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Autore: brvkenalec    17/02/2017    3 recensioni
Proprio quando Alec Lightwood e Magnus Bane iniziavano ad abituarsi all'essere genitori e a tutto ciò che ne deriva, ecco che nelle loro vite avviene qualcosa di inaspettato.
Fra le strade affollate di Buenos Aires, Alec fa un incontro insolito. Un piccolo bambino, vestito di stracci logori e sporchi e ferito, tenta di rubargli il portafogli dalla tasca del giubbotto di pelle che il Cacciatore è solito indossare.
Nel momento in cui il Nephilim decide di inseguirlo, non pensa a ciò che questa azione potrà comportare.
Dinamiche della famiglia Malec e dei suoi nuovi membri.
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Max Lightwood-Bane, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1.

P.O.V Alec.
 

Una volta entrato nell’ambiente a lui poco familiare ed essersi guardato attorno con marcata curiosità, il bambino, su consiglio di Alec, si sedette timidamente sul bordo del letto. Dalla sua postura rigida, Il cacciatore poteva constatare che il piccolo non si sentiva ancora totalmente al sicuro, nonostante lui gli avesse ripetuto più volte di volerlo aiutare e di non avere cattive intenzioni. I suoi occhi si muovevano con una velocità impressionante, analizzando ogni particolare della stanza, quasi volesse trovare una via di fuga nel caso in cui si fosse presentata la necessità di scappare.
«Tienes hambre?1» chiese Alec, avvicinandosi al piccolo frigo e aprendone l’anta.Il bambino alzò il volto sorpreso, fissando i suoi grandi occhi scuri in quelli del Cacciatore dall’altra parte della stanza. Dopo un momento di esitazione annuì.
« Es tu dia de suerte, tengo sobras de pizza.2» Alec sorrise, tirando fuori un piatto pulito dalla credenza del piccolo cucinino presente nella stanza d’albergo e posando sul tavolo un invitante trancio di pizza. Scostò la sedia e con un gesto della mano invitò il bambino a sedersi. Lui fissò con aria titubante la runa della Vista sulla pelle del Cacciatore ma poco dopo si alzò dal materasso e andò a sedersi al tavolo. Alec si versò un bicchiere d’acqua e si sedette di fronte al bambino, osservandolo mangiare.
A giudicare dalla velocità con la quale si stava avventando sulla pizza, il piccolo doveva essere rimasto digiuno a lungo. Alec fu invaso dal dispiacere e non poté evitare di pensare a Max e a tutti quei bambini che, come lui, avevano come unica preoccupazione quella di decidere fra quali cereali mangiare per colazione, al contrario del bambino che ora sedeva di fronte a lui che non aveva nemmeno la certezza di poter mettere sotto ai denti qualcosa ogni giorno.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del suo cellulare che, oltre a riportare Alec alla realtà, spaventò il bambino, facendogli perdere la presa sulla fetta di pizza, la quale cadde sul piatto con un tonfo sordo. Il Cacciatore si portò il telefono all’orecchio, non senza prima fare un gesto rassicurante per fare capire al bambino che era tutto sotto controllo e che poteva tornare a mangiare senza preoccupazioni.
« Sì? »
« Alexander! Grazie al cielo stai bene. Perché non hai risposto alla mie chiamate? » La voce di Magnus conteneva un misto di isteria e rabbia, il che non succedeva spesso. Alec corrugò le sopracciglia, confuso, e allontanò il cellulare per constatare che Magnus aveva davvero provato a contattarlo più volte. Sullo schermo compariva la scritta “8 chiamate perse.” Il ragazzo si passò una mano dietro al collo con imbarazzo e dovette impegnarsi al massimo per evitare di lasciarsi scappare un’imprecazione davanti al suo piccolo ospite.
« Magnus. Calmati. Mi dispiace, okay? Ho avuto un imprevisto e non ho proprio controllato il telefono. Scusa, davvero.»
«Un imprevisto? Di che si tratta, tu stai bene? » Pur trovandosi a oltre mille chilometri di distanza, Alec riusciva a percepire la tensione del suo ragazzo e si maledì ulteriormente per averlo fatto preoccupare in quel modo. Odiava quando le persone si preoccupavano per lui. Preferiva essere lui quello che si angosciava per gli altri. Lo aveva sempre fatto, ormai era un’abitudine irrinunciabile. Eppure, da quando Magnus era comparso nella sua vita, sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti. Lo stregone si premurava per Alec come nessun altro aveva mai fatto, e Alec non sapeva mai come sentirsi a riguardo. Sapeva di dover essere sollevato e che il comportamento di Magnus dimostrava ancora una volta quanto ci tenesse a lui, ma allo stesso tempo non amava sapere che qualcuno stesse male per colpa sua, nemmeno se “sentirsi male” significava semplicemente essere preoccupati. Alec Lightwood non voleva ferire le persone che amava, nemmeno per sbaglio.
« Sì, sto bene. E’ che… Ho trovato un bambino. Orfano. Ha la Vista. Non credo abbia una casa dove stare e- » il Cacciatore lasciò uscire dalle sue labbra uno sbuffo di esasperazione. Si prese un minuto di pausa, che Magnus decise di non riempire. « Sembra così… piccolo, Magnus. Non so cosa fare con lui.»
Ci fu un momento di silenzio fra i due interlocutori. Nonostante nessuno stesse parlando, il lieve rumore dei loro respiri riusciva a passare attraverso la linea telefonica, e a trasmettere emozioni non esprimibili a voce, o in nessun altro modo.
« Dove siete adesso?» domandò lo stregone infine. Alec guardò verso il bambino, che aveva finito la pizza e stava cercando di pulirsi il viso sporco di pomodoro con le sue ditina altrettanto sporche. Sebbene la situazione non fosse per niente divertente, ad Alec scappò un sorriso nel vedere l’ingenuità del piccolo. «L’ho portato in albergo e gli ho dato da mangiare. E’ ferito ad un ginocchio ed è sporchissimo. E per l’Angelo, Magnus, sta tremando di freddo. Che cosa dovrei fare? Io non so-»
«Calmati, Alexander. Sei un padre fantastico, okay? Hai tutto sotto controllo. » disse Magnus, con decisione. L’effetto delle sue parole fu immediato ed Alec strinse le dita attorno al bordo del tavolo, come se al posto del legno stesse stringendo le dita del suo ragazzo, in cerca del sostegno che lui gli dava ogni volta che si trovava nei suoi paraggi.
«Hai ragione, scusami. Non so cosa mi prende. E’ solo un bambino dopotutto, no? Non dovrei reagire così.» rispose il Cacciatore, più cercando di convincere se stesso che altro. Si alzò dalla sedia, voltandosi verso la finestra e appoggiando la fronte sul vetro freddo. Poteva vedere il tramonto sotto ai disegni che il suo fiato lasciava contro la superficie trasparente.
« Ascoltami, Alec. Ora, cerca di dare una sistemata al piccolo e occupati della sua ferita, se devi. Una volta fatto ciò, mi avvisi ed aprirò un portale così potrete raggiungermi qui all'appartamento e decideremo il da farsi insieme, come facciamo sempre. Va bene? Sono sicuro che il Conclave non farà troppe storie se ti assenti per una notte. Probabilmente non se ne accorgerà nemmeno.»
« Sì, hai ragione. E’ la soluzione migliore. Avrei comunque dovuto avere la mia ultima riunione domani all’alba. Se la mia presenza sarà necessaria potrò sempre venire e tornare da voi appena finisce. »
« Ovviamente è la cosa migliore da fare, perché è una mia idea. Sono o non sono il Sommo Stregone di Brooklyn? » chiese Magnus, ridendo. Alec rise a sua volta, immaginando i tratti indonesiani dello stregone contrarsi sul suo volto, lasciando spazio al sorriso che lui amava tanto.
«Sì, sei sempre il vecchio saggio. Ti amo, Magnus. Ci sentiamo più tardi.»
« Non troppo vecchio, Alexander. Ti amo anche io.» E con questo si concluse la chiamata.
Ancora sorridendo allo schermo, Alec si voltò verso il tavolo, aspettando di trovare il bambino ancora seduto sulla sedia. Ma quando alzò lo sguardo, lui non era più lì. Il panico si impossessò del giovane Cacciatore, che cominciò ad aggirarsi per la stanza cercando il piccolo.
«Hey!» disse Alec, ad alta voce, cercando di attirare l’attenzione del bimbo, dovunque lui fosse.
«Niño?3»
Dove poteva essersi cacciato? La stanza non era così grande ed al Cacciatore sembrava di aver controllato in tutti i nascondigli immaginabili dalla mente di un bambino di poco più di cinque anni. Mentre spostava la tenda per la milionesima volta sentì un rumore proveniente dall’atrio. Alec girò la testa di scatto e si avvicinò lentamente all’ingresso. La sua runa del Silenzio gli permise di sorprendere il bambino di spalle, senza farsi scoprire. Il piccolo stava armeggiando con la corda dell’arco che Alec aveva depositato accanto alla porta di ingresso insieme alla faretra e al resto della sua tenuta da caccia. La faretra era a terra e il suo contenuto rovesciato.
«¿Sabes que no deberías jugar con eso? Es peligroso.4 » disse Alec in spagnolo, posando una mano sulla sottile spalla del bambino e cercando di allontanarlo dall’arma. Quando vide quell’esile corpicino sussultare sotto alla sua presa sperò mentalmente di non aver usato un tono di voce troppo severo.
Il piccolo si girò e fissò, ancora una volta, il suo sguardo in quello del ragazzo alto che torreggiava sopra di lui, ma non disse nulla. I suoi occhioni, che sembravano sproporzionatamente grandi per il suo viso spigoloso, e che erano parzialmente coperti dai ricci scuri ed arruffati, in quel momento erano lucidi e Alec temeva che si riempissero di lacrime da un momento all’altro.
« Te puedo ayudar a lavarte si tu quieres. Debemos desinfectar tu herida. 5» continuò, spingendo lentamente il bambino verso la porta del bagno. Il Cacciatore rimase sorpreso quando lui iniziò ad opporre resistenza e a strillare, utilizzando tutto il repertorio di insulti in spagnolo che doveva aver appreso ascoltando e osservando i passanti di Plaza del Mayo. Alec strinse la presa sul suo braccio ma non troppo, temendo di fargli del male. Il piccolo tirava in direzione opposta al bagno, verso l’ingresso dove pochi minuti prima era stato sorpreso a giocare con l’arco e le frecce dello Shadowhunter.
Alec decise che lasciarlo andare e seguirlo fosse la scelta migliore da fare per capire che cosa volesse, dal momento che il bambino non sembrava molto entusiasmato dall’idea di comunicare e di trasmettere i propri desideri a voce. Il piccolo tornò all’ingresso ed afferrò una delle frecce dal pavimento, poi si voltò di nuovo verso Alec.
«¿Puedes enseñarme? 6»
Le sopracciglia del Cacciatore scattarono verso l’alto nel sentire la bizzarra richiesta e per un attimo Alec rimase a corto di parole. L’arco non era l’arma più comune fra gli Shadowhunters e forse anche la più sottovalutata. Il ragazzo ricordava bene gli sguardi di disapprovazione dei suoi genitori nel vedere l’arma scelta da loro figlio. Ed ora, quel bambino, gli stava chiedendo di insegnargli come utilizzarlo?
Il ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. «Si, claro!7» Il bambino ricambiò timidamente il sorriso e si strinse la freccia al petto.
«Pero primero debemos cuidar de tu herida.8 » aggiunse, allungando una mano verso la freccia, aspettando che il bambino gliela consegnasse, per poterla riporre nella faretra insieme alle altre. Il piccolo però non si mosse, se non per rafforzare la presa sulla freccia e stringerla ancora di più a sé.
Alec alzò gli occhi al cielo. Questo bambino è più testardo di Max, si ritrovò a pensare.
«Vale. Sólo por favor...ten cuidado. La punta es afilada.9»
Dopo essere giunti al compromesso, Alec e il bambino raggiunsero finalmente il bagno, dove Alec pulì come meglio poteva la sua pelle, scrostandola dalla polvere e dalla salsa di pomodoro della pizza. Buttò la maglia, ormai ridotta ad uno straccio logoro, che indossava e gli infilò il maglione più stretto che trovò nella valigia, che comunque era troppo lungo per il suo piccolo corpo e gli arrivava fino al ginocchio. Durante tutta l’operazione il bambino aveva continuato a giocherellare con la freccia, rischiando di infilzare Alec in un occhio con un movimento troppo brusco.
Una volta averlo pulito e rivestito, il ragazzo prese in braccio il piccolo e lo riportò in camera da letto, per adagiarlo sul materasso.
Si accovacciò e tirò fuori da sotto il letto un kit di primo soccorso dal quale prese il necessario per disinfettare il taglio: antisettico, garze, bende, crema cicatrizzante.
Quando Alec si inginocchiò ai piedi del letto e iniziò a imbevere del cotone con il disinfettante, l’interesse del piccolo per la freccia sembrò sparito quasi del tutto, nonostante il dardo fosse ancora ben stretto fra le sue piccole dita. Ora la sua attenzione era totalmente catturata dai gesti lenti ed esperti del Nephilim, che muoveva le sue mani con una dimestichezza tale da far pensare che quella non fosse la prima volta in cui si era trovato a dover prendersi cura delle ferite di qualcuno. Era vero che ogni Istituto offriva un corso di pronto soccorso di base per tutti i suoi studenti, per i casi estremi in cui le rune non potevano fare il loro lavoro, ma l’esperienza di Alec non derivava solamente da quelle lezioni. Fin da piccolo era abituato a prendersi cura dei suoi fratelli, ogni volta che erano poco prudenti durante gli allenamenti o mentre giocavano, e finivano per cadere e sbucciarsi le ginocchia o i palmi delle mani. Quando succedeva, Isabelle e il fratellino Max lo guardavano con la stessa espressione con la quale lo stava guardando ora quel bambino di cui non conosceva nemmeno il nome.
Dopo aver chiuso il bendaggio con una garza elastica Alec rassicurò il piccolo dicendogli che il bruciore che sentiva era dovuto all’azione dell’antisettico e della crema a base di arnica sulla ferita, e che sarebbe scomparso prima ancora che lui se ne accorgesse.
Il bambino aveva annuito alle parole del Cacciatore e si era rimesso a gingillare con la freccia mentre Alec mandava un messaggio a Magnus per dargli il via libera per aprire il portale.
«Escucha, pequeño. Te llevaré a un lugar securo. Tienes que confiar en mì, claro?10»
Il diretto interessato annuì ancora una volta e si mise in piedi, raggiungendo la mano di Alec tesa verso di lui. Lui si chinò e lo prese in braccio, assicurandosi di avere una presa abbastanza salda. Pochi secondi dopo un portale si materializzò nella stanza davanti a loro, alzando un venticello che fece rabbrividire il bimbo anche da sotto il maglione pesante che indossava. Le sue pupille si dilatarono e dalle sue piccole labbra uscì un lamento.
«No te preocupes, no te dejaré ir.11» E con queste parole Alec entrò nel portale.

 

            ***

 

Niente era cambiato nel salotto dell’appartamento di Magnus da quando Alec era partito per Buenos Aires. Lo stesso arredamento vintage, lo stesso profumo di casa. L’unica cosa diversa era che ora Alec vi ci aveva messo piede con un bambino aggrappato alla sua giacca, con la testa nascosta nell’incavo del suo collo, proprio sopra la sua runa di Blocco. «Alexander!» Magnus era in piedi davanti al divano, con le braccia ancora a mezz’aria e delle scintille blu che guizzavano fra le sue lunghe dita. «Magnus.» disse lui allo stregone, con un sorriso sollevato. Il Nascosto gli si avvicinò e si alzò sulle punte dei piedi, pronto a salutare il suo ragazzo con un bacio sulle labbra, quando si ricordò del bambino che giaceva sulla sua spalla. Nello stesso istante in cui il piccolo sollevò lo sguardo, rivelando un volto rigato dalle lacrime, una vocina riempì il silenzio del salotto.
«Papà?» Sia Alec che Magnus si voltarono di scatto, già sapendo chi avesse posto la domanda. Max, loro figlio, era in piedi nel corridoio. Indossava il suo pigiama preferito e aveva i capelli scompigliati. Quando si accorse che suo padre era davvero tornato da Buenos Aires e si trovava a pochi passi da lui il suo viso si illuminò e gli corse incontro, abbracciandolo con tutta la forza che aveva in corpo.
«Papà! Mi sei mancato tantissimo.» disse, saltellando sul posto e spostando lo sguardo da Alec a Magnus.
«Anche tu, piccolo. Ma tu che cosa ci fai ancora sveglio? Sbaglio o il tuo coprifuoco è passato da un bel po’?» rispose Alec, scompigliando affettuosamente i capelli del figlio, ma allo stesso tempo lanciandogli un’occhiata severa. Non amava vedere il figlio infrangere le regole.
«E io sbaglio o ti avevo messo a letto due ore fa?» indagò Magnus, incrociando le braccia al petto.
Max sbuffò. «Ero nel mio letto, infatti, ma poi ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare e...» si interruppe senza terminare la frase. «E’ un bambino, quello?» chiese, corrugando la fronte, visibilmente confuso. Alec annuì. «Non ha nessun posto dove stare. Viene da Buenos Aires e cercheremo di aiutarlo. Confido che tu ti comporterai bene con lui finché resterà con noi.»
«Sì.» disse Max, con una serietà che sul viso di un bambino di quattro anni sembrava fuori posto.
Poi si avvicinò al bambino, che si teneva ancora stretto contro il petto di Alec. In una mano stringeva la freccia, mentre l’altra era infilata in bocca, gesto che probabilmente gli era venuto spontaneamente in un momento di confusione e tensione come quello che stava vivendo. Il suo viso era ancora bagnato dalle lacrime. Max si alzò in punta dei piedi, cercando di arrivare all’orecchio dell’altro bambino.

«Benvenuto a casa.» sussurrò.


Traduzione dialoghi in spagnolo.

1 :Hai fame?
2 : E' il tuo giorno fortunato, ho degli avanzi di pizza.
3: Bambino? 
4:  Sai che non dovresti giocare con quello? E' pericoloso.
5: Posso aiutarti a lavarti, se vuoi. Dobbiamo disinfettare la tua ferita.
6: Puoi insegnarmi?
7: Si, certo!
8: Però prima dobbiamo prenderci cura della tua ferita.
9: Va bene, Per favore, però, fa attenzione. La punta è affilata.
10:  Ascoltami, piccolo. Ti porto in un posto sicuro. Tu devi fidarti di me, va bene?
11: Non preoccuparti, non ti lascio andare.

 

 

Note dell'autore.

Buonasera Lettori, come state? Spero che voi possiate perdonarmi per la lunga assenza ma fra problemi personali e impegni scolastici, non ho un attimo di tregua. Spero vi piaccia questo nuovo capitolo. Fatemi sapere che cosa ne pensate e se siete interessati a leggere i capitoli seguenti. Mi sarebbe davvero d'aiuto. 
Vi ringrazio!

Un bacio, Alice.

  
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