Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: sam_di_angelo    19/02/2017    0 recensioni
«Non permettere alle tue ferite di trasformarti in ciò che non sei.»
Difficile, quando le tue ferite diventano quotidiano dolore, quando non si rimarginano, quando ti strappano qualcosa che non potrà mai più tornare indietro.
Prima dell'incidente, non ho mai dato peso a ciò che la natura mi ha regalato alla nascita: i fiori erano colorati, profumati, fragili sotto le dita, ma mi sembrava una cosa così scontata che solo Dio sa quanto stessi sbagliando.
Un ragazzo, un incidente, un dolore.
Una ragazza, niente memoria, un segreto.
La danza, l'amore, una storia.
© SamDiAngelo - Tutti i diritti riservati
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II


Voglio soltanto andarmene da qui. Diventare un ballerino e finalmente avere la vita che desidero da anni. Lontano da tutti, fra visi nuovi, fra nuove avventure. Voglio rischiare, prendere tutto come viene e se possibile avere i soldi. Tanti soldi. Per poter viaggiare, viaggiare e volare via, dovunque io desideri. 

Dal diario di Park Jimin, 07/02/2014

«Mi fidavo di te!» 

Sono furioso, fuori di me. Tiro un pugno e un rumore metallico mi scuote fino alle ossa. Ho colpito un armadietto. 

«Jimin, sii ragionevole, è per il tuo bene! Sai di aver bisogno di aiuto...»

Non ho bisogno di aiuto. Ho solo bisogno di stare da solo, cazzo. Stringo il pugno e sento le nocche stridere.

«Matilda, tutto ciò che mi serve adesso è pace. E non la troverò di certo andando da uno strizzacervelli.» mi avvicino pericolosamente al suo volto, fino a sentire il suo respiro sulla pelle. Il suo profumo di cannella mi invade le narici e mi da il voltastomaco. Digrigno i denti quando percepisco lo sguardo di tutti gli studenti del corridoio fissarsi su di me. 

Un moto di rabbia e odio mi ribolle nel petto, mi incendia la ragione.

«Tu e mia madre non avete capito che non ho bisogno di pietà, né tanto meno di altra gente che ficchi il naso nella mia vita.» chissà di che colore sono gli occhi, o i capelli, se è carina. So solo che ha ventotto anni, e che in questo momento mi guarda dispiaciuta, quasi ferita.

Ma non mi importa.

Afferro il bastone e mi volto. Prendo a camminare spedito, urtando qualcuno di tanto in tanto. Che si togliessero dalle palle, voglio andar via di qui.

I pancakes mi risalgono dallo stomaco fino alla gola, trattengo l'istinto di riversare tutto sul pavimento e continuo a camminare.

Almeno Matilda ha evitato di seguirmi, avrei dato di matto definitivamente. 

Spero che la mia memoria non mi inganni quando allungo la mano per trovare la porta di ingresso dell'istituto. Stringo la maniglia e spingo, e finalmente l'aria fresca mi inonda il viso. 

Faccio un respiro profondo ed esco, lasciandomi quell'inferno alle spalle. 

Decido di camminare verso casa. Il vento è gelido sulla faccia, pungente. Riempio i polmoni e assaporo la sensazione di freddo, dei brividi. I capelli sbatacchiano da una parte all'altra facendomi il solletico.

Ci metto molto ad arrivare. Quando apro la porta di casa (dopo aver faticato per trovare la toppa con la chiave) sento mia madre sussultare. In un millesimo di secondo mi stringe fra le sue braccia, quasi mi stritola.

«Jimin! Dio sia lodato! Ma sei pazzo? Hai tardato così tanto e... Pensavo che ti fosse successo qualcosa... Dio, Dio...» la voce si incrina.

Le accarezzo la spalla dolcemente, nel tentativo di rassicurarla. 

«E' tutto okay, stavo solo camminando un po', avevo bisogno di schiarirmi le idee.»

«Lo sai, lo sai che mi fai preoccupare come una matta! Un messaggio, Jimin, una telefonata! Quegli stupidissimi aggeggi elettronici dovranno pur servire a qualcosa, dannazione!»

Non rispondo. La abbraccio e aspetto che si tranquillizzi, come sempre. Conto i secondi che mi separano dal mio letto, e scelgo la canzone da ascoltare.

«Mamma, vado a stendermi un po'.» lei mi lascia andare titubante, e mi sfila il cappotto. Quasi perdo l'equilibrio inciampando nel bastone. L'odore di casa subito mi culla. Così familiare, così... Da posto sicuro.

«Fra poco è pronto, Jimin. Ti chiamo.» mamma mi da un bacio sulla fronte, sui capelli che mi scendono scomposti sul viso. Lei dice che sono tornati castani, scurissimi, che la tinta bionda che avevo fatto tre anni fa è andata via.

«Okay» rispondo solo, cercando di farle un sorriso. Spero si possa accontentare di una minima curva.

***

Mi maledico quando dagli auricolari inizia a sgorgare la canzone che più mi ricorda la Corea, e la mia vecchia vita. 

Stoppo e strappo via le cuffiette, ma ormai è troppo tardi. Sento un tuffo al cuore e non riesco a fermare la mia mente. Corre, si tuffa nel passato a va a rispecchiare il ricordo che più di tutti mi fa male. 

JungKook mi sorride. 

«Finalmente ti sei trovato la ragazza, Jiminnie!» tutti i miei amici mi spintonano e ridono, dandomi delle gomitate.

«Manda giù!» urla Taehyung alzando il suo bicchiere pieno di vodka rossa. Faccio lo stesso e entrambi i recipienti di vetro tintinnano e brillano in un brindisi. Dalle casse, dall'impianto stereo del garage di Yoongi, pompa la nostra canzone. Quella delle cazzate, quella che parla di noi, di quanto leggeri si può essere quando non si pensa a nulla se non alla musica, alla vita.

Le nostre risate riempiono la notte quando, ormai passate le due, siamo tutti brilli, e felici. Jin e Namjoon ballano, e tutti noi ridiamo. E' così che vorrei che fosse la mia vita: gioia, felicità e spensieratezza. Sono contento di averli incontrati, di aver incontrato i compagni con i quali debutterò e con i quali inizierò la mia carriera.

Chiudo gli occhi e butto la testa indietro, e rido. I cerchietti di metallo sulle mie orecchie tintinnano, e non mi sembra esista suono più bello.

«A noi!» urla Hoseok. E tutti rispondiamo gridando. "A noi!" e mandiamo giù l'ennesimo alcolico, con la testa leggera e la vita nel cuore.

Sto per morire dalla nostalgia.

***

«Jimin, le braccia! Più giù. Le dita, Jimin, tira le dita!» sono distratto. Sento Aurora battere nervosamente il piede sul parquet, segno che si sta spazientendo.

«Spiegami cos'hai.» dice, dopo aver spento lo stereo. Cerco di riprendermi dal fiatone e mi poggio con le mani sulle ginocchia. Una gocciolina di sudore rotola sulla mia fronte, fino a tuffarsi giù dal mento. Chissà dove cadrà.

«Scusami, è che oggi sono un po'...» so che non la berrà, perciò decido di andare dritto al sodo.

«Ora come ora, mi mancano i miei amici e la mia vecchia vita.»

«Sai che questa è la tua vita ora, Jimin. Non puoi tornare indietro. Non c'è futuro per chi vive nel passato. Perciò adesso concentrati e esci le palle.»

Come farei senza di lei? 

Aurora è una donna meravigliosa. Ha trent'anni, è bassa, un po' tozza e paffuta (me lo ha detto lei, e le credo) ma la sua fisicità non è mai riuscita ad abbattere i suoi sogni: ha ballato in giro per il mondo fin da piccola, ospite di teatri famosi, persino nei programmi in tv. Tuttavia, ha conservato tutto il suo denaro per le tre figlie, gemelle, e per la loro università, per il loro futuro. Adesso insegna come una qualunque maestra di ballo in una scuola di danza, molto umile e dedita al suo lavoro. La ammiro, perché, personalmente, non sarei stato capace di fare lo stesso. Avrei sperperato tutto senza pensarci due volte, solo per me stesso.

«Allora, Jimin... Cosa vuoi fare? Piangerti addosso, oppure tornare a respirare?»

«Sai che per noi ciechi è impossibile piangere.»

«Non è vero, stupido.» la sento avvicinarsi a passo svelto e darmi uno schiaffetto sulla testa. Sorrido.

«Con me non attacca, tesoro mio. Adesso bevi un po' d'acqua e riprendiamo, forza.»

Cerco di domare l'affanno e mi alzo, dritto sulla schiena. Mi avvicino ad Aurora, e le poggio una mano sulla spalla.

«So cosa stai pensando, Jimin. Non sto sprecando il mio tempo, e tu non devi dirmi grazie. Ora, tirati su, e balla.»

Chiudo gli occhi, quando lei poggia la sua mano sulla mia, e una scarica mi percuote. Ha dannatamente ragione. E' che a volte mi sento un peso per lei... Per tutti. E non potrò mai smettere di ringraziarla per tutto ciò che ha fatto e fa per me. 

Ricaccio indietro le maledette lacrime e mi chino per afferrare la bottiglietta di plastica che ho lasciato accanto allo specchio della sala. 

In questo momento, non mi importa del mio riflesso. Sono solo io, qui, ora. E posso scegliere cosa farne di me: 

ti piangerai addosso, o ti rialzerai, Jimin?

   
 
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