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Autore: ___Page    21/02/2017    4 recensioni
Il bello dei migliori amici è che puoi confidargli tutto. Puoi, non è che devi.
*Fan Fiction partecipante al Sfigaship&Crack's Day indetto dal Forum FairyPiece-fanfiction&images*
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Starring: Eustass Kidd, Izo, Killer, Marco, Penguin, Portuguese D. Ace, Sabo, Trafalgar Law.
Con la partecipazione straordinaria di: Franky, Kiwi, Jewellry Bonney, Nojiko, Perona.
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Fanfiction ispirata a fatti realmente accaduti.
ATTENZIONE: Storia contenente coppie strane. Il Forum consiglia la lettura a un pubblico con alto tasso di sospensione dell'incredulità. Può presentare tracce di latte e frutta a guscio.
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Izou, Killer, Penguin, Portuguese D. Ace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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PUPIZ
 





La brezza soffiava tiepida nella bucolica piazza ciottolata. Di giorno Water Seven era un quartiere tranquillo, conosciuto per la particolarità di trovarsi al centro esatto dell’incrocio delle sette strade più importanti di Raftel.  Ma non appena il sole calava dietro la linea dell’orizzonte e i lampioni cominciavano fiochi ad accendersi, facendo a gare con le stelle per illuminare la grande città, Water Seven si risvegliava lentamente, brulicante di vita e riecheggiante di risate.
E musica.
Musica punk.
Musica punk, ad altissimo volume e anche di dubbio gusto a dirla tutta.
Così alta che Law era piuttosto convinto che se fossero entrati avrebbero riportato danni permanenti all’apparato uditivo. E siccome tutti loro alle proprie orecchie ci tenevano, i sette ragazzi avevano optato per un tavolino all’aperto. Tutt’al più che per essere fine febbraio il clima era decisamente mite e con la giacca addosso si stava benissimo.
 «Ragazzi siete pronti per ordinare?» domandò una delle vivaci cameriere, sporgendosi solo con il busto fuori dalla porta del locale, facendo ondeggiare i ricci afro tagliati in una strana capigliatura squadrata, che sembrava più opera di un potatore che di un parrucchiere.
«Ne manca ancora uno, Kiwi.» rispose Killer, senza esitazione. Come facesse a distinguerla da Mozu e non sbagliare mai era un mistero per tutti e, d'altra parte, nessuno credeva alla sua spiegazione che lui le donne le distingueva dal profumo che emanavano.
«Sì ma penso che prenderà il solito, quindi potremmo ordinare che ne dite?» intervenne Sabo, ottenendo cenni d’assenso da tutti.
Perfettamente sincronizzati, i sette amici sollevarono il listino prezzi, diedero una distratta occhiata ai drink, riabbassarono le liste e parlando all’unisono come un’unica voce, dichiararono: «Il solito per me.»
«Grazie Kiwi.» aggiunse Ace con un sorriso.
Kiwi annuì e prese rapidamente nota sul suo blocchetto. «Anche per Pen?» chiese conferma.
«Sì, fai il solito anche per lui, che se ha da lamentarsi se la prende con me al massimo.» rispose Law, con tono piatto e monocorde. Che Pen se la prendesse con lui, d’altronde, era l’ultima delle sue preoccupazioni.
«Okay! Quando vi porto i drink riprendo le liste!» cinguettò Kiwi, prima di risparire dentro il locale, lasciandosi inghiottire dalla musica.
«Ci deve solo provare a lamentarsi, il cretino.» stava grugnendo intanto Kidd. «È in ritardo di mezz’ora, cazzo.»
Ace si lasciò scivolare sulla sedia, allungò le gambe sotto il tavolo rotondo e reclinò il capo all’indietro, puntando lo sguardo sull’insegna a neon intermittente del “Franky House”. «Beh, speriamo non gli sia successo nulla.» commentò, il tono perennemente vivace indipendentemente da ciò che stava dicendo.
«Perché dovrebbe essergli successo qualcosa?» domandò Sabo, separato da lui da Law.
Ace raddrizzò il capo, guardando dritto verso suo fratello che lo fissava di rimando a sopracciglia aggrottate. «Non ho detto che gli è successo per forza qualcosa.» precisò. «Però nella vita non si sa mai.» aggiunse con un sorriso e un’alzata di spalle.
«Ma perché gliela devi tirare?»
«Io non gliela sto tirando!»
«Sì che gliela stai tirando!»
«Io ho solo detto…»
«Sabo lascia perdere.» intervenne l’incarnazione della calma, altrimenti noto come Marco Newgate. «Fa sempre così anche al lavoro. È un menagramo che non ha coscienza di esserlo.»
«Io non sono un menagramo!» protestò ancora Ace, girandosi stavolta verso il suo migliore amico e collega. «Io dico solo che se scoppia un incendio la giornata al lavoro è meno noiosa, tutto qui!»
«E questo non è tirarla?»
«Senza incendi non avrei un lavoro, Sabo!»
«Okay è il momento di un bel gesto apotropaico! Al mio tre tutti insieme!» esclamò Izo, battendo le mani. «Uno, due… tre!» contò, allungando il collo per non perdersi lo spettacolo di un bel maschione come Kidd che si toccava il pacco, ma nessuno si mosse né accennò minimamente a farlo, strappandogli un sospiro deluso. «Sono in giro con un gruppo di verginelle.» si lamentò sconsolato.
«Ohi! Verginella a chi?!» ringhiò Kidd, allungandosi oltre Killer per cercare di afferrare il colletto alla coreana della sua camicia.  
«Uuuuuh da questa reazione sembra proprio che io abbia toccato un tasto dolente!» si esaltò Izo, sorridendo cospiratore. «Se vuoi possiamo porre rimedio, Kiddo-kun.» propose e Marco si schiarì subito la gola.
«Io sono qui.»
«Oh Marco-chan.» Izo si girò di scatto verso il proprio fidanzato, gli occhi che brillavano. «Adoro quando fai il geloso! Tu sì che mi dai soddisfazione!» gongolò, con sguardo e tono intrisi di malizia, sordo alle imprecazioni che Kidd stava tirando.
«Lasciami Killer! Giuro che lo uccido! Gli cambio i connotati, gli…»
«Amico, ti esplode la giugulare se non ti calmi.» sghignazzò Killer, continuando a trattenerlo.
Una serie di trilli, alcuni sincronizzati tra loro, gli altri a intervalli di decimi di secondo uno dall’altro, risuonarono tutti intorno al tavolo circolare. Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti si misero a frugare nella tasca della giacca per estrarre il cellulare e verificare che era arrivata una notifica sul loro gruppo di Whatsapp.
«Messaggio di Pen?» chiese Law e tutti annuirono o risposero con dei lievi grugniti e mugugni mentre aprivano la chat per scoprire che si trattava di un messaggio vocale.
«Faccio partire io.» si offrì Sabo, schiacciando play.
 
“Ciao ragazzi” risuonò la voce di Pen. “Sto arrivando. Scusate, ho avuto un contrattempo. Se volete iniziare a ordinare io prendo il solito.”
 
«Alleluja.» commentò Killer mentre Ace batteva le mani e Kidd grugniva qualcosa di simile a “vedi dove te lo infilo il contrattempo la prossima volta”.
«Sta registrando ancora qualcosa.» disse Marco, pronto a far partire il messaggio che arrivò in una manciata di secondi.
 
“Ehi Pupiz”  
 
Una serie di occhiate perplesse e incredule rimbalzò intono al tavolo.
«Pupiz?» domandò a fior di labbra Ace a Sabo che si strinse nelle spalle, trattenendo una risata.
 
“Sono quasi arrivato dai ragazzi. Volevo augurarti ancora buona serata con le ragazze.”
 
«Era per Lamy.» mormorò Killer sottovoce, gli occhi accesi da una luce divertita e l’espressione concentrata. Non voleva perdersi una sola parola del messaggio.
 
“Però davvero, piccola, non preoccuparti se ho fatto un po’ tardi. Ne è valsa la pena. In realtà vorrei essere ancora lì con te, a baciarti ovunque  e non sai che altro.”
 
Marco e Sabo azzardarono un’occhiata verso Law, che fissava un punto nel vuoto, rigido come un tronco.
 
“Ora ti saluto. A presto, piccola.”
 
A parte il sottofondo di musica punk che usciva dal Franky House, sul tavolo calò un improvviso e surreale silenzio.
«Beh…» cominciò Ace dopo qualche attimo, con un sorriso che era tutto un programma. «È stato dolce.»
Killer e Sabo non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono a ridere, Law cercò di incenerirlo con un’occhiata e Kidd, sopracciglia corrugate e sguardo ancora in fissa sul telefonino di Marco, sembrò realizzare improvvisamente qualcosa.
«Cioè fatemi capire. Il coglione ha fatto tardi perché stava chiavando con L…?»
«Eustass-ya.» lo interruppe Law, la voce appena un po’ instabile per la rabbia. «È di mia sorella che stai parlando.» gli ricordò Law, lo sguardo vitreo.
«Trafalgar io che cazzo ci posso fare se tua sorella ha scelto di mettersi con un deficiente?»
«Ragazzi qui ci sta sfuggendo la cosa più importante!» intervenne Ace, sorridendo a più non posso.
«Che sarebbe?» 
«Ehi ragazzi!» la voce di Pen li colse di sorpresa e tutti si immobilizzarono. «Tutto bene?» domandò perplesso, facendo una rapida panoramica del tavolo. Sabo, Ace e Izo sorridevano, divertiti da chissà che, Killer stava sghignazzando con il cellulare all’orecchio, probabilmente stava ascoltando un messaggio vocale, e Law era impegnato a trucidarlo con lo sguardo. Cos’avesse mai fatto per meritarsi un’occhiata tanto arrabbiata gli sfuggiva.
«Mi spiace per il ritardo.» mise in chiaro, un po’ infastidito, prima di fare il giro del tavolo e accomodarsi sull’unica sedia libera, tra Ace e Marco. «Avete già ordinato?» chiese, guardando alternativamente i due pompieri. Fu solo allora che si accorse che anche Ace lo guardava in modo strano. Non omicida come Law ma il sorriso che gli stava rivolgendo non era di cortesia o di semplice scherno. Ace aveva l’aria di uno che aveva appena scoperto l’ubicazione dello One Piece e non era l’unico al tavolo a fissarlo con insistenza.
Fece per chiedere che cosa prendeva a tutti quanti ma una voce entusiasta lo interruppe. «Ecco i drink ragazzi! Oh Pen! Eccoti!» esclamò Kiwi, mentre si avvicinava ancheggiando al tavolo, trasportando un vassoio carico di bicchieri e due ciotole di patatine. «Ecco qua! Cola Mule per il nostro bel chirurgo…» cominciò, posando il primo drink sotto il naso di Law che le fece un breve cenno di ringraziamento prima di tornare a torchiare silenziosamente un sempre più spaesato Pen. «Old Cola Fashioned per Sabo… Kidd il tuo Black Russian con una spruzzata di cola… Sex in the Cola per questo maschione…» proseguì fermandosi giusto per dare un colpetto con l’anca alla spalla di Killer che ghignò suadente in risposta. «… Tom Cola Collins e non potrei immaginare un drink più adatto a te…» si spostò verso Izo, porgendogli il cocktail rosato e servito in un bicchiere lungo, stretto e, Izo amava sempre aggiungere, meravigliosamente ambiguo. «Sour Cola per Marco… Mojito alla Cola al ritardatario, spero non volessi qualcosa di diverso dal solito eeee… Cola Sunrise per il nostro bel Raggio di Sole…» finì posando l’ultimo bicchiere di fronte a Ace, prima di accettare le lista da Law che gliele stava educatamente porgendo. «Grazie! Beh ragazzi, allora buona serata!»
«Grazie Kiwi!»
«Beviamo anche alla tua!»
«Quello fatelo sempre, mi raccomando! Yuuuh!» esclamò la cameriera nel ributtarsi dentro al Franky House.
Una rapida doccia di note li investì prima di tornare solo un sottofondo grazie alla porta che attutiva.
«Beh ragazzi, alla salute allora!» augurò Killer, il bicchiere già a mezz’aria, impaziente di bere.
Gli altri sette lo imitarono e Izo prese solo una piccola sorsata dalla cannuccia dello stesso colore della ciliegia che giaceva sul fondo del suo drink, insieme ai cubetti di ghiaccio. Si girò con sguardo divertito e malefico verso Pen e dopo un breve scambio di sguardi con Ace: «Allora, come mai fatto tardi, Pupiz?»
Il sessanta per cento del sorso di mojito che Pen aveva preso si riversò sul tavolo passando dalle sue narici e il restante quaranta per cento andò giù dalla parte sbagliata, soffocandolo.
«Cos… Che…» provò a dire tra i colpi di tosse, mentre Ace gli batteva una mano tra le scapole e Killer gli allungava un tovagliolino. Sbatté rapidamente le palpebre per spannare gli occhi venati di rosso ed estrasse il cellulare per controllare. Un brivido freddo gli attraversò la schiena quando la sua paura divenne realtà.
Almeno ora si spiegava le occhiatacce di Law ma il rischio di venire vivisezionato da uno dei suoi più cari amici era niente in confronto alla mastodontica figura di merda che aveva appena fatto. Si guardò intorno al colmo dell’imbarazzo.
Nessuno avrebbe dovuto saperlo. Si supponeva che restasse un segreto suo e di Lamy. Come aveva fatto a sbagliare?
Pen sospirò quando le risate dei suoi amici aumentarono di volume.
Va beh, ormai il danno era fatto, inutile piangerci sopra.
Si mise smanettare con il telefonino, ridacchiando suo malgrado per la propria figuraccia e per i continui richiami di “Pupiz” che Killer, Ace, Sabo e Izo gli stavano lanciando.
«Le stai inoltrando il vocale?» chiese Law, il tono piatto e privo di emozione ma che per Pen risuonò come una fucilata. Sollevò la testa di scatto, gli occhi pieni di sfida.
«Sì che glielo sto inoltrando! Era per la mia ragazza e ora lo giro alla mia ragazza! È un problema per te?» reagì con illogica aggressività e un pizzico di desiderio di morte, a giudicare da come aveva calcato tutte e due le volte “la mia ragazza”.
«Forse Trafalgar pensava che la sua sorellina fosse ancora pura e candida.» s’intromise subito Kidd, ghignando in direzione di Law.
Il chirurgo si accomodò meglio contro lo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto. «Non è quello. Anche se preferisco non venire aggiornato su quello che fate.» ci tenne a precisare, guardando gelidamente Pen. «Il punto è che ora sono seriamente preoccupato che la droghi per farla stare con lui.»
Pen aprì la bocca per rispondere, offeso, ma non riuscì a pronunciare mezza sillaba.
«Beh, in effetti, tu la chiami Pupiz e lei ancora professa il suo amore per te. Pubblicamente, per giunta!» s’intromise Ace, provocando un nuovo scroscio di risa a cui stavolta partecipò anche Law, limitandosi ovviamente a ghignare come anche Marco e Kidd, finalmente rilassato.
«Oh ma dai!» protestò Pen, consapevole che non poteva proprio dargli torto. «Nemmeno fossi l’unico! Tu Perona la chiami “Voodoo”!»
«Che c’entra?» Ace si strinse nelle spalle, continuando a sorridere. «Io e Perona mica stiamo insieme, siamo solo amici.».
«No comunque sul serio ma da dove cazzo ti è uscito un soprannome del genere?»
«Ma non lo so!» Pen si strinse nelle spalle. «Scusa tu ti ricordi come ti è venuto il tuo soprannome per Nojiko?» chiese poi, nella speranza di dirottare l’attenzione su Kidd.
Il meccanico sbatté le palpebre un paio di volte perplesso. «Io non ho nessun soprannome per Nojiko.» ribatté.
Pen fu preso in contropiede. «Sul serio?»
«Certo che sono serio! Cos’è adesso questa?! Una cazzo di regola?!»
«Ma no! È solo che dare un soprannome alla propria ragazza mi sembra una cosa…»
«SUUUUUPEEEEEEEER!!!!»
«Non era quello che stavo per dire.» ci tenne a precisare Pen mentre Franky si avvicinava ancheggiando.
«Eccoli qui i miei fratelli tutti riuniti! Che cosa Suuuuuupeeeeer!» esultò, accostando gli avambracci sopra il capo e muovendo il bacino avanti e indietro a pochi centimetri dalla faccia di Ace.
«Ehehi, fratello!» Ace sollevò le mani altezza viso, un po’ per schermarsi, un po’ per fermare Franky. «Non che non apprezzi il tuo entusiasmo ma sai che non bazzico da quella sponda io! Se vai da Izo è facile che ti da più soddisfazione!» suggerì, indicando l’amico che, mani intrecciate dietro la nuca stava chiaramente imitando il movimento di Franky da seduto, con un’espressione che era tutta un programma.
Se non che Franky non aveva ovviamente sentito una sola parola, troppo impegnato a ballare e l’udito un po’ ovattato dalla musica a palla del locale. Per fortuna, smise comunque di sventolare il proprio pacco, coperto tra l’altro da solo un paio di striminzite e variopinte mutande, e piegò il busto in avanti, posando i suoi enormi avambracci sulle spalle di Ace e Pen. «Allora come stanno i miei fratelli figli di un’altra madre?! I drink sono di vostro gradimento o sono Suuuuupeeeeer?!»
«Super come sempre Franky!» rispose Sabo, sollevando il bicchiere verso di lui.
«Franky, questa ti piacerà!» Killer si sporse verso di lui, galvanizzato. «Sai Pen come chiama Lamy nell’intimità?»
«Killer non…»
«Pupiz!»
«Non la chiamo così nell’intimità! È solo un soprannome affettuoso! Ma non la chiamo così quando… quando…» la voce gli venne meno quando Law gli lanciò un’occhiata di avvertimento. 
Franky spostò lo sguardo da Killer a Pen un paio di volte, mentre tutti gli altri scoppiavano a ridere per l’ennesima volta a spese del loro amico. «Davvero la chiami così?» domandò il gigantesco barman.
«Io… beh ecco…» Pen provò ad articolare una risposta, del tutto non necessaria visto che il suo viso era diventato un tutt’uno con i suoi capelli. «Sì.» ammise alla fine e attese che anche Franky scoppiasse a ridere.
E forse se Franky fosse scoppiato a ridere sarebbe stato meglio. Perché certo sarebbe stato doloroso per il suo ego ma non per le sue spalle che probabilmente si incrinarono quando il gigantesco barman gli diede una poderosa pacca mentre commentava: «Ma sei super-dolce! Che cosa romantica!»
«Romantica?» grugnì Kidd.
«Ma certo! È romantico avere un soprannome per la propria donna.» ribadì Franky, facendo ondeggiare il ciuffo blu. «È una cosa intima, personale. Alle donne piace sapere di essere uniche per il proprio uomo e un soprannome come questo glielo ricorda e le fa sentire suuuuuper-amate e suuuuuper-desiderate!» spiegò, muovendo le spalle al ritmo dei bassi che filtravano attraverso la porta del Franky House. «Comunque ora devo rientrare, fratelli! Ma dopo passate a salutarmi prima di andare! È sempre Supeeer vedervi!»
Otto paia di occhi seguirono il deretano di Franky mentre, dimenandosi, rientrava nel locale prima di tornare a guardarsi tra loro. Per una cosa come cinque secondi tutti sorseggiarono il proprio cocktail senza parlare finché Izo non posò il proprio Tom Cola Collins e, con eleganza, sovrappose le proprie mani, affusolate e curate, una sull’altra. «Allora…» cominciò, osservando i propri amici con sguardo penetrante. «… vogliamo continuare a fingere che qui nessun’altro usa soprannomi per il proprio partner o la finiamo subito?» domandò, già esaltato da quel che sicuramente sarebbe seguito.
Kidd corrugò le sopracciglia, scocciatissimo, il bicchiere di Black Russian con uno spruzzo di cola ancora accostato alle labbra. «Io non ho nessun soprannome per Nojiko!» ripeté, stavolta ringhiando.
«Oh Kiddo-kun, smettila di ringhiare che mi ecciti quando fai l’aggressivo.»
Marco si schiarì la gola. Izo si voltò verso di lui istantaneamente, gli occhi che brillavano. Senza una parola, Marco allungò una mano per posarla sulla coscia del proprio ragazzo.
«E quindi?» domandò Ace, impaziente. «È come dice Izo oppure no?»
Ancora silenzio, ancora una serie di occhiate.
«Va bene visto che nessuno vuole iniziare, comincio io!» decise Izo, che fremeva sulla sedia, contenendosi a stento.
«Perché, “Marco-chan!” non è un soprannome già abbastanza imbarazzante?» chiese Killer, imitando alla perfeziono il tono acuto e un po’ cantilenante dell’amico.
«Ma quello è il suo nome, sciocchino! Come soprannomi invece ha Gambe Sexy, Dita Leste…» Izo cominciò a elencare, tenendo il conto con le dita.
Tutti si girarono increduli verso Marco, che non dava segni di volerlo fermare, e il biondo rispose ai loro sguardi arcuando le sopracciglia in un’espressione che voleva chiaramente dire “Cosa volete che faccia, ormai ci ho rinunciato”.
«…Lingua Magica…»
«Okay Izo! Okay! Ci siamo fatti un’idea!» lo fermò Sabo.
«Scusa, per curiosità, ma te come lo chiami?» chiese Pen e subito Ace si sporse in avanti con il busto per poter guardare Marco, che si strinse nelle spalle.
«Izo.» rispose, lasciando trasparire quanto fosse ovvio, e poco ci mancò che Izo si sciogliesse sulla sedia solo a sentire la voce di Marco pronunciare il suo nome.
«Anche perché lui ne usa abbastanza per tutti e due.» commentò Killer, indeciso se essere più divertito o più perplesso dalla reazione di Izo che, a quelle parole, si girò fulmineo verso di lui, posando il mento sull’intreccio delle proprie dita.
«E tu Kira-kun? Tu come la chiami la dolce Bonnie Bon Bon?»
Per un attimo, l’ombra di un sorriso balenò sul volto di Killer, un sorriso molto particolare, non divertito né innamorato ma assolutamente rapito, prima che il ragazzo lo tramutasse in uno dei suoi soliti ghigni storti e scrollasse le spalle. «In nessun modo particolare.» minimizzò, sollevando proteste da metà dei presenti.
«Ma dai non è possibile!» protestò Pen. «Non ci credo che sono l’unico!»
«Io l’ho detto che questa cosa del soprannome era una stronzata.» mormorò Kidd.
«In realtà…» ritrattò Killer, svaccandosi sulla sedia e portando il piede destro sul ginocchio sinistro. «…ci sarebbe un piccolo aneddoto al riguardo.» ammiccò, godendosi la reazione dei suoi amici che presero subito a incitarlo perché raccontasse. Si concesse di fare il prezioso giusto una trentina di secondi prima di sospirare e tornare a posare gli avambracci sul tavolo. «E va bene. Ve lo racconto. All’inizio ho provato a darle un soprannome affettuoso che fosse solo per lei. Cioè non come una cosa programmata, mi è venuto così dal niente mentre lo facevamo.»
«Risparmiaci i dettagli, per favore.» lo ammonì subito Kidd e Killer gli lanciò un’occhiata di striscio prima di ricominciare a raccontare.
«Quindi niente lo stavamo facendo e stavamo insieme da tipo tre settimane credo.»
«Il che per te era già un record.» commentò Ace, facendo sghignazzare Pen, Sabo e Law.
«E io me ne esco con questo soprannome e indovinate come la chiamo?»
«Come, come, come?» chiese Izo, saltellando sulla sedia.
«Baby.»
Svariate espressioni si dipinsero sul volto dei ragazzi. Incredulità, disapprovazione, solidarietà all’idea di come Bonnie doveva aver reagito.
«Uuuuh Killer.»
«Già.» annuì stoicamente il biondo.
«Però sei coglione!» esclamò Sabo. «Come ti è venuto di chiamarla come la sua migliore amica nel bel mezzo di un rapporto?!»
«Non ci ho mica pensato! E ovviamente non lo intendevo in quel modo quando l’ho detto a lei!»
«Ma lei come l’ha presa?» domandò Law, immaginando già la risposta e ghignando preventivamente.
Killer gli lanciò un’occhiata sofferente. «Raramente in vita mia ho provato un dolore del genere. Ma almeno, sapendo che anche volendo non avrei comunque potuto farlo tanto mi faceva male, l’astinenza a cui mi ha obbligato per le tre settimane successive è stata più semplice da sopportare.»
«Ahahahahahah! Che spettacolo!» rise Izo, battendo le mani. «Mi piacciono questi aneddoti! Qualcun altro?» chiese, guardando famelico tutti gli altri.
«Sabo.» mormorò Ace, sorridendo cospiratore, e il biondo sobbalzò appena sulla sedia. «Tu non hai niente da raccontarci? Qualche succosa storiella su te, Bibi e piccanti soprannomi?»
Sabo sollevò le mani ai lati del viso. «Io la chiamo Principessa.» ammise. «Ma non ho altro da aggiungere Vostro Onore.» lanciò una maliziosa occhiata verso Law, che stava prendendo un sorso di Cola Mule, beatamente ignaro, prima di aggiungere: «Forse, però, il mio amico qui ha qualcosa da dire al riguardo.»
Law si immobilizzò con le labbra ancora incollate al bordo del boccale di rame, prima di abbassarlo e girarsi a guardare Sabo come se fosse impazzito. «Ma di che parli?» si accigliò, dopo aver deglutito il cocktail. «Sai benissimo che non sono il tipo.»
«Tu no.» confermò Sabo, sorridendo saputo. «Ma Koala sì. Vero, Panda?»  
Law si irrigidì e rischiò di sputare nel boccale quando la saliva gli andò di traverso. Considerato il soggetto, era una reazione tanto eloquente quanto quella che aveva avuto Pen e tutti gli occhi si focalizzarono su di lui ma Law era troppo impegnato a fissare Sabo a occhi sgranati.
«No, non me l’ha detto lei.» Sabo rispose alla sua domanda inespressa, sorridendo ancora di più. «L’altro giorno ti ha chiamato così e tu hai risposto come se fosse normale. Dovreste stare attenti a non fare le cose sovrappensiero quando c’è in giro qualcun altro.»
«Panda?» domandò Pen, scoppiando a ridere, seguito a ruota da tutti gli altri. «Perché “Panda”, scusa?»
«Perché “Pupiz”?» Law gli rigirò la domanda, dopo averlo trucidato con gli occhi, ma stavolta Pen non si fece intimorire.
«Ma “Pupiz” non ha un significato, è solo un soprannome. Il panda invece è un riferimento preciso.» argomentò con un ghigno.
«Ma che domande fai Pen, non è chiaro perché?» intervenne Killer.
«Infatti! Guardalo com’è puccioso.» gli diede manforte Ace.
«Trafalgar, adoro la tua ragazza cazzo!»
 «Dicci Law…» proseguì Ace, passando un braccio intorno alle spalle del moro e usando il bicchiere ora vuoto del suo Cola Sunrise come microfono. «… come ci si sente a essere in via d’estinzione?» chiese con fare da intervistatore, provocando un nuovo scroscio di risa.
«È per le occhiaie, va bene?!» esclamò Law, esasperato prima di voltarsi verso Sabo. «Sai che ti ucciderà quando lo verrà a sapere vero?»
Sabo si strinse nelle spalle, continuando a sghignazzare. «Ne sarà valsa la pena.»
Un fremito di fastidio gli attraversò la schiena quando sentì le risate degli amici aumentare di nuovo di volume e chiuse un istante gli occhi per imporsi la calma prima di mormorare, calmo ma deciso: «Okay, direi che abbiamo sviscerato abbastanza quest’argomento, che dite di passare al successivo?»
Le risate calarono finalmente d’intensità e una serie di occhiate furono scambiate prima che Killer si stringesse nelle spalle. «Okay.»
«Come vuoi, orsacchiotto.» rispose Izo, beccandosi un’occhiata omicida.
«Allora, qualcuno ha qualche novità?» domandò Ace, sempre sul pezzo.
«Ah! io forse ho trovato la macchina con cui sostituire la mia vecchia.» raccontò Killer, inarcando un po’ la schiena per lasciare a Izo lo spazio che il ragazzo cercava per potersi sporgere con il busto verso Kidd e bisbigliargli qualcosa.
«Modello?» chiese Marco.
«Una Satsuriku. Di un nostro cliente che la compra nuova. È un po’ vecchiotta ma ho già da parte dei pezzi di ricam…»
«Per la milionesima volta Izo! Io non ho nessun soprannome per Nojiko!!!»
 

§
 

Trafficò con il mazzo di chiavi, maledicendosi per essersi fatta convincere a prendere un altro Gin&Tonic. La testa le girava leggermente e le mani rispondevano poco ai suoi comandi. Fortuna che almeno aveva un portachiavi così grandi e puffoso, facile da trovare in borsetta.
Trattenne un verso frustrato e decise che cercare di riconoscere la chiave del portone dalla forma era un’impresa fin troppo ardua. Era meglio andare per tentativi. Allungò la mano per provare a inserire la prima nella toppa, lasciando spenzolare il piccolo orso zombie che aveva chiamato Kumachi, anche se tutti trovavano strano che avesse dato un nome al portachiavi.
La chiave si infilò fluida nella toppa ma quando Perona provò a girare in senso orario quella fece resistenza.
Accidenti!
Sfilò la chiave e si apprestò a provare quella successiva, un po’ tesa dal fatto che non c’era in giro nessuno, era notte fonda e lei era sola. Voleva entrare in casa in fretta e l’agitazione aumentò quando percepì dei passi in avvicinamento. Non era detto che fosse un malintenzionato ma comunque era meglio stare preparata.
Al punto che al terzo tentativo fallito e i passi ormai dietro l’angolo, Perona mise via le chiavi e si preparò a colpire chiunque avesse osato importunarla con la borsa che, come d’abitudine, aveva un peso che si aggirava intorno alla tonnellata. Un’ombra apparve da dietro la parete laterale del suo condominio, stagliandosi sull’alone di luce emanato dal lampione, e Perona sollevò il braccio pronta…
«Voodoo che stai facendo?» le domandò Ace, le mani in tasca e l’espressione perplessa. Sospirando sollevata, Perona abbassò il braccio e lanciò un’occhiata di rimprovero al suo migliore amico.
«Mi hai spaventata!»
«Non era mia intenzione.» ribatté Ace con un’alzata di spalle. Riprese ad avvicinarsi e le sorrise radioso. «Andata bene la serata? Sembri un po’ sbronza.»
«Sono solo brilla!» si offese la rosa, portando le mani sui fianchi. La borsa appesa al polso la sbilanciò lateralmente e Perona ondeggiò sui tacchi, cercando inutilmente di ritrovare l’equilibrio. Il piede destro perse stabilità e la ragazza crollò verso sinistra, chiudendo gli occhi per prepararsi all’impatto. Ma anziché andare a sbattere con tutto il fianco sul cemento, si ritrovò con il busto piegato in avanti, la gamba sinistra ben piantata a terra, le braccia aperte all’esterno e la guancia spalmata contro qualcosa di solido e molto molto caldo.
Riaprì un occhio e, quando il suo campo visivo si ritrovò interamente occupato da un ciondolo a forma di picche, agganciato a un cordino rosso, posato contro una porzione di pelle liscia e bronzea, Perona capì che il qualcosa di molto solido e molto caldo altro non era che il pettorale di Ace. Si rese conto che a tenerla in piedi e stabile non era la gamba che ancora poggiava a terra ma le mani del ragazzo sui suoi fianchi e, un po’ a fatica, portò le mani sugli avambracci di Ace per usarli come appiglio e rimettersi dritta. Quando sollevò il capo per guardarlo la voglia di picchiarlo si impadronì selvaggia di lei di fronte alla sua espressione di scherno.
«Sicura che non devo accompagnarti su e prepararti un resuscitamorti?» insistette Ace.
«Oh smettila! Mi sono solo sbilanciata ma non sono sbronza!» s’imbronciò Perona. «E comunque cosa ci fai qui?» cambiò bruscamente argomento, senza nemmeno realizzare che erano ancora una tra le braccia dell’altro.
Ace si accigliò per un attimo e poi si fece serio, così innaturalmente serio da preoccupare Perona anche nel bel mezzo del suo annebbiamento da alcool e stanchezza. «Devo chiederti una cosa?» si decise a parlare dopo secondi che a Perona erano parsi ore.    
«Certo. Dimmi.» lo invitò cauta, deglutendo a vuoto.
Che aveva mai da chiederle di così grave? Si conoscevano da una vita e non c’erano mai stati segreti né imbarazzo tra loro.
«A te fa piacere che io ti chiami Voodoo?»
Perona sgranò gli occhi quando il suo cervello finì di metabolizzare la domanda. «Cosa? Era questo? Mi… mi hai fatto prendere un colpo! Ma che ti viene in mente?! Certo che mi fa piacere!»
Fu il turno di Ace di deglutire a vuoto e Perona ebbe l’impressione che la sua presa sui propri fianchi fosse aumentata ma forse era solo un effetto della sua mente obnubilata. «E… e perché?»
La bocca leggermente schiusa, Perona lo scrutò per una manciata di secondi, domandandosi cosa diavolo avesse bevuto Ace quella sera per conciarlo così. «Beh… Perché…» si fermò per scegliere con cura le parole. «Perché è una cosa solo nostra. Una cosa intima e personale e… e mi piace perché mi ricorda che per te sono speciale.» ammise, i suoi soliti freni inibitori annullati dal Gin&Tonic, e subito si maledisse quando vide l’espressione di Ace, di nuovo mortalmente seria. «Ace, senti, non so cosa tu abbia stasera ma è tardi e i…»
Il resto della frase si trasformò in un inarticolato mugugno quando Ace le sollevò il mento e la baciò senza tanti complimenti. E l’inarticolato mugugno si trasformò in un soffocato gemito quando Perona realizzò cosa stava succedendo e rispose con foga al bacio, aggrappandosi ai baveri della giacca di Ace.
Quando si separarono, riluttanti e per mancanza d’aria, Ace sorrideva e Perona lo fissava in trance, le guance arrossate e la bocca schiusa a prendere aria.
«E… e questo cos’era?» domandò, senza fiato.
Ace l’accarezzò sulla guancia, scostandole una ciocca dal viso, e piegò il busto in avanti. Perona si preparò a un nuovo contatto. «Ne parliamo domani, piccola. Stasera sei ubriaca.» soffiò invece Ace sulle sue labbra e la ragazza tornò bruscamente in sé.
«Io non sono ubriaca!»
«Devo aiutarti ad aprire il portone?»
«Sono perfettamente in grado di fare da sola, grazie!»
«Okay! Allora buonanotte Voodoo.» la salutò, scoccandole un rapido bacio stampo che la lasciò interdetta almeno quanto quello passionale di poco prima. Lo osservò allontanarsi e sparire nella notte prima di scuotere la testa e tornare verso il portone di casa. Il suo stomaco si stava producendo in un balletto degno di un acrobata e le mani le tremavano anche più di prima ma, questa volta, per un qualche motivo, non ebbe problemi a indovinare subito la chiave giusta.
Aprì il portone e fece un passo sul gradino dell’ingresso, prima di girarsi, metà dentro e metà fuori dal condominio. Non lo vedeva ma sapeva benissimo che Ace non era veramente andato via. Da sempre quando la riaccompagnava a casa aspettava nell’ombra per assicurarsi che fosse al sicuro dentro il palazzo prima di andarsene.
Perona sorrise nella penombra. «Buonanotte, Spruzzetto di Sole.» mormorò, senza trattenere un sorriso.
Non vedeva l’ora che fosse domani.
 

 
***
 
 
Infilò la chiave nella toppa, pulendosi le scarpe sullo zerbino a forma di trancio di pizza hawaiiana. Il pianerottolo era immerso nella penombra e sulla tromba delle scale non si sentiva volare una mosca. Girò le chiavi per far scattare la serratura, cercando di essere il più silenzioso possibile per paura di svegliare Bonney. Non paura intesa come dispiacere all’idea di interrompere il suo sonno ristoratore. Paura intesa come autentico panico. Era a metà del secondo giro di chiave quando avvertì una presenza alle proprie spalle.
Un respiro sul collo e si irrigidì, due canini sulla giugulare e deglutì a vuoto. Un riverbero viola nel buio, una mano tra le scapole che scendeva verso il basso, elettrizzandogli la colonna vertebrale, per poi spostarsi insieme alla sua gemella ad afferrargli le natiche e strizzare con evidente soddisfazione.
Killer sorrise con aspettativa e ruotò fra le sue braccia. Con un movimento deciso se la trascino contro il petto e la baciò fino a toglierle il fiato. O meglio, quelle erano le sue intenzioni. A quanto pareva però Bonney aveva più resistenza di lui. Quando cercò di allontanarsi da lei perché anche lui aveva bisogno di aria, Bonney si aggrappò ai suoi capelli biondi e spinse la lingua ancora più in profondità, continuando a succhiare e mugugnare, scambiando i tentativi di Killer di staccarla come un invito a continuare.
Era ormai certo che sarebbe svenuto lì sullo zerbino di casa che finalmente Bonney smise di reclamare il possesso unico e assoluto sul suo apparato respiratorio. Ormai cianotico, Killer inspirò cercando di dare una parvenza di dignità al suono rauco e sofferente che si liberò dalle sue corde vocali. Il busto piegato in avanti, le mani sulle ginocchia, le lanciò un’occhiata di sottecchi e si rimise a ghignare. «Credevo fossi già a casa.» Era raro che le ragazze facessero più tardi di loro quando uscivano in gruppi separati.
Bonney lo squadrò da capo a piedi con un certo apprezzamento e per un attimo Killer si chiese se l’avesse sentito. «Le ho convinte tutte a fare un ultimo giro verso mezzanotte…» spiegò, avvicinandosi ancheggiante a lui. «…e la cosa è sfuggita leggermente di mano.» proseguì, posando le mani sulla porta ai lati del suo viso.
Le narici di Killer fremettero nel percepire un fondo di vodka nel respiro della propria ragazza, mischiato ai frutti di bosco che provenivano di sicuro da una qualche torta che doveva essersi divorata da poco. Il punto era che, per quanto Bonney reggesse bene e mangiasse abbondantemente, si vedeva dai suoi occhi che ci aveva dato dentro per bene quella sera.
E a Killer farlo ubriaco piaceva da morire. Si pentì di non aver buttato giù un’altra decina di shottini di rhum prima di tornare a casa ma era certo che avessero della sambuca con cui avrebbe potuto porre subito rimedio. Immerse una mano tra le sue ciocche rosa e con l’altra le accarezzò la schiena e il sedere.
«Quindi ti sei divertita?» le chiese, a un soffio dalle sue labbra perfettamente tinte di rosso.
«M-mh.» mormorò Bonney in risposta, gli occhi fissi sulle labbra di Killer.
«Spero tu abbia voglia di divertirti ancora un po’, Lolly-Pop.» ribatté Killer, con un ghigno sfrontato e saputo, in attesa della reazione di Bonney che non deluse le sue aspettative.
Bonney sollevò lo sguardo, gli occhi carichi di eccitazione e lussuria. Non sapeva perché ma sentirsi chiamare così da Killer la accendeva dentro. Di certo il fatto che inizialmente Killer usasse quel soprannome solo prima di farle un cunnilingus doveva aver aiutato con l’associazione. Si avventò ingorda sul suo collo e cominciò a mapparne ogni centimetro con la lingua, mentre gli slacciava alla cieca i bottoni della camicia, sotto la giacca aperta.
Killer appoggiò la nuca alla porta e chiuse gli occhi, con un sospiro, quando Bonney si spostò verso il suo petto nudo e poi ancora più giù, sempre più giù, slacciandogli la cintura e i jeans.
Killer riaprì gli occhi. «Bonney?»
La rosa guardò in su, determinata. «Niente Bonney.» lo ammonì, seria.
Una scintilla accese gli occhi di Killer e, come le mani di Bonney afferrarono l’orlo dei suoi boxer, il ragazzo smise di pensare, di preoccuparsi del rumore del fatto che si trovavano sul pianerottolo e che quel rompipalle senza una vita di Kizaru li avrebbe sicuramente arrestati per atti osceni in luogo pubblico se li avesse sentiti e beccati nel bel mezzo di una fellatio ma in fondo chi se ne fregava e poi…
«Ah!» gemette quando Bonney cominciò  lavorare di lingua mandandogli i neuroni in collisione. La sensazione umida e calda però scomparve quasi subito, obbligandolo a riaprire gli occhi e guardare in giù, verso Bonney che lo fissava di rimando con un’espressione divertita e lievemente sadica.
«Va bene così?» domandò in un soffio, palesemente soddisfatta dell’effetto che aveva su di lui.
Killer sorrise sghembo, riappoggiò la nuca alla porta, richiuse gli occhi e posò una mano sul capo di Bonney. «Alla perfezione, Lolly-Pop.»
 

 
***

 
Girò la chiave nella toppa, grugnendo lievemente e sentì la serratura cedere subito, senza bisogno di sganciare anche il chiavistello, il che voleva dire che Nojiko era già a casa. Stirò le labbra scure in un ghigno soddisfatto quando una fetta di luce inondò lo zerbino.
Nojiko era a casa ed era sveglia.
E Kidd aveva voglia di lei.
«Ciao!» salutò Nojiko dal bagno, mentre finiva di struccarsi l’occhio destro e passava al sinistro.
Kidd fece scivolare la giacca giù dalle spalle imponenti e attraversò l’ingresso in quattro falcate. Senza preoccuparsi di rispondere al saluto, entrò in bagno e si concesse un attimo per ammirarla, vestita solo dell’intimo di pizzo color pesca, che metteva in risalto la sua carnagione olivastra e i suoi occhi cioccolato. Poi si spostò alle sue spalle, posò una delle sue grandi mani sul ventre piatto di Nojiko e incollò le labbra al suo collo, succhiando avido, le corte ciocche lilla della sua donna che gli solleticavano la fronte.
Nojiko sorrise e mugugnò, continuando a muovere meccanicamente la falda di cotone sulla palpebra sinistra, entrambi gli occhi chiusi. Era abituata alle insaziabili voglie di Kidd e non le dispiaceva per niente soddisfarle ma il ragazzo era talmente attivo che Nojiko aveva dovuto imparare per forza a finire, in certe occasioni, di fare quello che stava facendo prima di dedicarsi a lui, senza per questo sottrarsi alle sue attenzioni. Certo, a volte diventava impossibile.
«Ehi!» protestò Nojiko quando Kidd le morse la spalla. «Vacci piano, barbaro!»
Kidd la guardò dal riflesso dello specchio, ancora chino su di lei, ghignando sadico e lussurioso. «Come se ti dispiacesse.» commentò e Nojiko si limitò a roteare gli occhi prima di ricominciare a struccare l’occhio. Kidd ricominciò a strusciarsi su di lei, sempre più voglioso. «Spero tu sia pronta a passare la notte in bianco, bambola.»
Nojiko si fermò con la falda di cotone a mezz’aria, accigliata. «Bambola?!»
Eustass Kidd non era il tipo di persona che “chiedeva”. Era un uomo d’azione e funzionava in modo semplice e lineare. Vedeva una cosa, la voleva, la prendeva e così aveva fatto anche con Nojiko. Certo non avrebbe confessato ad anima viva o morta che con lei non era stato proprio tutto così semplice. C’era stata ansia, paura di non essere ricambiato, terrore di mandare tutto a puttane, tutto sapientemente nascosto dietro una maschera di volgare menefreghismo e vanitosa furia.
Ma aver perso completamente la testa per la ragazzina dai capelli lilla non aveva cambiato la sua indole. La sua costante paura di perderla, altrettanto costantemente rassicurata da Nojiko, non lo aveva reso più gentile. Se voleva una cosa la prendeva. Se non voleva una cosa la evitava.
E in quel momento Kidd non voleva dare spiegazioni sull’improvviso epiteto che aveva lasciato le sue labbra senza neanche chiedere il permesso. E fece ciò che meglio gli riusciva, per ovviare il discorso.
Agire.
Avvolse anche l’altro braccio intorno ai fianchi snelli di Nojiko, la sollevò e, sordo alle sue proteste, si diresse verso la camera da letto. Pochi attimi ed era nudo sopra di lei, impegnato a leccarle il tatuaggio che andava da clavicola a clavicola e giù tra i due seni. Chiuse le labbra intorno a un suo capezzolo e ghignò soddisfatto quando Nojiko inarcò la schiena, conficcò le unghie nelle sue spalle possenti e gemette a occhi chiusi.
Eustass Kidd sapeva come far impazzire una donna. Sapeva come far impazzire la sua donna.
Scese in picchiata, verso l’ombelico, leccando e succhiando ingordo. Nojiko posò la testa sul materasso, indifesa, pronta a quello che stava per arrivare. Perché Kidd amava come faceva tutto il resto. Deciso, quasi violento, senza chiedere il permesso a nessuno.
Si stupì quando percepì il suo respiro sul proprio pube, come se Kidd stesse esitando. Lui non esitava mai.
«Ti piace eh, piccola?»
«Piccola?!»
Il tempo si fermò per un attimo. Nojiko si puntellò sui gomiti e sollevò il busto per poterlo guardare, sopracciglio sollevato, espressione perplessa. «Kidd, che ti prende stasera? Sei strano.»
Non era strano che si autocompiacesse o cercasse complimenti, quello no. Ma era già il secondo soprannome in dieci minuti. Lui non usava mai soprannomi. Non era una cosa che faceva e basta.
Kidd la guardò di sottecchi, immobile tra le sue gambe. Perché sì, odiava ammetterlo ma la paura era sempre lì. Nojiko era il suo One Piece e, come un pirata dei tempi moderni, non c’era nulla che avesse bramato di più e niente che avesse più terrore di perdere. E doveva sapere, senza che lui arrivasse a dirglielo chiaro e tondo, Nojiko doveva sapere quanto lui la amasse e la desiderasse e quanto fosse fottutamente importante per lui e la sua sanità mentale.
“Alle donne piace sapere di essere uniche per il proprio uomo e un soprannome come questo glielo ricorda e le fa sentire suuuuuper-amate e suuuuuper-desiderate”
Certo, questo non significava che glielo avrebbe spiegato.
Si avventò sulla sua femminilità, toccando preciso e micidiale i suoi punti più sensibili, portandola all’apice in pochi attimi, le sue cosce contratte intorno al capo. Non le diede quasi il tempo di rilassare il corpo dopo l’orgasmo e si precipitò su di lei, voglioso, infilando deciso due dita nella sua fessura.
Voleva sentirla impazzire per lui prima di darle tutto.
Nojiko era come creta tra le sue mani. Si aggrappò ai suoi capelli, cercando di strapparglieli, si schiacciò contro di lui, urlando disperata il suo nome, implorandolo, tra gli ansiti, di smettere di giocare. Lo voleva subito. Lo voleva tutto.
«Mi vuoi?» mormorò sadico e roco il rosso, con le labbra scure accostate al suo orecchio. Non avrebbe resistito ancora per molto nemmeno lui. Porco Roger, amava quella donna. La amava con ogni fibra del proprio essere, con tutto quello che di buono e brutto c’era in lui. Con il suo meglio e con il meglio del suo peggio. Kidd amava Nojiko. «Anche io ti voglio.» E voleva soltanto che lei lo sapesse. «Ti voglio da morire, baby.»
Nojiko smise di ansimare. Smise di invocare il suo nome. Smise probabilmente anche di respirare a giudicare da come si raffreddò in fretta il suo corpo. Solo la sua femminilità continuava a rispondere positivamente all’intrusione ma era come se fossero due identità separate. Nojiko non sentiva più le dita di Kidd dentro di sé, il suo respiro addosso, il suo torace contro il seno.
Nojiko stava guardando Kidd con quello sguardo omicida che Kidd ringraziava di non aver mai visto rivolto a sé. Almeno fino a quel momento.
«Baby?!» mormorò piano Nojiko, in un soffio troppo calmo per non mettere i brividi.
Kidd sfilò la mano da lei e mise su un broncio scocciato e infastidito, che non sarebbe potuto essere più lontano di così dal suo stato d’animo reale. «Nojiko…»
«Sai, avevo notato che eri strano stasera.» lo interruppe Nojiko, tirandosi su e sfilandosi da sotto di lui. «Temevo ci fosse sotto qualcosa, non ho voluto pensare subito al tradimento perché ti amo e mi fido di te però…»
Kidd sgranò gli occhi, scioccato. Tradimento?!
«Ohi! Non dire cazzate, non è qu…»
«Con Baby, Kidd?!?» il tono di Nojiko salì di parecchi decibel e un cane nel quartiere ululò. «Con tutte le donne del pianeta, una delle mie più care amiche?!?»
Non c’erano lacrime nei suoi occhi, non c’era traccia di sofferenza. C’era solo furia, tanta, spaventosa, letale furia. E Kidd suo malgrado indietreggiò, maledicendosi. Maledicendo quel deficiente di Franky, quel rimbambito di Izo, i dieci shottini di rhum che si era fatto convincere a bere in una gara dell’ultimo minuto con Marco e Ace e, infine, se stesso.
«Se mi lasciassi spiegare, porca puttana!» protestò, ormai in piedi accanto al letto.
«Ho sentito abbastanza!» abbaiò Nojiko, mentre si dirigeva decisa verso l’armadio, lo sguardo fiammeggiante.
«E non hai capito un cazzo! Non è come pensi tu e… c-che stai facen… Nojiko!» ruggì, alzando il tono per lo spavento. «Porca troia, metti giù la carabina!!!»
Okay, non erano proiettili mortali. Okay era una carabina ad aria compressa. Ma Nojiko non sbagliava un colpo e, porca troia se faceva male!
Lo sapeva, lui lo sapeva che questa cosa dei soprannomi era una gigantesca stronzata!






Angolo dell'autrice che ha cambiato nome
Ciao ragazzi! Buon Crack&SfigashipDay a tutti voi!! 
Allora, allora! Innanzitutto ringrazio tutti voi che siete arrivati fin qui ma oggi voglio usare questo piccolo spazio per ringraziare delle ben precise persone. 
Prima di tutto lo staff del Forum FairyPiece e tutti coloro che hanno contribuito a organizzare questa bellissima giornata che è manna per la mia distorta fantasia shipposa. Ragazzi siete fantastici! Dico davvero! 
Poi c'è Vivian, che chissà perchè mi sostiene qualunque assurda shipp mi venga in mente e non so dove trova la pazienza. La ringrazio di cuore per tutto, tutto, tutto, fangirl e non! 
Momo, che leggi indipendentemente da chi siano i personaggi di cui scrivo. Tu non sai quanto questo mi sproni a continuare! Quindi grazie di cuore, soprattutto perchè so che hai poco tempo ma ci sei comunque sempre! 
E per finire c'è lei, Zomi, senza la quale non ci sarebbero stati certi soprannomi in questa storia e soprattutto non ci sarebbero stati tutti quei cocktail meravigliosi! Grazie per tutto l'aiuto, per la tua costante presenza, per ascoltarmi sempre e comunque, qualunque sia il problema! Grazie dal profondo del mio cuore!
Siete fantastiche, tutte e voi e tutti voi che avete letto fin qui! Vi adoro!
Pace e bene, caramelle e cuoricini sanjiosi a tutti! 
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