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Autore: sod_93    21/02/2017    0 recensioni
C’era una volta un Re che sedeva sul suo trono. Egli chiese alla sua regina di narrargli una storia degna di essere letta al suo popolo per stimolare nel cuore la fiducia che un tempo aveva nei confronti del sovrano.
La Regina rifletté un attimo poi si schiarì la gola e iniziò a raccontare.
Questa Storia inizia dalla fine di un’altra storia che per comodità sarà solo accennata da una breve introduzione.
Essa non parla di gesta eroiche compiute da uomini del passato, valorosi cavalieri che combattano per la mano di una giovane fanciulla. Essa parla di come, a volte, piccoli gesti della quotidianità possano lasciare un segno; magari un sorriso, un pensiero felice o più semplicemente creare un legame. Ecco, questa storia narra di un legame che è riuscito a superare i limiti stessi del Tempo e a riscrivere la definizione stessa di Anima.
Non perderti una singola parola! Altrimenti tutto il resto ti sarà incomprendibile.
Leggi e rileggi. Prenditi tutto il tempo di cui senti la necessità; qui il Tempo non scorre.
Iniziamo, dunque!
Genere: Dark, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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C’era una volta un Re che sedeva sul suo trono. Egli chiese alla sua regina di narrargli una storia degna di essere letta al suo popolo per stimolare nel cuore la fiducia che un tempo aveva nei confronti del sovrano.
La Regina rifletté un attimo poi si schiarì la gola e iniziò a raccontare.
Questa Storia inizia dalla fine di un’altra storia che per comodità sarà solo accennata da una breve introduzione.
Non perderti una singola parola! Altrimenti tutto il resto ti sarà incomprendibile.
Leggi e rileggi. Prenditi tutto il tempo di cui senti la necessità; qui il Tempo non scorre.
Iniziamo, dunque!

In un luogo non precisato dalle mappe -ma che potrebbe benissimo trovarsi da qualche parte nel sud dell’Europa- le campane di una chiesa echeggiano malinconiche contro un cielo freddo e limpido; è il tipico cielo azzurro di un tardo marzo, pigro e capriccioso che non vuole sentire ragioni di andarsene. A parte la quel triste e lugubre suono, tutto il resto tace.
Invece, a qualche miglia di distanza da quel tetro quadro, un paese cresciuto un po’ troppo è in festa ed il fragore dei clacson delle auto tenta di prevalere sopra il boato delle voci delle persone che urlano e intonano canti festosi lungo le vie strette e caratteristiche che portano dal centro della città fino alla stazione dei treni.
Pur essendo lo stesso periodo, le strade sono ricoperte da un tappetto bianco e scricchiolante sotto il passo veloce e frenetico degli abitanti. Non è neve. Non ha nevicato durante l’inverno; invece sono chicchi di riso lanciati come simbolo di prosperità. Un augurio verso il sacro legame appena istituito o, molto più probabile, un momento per riunirsi e fare della sana caciara tutti assieme; è anche per questo motivo che sono belle le feste di paese.
A volte si ha quella familiare sensazione di essersi persi da qualche parte e di ritrovarsi in un posto dove il tempo non sia un elemento fondamentale della routine; un posto dove -solo per quel giorno- drammi e preoccupazioni della quotidianità vengono lasciati in secondo piano; ci sono, ma a nessuno pare importarsene. Un po’ quello che succede quando entriamo in un sogno. Un istante che dura più di quello che si riesce a percepire, l’unica differenza è che è reale.

Ora, un poeta di qualche anno fa paragona l’essenza del sogno alla carne, sangue e ossa di cui l’essere umano è composto, mettendo quindi in risalto e alla luce la possibilità che l’uomo altro non sia che il frutto di tutti i suoi sogni, passati e futuri; realizzati e non, allontanandosi dalla concezione materiale che ci lega a questo mondo. O almeno, questa è una visione più introspettiva di noi stessi.
Cosa sono, dunque, i sogni? Speranze? Prospettive e buoni propositi da realizzare per l’anno che viene? Oppure sono, molto più semplicemente e come la scienza spiega, un processo bio-chimico del nostro cervello atto a stimolare la rigenerazione neurale? Immagini sequenziali registrate dal nostro subconscio e riprodotte dal cervello che in maniera completamente randomica ci permettono di rivivere sensazioni e momenti passati delle nostre giornate.
Un semplicissimo ed elaboratissimo loop sequenziale non molto differente da quando attacchiamo lo smartphone alla presa elettrica e iniziano ad apparire foto ed immagine prese da una cartella impostata di default da noi stessi. L’unica differenza, forse, è che non siamo noi a scegliere la “cartella” dal nostro subconscio.
Ma se alla fine, non siamo molto differenti da un semplice telefono, o computer mi chiedo cosa succederebbe se, volutamente qualcuno creasse per noi questa cartella di sogni e la impiantasse all’interno del nostro cervello; una cartella che raccoglie le immagini, i suoni, odori e sensazioni di una vita non nostra. Cosa succederebbe in questo caso? Ce ne accorgeremmo? E nel caso fossimo veramente molto bravi da notare questa diversità, come ci comporteremmo? Saremmo capaci di vivere ancora la nostra vita senza mai domandarci, nemmeno una volta: Chi sono Io?
Recentemente qualcuno ha provato ad immaginarsi un mondo simile a quello che andremo a scoprire e a creare noi, quindi proviamo con un qualcosa di originale (nel caso la colonna sonora di quell’opera citata prima potrebbe aiutare nella lettura).

Questa storia inizia esattamente come inizia un sogno, anzi, dovrei dire che essa inizia con un sogno! Anche se non è dovuto da una normale attività notturna del cervello ma da qualcosa che normalmente verrebbe definito come trapasso.
Immagina, quindi, questo sogno.
Alza lo sguardo; il cielo che vedi è coperto. Nuvole gonfie di pioggia minacciano di esplodere da un momento all’altro ma la luce che percepisci è molto intensa. Non distingui molto per il momento in quanto la tua vista è ancora annebbiata e non sei entrato nel vivo del sogno.
Poco alla volta inizi a distinguere quello che ti circonda. Noti subito che ti trovi in mezzo ad un campo di erba verde smeraldo e davanti a te il profilo di un parco giochi diventa a mano a mano più nitido e chiaro; uno scivolo, due altalene, un paio di pali.
No aspetta; è la sagoma di una porta da calcio senza rete quella.
Fissi i dettagli molto attentamente anche se sai che la maggior parte di essi li dimenticherai una volta sveglio e per questo ti perdi altri dettagli. Come ad esempio l’odore di erba appena tagliata che ti provoca disagio e ti senti come se avessi l’influenza. La testa inizia a far male e la visuale si appanna per un istante. Ricacci indietro le lacrime e continui a fissare i dettagli.
Familiarizzi con il posto; in realtà non sai nemmeno dove ti trovi. Oltre al campo giochi non distingui nulla di chiaro, ed è qui che realizzi che il tuo subconscio sta cercando di dirti qualcosa. Forse il pomeriggio prima hai dimenticato il portafoglio su una panchina, o sullo scivolo; oppure è il luogo dove hai trascorso bellissimi momenti, o anche tragici; forse sei appena morto in qualche strano incidente e quello è il luogo del tuo decesso.
Odi una voce che ti pare essere familiare. Lo è? Non lo è? Non sai neanche quello che dice però ti volti cercandone l’origine. Vedi una sagoma in lontananza ma non distingui chi possa essere.
Tutto è buio all’improvviso; un dolore lancinante attraversa il tuo corpo.
Urli. Ti contorci.
Laceri le tue povere corde vocali cercando disperatamente aiuto e solo quando le tue forze scemano, ti rendi conto che in realtà non stai emettendo alcun suono. Oltre al dolore, la nausea.
Odi la nausea.
 
Torni a vedere qualcosa.
Il prato è sparito. Le altalene e lo scivolo pure così come il cielo e la sensazione di benessere che prima provavi.  
Sei su una strada asfaltata, sdraiato per terra supino. In lontananza distingui un suono ovattato di sirene, ed in effetti, noti delle luci lampeggianti che ti abbagliano come se qualcuno le stesse puntando dritto verso i tuoi occhi. Strizzi gli occhi, confuso e stordito.  
Attorno a te ombre di persone –presumi- si muovono frenetiche. Le scie che lasciano sono distorte e non uniformi; ombre di fumo nero che si dissolvono per ricomporsi poco più avanti. Non distingui alcun tratto, alcun dettaglio.
Odi pure delle voci concitate che sembrano dire qualcosa. “tim…” Quella parola la senti distintamente ripetuta più di una volta. Cosa vuol dire? È il nome di qualcuno? Forse il tuo…
Provi a muoverti, a girare il capo ma ti rendi conto che qualcosa ti tiene li bloccato a terra; concentri tutti i tuoi sforzi nel mettere almeno a fuoco qualcosa, ma di nuovo, quella sensazione di nausea sale dal tuo stomaco e la vista si annebbia una seconda volta.
Inizi a chiederti in che razza di sogno tu sia finito anche perché ora non stai provando dolore, né alcun tipo di emozione. Navighi placido sopra un mare troppo calmo, un mare di cui te hai memoria. Un mare che ora appare essere la porta di un altro mondo.
Nel profondo del tuo subconscio sai che in realtà stai solo dormendo nel tranquillo nel tuo letto; cerchi di ricordare dove sia il tuo letto ma non rammenti niente.
Pensi che, forse, tutto ciò deriva dalla impepata di cozze che hai mangiato al ristorante italiano in centro la sera prima e dal joint-sorpresa che i tuoi amici ti hanno fatto per il tuo compleanno qualche ora prima di collassare nel tuo letto. Ad ogni modo, hai una strana sensazione dentro di te; una sensazione che è difficile da spiegare a parole e che ti provoca uno strano senso di inquietudine.
Di nuovo la luce intensa ti penetra attraverso le palpebre. Non è la luce del cielo che stavi osservando prima. Viene dall’alto, sì, ma non è il sole; il cielo è nero come la pece: magari è notte.
Ancora quella voce. Quella del primo sogno e stavolta riesci a capire una sola parola di quello che dice: “Timotheous
Timotheous? È il tuo nome? Probabile, ma dimenticare il proprio nome in un sogno non è poi così normale anche se questo non pare essere propriamente un normalissimo sogno in cui i gatti parlano coi pesci.
Timotheous” –ancora ti chiama. Riprovi a prendere controllo del tuo corpo e con tutte le forze che serbi in corpo muovi di scatto la testa verso la voce.
Ti muovi, ma stavolta la nausea è più veloce e furba del tuo subconscio.
Svieni.
Tutto diventa nero per la seconda volta.

Rinvieni.
Sei seduto su una sedia bianca in mezzo ad una stanza. Anche la stanza ti pare essere dello stesso colore della sedia solo che non sei più tanto sicuro di quello che stai vedendo. Però questa volta la vista è chiara e nitida; distingui subito il profilo dei muri spogli che ti circondano e ti rendi conto di trovarti al centro di quella che è una stanza quadrata. Una lampada appesa al soffitto sopra i tuoi occhi filtra una luce tenue e calda che ti mette a tuo agio nonostante la completa assenza di arredamenti o suoni.
Abbassa lo sguardo.
Sotto di te vedi il pianeta Terra galleggiare placidamente dentro una bolla e la cosa ti ricorda tanto un bambino nel grembo della madre.
 L’istinto ti suggerisce di provare timore ma quella assurda sensazione mortale che si prova quando si cade nel vuoto è del tutto assente.
Ti trovi a tuo agio lassù, nel vuoto cosmico, separato dal resto del mondo ad osservare l’operato di tante piccole formiche che si affannano per una casa che diventa sempre più piccola. In un certo senso, comprendi il motivo per cui qualcuno, una volta ogni tanto, prende il primo shuttle disponibile e se ne vola via, fuori dal brulicante formicaio. Se è quella davvero la sensazione che si prova ad osservare la Terra dal di fuori, forse bisognerebbe organizzare delle gite turistiche. Almeno la gente scoprirebbe che non abita poi così lontano dal ragazzo che chiama “negro” o “ebreo”; pensandoci bene -però, la stupidità umana è infinita. Qualcuno una volta aveva accennato ad una cosa del genere, mi pare e aveva ragione.
Ti stai perdendo nei pensieri -ora- e ti dimentichi il reale motivo per cui sei finito ad osservare una sfera che galleggia sotto un pavimento.
Il pavimento si restringe e la fessura dalla quale stavi osservando il globo si fa via via più piccola e stretta, fino a scomparire del tutto.
Ritorni in quella stanza, seduto su quella sedia.
Ora c’è qualcuno.
Lo vedi nitidamente; non puoi sbagliarti.
È un ragazzo, voltato di spalle che canticchia qualcosa fra sé e sé.
This is not the end/This is not the begin/Just a voice like a riot…
Sono le uniche parole che distingui nel borbottio generale e anche se esse ti sono molto familiari, non passa nemmeno un secondo che hai già scordato quello che avevi appena udito.
Ti schiarisci la voce per attirare l’attenzione dell’unica persona che, forse, potrebbe spiegarti in che razza di sogno tu sia finito.
D’altronde, in ogni viaggio onirico è presente una guida che ti accompagnerà lungo la via, dritto nel mezzo di una selva oscura, attraverso rovi e rampicanti fino a raggiungere il castello. Ok!! Le fantasie alla Walt Disney le lasciamo per il prossimo racconto. 
Silenzio. Assoluto e completo silenzio.
Il ragazzo continua a fissare il muro davanti a sé e a borbottare altre frasi incomprensibili.
Ti puoi alzare dalla sedia, lo sai?” – rompe il ghiaccio lui all’improvviso dopo quella che pare essere un’eternità.
Nessuno ti ha legato!”. Tossisce.
Vero. Non ci sono catene né ai tuoi polsi né alle caviglie. Sei libero di muoverti per la prima volta.
Ti alzi in piedi e per quanto te sappia camminare da qualche anno, la sensazione di essere libero di andare dove ti pare, anche solo in quella strana stanza -che sembra ora più piccola, è fantastica.
Ti muovi verso il ragazzo che sai che risponderà alle tue domande; finalmente qualcuno che potrà dare almeno un senso a tutto quello che per il momento non ne ha avuto. Anche se in realtà sai già che le sue risposte non daranno alcuna spiegazione agli avvenimenti avvenuti in questi sogni bizzarri.
Un po' come Virgilio con Dante.

Non sei in un sogno.” – ribadisce lui tranquillamente, un po' annoiato.
Un altro colpo di tosse, strozzato.  
Ti blocchi di scatto. Impietrito. Non solo ti ha appena detto che tutto quello che stai vivendo non appartiene ad un sogno, ma ha letto pure i tuoi pensieri.
Oh, non fraintendermi” – dice girandosi intanto – “Se per sogno intendi qualsiasi cosa che accade dentro la tua testa, beh…sì siamo in un tuo sogno. Però..”. Lo vedi bloccarsi a fissare un punto nel vuoto davanti a sé.
..bisognerebbe prima capire cosa è un sogno”. Ammicca, divertito e con un ghignetto sulle labbra.
Prima che te possa capire il reale significato delle sue parole, il tuo sguardo viene rapito dai dettagli di quei suoi capelli scuri e arruffati. Ogni tratto di quel naso troppo grande per i suoi lineamenti del volto risalta alla luce della lampada. In qualche modo ti senti attratto da una forza gravitazionale che costringe a tenere il tuo sguardo fisso in due buchi neri e privi di luce; due grandi fessure che riflettono l’essenza stessa del nulla. Non sono nere pupille. Sono l’ingresso di un’altra dimensione.
Ti attanaglia una morsa allo stomaco ed il cuore inizia a battere all’impazzata. Rivoli di sudore freddo scendono lungo le tue tempie ed il respiro ti si affanna; le gambe diventano di piombo, pesanti e non rispondono a tuo comando. Fai un passo in avanti, poi un altro. La sensazione di non avere il controllo sui tuoi movimenti preme sul tuo animo e per un attimo tutto sfuma di significato.   
Mentre il tuo sguardo viene risucchiato in quel vortice senza senso dimentichi dove tu sia, oppure il motivo per cui tu esiti. Persino il profilo del ragazzo sbiadisce. Non ricordi il colore dei suoi capelli; i tratti del suo viso si sgretolano in polvere, dissolvendosi verso l’alto. Ogni parte del suo corpo finisce in polvere e muta forma in un vortice di fumo denso e sabbia.
Eccetto i suoi occhi.
Il loro profilo rimane chiaro, nitido e costante.
Vuoto.
Ti rendi conto di guardare dritto nel barato del nulla e una voce nella testa ti spinge a sporgerti oltre, a rischiare di cadere nel niente per vedere se quegli occhi hanno una fine. Per vedere quello che essi hanno visto.
Dopo il primo momento di sconforto, inizi a percepire che quella attrazione così forte e pregna di emozioni va via via scemando; la morsa sullo stomaco si allenta.
Fai respiri più profondi. Il cuore smette di battere fuori controllo.
Riprendi possesso dei tuoi movimenti e ti fermi, proprio a qualche passo dallo strano ragazzo.
Continui a sostenere quello sguardo. Il disagio che stavi provando poco prima sembra placarsi e ti perdi in quegli occhi un’altra volta.
Navighi in mezzo ad un lago. Non c’è nulla a parte la barca su cui ti sei sdraiato.
È proprio una bella giornata. Non ci sono così tante nuvole sopra di te; il cielo è di un azzurro elettrico, accentuato un attimo dal tramonto che sta avvenendo proprio dietro i monti alla tua destra.
Volti il tuo sguardo e sei spettatore di uno dei tramonti più coinvolgenti a cui hai mai assistito.
Sei proprio rilassato. Chiudi gli occhi; ti riposi.
Rinvieni.
Sei seduto di nuovo sulla sedia e stai fissando per l’ennesima volta quegli occhi scuri; ora non sembrano essere vuoti e privi di luce.
C’è un mondo dietro a quelle due fessure scure; un mondo a cui hai assistito ad un solo istante. Un mondo di cui non hai modo di osservare altro.
Fa sempre uno strano effetto, lo so.” –batte le mani.  La sua voce è calma, piatta. Un tremolio della sua mano destra ti distrae un secondo. Discontinuo, sconnesso eppure sembra controllarlo.
Posso sedermi?”. Indica un punto affianco a te. Ti volti verso quel punto che sta indicando. C’è una sedia, un’altra, della stessa forma e colore di quella su cui sei seduto.
Non sai che pensare. Sei all’interno del tuo subconscio ma in realtà non hai un controllo completo.
A volte ti capita di realizzare di essere dentro ad un tuo sogno e, a volte, riesci ad ottenerne il controllo sugli avvenimenti; non questa volta però.
Questa volta è il tuo subconscio che ti guida; è lui che decide per te. Sei tu l’ospite e il ragazzo è il padrone.  
Ma che caz…” –provi a dire ma ti blocchi quando non senti uscire alcun suono dalla tua gola, di nuovo.
Lo prendo per un sì”.
Si avvicina e si siede.
Ora che è più vicino presti meglio attenzione i suoi dettagli. Indossa una maglia nera, lunga che scende con mille pieghe sopra i jeans scuri. Ha un disegno sopra. Un simbolo bianco con una scritta, anch’essa bianca: “New York” recita.
Una felpa, sopra la maglia, con una zip aperta ed un cappuccio scuro tirato all’indietro da cui escono un paio di cordini che paiono piccoli serpenti argentei.
I jeans scuri sono sbiaditi all’altezza delle ginocchia e in qualche punto sono anche strappati. Le sue scarpe sono consumate dagli anni e intemperie degli inverni che hanno visto.
Torni a fissare il suo viso. Magro, scavato sotto gli zigomi e sulle guance, ma ben curato. Nonostante te non sappia a chi appartenga quel volto ti ritrovi in alcuni dei suoi tratti.
È un viso comune, pensi.
Insomma; è un ragazzo come lo potresti essere tu, come potrebbe essere qualsiasi ragazzo di vent’anni. A parte gli occhi, certo. Quelli sono davvero inquietanti per chi non avesse lo stomaco forte, pensi.
Ti concedi ancora un paio di muniti di silenzio con i tuoi pensieri sulla stranezza di tutto quel sogno e sul fatto che non ricordi di aver mai conosciuto o visto quel ragazzo prima d’ora.
Chi cazzo è questo?” I tuoi pensieri esplodono nella stanza, come se avessi urlato in un microfono collegato a centinaia di altoparlanti.
SHHH!!! Piano, eccheccavolo”. –esclama il ragazzo con un gesto infastidito della mano, facendo segno di abbassare la voce.
Guarda che farai crollare i muri se non ti dai una controllata”.
Darmi una controllata?
Non stai capendo una fottuta sega di quello che sta succedendo e quello strano tizio di dice di darti una calmata.
Col cazzo che ti calmi!
Guarda che se continui a pensare a tutte queste volgarità mi toccherà non finire la storia!!
Quale cazzo di storia?” –i muri tremano. Finalmente, dopo quella che è stata un’eternità trovi il modo di parlare, in un certo senso.
Eh…..” –si gratta la nuca; il suo sguardo è di nuovo perso verso un punto davanti a sé.
Se te lo dico rovinerò il finale. Non temere, cercherò di essere il più breve possibile con te”. Sorride.
Pausa. Vi guardate.
Ora” –riprende dopo qualche secondo “Ti dispiacerebbe disegnare con questo pennarello” –tira fuori un pennarello grosso e nero dalla tasca della felpa “il simbolo che ti mostrerò? Serve per il passaggio, sai..?! -si interrompe un attimo, gesticolando nel vuoto.
No, non sai e non devi sapere altro.” È serio ora, lo capisci dal tono della sua voce.
“Se vuoi una mano ad uscire da qua, dammi retta!” Conclude con un tono ancora più grave e serio.
Va bene, pensi.
Tutto questo non ha per niente senso ora, e l’unica cosa che vuoi è svegliarti per chiedere al tuo amico cosa abbia messo dentro al joint della sera prima.  
“Ok”.
Si avvicina.
Ti prende con le mani le tempie e ti fissa dritto negli occhi.
Ancora, quella sensazione di sconforto inizia a salirti dallo stomaco, su nell’esofago fino ad arrivarti in bocca e ad impastarti la lingua. Deglutisci a forza.
Ora dovremo stabilire un contatto visivo. Hai presente il gioco di guardarsi negli occhi senza ridere?
“Al gioco del silenzio si riferisce?”. Ti chiedi.
C’è qualcun altro in questa stanza?” chiede invece lui, voltandosi di scatto e cercando qualcuno che non c’è. 
Dimentichi che lui sente i tuoi pensieri, o è quella strana stanza che li amplifica.
Stabilite un contatto visivo; anche se la sensazione di disagio è molto forte in un modo strano che riesci solo a percepire, ti senti sicuro di quello che stai facendo e non sei minimamente preoccupato dal dolore che stai per provare.
Tutto inizia con calma, poi arriva impetuoso come il rombo di un tuono che squarcia il cielo.
Parte come una fitta; una scarica di corrente che inizia dal cervello e si propaga lungo le braccia e arriva al petto. Sobbalzi.
Una smorfia contrastante solca le tue labbra
Non…deconcentrarti”. La voce del ragazzo risuona profonda lungo le pareti della stanza, coprendo il rombo del tuono.
Tutto attorno a te perde senso. I muri si sgretolano, lasciando il posto a crepe che si ingigantiscono ogni secondo che passa; ogni scarica di dolore solca i muri con tagli sempre più profondi riducendoli in poltiglia.
Non c’è nulla dietro di loro.
Tutto è nero. A destra vedi tutto nero; a sinistra vedi tutto nero.
Davanti a te una luce, ma dietro è tutto nero. Tutto nero!
Provi a non distogliere la tua attenzione dagli occhi del ragazzo, ma essi hanno già inghiottito tutta la stanza e ti ritrovi a fissare solo il nero.


Sei davanti al nulla, di nuovo.
Questo sogno è maledettamente strano, non trovi? Ti chiedi: Ma avrà mai una fine? O sarò intrappolato qui per sempre?
Fissi il niente davanti a te.
E dal nulla Dio creò le cose, affinché potessero esistere e coesistere in armonia come un’unica entità.
Fiat Lux! Et lux facta est.


Nello stesso modo in cui Dio creò l’universo da una semplice luce, quella stessa e semplice luce appare dinnanzi ai tuoi occhi. Prima è flebile; tenue e soffocata dal nero che ti circonda.
Ora è diventata più intensa; irradia energia dal suo interno e puoi percepire sulla tua pelle un’onda calda che ti pervade e ti lascia attonito.
Ha la forma di una fiammella, ma non è una fiammella di fuoco. Puoi toccarla e se lo facessi non ti scotteresti ma non la tocchi; la lasci stare lì dov’è, sospesa a mezz’aria a muoversi quasi fosse in balia di un vento impercettibile; o forse essa stessa si muove senza che altre forze esterne interagiscano con lei.
Sei incuriosito da quella fiamma e allo stesso tempo temi che possa scomparire da un momento all’altro perdendola per sempre e restando imprigionato in quella prigione nera.
Improvvisamente un tremolio.
La fiamma muta. Cambia. Si trasforma.
La vedi prendere nuove sembianze davanti ai tuoi occhi.
È il profilo di una “S” quello che distingui per il momento, solo che ora sta diventando già qualcos’altro.
Un otto, gigante e bianco con la stessa luminosità della fiammella di prima.
Sei confuso. Poi ti chiedi.
Sarà mai quello lo strano simbolo a cui si riferiva il ragazzo?
Pensi che quello sia il simbolo a cui faceva riferimento.
Aveva detto anche qualcosa sul fatto che fosse l’unico modo per uscire da quel terribile loop senza fine di sogni.
Cosa dovevi fare?
La memoria sfuma e la tua attenzione si perde nel candore di quel simbolo che ora è molto più grande di quanto non fosse stato prima.  
Devi disegnarlo, ricordi?
Vero, ma dove? Con cosa?

Usa il pennarello, diamine!!
Non capisci se sia la tua coscienza a parlare o il tuo subconscio; e non sai nemmeno che differenze ci siano tra loro due.
Dov’è il pennarello?
Cerchi in tasca ma non lo trovi. Lo cerchi pure nell’altra ma anche quella è vuota.
Sbuffi.
Ti metti a guardare di nuovo il simbolo sperando che qualcosa accada.
Di solito accade qualcosa. No?
Guarda!!
La tua attenzione viene richiamata da due caratteri, due lettere, che si disegnano da sole alla destra del simbolo principale: K ed I.
K e I? Ma perché non viene mai disegnata una freccia con tanto di scritta Exit che ne indica l’uscita?!
Perché altrimenti chiunque saprebbe trovarla!!
Vero!
Pensi.
In un certo senso questo ti rincuora. Sapere che quello che stai vedendo non è solo frutto di una fantasia dovuta agli eccessi della sera prima.
Credi che nonostante tutto, ogni cosa accade per un motivo preciso. Che sia già scritto tutto in un grande libro del Destino o che sia il risultato delle scelte che compiamo in questa vita, non importa.
Ti importa solo del perché accade; del come ma non del quando.
Non vuoi sapere quando prenderai la tua strada; vuoi sapere dove quella strada che prenderai ti porterà.
E mentre finisci le tue congetture sul perché della vita, un’altra volta qualcosa cambia nel simbolo.
Un’altra volta rimani stupito.

Sulla sua sinistra una “T” ed una “E” capovolta dalla parte opposta fanno la loro entrata in scena, come personaggi di una triste commedia che non fa ridere per niente.
Non hai nemmeno il tempo di riflettere su quello che hai appena visto che vieni risucchiato all’indietro come se una forza enorme ti avesse afferrato.
Senti come delle braccia braccarti da dietro.
Cadi nel vuoto. Sprofondi nel Nero. 
Fai solo in tempo a gettare un ultimo sguardo rivolto a quel simbolo che ora sai essere completo mentre ogni cosa, te stesso compreso, viene risucchiata dal Nero Oblio.
Giuri anche di vedere la sagoma del ragazzo affianco, prima di perdere conoscenza del tutto e tornare, per l’ultima volta nelle braccia del Nulla.

Non hai nulla. Non sei Nulla.
Chi sei? Qual è il tuo nome? Qual è la tua storia?
All’inizio ho detto che questo racconto parte da una storia che si è già conclusa, una storia che per il momento non deve essere né scritta né raccontata, perché sarò io, a tempo debito, a raccontarti tutto.
Lasciati trasportare dal vento delle parole, dunque.
Aspetta solo un minuto. Pondera bene il significato di ogni sillaba.  
Prenditi il tempo necessario per pensare una risposta a questo quesito:
Chi sei realmente, Te?
.....
Hai fatto?
Bene! Scrivi la risposta su un foglio; piega il foglio in maniera tale da non vedere quello che hai appena scritto. Lascia tutto sul comodino, o sulla scrivania un attimo. Ti dirò io quando prendere quel foglio.
Ora, ascolta attentamente quello che ho da dire!!
   
 
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