alludendo
alla parete quasi interamente composta da vetro trasparente.
Il lupo lo intercettò immediatamente e colmò la distanza che li separava,
arrivando davanti al letto e consapevole che Stiles non si sarebbe mosso di lì
per ore – probabilmente fremente di veder giungere il tramonto, febbricitante
di poter osservare il nuovo ambiente colorarsi e la vetrata riempirsi di un
inedito panorama, testimone di uno spettacolo sublime –, fu costretto a sedersi
sul bordo, esattamente all’altezza del suo stomaco. «Mi piaceva».
«Oh, allora c’è qualcosa che ti piace» esalò divertito e compiaciuto,
aprendosi in un sorriso che gli illuminava tutto il viso, mettendo in risalto
le iridi mielate piene di malizia e giocosità.
C’era qualcosa di incantevole in quello che gli veniva proposto in quel
momento, qualcosa che nessuna delle sue stelle, costellazioni e lune potevano
adombrare o mettere in secondo piano, qualcosa che gli era stato privato per
molto tempo e di cui non aveva alcuna certezza, qualcosa che pensava non
avrebbe avuto mai e che appariva così lontana da essere irraggiungibile ed
intoccabile. Stiles era così luminoso ed entusiasta da riuscire a contenere un
segreto che aveva celato a chiunque, qualcosa che fremeva di comunicare, ma che
persisteva nell’aria perché non aveva alcun bisogno di essere sprigionato e
Derek ne era completamente infatuato.
Lo baciò lì, sul letto dove aveva soggiornato per due lunghi anni da solo,
intervallati da piccoli momenti portati dalle lunghe telefonate sconclusionate
del figlio dello sceriffo; proprio quel letto che non aveva condiviso con
nessuno e che silenziosamente stava aspettando il suo nuovo occupante che
soltanto più tardi sarebbe giunto.
Lo baciò con delicatezza e con ardore, gustandosi la compattezza delle sue
labbra e dedicandogli tutto il tempo e le attenzioni del mondo, condividendo il
suo segreto e lasciandolo a corto di ossigeno.
Stiles annaspò appena quando riprese fiato ed i suoi grandi occhi
d’ambrosia si incatenarono alle gemme di smeraldo, trovandole insaziabili e
piene di qualcosa che non riusciva ancora a decriptare. «E questo, per
cos’era?».
C’era ancora un mondo che Stiles doveva imparare ad interpretare e cogliere
e lui era del tutto propenso ad immolarsi. «Sei qui».
La voce di Derek appariva ancora incredula e sospesa nella sua
impassibilità controllata ed era univoca e pressante e riusciva a capire quanto
il loro essere lì, proprio in quell’appartamento, esattamente su quel letto, il
giorno prima dell’essere immatricolato nell’università a cui entrambi avevano
fatto domanda per motivazioni differenti, che poi erano diventate comuni, fosse
destabilizzante eppure reale, dopo la grande distanza che si era frapposta tra
loro ed il desiderio ardente di poter essere di nuovo insieme, senza alcun
impedimento che potesse loro nuocere. Ed in tutto quello erano compresi i
desideri che Derek aveva tenuto per sé ben prima che l’interesse divenisse
reciproco, quando la sua unica speranza era limitarsi a scalfire il suo campo
d’azione; non vi era alcuna vita insieme né un bacio né uno sfioramento nel suo
immaginario ed in quel momento, proprio in quello, al lupo veniva presentato un
futuro completamente intrecciato a quello del ragazzino che aveva amato nella
sua segretezza. Per quanto ne avessero parlato e programmato fino
all’inverosimile, nulla valeva quanto la prova inconfutabile che si trovava
sotto le sue dita, davanti ai suoi occhi ed a contatto con la sua bocca. «Siamo
qui» lo corresse l’umano con candore e profondità, depositando la mano sinistra
sulla guancia ispida, data dalla barba dei tre giorni, del lupo e lasciandovi
aderire la freschezza, insieme al calore, del metallo d’argento che gli
circondava l’anulare, dove vi era incisa la loro triscele personale. «Non
azzardarti mai più ad andartene senza di me».
Derek lo legò ad un nuovo bacio, delegandogli il responso della sua
risposta e Stiles lo trascinò via con sé.
«Derek. Derek!» Derek era appena uscito dalla caffetteria, bevendo il suo
caffè e prendendo una bottiglietta d’acqua, che gli sarebbe senz’altro tornata
utile durante e dopo gli allenamenti con la squadra di basket, insieme ad
alcuni compagni del suo corso dell’ora che era appena terminata, quando un
tornado senza inibizioni sbucò dai corridoi, superando i vari studenti con
varie scivolate ed urti e arrivando a lui ansimante e curvo.
«Non eri fuori sede oggi?» domandò nel momento in cui riuscì ad identificare
lo tsunami che gli si parava davanti con il fiatone, il busto piegato e le mani
aperte poggiate sulle cosce per riprendere fiato.
«Sì, infatti» farfugliò Stiles a corto d’ossigeno, piegandosi ancora un po’
e facendo forza sulle braccia per lanciargli un’umile occhiata, giusto per
constatare di essere arrivato davvero dove voleva. «Ho corso fino a qui».
«Lo vedo» constatò il lupo osservandolo bene e del tutto disinteressato
alle teste che si erano voltate verso di loro e al suo gruppo che si era fermato
per aspettarlo e, probabilmente, per curiosare. «Tieni» disse atono, allungando
il braccio verso di lui e porgendogli la bottiglietta d’acqua fresca appena
acquistata e già sprovvista di tappo.
«Oddio, sì! Ti amo da morire» esclamò il figlio dello sceriffo di tutto
cuore, afferrando l’oggetto che gli veniva offerto ed ingurgitando il liquido
trasparente con grossi sorsi che avrebbero fatto affogare chiunque – poi
sarebbe toccato a Derek intervenire.
Il licantropo non proferì nulla, del tutto immune alle reazioni di Stiles
che erano dettate dal puro istinto e dal suo filtro del tutto inesistente.
«Perché sei qui?» alcune lezioni del diciannovenne si tenevano fuori dal campus
a giorni alterni e mai fissi ed a volte Stiles doveva correre da una sede all’altra
per seguire tutti i corsi a cui si era iscritto, ed erano davvero tanti e
notevoli, e spesso non avevano nemmeno il tempo di un saluto veloce per poi
rivedersi ore più tardi. Ma era certo che quel giorno Stiles non avesse alcuna
lezione nel campus principale e quello esterno era a diciassette minuti di
distanza a piedi e otto con i mezzi, l’umano tendeva a usare quelli per
risparmiare tempo ed energie, quindi gli stonava un po’ ritrovarselo in quelle
condizioni: sudato, stremato e con ancora l’ossigeno rarefatto.
«Devo consegnare una relazione entro due ore» proferì quando ebbe finito di
svuotare quasi tutta la bottiglietta, restituendola alle mani del legittimo
proprietario che era pronto a riceverla, riavvitando il tappo. «Ma l’ho
dimenticata a casa, anche se ero sicurissimo di averla presa, e quindi devo
assolutissimamente ritornare a prenderla, ma ho dimenticato le chiavi; mi
presti le tue?» confidò alla velocità del fulmine, mangiandosi qualche sillaba
e fondendo alcune parole e mostrando due grandi occhi dolci, completamente
dorati, mortificati e da cucciolo indifeso.
Derek sbuffò appena, del tutto consapevole di quanto quelle iridi e quello
sguardo avessero potere su di lui, benché fosse conscio di quale disastro fosse
quel ragazzo e non del tutto sprovvisto di fronte a quell’eventualità portata
dalla sua distrazione persistente; era solo questione di tempo prima che Stiles
ne commettesse una delle sue. «Fa’ attenzione» disse quando le estrasse dalla
tasca con tanto di portachiavi incorporato – una splendida volpe rossa dagli
occhi ambrati, un oggetto unico ed irripetibile, che gli aveva regalato Stiles
stesso la sera prima che partisse per New York, per il solo ed esclusivo uso
delle chiavi del nuovo appartamento. Derek due anni dopo, davanti alla porta
del suddetto appartamento, gli aveva donato il pacchetto completo: le chiavi
del loft con un lupo nero dagli occhi azzurri –, depositandole in una mano già
aperta e pronta per afferrarle.
«Sì, certo» lo rassicurò l’umano con entusiasmo e l’agitazione che si
spegneva, dedicandogli un luminoso e riconoscente sorriso. «Sei il mio
salvatore».
Derek lo vide andare via com’era arrivato: in una nuvola di fumo che
investiva chiunque si trovasse davanti alla sua traiettoria.
Non gli rimase che vederlo allontanarsi, per poi voltarsi e proseguire
insieme al suo gruppo di compagni che persisteva a rimanere lì intorno ad
aspettare.
Fu voltato e tirato da una mano quasi subito, incatenato in un bacio
fremente, pieno di sentimento e gratitudine – per cosa esattamente non sapeva
dirlo –, morsa che ricambiò immediatamente, attirando il corpo dell’altro più
vicino al proprio. «Ti amo davvero, Derek» confessò Stiles con autenticità,
riempiendo tutto lo spazio circonstante con quella verità e l’amore immenso che
provava, scoccandogli un nuovo bacio.
«Potevi chiamarmi, te le avrei portate» disse il ventunenne ad un soffio
dalle sue labbra, scompigliandogli i capelli completamente sfatti di loro ed
accentuati dalla corsa improvvisa di quel pomeriggio.
«Hai gli allenamenti» gli ricordò il figlio dello sceriffo, abbandonandosi
al suo tocco e trattenendo le fusa.
«Posso saltarne qualcuno» proferì il mannaro, senza dovergli fare alcun
riferimento alla sua natura sovrannaturale e alla sua predisposizione per
quello sport.
«Lo so» ammise pienamente consapevole, ma del tutto poco incline a volerlo
strappare dai suoi doveri; Stiles dopotutto aveva una coscienza e non avrebbe
mai voluto che Derek abbandonasse tutto per lui. O meglio, che continuasse a
farlo.
Derek gli alzò maggiormente il viso, beandosi ancora delle sue gemme
d’ambra e riappropriandosi delle sue labbra, coinvolgendole in una nuova morsa
passionale e piena di loro; non si sarebbe mai stancato di averle su di sé.
«Non avevi fretta?».
Stiles mugugnò contrariato e scontento, riportato nel mondo reale con
crudeltà – con un bellissimo bacio ed incentivo, ma sempre con crudeltà – e
vile inganno. «Posso trascorrere cinque minuti con te».
Il lupo mannaro sapeva bene che quei cinque
minuti sarebbero diventati molti di più, non che disdegnasse, ma era
preferibile avere uno Stiles tutto per sé che con la mente altrove, a cercare
di trovare il modo di risolvere i suoi problemi – anche se li avrebbe risolti
con uno schiocco di dita. «Avanti, volpe» disse nel momento in cui gli schioccò
un bacio tenero sulla fronte libera, accarezzandogli il cuoio capelluto con la
punta del naso.
Le labbra di Stiles si curvarono automaticamente verso l’alto, lasciandosi
viziare ancora un po’ – Derek era l’unico al mondo a viziarlo, l’unico dopo la
morte di sua madre; non c’era stato più tempo e modo per quel tipo di
concessione. «Ci vediamo più tardi?».
«Sì» si sarebbero rivisti soltanto quella sera a casa, poco prima dell’ora
di cena – sempre se Stiles non avesse lasciato entrambi i mazzi di chiavi al di
là della porta chiusa.
Stiles si congedò con la promessa sulle labbra, salutandolo calorosamente e
ripartendo velocemente verso la sua destinazione e Derek si ricongiunse al suo
gruppo, di cui gli importava molto poco, e che lo guardava sbalordito ed un po’
imbarazzato – l’imbarazzo tipico scaturito dalle effusioni in pubblico e su cui
né lui né Stiles si soffermavano particolarmente –, prendendo successivamente
il cellulare in mano per avvisare Laura, che possedeva un terzo mazzo di
chiavi, nel caso un certo ragazzino iperattivo e logorroico li avesse lasciati
chiusi fuori casa.
«Stiles, potresti prestarmi i tuoi appunti?».
Non era una novità, Stiles dispensava i suoi appunti a chiunque ne avesse
bisogno, senza fare troppe cerimonie o tirandosela giusto un po’ perché era il
migliore in tutti i corsi. Aiutare gli altri faceva parte della sua indole, era
un tassello chiave del suo essere ed era abituato a condividere tutto con il
suo gruppo, soprattutto con Scott – Scott ne aveva un disperato bisogno –,
quindi non ci pensava molto a condividerli ed i professori usavano i suoi
schemi durante le sintesi conclusive di un programma, prima di affrontare
l’ennesimo test; quindi no, non aveva molto senso tenere segreto il suo lavoro
appena abbozzato, che rimetteva in sesto una volta rientrato tra le mura
domestiche – quello sì che non lo condivideva con nessuno. Eccetto Derek, che
durante i suoi periodi di noia e volendosi distaccare dai suoi studi, prendeva
a divorare tutto quello trascritto da Stiles, senza importargli dell’argomento,
perché l’umano aveva la capacità di rendere interessante anche l’inerzia più
estrema.
Ma Theo Raeken non era interessato unicamente ai
suoi appunti. «Sì, non c’è problema» non quando si attardava per aspettarlo
quando una lezione si concludeva ed ognuno era libero di andare dove voleva o
quando se lo trovava nelle vicinanze mentre sostava in coda alla caffetteria o
alla mensa e quando riusciva ad incrociarlo perfino in biblioteca, luogo sacro
per gli studenti intenti nella più nobile delle attività: superare un esame.
Theo abbozzò un sorriso accentuato, quasi di vittoria e si premurò di
afferrare la manciata di fogli, inglobati da una graffetta, che il figlio dello
sceriffo gli stava porgendo, estratti dalla magica cartellina plastificata di
verde che conteneva tutte le parole trascritte quel giorno. «Grazie».
Stiles rispose con un sorriso di circostanza, allontanando le dita quando
quello cercò di sfiorarle con la scusa delle pagine piene di scritte da
afferrare e nell’immediato una figura aitante e scura si materializzò al suo
fianco, con due bicchieri di caffè dello Starbucks del campus.
Il ventenne alzò gli occhi sulla figura ombrata, incontrando le gemme di
giada interamente dedite a lui ed allungò un braccio per prendere la bevanda
calda e sublime, con tanto di caramello sciolto ed una spruzzata di cannella,
che portava il suo nome scritto sul termos di cartone da un pennarello nero.
Stiles gliene fu riconoscente e sfiorò le sue dita con gratitudine. E amore.
«Sei Derek Hale» esclamò Theo sbalordito e spiazzato, anche se cercava di
nasconderlo molto bene, probabilmente perché non si aspettava di trovarlo lì,
nella biblioteca e con un caffè per ogni mano. «Il capitano della squadra di
basket».
A Stiles sembrò stranamente familiare quella composizione di parole, un
déjà-vu che proprio non ne voleva sapere di smettere di ripetersi e curvò le
labbra in modo irriverente, gustandosi il fastidio evidente del lupo nascosto
sotto la sua imponenza ed impassibilità.
Derek non avrebbe accertato che fosse proprio lui, cosa avrebbe dovuto
dire? Sì, sono io? Non gli interessava minimamente, si limitò semplicemente a
distogliere lo sguardo dall’umano per spostarlo verso il suo evidente compagno
di corso, lasciando che il nuovo costretto interlocutore ne traesse le sue
conclusioni, quelle che preferiva.
«Al secondo anno hai battuto il record di punti realizzati in una stagione,
raggiunto trent’anni fa dalla nostra università» rivelò Theo con uno strascico
di entusiasmo controllato ed incredulità – c’era fanatismo nell’aria? –,
sventolando tutto quello che i premi tenuti nella bacheca di vetro all’ingresso
della Hofstra University
mettevano in bella mostra. «Hai battuto il tuo stesso record lo scorso anno e
hai buonissime possibilità di stanziarne uno nuovo quest’anno».
Uh, come riassumere una carriera sportiva in
poche parole.
In realtà tutti in facoltà sapevano chi era Derek Hale e le sue fatiche,
dov’era giunto e cosa potesse fare ancora, l’essere tra i migliori nel suo
dipartimento di astronomia, ma era ovvio che i suoi risultati sportivi fossero
ciò che saltava di più all’occhio e che si entrasse in un tunnel di tifoseria,
esaltazione ed ammirazione radicata.
Chiunque incontrasse Derek, sebbene a conoscenza della sua appartenenza
alla più alta scala di asocialità, ma accompagnata dalla sua capacità di
sopportazione di ciò che gli era più ostico, pensava che parlare con lui,
esaltando le sue doti e facendogli capire di sapere esattamente chi fosse, li
facesse entrare automaticamente nelle sue grazie o almeno nella facciata della
buona convivenza. Derek, invece, lo trovava fastidioso e molesto e non si
impressionava minimamente; non gliene importava nulla se quelli che lo
circondavano lo ammirassero o idolatrassero ed automaticamente finivano nella
sua lista nera; lista incredibilmente lunga e quasi infinita – Derek, smettila di stilarla, l’unico nome
che manca è il mio, lo beffava prontamente l’umano quando vedeva quel
particolare sguardo omicida nei suoi occhi.
Posso aggiungerlo quando voglio, Stiles, ribatteva lui, del tutto sordo
alla sua insubordinazione.
No, Theo Raeken poteva rimanersene esattamente
dov’era. «Sì» disse soltanto il licantropo, un’affermazione che non voleva
comunicare nulla e che confermava ancora meno: sì, cosa?
Theo lo guardò per un lungo istante, con una sfumatura negli occhi che
proprio non gli piacque. Stiles sapeva benissimo quanto il coetaneo non
apprezzasse quando qualcuno non lo accettava, rifiutato e messo da parte, ma
ancora di più quando non attirava alcuna attenzione ed interesse e lui era
piuttosto abituato ad attirarle su di sé, a portare le persone dalla sua parte,
a giostrarle e manipolarle quel tanto che servisse per usarle.
Era una persona che a Stiles proprio non piaceva, lo irritava e lo trovava
quasi disgustoso nel suo essere subdolo e doppiogiochista con la maschera da
bravo ed onesto ragazzo che attirava le simpatie delle persone. Era falso e
finto, ma a differenza di Derek, il figlio dello sceriffo sapeva giocare bene
la carta della buona convivenza e tutto ciò che ne sarebbe uscito, sarebbe
stato un insignificante scambio di appunti.
Theo si rese conto troppo tardi di che cosa comportasse avere lì davanti
Derek Hale ed il suo possedere due caffè, diventato uno nel momento in cui
Stiles l’aveva preso dalla sua mano, accarezzandogli quasi con casualità la
punta delle dita e bevendo il primo lungo sorso quando attaccò ad elencare ciò
che sapeva sul capitano della squadra di basket. «Vi conoscete?» poteva
apparire una domanda stupida se Derek Hale era tornato dalla caffetteria con
due bicchieri extralarge di bevanda nera e fumante, porgendone uno al ragazzo
dagli occhi d’ambrosia, ma in un primo momento non aveva fatto molto caso alla
cosa ed in quell’istante, proprio quando Stiles aveva inghiottito il primo
sorso di caldo tepore ed aveva rivolto le sue iridi di caramello verso quelle
di smeraldo, dedicandogli un sorriso di apprezzamento e qualcosa di etereo che
non seppe interpretare, un allarme indefinito risuonò dentro di lui e quella
vocina fastidiosa che bisbigliava piano cosa
ci fanno due personalità così diverse ed opposte, un lupo solitario e una volpe
giocherellona e piena di vita, vicine? I loro mondi non si incontravano neppure.
«Uhm, sì, abbastanza» riferì Stiles senza alcun imbarazzo, prendendo un
nuovo sorso del suo caffè, che scese dolce come la composizione di zucchero
ambrato ed acqua che conteneva, stuzzicandogli il palato e la gola con la
cannella incorporata.
«Stiamo insieme» disse soltanto Derek, scandendo bene le parole e facendo
cadere un peso lodevole sull’unico periodo completo che aveva proferito.
Oh, il ventiduenne non rivelava mai il loro stato
di coppia di sua iniziativa, lasciava semplicemente che gli esterni lo
capissero da soli o, se proprio ci teneva, era Stiles a rivelare come stavano
le cose. A Derek non importava proprio, non aveva alcun motivo per cui avrebbe
dovuto comunicare ad esterni ed estranei cosa ci fosse nella sua vita e con chi
condividesse il letto, rotolandoci dentro. Non vi era alcuna ragione del perché
la gente dovesse immischiarsi nei suoi affari privati, conoscendo per filo e
per segno l’amore che provava per Stiles e che era a portata di tutti, se solo
avessero aguzzato gli occhi – era una bugia, non facevano che amoreggiare dalla
mattina alla sera, davanti a chiunque si trovasse tra loro o intorno a loro –;
semplicemente non aveva bisogno di un cartello che attestasse il loro stare
insieme – sei proprio un bugiardo, Der. Non è lo scopo dei nostri anelli? Derek lo
ignorava tutte le volte.
Derek aveva un unico motivo per cui avrebbe dovuto rivelare cosa ci fosse
esattamente tra loro, il territorio che doveva marcare ed il probabile
candidato e sfidante che si presentava alla sua porta. Lo avrebbe ridotto in un
mucchietto d’ossa, in cenere, quello era certo.
Fu consequenziale la rivelazione che si presentò agli occhi di Theo, il
chiacchiericcio che sormontava attorno alla figura di Derek Hale, all’esercito
di studentesse invaghite di lui, ma che non facevano mai un passo, perché il
capitano era già impegnato, fedele come nessuno – ha aspettato la sua controparte per due anni, nel loro appartamento,
non è romantico? –, ed aveva notato fin da subito l’anello d’argento con la
striscia d’oro rosso, con tanto di triscele al suo centro, che Stiles portava
orgogliosamente sull’anulare sinistro, senza toglierlo mai, ma non gli aveva
mai dato alcun peso ed in realtà gli ostacoli rendevano solo più ghiotto il
bottino. Ma adesso, in quel momento, vedeva lo stesso identico anello
sull’anulare sinistro di Derek Hale e non vi era alcuna partita da giocare. Sì,
decisamente, si conoscevano molto bene. «Appena avrò finito, ti farò riavere
gli appunti» dichiarò semplicemente, incapace di dire qualsiasi altra cosa,
congedandosi con un cenno del capo, ricambiato da un gesto di saluto dalle lunghe
dita di Stiles, e seguito dallo sguardo severo del lupo solitario. Non gli
servivano nemmeno quei maledetti appunti.
«Ehy, lupone» chiamò
piano il figlio dello sceriffo, facendo scivolare le dita della mano sinistra
in quelle della mano destra dell’altro, prendendole tra le proprie e tirandolo
verso di sé, per richiamare la sua attenzione e guidandolo alla sedia posta
vicino a lui. «Ha capito l’antifona».
Derek ricambiò la sua presa, stringendo le falangi tra loro e persistendo
nel guardare ancora torvo il ragazzo che era appena scappato via. «Lo spero per
lui».
«Guarda me» sussurrò avvenente e pretenzioso, lascivo e bisognoso di
attenzioni, scivolando dalla sua seduta scomposta verso il lupo, sfiorandogli
una gamba con la propria.
Il mannaro fu attirato immediatamente, riconoscendo il suo calore e la sua
forma da predatore, voltandosi verso le gemme d’ambrosia che brillavano alla
sua vista. «Sei proprio una volpe ammaliatrice» soffiò quando si chinò su di
lui, baciando quelle labbra accattivanti che si curvavano in una piega
malandrina e trionfale. Morsa a cui Stiles partecipò attivamente, legandolo a
baci sempre più lunghi ed invasivi.
«Hale! Stilinski! Non è il luogo più appropriato per le vostre effusioni»
li richiamò all’ordine una voce severa ed autoritaria che si stanziò tra loro,
interrompendo il loro idillio d’amore.
Stiles interruppe il loro contatto, soffocando uno sbuffo intransigente tra
le labbra del ventiduenne ed appoggiando una tempia sulla sua fronte in un
tocco che non gli permettesse di separarsi interamente da lui, adocchiando la
figura austera che si parava davanti a loro. «Ci scusi, signora Sherman» la signora Sherman era
la responsabile della biblioteca dell’università, a cui teneva particolarmente,
trattandola come se fosse una sua creatura preziosa e bisognosa d’attenzioni,
senza che le brutte abitudini delle nuove generazioni che vi entravano
potessero deturparla.
Era poco intransigente, se non veniva consegnato un libro entro la data di
scadenza, era lei stessa a rintracciare lo studente colpevole, intercettarlo ed
inseguirlo finché non glielo avesse restituirlo – tutti hanno il diritto di consultarlo, non è una tua proprietà –;
non ammetteva troppo contatto fisico tra gli studenti ed imponeva un silenzio
perpetuo che permettesse a tutti gli universitari di studiare tranquillamente,
ma era abbastanza caritatevole da lasciare libero spazio ai bisbigli
controllati – si tenevano intere conversazioni – e faceva finta di non vedere
chi entrava con un bicchiere di caffè che li salvava dalla stanchezza e dalla
sonnolenza che era tipico colpirli spietatamente. «Ma oggi non ci siamo proprio
visti» era vero. Derek era uscito quella mattina presto, lasciando Stiles nudo
ed avvolto esclusivamente dalle coperte che aveva rubato durante la notte,
schioccandogli solamente un bacio sulle labbra a mezza veglia e lasciandogli
del caffè appena fatto nel termos d’acciaio – edizione limitata di Star Wars -
L’Impero Colpisce Ancora, perché Stiles amava troppo quel tipo di cose –,
precipitandosi verso il portone a scorrimento ed afferrando di slancio le
chiavi di casa.
Stiles si era svegliato molto più tardi ed il caffè era ormai lievemente
tiepido, ma era un gesto che apprezzava con tutto il cuore.
La bibliotecaria li guardò per un lungo momento con i suoi occhi attenti e
scrupolosi, ignorando bellamente i bicchieroni stracolmi di bevanda nera e
bollente – quello di Stiles era già a metà e c’era il rischio che si bevesse
anche quello di Derek ad un certo punto. «Vi concedo tre minuti» quello era
inconsueto e stranamente piacevole. Solitamente tendeva a dargli trenta secondi
o nei momenti di massima ispirazione, si sbilanciava ad un minuto scarso. Ma
tre minuti, tre minuti erano troppi anche per lei. Che fosse particolarmente
caritatevole perché quel giorno vi era la partita di metà campionato – e che si
dica, era davvero importante?
La signora Sherman era forse tra le più accanite
tifose della squadra di basket; quando vi era una partita faceva sloggiare
chiunque vi fosse dalla biblioteca, perfino il preside, e non voleva sentire
storie, chiudendola con largo anticipo e precipitandosi per prendere i posti
migliori ed ogni studente doveva appuntarsi autonomamente il calendario
sportivo, se ci teneva alla pelle. Quindi sì, in qualche modo la signora Sherman era una grande e sfegatata ammiratrice di Derek
Hale e la sua preferenza nei loro riguardi era solo una lauta casualità.
«Perché vengo richiamato ogni volta che sono con te?» domandò retoricamente
il lupo mannaro quando la bibliotecaria si allontanò, lasciandoseli alle
spalle.
Stiles sbuffò un risolino nella sua bocca, baciandogliela con dispetto
studiato. «Perché ti sei scelto un attira guai».
Derek adagiò il suo bicchiere traboccante di caffè sul ripiano di legno,
tenendogli fermo il viso con una mano ed impossessandosi della sua bocca, in
una morsa profonda e carica di sentimento, impadronendosi totalmente
dell’umano. «Ti amo, immensamente».
Stiles boccheggiò in risposta, rimanendo immobile con il fiato rarefatto e
le iridi ambrate giganti e liquide. «Torna subito da me dopo la partita» disse
quando si sbilanciò per abbracciarlo, nascondendo la testa tra l’incavo del
collo e la spalla e stringendolo dal lato in cui teneva ancora il caffè al
caramello.
Non era più libero di raggiungerlo negli spogliatoi durante le partite e il
massimo che poteva fare era rimanere ad aspettarlo fuori, anche se i ragazzi
della squadra gli avevano dato campo libero, ma quando vincevano una partita
tendevano ad andare a festeggiare ed era giusto, quindi Stiles preferiva
restare al suo posto, limitandosi a guardarli giocare e tornandosene a casa
quando Derek rimaneva con loro; doveva soltanto aspettarlo.
Ma quel giorno sembrava davvero difficile farlo, comportarsi da persona comprensiva
ed ignorare la sua parte egoistica che saltava sempre nei momenti meno
opportuni.
Erano stati separati per molto più tempo, non doveva pesargli così tanto,
ma quando Derek gli confessava quanto lo amasse a voce alta, benché glielo
comunicasse sempre ed in qualunque modo, non riusciva proprio a trattenersi e
l’unica cosa che voleva era rimanere con lui in ogni attimo concesso, senza
alcuna divisione ed imposizione tra loro.
«Sì» soffiò convenevole il mutaforma, immergendo le dita della mano sinistra
tra i suoi capelli, mentre l’anello spiccava incontrollato, adagiando un bacio
bollente sull’orecchio, mentre Stiles si stringeva ancora più forte.
Quei tre minuti Derek se li prese tutti, fino all’ultimo millisecondo.
«Il tuo anello mi ricorda molto quello di Derek Hale» a Tracy Stewart
capitava spesso di intrattenersi con Stiles Stilinski tra una lezione e l’altra
o durante un recupero di gruppo. Avere Stiles nella squadra era sempre una
carta vincente ed era davvero difficile che negasse qualsiasi tipo di aiuto o
si astenesse dal farlo; era sempre ben disposto ed i suoi appunti e mappe
concettuali erano una manna dal cielo a cui nessuno riusciva a resistere,
quindi sembrava di assistere ad una continua gara quando qualcuno voleva
strappargli un pomeriggio di studio e Stiles concedeva a tutti il suo tempo –
tutti quelli che riuscivano a sopportare il suo chiacchiericcio continuo e la
sua iperattività –, finché non spariva magicamente o si dileguava con borbottii
di scuse, ma nessuno diceva nulla e facevano tesoro di quello che ottenevano.
Quindi dopo l’ennesimo pomeriggio di studio, formato da un gruppo ristretto
e con l’acqua alla gola, Tracy fu catturata per la prima volta da quell’anello
d’argento, con annesso di una striscia d’oro rosso ed una triscele incisa al
suo centro. Non che non l’avesse già notato prima, ma in quel momento la colpì
un lampo di ricordo, talmente veloce che l’acchiappò a malapena e dovette
costringersi per mantenere l’immagine fissa e frapporle tra loro.
Stiles fu chiamato in causa e, mentre prendeva i fogli sparsi sul tavolo da
lavoro improvvisato, mettendoli dentro la sua plastificata cartellina verde, si
girò verso di lei con sguardo confuso, posando poi gli occhi sull’oggetto in
questione ed afferrando un fascicoletto più fornito ed ordinato che inserì
nella cartellina blu elettrico. «Ah, sì? L’hai mai incontrato?».
«Qualche volta» era facile trovare Derek Hale per i corridoi, era sempre un
po’ dappertutto e spesso lo si trovava in fila alla caffetteria
dell’università, un caffè per mano, senza avere nemmeno più il bisogno di
specificare cosa volesse.
Quasi tutti accorrevano durante le partite di basket ed anche se gli
allenamenti quotidiani erano chiusi al pubblico, gli studenti riuscivano
comunque ad assistere e nessuno della squadra si era mai lamentato o aveva
fatto reclamo. Quindi sì, era facile incontrare Derek Hale, meno parlarci.
La maggior parte del suo tempo era da solo, doveva esserci una strana
congiunzione astronomica per vederlo con qualcuno ed una cometa in arrivo per
beccarlo a parlare con qualcun altro. «Una volta mi ha anche aiutato a
raccogliere tutti i libri che il professore di sociologia aveva richiesto, mi
sono ritrovata improvvisamente sepolta» era stato in quel momento che aveva
notato l’anello sferzare sull’anulare sinistro. Era talmente insolito e
significativo che non era riuscita a toglierselo dalla testa; dopo un po’
l’aveva rimosso.
Il figlio dello sceriffo abbozzò un sorriso e le due cartelline furono
allineate insieme, bloccate da tre tomi giganti e tutti della stessa materia.
«Doveva essere particolarmente ispirato».
«L’ho pensato anch’io» convenne la ragazza, riponendo con cura il materiale
raccolto. «Magari assisterò a nuovi prodigi in questi due anni. A quanto pare
ha chiesto di rimanere per sviluppare una ricerca» Derek Hale si era laureato
nell’estate appena trascorsa con un punteggio notevole, il quarto del suo corso
e prima di quel fatidico giorno, aveva già inviato la sua domanda per rimanere
come volontario di ricerca per i successivi due anni. «Ero convinta avrebbe
continuato con la carriera sportiva» invece aveva rifiutato tutte le miliardi
di offerte che aveva ricevuto da quasi tutto il paese, tentando di
accaparrarselo prima degli altri; nessuno aveva vinto e l’Hofstra
si era ritrovato con un ricercatore in più – quelli servivano sempre.
«Forse non era quello che voleva» proferì il ventunenne più a se stesso che
alla sua interlocutrice, collocando la sedia utilizzata sotto il tavolo da
lavoro ed indirizzandosi verso l’uscita dall’aula presa in prestito.
Tracy lo sentì bene, come notò la carezza involontaria che Stiles diede al
suo anello, quell’anello spaventosamente simile a quello di Derek Hale. Lo
tenevano perfino sullo stesso dito della medesima mano, per Giove!, non poteva essere una coincidenza. «Lo conosci?».
«Chi non conosce Derek Hale» rispose semplicemente il figlio dello
sceriffo, con l’ovvietà contenuta nella voce ed il leggero sorriso di
circostanza che spesso spuntava sul suo viso; era davvero bravo ad eclissare le
domande.
«Come pensavi di rientrare?» chiese la voce profonda ed annoiata che li
colse all’improvviso quando varcarono l’uscio della porta e si ritrovarono nel
corridoio quasi vuoto, prendendoli alla sprovvista e facendoli trasalire
nell’immediato.
Stiles riconobbe all’istante il proprietario di quella cadenza che a modo
suo si prendeva gioco di lui, rimediando ai suoi errori ed alle sue distrazioni
e che per quanto sbuffasse e gli dedicasse sempre un’espressione torva, correva
comunque in suo aiuto senza che glielo chiedesse. «Scusa, Der.
Ero convinto di averle prese, questa volta» disse quando i suoi occhi
incontrarono le iridi di giada che gli sventolavano davanti al viso le chiavi
del loro appartamento, con il lupo nero e dagli occhi blu di metallo che
dondolava spassionatamente.
Derek gli lanciò un’occhiata oblunga, chiaro segno di quanto poco gli
credesse e del tutto conoscitore della distrazione dell’altro. «Erano
esattamente dove le avevi lasciate».
Lo studente di criminologia soffiò sconfitto e quasi privo delle sue famose
energie, prendendo il mazzo di chiavi tra le mani e stringendole un po’,
osservandole attentamente. «Mi dispiace, non eri costretto a riportarmele».
L’attenzione del lupo mannaro fu accesa totalmente, percependo qualcosa di
anomalo nell’umano e facendo scattare i suoi sensi. «Il mio turno inizierà tra
poco».
«Sì, giusto» proferì abbattuto e provato il ventunenne, piegando il capo ed
adombrando le perle dorate, dando un’ultima stretta alle chiavi di casa e
confinandosele in una tasca dei pantaloni.
Derek una volta a settimana, o anche di più se capitava, teneva il turno di
notte all’osservatorio astronomico dell’università, in compagnia delle sue
stelle e dei suoi pianeti e cercando di portare a termine la sua ricerca. In
realtà Stiles non aveva mai voluto indagare fino in fondo su quello, volendo
che Derek si occupasse del suo progetto come più desiderava. Probabilmente
stava cercando una nuova cometa che passasse ogni triliardi di anni dalla terra
o qualunque cosa di cui Derek potesse occuparsi.
Sì, Derek non tornava tutte le notti a casa, spesso riuscivano ad incontrarsi
soltanto tra i corridoi del campus e la mattina non riuscivano mai a vedersi,
ognuno con l’orario più sballato dell’altro; ma la sera, quando il mutaforma
era lì, non c’era verso che passassero due secondi lontani l’uno dall’altro e
alla fine crollavano senza nemmeno rendersene conto.
Derek percepì la malinconia impossessarsi degli organi interni dell’umano,
insidiandosi dentro i muscoli e gli prese il mento tra il pollice e l’indice,
alzandogli il capo per guardarlo meglio e riuscire a leggere che cosa gli
nascondesse. «Stiles, cosa c’è?».
Stiles si sciolse subito a quel contatto, per quanto gli anni passassero,
non sarebbe mai diventato immune a tutto quello, al contrario ne cercava sempre
di più ed il lupo era sempre ben disposto a dargli tutto quello che voleva,
tutto quello che volevano entrambi. Il tocco di Derek era qualcosa che
allietava il suo animo. «Sono solo… va tutto bene» non sapeva nemmeno quello
che avrebbe dovuto dire.
Il ventitreenne gli accarezzò un lato della mandibola, schioccandogli un
bacio tenue e dolce sulla fronte aperta, completamente lasciata libera dai
capelli che andavano da tutte le parti, ed a cui Stiles sospirò liberatorio.
«Sei stanco» quando Stiles cedeva alla stanchezza, la sua negatività cadeva a
fiumi senza che riuscisse a gestirla o che ne avesse consapevolezza; accadeva e
basta. Si lasciava andare ad atteggiamenti miti che non sarebbero mai emersi se
fosse stato in possesso delle sue piene facoltà ed occorreva saperli cogliere,
per toglierlo dall’impiccio ed evitare che le cose peggiorassero. Erano solo
brevi momenti, che con il metodo giusto, spiravano via.
Stiles poggiò la fronte sotto il suo collo, abbandonandosi addosso al suo
torace e lasciandosi avvolgere dall’unico braccio con cui Derek se lo strinse
contro. «Posso gestirlo».
Era vero solo a metà, l’altra parte necessitava del calore di Derek e della
sua vicinanza, anche soltanto per un po’; una toccata e fuga. «Hai bisogno di
qualcosa?».
Stiles respirò dalla sua epidermide e Derek immerse le dita delle mani tra
i suoi capelli in risposta. «Soltanto di una buona notte di sonno» che quella
volta non avrebbe potuto condividere con lui.
«Non fare troppo tardi» anche quando l’umano era stremato, continuava
comunque a portare avanti il suo stile di vita, senza fermarsi e lasciando
scorrere le lancette dell’orologio come se nulla fosse, c’era sempre bisogno
della presenza di Derek che lo bloccasse e lo mettesse a letto; si divincolava
un po’ e protestava senza tentennamenti, ma poi la spossatezza vinceva e la temperatura
corporea del lupo aveva la meglio.
A volte doveva uscire di casa e recuperarlo da dovunque fosse, prendendolo
di peso e sordo alle sue lamentele, ma alla fine Stiles cedeva sempre e il
giorno dopo era come nuovo ed ancora più rinvigorito.
L’umano annuì contro di lui, mugolando in assenso e si staccò un po’, prima
che gli fosse impossibile separarsi da lui e fosse disposto ad infiltrarsi
segretamente nell’osservatorio di astronomia. «Svegliami quando torni».
Derek si ritrovò a fissare le brillanti iridi d’ambra, accertandosi di aver
capito bene. «Sarà l’alba» non era un modo di dire o un’esagerazione, il
ventitreenne sarebbe davvero rincasato alle prime luci del sole, abbandonando
la sua postazione prima che il cielo si schiarisse e gli impedisse di osservare
la distesa d’inchiostro blu notte tempestata di luci accecanti, quelle che con
l’inquinamento luminoso era sempre più difficile scorgere. Era impensabile
svegliare Stiles a quell’ora.
«Svegliami comunque» disse risoluto, certo della sua scelta e guidato dalla
voglia di poter condividere quegli istanti rubati con il suo lupo.
Stiles si sarebbe svegliato dopo qualche momento, riconoscendo il suo
calore ed accoccolandosi contro di lui, forse avrebbe borbottato qualche parola
vaga, che Derek avrebbe riconosciuto con l’intuito, e sarebbe ripiombato nel
mondo di Morfeo, stringendosi al corpo del mannaro. «Va bene» tutto quello che vuoi era il significato
letterale. Per quanto se ne dicesse, Stiles continuava ad essere l’unico di cui
gli importasse e gli avrebbe sempre dato carta bianca, accontentando ogni sua
richiesta, dandogli tutto quello che voleva e prendendosi tutto quello che
desideravano.
Derek lo salutò con un bacio, uno tutto loro, uno che continuava ad
escludere chiunque si trovasse nei dintorni e Stiles si rilassò molto a quel
contatto, sciogliendo tutti i nodi che gli vivevano dentro e che gli avvelenavano
l’esistenza. La nebbia si stava dissipando.
«Non credo che tutti conoscano Derek Hale in quel modo» sentenziò con una
nota velata e piccante la ragazza che era rimasta tutto il tempo con il fiato
trattenuto ed ai margini del loro mondo.
Derek Hale e Stiles Stilinski non possedevano un anello spaventosamente
simile, Derek Hale e Stiles Stilinski possedevano lo stesso identico anello,
nel medesimo posto e con l’uguale ed esatto significato.
Il figlio dello sceriffo si girò verso la figura che aveva estraniato e di
cui si era dimenticato, con sguardo colpevole e mortificato, avrebbe cercato di
farsi perdonare, in qualche modo. «No, decisamente no».
«Adesso è chiaro il perché sia rimasto» giravano delle voci intorno a Derek
Hale, anche se Tracy non era proprio tipo da pettegolezzi ed orecchie prestate
all’ascolto di ogni chiacchiericcio, ma certe cose non poteva ignorarle perfino
lei.
Si mormorava che il capitano della squadra di basket, titolo raggiunto al
suo secondo anno, non fosse interessato a nessuno, né donna né uomo, e che non
concedesse occhiate, se non quelle di circostanza. Aveva scelto di vivere al di
fuori del campus, optando per un appartamento tutto suo, privo di qualsiasi
coinquilino, anche se quello non era propriamente una cosa da non aspettarsi da
un tipo solitario e poco propenso alla compagnia come lui; tutto nella norma
insomma.
Ma le studentesse invaghite di lui affermavano molto altro chiacchierando
tra loro, probabilmente sostenendosi a vicenda, e parlavano del suo essere
inviolabile ed intoccabile, perché aveva già qualcuno nel suo cuore, già
qualcuno che possedeva ogni parte del suo essere e che non era ancora arrivato
tra loro – trascorreva tutto il suo tempo libero attaccato al cellulare, con la
stessa identica persona. «Ti sta aspettando» si diceva proprio che lo stesse
aspettando, che fosse rimasto in attesa per due anni, prima che lo
raggiungesse. Era arrivato alla fine, al suo terzo anno. Quindi era una matricola, si supponeva e condividevano la stessa
casa, finalmente.
Tracy avrebbe dovuto individuare prima gli indizi e risolvere il mistero,
perché era talmente palese che si parlasse di Stiles – tra l’altro anche lui
aveva deciso di vivere fuori dal campus e Stiles non possedeva che la sua borsa
di studio per sostenere le spese, non avrebbe mai potuto permettersi un
appartamento in solitario –; le sarebbe bastato beccarli una sola volta a
guardarsi per capire ogni cosa.
Lo sguardo di Derek era sempre ostico e pericoloso, portava il chiaro segno
di stargli alla larga, e poteva anche far pentire di averlo soltanto incrociato
per sbaglio; era freddo e tagliente e la sua mimica era quasi inesistente, ma
quando i suoi occhi si erano posati su Stiles le cose erano cambiate e la sua
maschera brutale non riusciva a nascondere ciò che in realtà provava per quel
concentrato di iperattività e logorrea, che sapeva gestire egregiamente. Tracy
non aveva mai visto uno sguardo così devoto e carico di sentimento come quello
che Derek riservava al figlio dello sceriffo – non credeva neppure che ne fosse
capace.
Credeva che Derek Hale e Stiles Stilinski non si fossero mai incrociati,
mai lanciati un’occhiata e che al massimo si fossero intravisti da qualche
parte – le partite non contavano, Stiles partecipava ad ognuna e lei ne aveva
vista giusto qualcuna, ma mai con lui –; invece stavano insieme e portavano
avanti una relazione, una vera, una che la maggior parte della gente sognava ed
agognava e condividevano perfino lo stesso appartamento – sono praticamente sposati, si mormorava ai limiti dei corridoi
quando li individuavano in compagnia l’uno dell’altro.
Buon per te, piccola volpe.
«Non ha più motivo di aspettare» smentì Stiles con risolutezza e
concretezza, stringendo le chiavi con il lupo nero dagli occhi blu all’interno
della tasca. «Sono suo da molto tempo».
Tracy ne fu sorprendentemente ed orgogliosamente stupita, senza nemmeno
sapere perché, e fremeva davvero per conoscere la loro storia tanto intricata
ed interessante.
Sperava che un giorno Stiles gliel’avrebbe raccontata e fino a quel momento
si sarebbe accontenta di vederli amarsi, sempre un po’ di più.
Derek era disteso sul divano rosso, con un libro abbandonato sul petto e la
luce lunare che filtrava dalla grande vetrata, illuminando tutto il loft; la
casa era avvolta dal silenzio e quei rari momenti erano affidati alla mancanza
dell’uragano dagli immensi occhi d’ambra e dalla parlantina incessante.
«Derek» soffiò il suddetto con morbidezza, come se avesse timore di star
infrangendo la pace dei sensi in cui era caduto, sfiorandogli il viso in
un’amorevole carezza che non aveva alcuna intenzione di svegliarlo.
Derek aprì le palpebre, dando spazio alle iridi di smeraldo, incontrando
quelle del ventiduenne ed intercettando immediatamente la sua presenza nel
monolocale. «Ciao» disse soltanto con calore, contenendo lo stesso
sapore di quando gli aveva detto ben altre parole, tre anni addietro: sei qui.
«Ciao» lo salutò carico d’affetto il figlio dello sceriffo, concedendogli
un sorriso luminoso e sedendosi sulla punta del cuscino, attaccato al suo
fianco. «Scusa per il ritardo, questi gruppi di studio stanno diventando un po’
massacranti» Stiles era appena rientrato dall’ennesimo pomeriggio e serata
passata sui libri insieme ai suoi compagni di corso, dando delucidazioni su
ogni cosa che agli altri appariva ostica o che si erano persi ed appuntandosi
quello che lui non era riuscito a segnarsi.
Era l’ultimo anno ed erano tutti su di giri e prossimi ad una nevrosi,
costantemente con la testa sui voluminosi tomi e sulle miliardi di relazioni da
stilare ed erano soltanto al secondo trimestre, ma Stiles ricordava bene
com’era, c’era già passato con il lupo due anni prima – e lui aveva anche il
campionato di basket.
La differenza era semplice, il lupo non si intratteneva con nessuno, non
partecipava ad alcun gruppo di studio e non spartiva nulla del suo materiale
con chicchessia; l’unico da cui si faceva aiutare, se proprio costretto, era
Stiles ed era anche l’unico con cui condivideva i suoi ragionamenti – io li studio quelli, diceva ogni volta
che l’umano prendeva uno dei suoi grandi libri di astronomia, buttandosi sul
divano ed iniziando a sfogliarli. Io mi
annoio, lo ribeccava invece l’altro, perché era ovvio che una volta che
aveva terminato con i suoi studi di criminologia e sociologia e tutto il resto,
lui passasse a quelli su stelle e pianeti. Derek roteava gli occhi spazientito
e lo lasciava fare, perché la curiosità di Stiles e la sua sete di sapere non
avevano limiti e poteva posare quei libri dopo pochi minuti o passarci tutta la
notte, finché Derek non era costretto a strapparglieli di mano e lo buttava a
peso morto sul letto con tanto della sua controvoglia; controvoglia che veniva
magicamente annullata quando lo raggiungeva.
Stiles invece si sapeva bene com’era fatto, quindi non era assolutamente
strano che passasse determinate ore della settimana a condividere nozioni con
quante più teste poteva, finché non sopraggiungeva un attacco d’ansia
spaventoso e costringeva Derek a sigillare la porta ed a chiuderlo in casa,
infilando la testa dentro i libri senza dare alcun cenno di vita. Derek non ne
vedeva proprio il motivo – la tesi, Der, la tesi gracchiava Stiles con l’isteria mal
controllata. Stai lavorando a tre tesi
diverse e la prossima settimana ne avrai già pensate altre cinque ribatteva
il lupo con noia. Sei lo correggeva
l’altro con un sorriso a trentadue denti. Derek sbuffava, cancellandogli quella
curva impudente sulle labbra con le proprie, sei proprio senza speranza –, Stiles riusciva a memorizzare tutto
ciò che gli serviva già dalla prima lezione ed i suoi appunti riorganizzati,
accessoriati di mappe concettuali e molto altro, erano perfetti e gli
permettevano uno studio più calmo. Ma insomma, si parlava di Stiles e la parola
calma non figurava proprio nel suo
dizionario personale; al contrario era sostituita da una radicale e complessa
forma d’ansia.
«Non preoccuparti» semplificò sbrigativo il lupo mannaro con la piega della
sonnolenza che ancora annebbiava le sue piene facoltà.
Stiles poggiò la testa sul petto di Derek poco sotto il libro, strusciando
il viso in assenso ed il ventiquattrenne prese il volume tra le mani,
chiudendolo in un tonfo sordo e depositandolo sul pavimento, alla base del
divano, mentre l’umano si stendeva completamente su di lui, sfilandosi le
scarpe aiutato dai piedi ed aderendovi interamente.
«C’è la luna piena, vuoi guardarla?» chiese Stiles una volta assaporato il
calore del licantropo, accostando l’orecchio all’altezza del cuore ed
ascoltando il suo battito cardiaco.
«No, va bene così» rispose il mutaforma con voce profonda, immergendo
lievemente le dita tra i suoi capelli, accarezzandoli lentamente.
Era ancora qualcosa che li caratterizzava, era ancora la loro tradizione,
passare le notti di luna piena insieme, a qualunque costo, benché l’influenza
su Derek fosse mano a mano sempre più debole, avendone perfettamente il
controllo e possedendo Stiles accanto a sé, memore dell’importanza di
perseverare su quel potere. Era ciò che li aveva uniti e ciò di cui avevano
bisogno, non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
«Stanco del tuo cielo?» domandò il figlio dello sceriffo con beffarda
ironia, ammorbidendosi alla temperatura corporea del lupo. «La tua cometa fa
ancora i dispetti?» era chiaro che a Derek andasse davvero bene così, lo stare
distesi l’uno sull’altro era più che sufficiente, lo scambiarsi gesti di
quotidianità e la chiara manifestazione dei sentimenti che perseveravano e che
aumentavano. Poteva vedere la sua luna in altre occasioni.
Derek non si occupava affatto di comete o del pianeta rosso più vicino a
loro, ma Stiles continuava a perseverare su quell’idea romantica e fiabesca ed
il licantropo non era nessuno per negargli quella visione. «Ho già la mia
cometa» e Stella Polare.
Fu istintivo per Stiles allungare la mano sinistra per afferrare la sua,
legare le loro dita in una trama indissolubile, da cui emergevano i due anelli
identici che mostravano fieri la triscele che li identificava.
Erano passati quasi sei anni, ma Stiles continuava a rimanere senza fiato e
colpito da quello che Derek provava per lui e forse sarebbe sempre stato in
quel modo, una prima volta che si ripeteva illimitatamente e che aveva un
potere perennemente più grande, talmente immenso che non accennava a voler
diminuire e che invece si era prefissato la missione contraria. «Derek» chiamò
piano, quasi senza nemmeno accorgersene, guidato da un tormento che a volte
spuntava fuori e che veniva cancellato poco dopo dalla vita incredibile che
condivideva con lui.
«Ti ascolto» proferì il mutaforma in risposta, perseverando quei tocchi
appena accennati sul cuoio capelluto dell’altro.
L’umano strisciò il mento sul torace, poggiandolo esattamente al centro del
petto, permettendo ai suoi occhi di miele di guardarlo ed a volte non riusciva
a credere che tutto quello fosse suo, che il suo cervello lavorasse così tanto
anche se aveva ogni certezza del mondo. «È ancora ciò che vuoi?».
Derek portò di qualche grado in avanti il capo, guardandolo di sottecchi ed
incontrando le sue gemme magnetiche; ogni volta erano un tumulto inarrestabile.
«Sempre».
Il cuore dell’umano mancò un battito e l’assolutezza della voce del lupo
completo era la stessa che aveva udito per tutto l’anno da sedicenne, per
l’anno intero che avevano trascorso insieme senza rivelarsi la verità anche se
era evidente e visibile, anche se la conoscevano entrambi e Derek era rimasto
ad aspettare. «Ogni sacrificio?».
«Ogni sacrificio» confutò il ventiquattrenne con autentica sincerità,
quella che non poteva essere abbattuta o piegata, né insinuata o capovolta.
Il figlio dello sceriffo indugiò un momento, schiudendo le labbra e
serrandole subito dopo, suggerendo la sensazione che volesse dire qualcosa,
affrontare il discorso e debellare quei dubbi che a volte, con tutto quel tempo
che era trascorso tra loro, si insinuavano serpeggianti dentro la testa,
bisbigliando qualcosa che non quietava totalmente la sua anima.
«Sei la mia àncora, Stiles» proferì il lupo mannaro con fermezza,
scostandogli quelle ciocche che minacciavano di ricoprire le iridi di miele ed
attirando totalmente l’attenzione che si era offuscata su di sé. «Sei la mia
àncora dalla prima luna piena del mio terzo anno di liceo» rivelò con prudenza,
modulando bene la voce e confessandogli qualcosa che il ragazzo ancora non
conosceva. «La prima luna dopo che ti vidi la prima volta» Stiles tremò sopra
di lui e Derek non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo. «L’àncora che
aveva retto fino a quel momento non aveva più effetto su di me, non riusciva a
tenermi legato, in piedi; il mio lupo la rifiutava» quell’àncora era cambiata
dopo la morte di Paige e quella con cui era cresciuto e con cui si era allenato
fin dall’età di sette anni era stata risucchiata dalla rabbia che Derek provava
verso se stesso. Non era mai stata salutare, peggiorava ogni singola volta,
venendo confusa con un odio feroce nei propri riguardi; c’era ancora da
chiedersi come il lupo l’avesse accettata per più di un anno e mezzo. «Stavo
combattendo contro qualcosa che dentro di me la ripudiava e che non accettava
vie di mezzo, ero nei guai. Ma poi tra i miei pensieri sei apparso tu, in tutto
ciò che ti identificava e non potevo sbagliarmi in alcun modo. Hai preso il suo
vecchio posto senza consultarmi, senza permettermi di realizzarlo ed in quel
momento ho capito che mi ero completamente perso. Perso in te» la stretta tra
le loro dita si intensificò e la presa di Stiles era così forte che avrebbe
potuto fargli male se l’uomo fosse stato un semplice umano.
Se Derek gliel’avesse confessato in un momento diverso, in un tempo
differente, lo Stiles sedicenne che temeva il sentimento incondizionato del
lupo e che viveva nella confusione più totale nei suoi confronti, sarebbe
collassato. «Eri il pensiero più puro e felice che avessi mai avuto».
Il fiato si bloccò dentro la trachea del figlio dello sceriffo ed il
muscolo cardiaco prese a pulsare così velocemente ed interrottamente da
assordare il nervo acustico del lupo completo, divenendo l’unico suono
all’interno del loft che poteva udire.
Derek si preoccupò un po’, anche se quel tipo di reazione era così tipica
dell’umano da non dover più far risuonare alcun campanello d’allarme. Ogni
volta che esternava una sola parola in più o qualcosa di inaspettato,
l’affermazione del sentimento profondo che provava nei riguardi di Stiles,
quelle si manifestavano in tutto l’organismo del ventiduenne, divenendo totali
e la sola risposta affermativa che avrebbe potuto dargli.
Il mannaro si mosse per alzarsi ed intervenire, rendere nulla quella
difficoltà respiratoria che spesso prendeva possesso del ragazzo, ma Stiles
scattò prima di lui e gli gettò le braccia al collo, stringendoselo contro.
«Provo le stesse cose, lo sai, vero? Devi saperlo. Devi sapere che provo le
medesime ed identiche cose» aveva sempre saputo di essere l’àncora di Derek, di
esserlo da ben prima che il lupo entrasse a pieno titolo nella sua vita, di
esserlo da quando Erica aveva affrontato l’argomento la prima volta senza fare
nomi, ma lasciandolo sospeso nell’aria tra loro, sperando che un giorno ci
arrivasse da solo. Lo era già allora e lo era stato fino a quel momento – e lo
sarebbe stato per molto altro ancora –, ma non aveva mai pensato che lo fosse
già dall’inizio del sentimento che Derek stava cominciando a provare per lui,
un sentimento già radicato ed incredibilmente forte, talmente predominante da
conquistare ogni natura del mutaforma.
Era l’àncora di Derek Hale da otto anni, otto lunghissimi anni. «Ti amo
così intensamente, Derek. Totalmente. Amo tutto di te».
Derek arrancò il colpo abbagliato, ricambiando la stretta e tentando di
sistemarlo meglio sopra di sé, permettendosi di averlo più vicino e alla sua
altezza.
Gli sfiorò il viso con le dita, sollevandogli il capo nascosto tra
l’attaccatura del collo e la spalla e catturandogli le labbra rosse in un unico
gesto, travolgendole completamente e rispondendogli con tutto l’ardore che
conteneva dentro di sé ed a cui Stiles non sapeva resistere in alcun modo.
Quando il bacio si concluse, gli respirò direttamente sulla bocca,
lambendola e vezzeggiandola, sfiorandogli il naso con il proprio ed
accarezzandolo con dolcezza. «Ti amo anch’io allo stesso modo».
Stiles inspirò a pieni polmoni il suo odore, liberando le vie respiratorie
ed imprigionandolo in un bacio profondo, completamente dedito a lui. «Sei la
mia famiglia» confidò a pieno carico, travolgendolo completamente e
rivelandogli qualcosa che era stata svelata a metà. «Mi hai dato la famiglia
più grande, numerosa, pazzesca ed unica che potessi desiderare» licantropi e
coyote mannari. Coyote completi e lupi completi. Ed aveva un lupo tutto suo,
uno vero, uno reale, uno che poteva toccare ed accollarcisi contro, lasciandosi
avvolgere dal manto nero che lo circondava totalmente, riscaldandolo e
riparandolo nelle lunghe notti d’inverno, quando le temperature si abbassavano
radicalmente e la neve ricopriva l’intera città di enormi strati bianchi e
candidi.
In un primo momento il ventiquattrenne lo guardò senza dire nulla, a corto
di parole e fulminato dalla rivelazione dell’altro. Era un argomento che
avevano toccato soltanto una volta, anni addietro, quando Derek lo amava in
silenzio e Stiles l’aveva introdotto a forza nella sua vita.
Avevano parlato di molte cose equivoche a quei tempi, come se fosse normale
e fosse esattamente il futuro che li avrebbe attesi; si erano comportati come
una coppia da quando avevano scambiato erroneamente gli anelli la prima volta e
l’avevano dato per scontato senza mai averlo esternato ad alta voce. «È proprio
il tuo mondo» la tematica famiglia era complicata ed avversa e nella sua mente
persisteva continuamente quella voce fastidiosa che gli ricordava di avergliela
sottratta, di avergliela negata e di averla sostituita solo con la solitudine,
che Stiles detestava, e con la convivenza con una persona scontrosa e difficile
da gestire, buia e contaminata. Aveva creduto di avergli tolto la possibilità
di crearsi la famiglia che Stiles desiderava, numerosa e piena di piccole
creaturine che portavano i suoi geni ed il suo Dna, di non avergli permesso di
riempire il vuoto che l’aveva accompagnato da quando sua madre era stata
portata via dalla malattia.
«Sei tu il mio mondo» ma Stiles amava in modo totale, unico ed irripetibile
la vita che Derek Hale gli aveva donato, senza limitazioni o compromessi. «E
voglio passare il resto della mia vita con te» l’avrebbe scelta ad occhi chiusi
in un altro ciclo vitale. E quello dopo. Ed in quello successivo. Ed in un
vortice infinito.
La serietà in Stiles era univoca e Derek rimase attonito per alcuni
momenti, quasi incerto che un giorno il suo ragazzino cresciuto potesse
comunicargli parole importanti come quelle, una promessa così a lungo termine
da non vederne la fine ed un impegno che li avrebbe uniti senza alcun limite.
«Lo voglio anch’io».
Stiles appoggiò la fronte contro quella del lupo mannaro, sorridendogli
amorevolmente e stracolmo d’affetto direttamente a contatto con le labbra,
stampandogli un bacio tenue, dolce e delicato sulla bocca e stringendosi
completamente a lui, fondendosi totalmente.
Le gambe si intrecciarono e Derek creò una perfetta conca in cui Stiles
potesse sistemarsi, accoccolandosi contro di lui ed usandolo comodamente come
cuscino e materasso, impedendogli di alzarsi fino alla mattina successiva.
La luna completa brillò intensamente, illuminando con i suoi raggi di
madreperla gli anelli identici che si trovavano rispettivamente sull’anulare
sinistro di entrambi, con le dita allacciate ed intrecciate in una trama
perfetta ed inscindibile.
Anelli che non sarebbero più stati estratti o scambiati, che sarebbero
rimasti incastrati in quelle falangi specifiche e che ogni giorno, negli anni a
venire ed in quelli successivi, avrebbero testimoniato il loro amore
intramontabile, il loro legame indelebile, bagnati dalla presenza positiva e
costante del plenilunio, che li avrebbe accompagnati fino alla fine dei tempi.
Gli anelli gemelli cominciarono a scaldarsi e lasciarono un tiepido tepore
quando l’intreccio delle loro dita divenne univoco, rispondendo al calore del
corpo dell’altro.
Al loro interno vi erano il cuore e l’anima del lupo nero e della volpe
rossa che avrebbero custodito eternamente.
Credo sia giunto il tempo di concludere il
cerchio.
Questa è la storia di come Stiles e Derek
imparano a conoscersi, ad apprezzarsi, a rispondere alle esigenze e ai bisogni dell’altro.
È la storia del loro percorso e di come arrivano ad innamorarsi l’uno
dell’altro, anche se uno dei due era parecchio in vantaggio e Derek l’amava già
da tempo, finendo per amarlo più di prima.
In realtà è la storia di come Stiles giorno
dopo giorno si innamora di un Derek totalmente perso di lui. Di Derek e basta.
L’epilogo racchiude sei anni della loro vita,
quella al college e quella in cui Derek è rimasto sia per la strada lavorativa
che ha scelto sia per Stiles, perché Stiles sarà sempre ciò che lo farà
muovere.
Non sono tutti momenti felici e non potevano
esserli, con tutta quella distanza che esisteva tra loro e la dura realtà della
vita che non gli permetteva di vedersi come avrebbero voluto, come si erano
abituati in quell’anno speciale in cui si erano uniti. Ma stanno insieme, in
modo totale e disperato. Sono una coppia, una coppia vera che cresce anno dopo
anno e giorno dopo giorno, amandosi sempre un po’ di più.
E per una volta abbiamo finalmente il punto di
vista di Derek e possiamo vedere le cose con i suoi occhi, capirlo meglio e
sapere quelle piccole cose che non aveva mai detto a Stiles a voce alta, ma che
il nostro umano aveva capito comunque.
La stesura di questo lungo epilogo è avvenuta
prima della trascrizione dell’ottavo capito, che vorrebbe dire ben prima che
più di metà storia vedesse la luce e non ha mai subito modifiche o nuove
iscrizioni, se non piccoli dettagli che si aggiungono sempre perché i dettagli
fanno la differenza.
Non sapete quanto è stato difficile trovare un
college che comprendesse sia la facoltà di criminologia che quella di
astronomia; ho fatto impazzire la mia Beta ed ogni volta cambiavo perché non
ero soddisfatta, finché non mi sono imbattuta nell’Hofstra
University che è stata un colpo di fulmine.
Tutte le notizie che trovare in questa storia,
perfino le percentuali della luna piena, sono vere. Anche i famosi diciassette
minuti a piedi che Stiles percorre dal suo fuori
sede al college vero e proprio.
E questo è veramente tutto.
Ringrazio tutti coloro che sono passati di qui
trascorrendo del tempo con questa storia e con i nostri protagonisti preferiti,
chi l’ha apprezzata e chi l’ha amata, chi l’ha aggiunta tra i
preferiti/ricordate/seguite e chi ancora deve scoprirla.
E ringrazio per la pazienza, perché questi due
idioti ci hanno messo davvero troppo tempo, ma era un percorso che dovevano
fare.
Ringrazio chi mi lascerà qualche parolina,
ormai quelle finali, e chi si limiterà a leggerla.
Ringrazio la mia Beta (EarthquakeMG)
che è sempre a disposizione e che ha sempre troppo lavoro da fare con me (e lo
so che stai sudando freddo, lo so!) e la mia terza voce (kira_92), che con calma
arriva sempre (come ho fatto a vivere
ventiquattro anni senza Star Wars? Ah, se non ci
fossi io a colmare le vostre enormi lacune).
A presto,
Antys