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Autore: Kim WinterNight    23/02/2017    5 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under the sofa

[John]




Arrivai a casa di Serj in fretta e furia. Notai che ci avevo impiegato cinque minuti in meno del previsto, il che mi fece piacere; in certi casi, il tempismo era molto importante. Udii una sirena in lontananza e sperai che il mio amico avesse chiamato l'ambulanza.

Impaziente, schiacciai tutti i pulsanti dei campanelli e qualcuno mi aprì il portone, così presi a salire gli scalini a tre a tre e mi fiondai nell'appartamento di Serj non appena lui socchiuse la porta.

«Dov'è?» chiesi subito, senza neanche salutarlo.

«Di qua» replicò lui, facendomi strada fino al salotto. Si trattava di una stanza accogliente e ordinata che conoscevo molto bene.

Quando entrai, notai subito che Angela era accucciata accanto al divano e ci guardava sotto, con sguardo colmo di preoccupazione.

«Daron, caro... è arrivato John, adesso vuoi uscire di lì?» gli disse la moglie di Serj, allungando titubante una mano.

«Ciao Angie. Ma che succede?» domandai, inginocchiandomi accanto a lei e sbirciando sotto l'ampio divano in similpelle. Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.

«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte.

Serj ci raggiunse e fece segno ad Angela di lasciarmi solo con Daron, così i due si avviarono verso la cucina in religioso silenzio.

«Daron» lo chiamai. Non ottenendo risposta, capii che dovevo parlargli, raccontargli qualcosa che potesse tranquillizzarlo e distrarlo un po'. Mi sedetti meglio e appoggiai la schiena contro il muro. «Sai, sono andato da Shavo. Sapessi quanto era in ansia per il concerto allo Stadium! Ma sì, lui è fatto così, lo sappiamo bene, no? Ha detto che non poteva crederci... e sai, avevi ragione: mi è toccato attaccarmi al citofono per costringerlo ad aprirmi, era in una di quelle sue fasi di reclusione totale. Penso che quando è in certi periodi, be'... chissà se mangia. L'ho visto un po' magro, più del solito... e poi ho conosciuto una sua vicina di casa, una tipa singolare. Potrebbe piacerti, sai? Peccato che sia lesbica...»

Stavo farneticando senza fermarmi, il che mi costava una fatica enorme. Preferivo sempre ascoltare piuttosto che parlare per ore, non ero una persona molto espansiva, ma del resto con i ragazzi della band era tutto un altro discorso.

Udii un movimento al di sotto del divano e mi sporsi per controllare cosa Daron stesse facendo: si era spostato leggermente verso il bordo e aveva aperto appena gli occhi.

«Daron?» lo chiamai con cautela.

Lui stette in silenzio per un po' e io temetti che non rispondesse neanche stavolta.

«John?» lo sentii mormorare, il tono di voce stridulo e quasi inudibile.

«Dimmi.»

Ci fu ancora una pausa, poi il mio amico finalmente rispose: «Jessica si sposa».

Senza che lui potesse vedermi, roteai gli occhi al cielo: ancora pensava alla sua ex fidanzata storica? Era logico che una modella come Jessica Miller si ricostruisse una vita. Certo, Daron era rimasto scottato da tutto questo, ma possibile che stesse in quelle condizioni per questo?

«Capisco» sospirai. «E a te cosa importa?» buttai lì facendo spallucce.

«Sei un pezzo di merda. Pensavo di potermi fidare di te, Dolmayan.»

Strinsi gli occhi per un attimo, mantenendo la calma. «Puoi fidarti di me.»

«Allora non fare lo stronzo.»

«Okay, okay. Allora tra lei e Ulrich è una cosa seria» commentai, pensando alla bizzarra accoppiata che l'ex di Daron formava con il batterista dei Metallica, Lars Ulrich.

«Chi lo sa? Ora so solo che non ho più alcuna speranza» disse il chitarrista in tono piatto.

«Questo ha fatto scattare qualcosa in te? È per questo che stai così... male?» provai a indagare.

«Male, ah. Bella questa!»

Sbirciai nuovamente sotto il divano e incontrai gli occhi, ora aperti e vigili, del mio amico.

«Vieni fuori? Così mi racconti tutto.»

Lui annuì leggermente e poco dopo sbucò dal suo nascondiglio con aria circospetta, controllando che fossimo soli.

«Angie e Serj sono in cucina, non preoccuparti. Dai, siediti e cerca di stare tranquillo» lo esortai, alzandomi a mia volta e lasciandomi cadere sul divano; battei sul posto accanto a me per invitarlo a imitarmi, e infine Daron cedette e si accomodò accanto a me.

«Perché proprio con lui? Perché non ha pensato di tornare con me?» domandò più a se stesso che a me.

«Questo non lo so, amico. Non ho il potere di leggere nella mente della gente, chiaro? Però so che tu puoi conquistare il mondo se vuoi, puoi fare tutto quello che ti pare e puoi andare dritto per la tua strada senza guardarti indietro. Pensa a tutto ciò che hai passato, alle critiche ricevute per il nostro lavoro... e allora? Niente ci ha buttato giù, o mi sbaglio?»

Lui scrollò le spalle. «Questo è diverso.»

«Va bene, è vero. Però tu sai di poter comandare la tua mente, che puoi rendere tutto razionale e in tuo potere.»

«Mi sembra impossibile. John... è stato terribile stamattina» disse, abbassando la voce e incassando la testa tra le spalle, come se temesse che una nuova crisi fosse in agguato di fronte a lui.

«Adesso è passato.» Gli posai cautamente una mano sul braccio e lui si ritrasse, come scottato. «Non ti mangio mica! Ascoltami: è tutto a posto adesso.»

«Per voi è facile parlare...»

«Per noi?» chiesi sorpreso.

«Per Serj, Angie...» accennò. «Loro non capiscono.»

«Loro sono preoccupati per te come lo sono io. Noi tutti teniamo a te» affermai con sicurezza.

Il mio cellulare prese a squillare, ricordandomi che dovevo assolutamente esercitarmi all'infinito con i ritmi dispari di percussione araba. Ci stavo lavorando da un po', e mentre con la darbuka mi riusciva abbastanza bene riprodurli e improvvisare, con la batteria era un po' più complesso.

Guardai sul display e notai che si trattava di Shavo. Che voleva adesso?

«È Shavo» annunciai, poi risposi: «Che c'è?».

«Come sta il mio chitarrista preferito?» domandò con apprensione.

Aggrottai le sopracciglia. «Perché chiami me se vuoi sapere di Daron?»

«Vuole sapere di me?» disse perplesso il chitarrista. «Passamelo.»

Mollai il telefono al mio amico e mi alzai per raggiungere Serj e sua moglie in cucina.

«Come sta?» domandò subito Angela.

«È uscito da sotto il divano, è già qualcosa» risposi con un sospiro.

«Ascolta, stavo pensando a una cosa» intervenne Serj.

«Di che si tratta?» volli sapere, appoggiandomi con i gomiti sulla penisola situata sulla destra della stanza.

«E se Daron si prendesse una vacanza? Ti andrebbe di accompagnarlo e tenerlo un po' d'occhio?» mi propose il cantante.

«Io? Perché non tu e Angie?» chiesi perplesso.

«Non è il momento, non possiamo spostarci da Los Angeles» mi spiegò lui. «Ho molto da fare in questo periodo, ho diverse serate di beneficenza a cui non posso mancare e qualche set acustico in giro. Sono troppo impegnato.»

«Capisco. Pensi che a lui potrebbe essere utile? Io non so se... potrei chiedere a Shavo» riflettei. «Era rinchiuso in casa per settimane, non potrà che fargli bene partire con Daron. Io ho da studiare, non penso che...» continuai a borbottare.

Sentii la mano di Serj posarsi sul mio braccio e lo guardai.

«Non essere stupido. Parti anche tu. Staccare ti farà bene» mi consigliò con un sorriso tranquillo stampato in viso.

Angela mi sorrise dolcemente e annuì con convinzione. «Lo credo anche io. Ragazzi, vi farà bene partire.»

«Daron ha saputo di Jessica e Lars» dissi ai miei amici.

Loro si scambiarono un'occhiata complice, poi Serj osservò: «Ci pensa ancora, eh?».

«Già.»

Udimmo Daron salutare Shavo e interrompere la telefonata, e poco dopo il chitarrista entrò con disinvoltura in cucina, comportandosi come se niente fosse accaduto.

«Tutto okay, caro?» lo intercettò Angela.

«Certo! C'è del bacon per caso?» domandò con noncuranza il chitarrista.

Serj storse il naso ed evitò di commentare, limitandosi a dare le spalle a Daron.

«No, lo sai che qui non girano certe cose» gli rispose pazientemente la donna. «Se vuoi c'è del burro, un po' di marmellata e...»

«Mi farò un caffè.»

Serj sospirò e si voltò verso di lui.

«Daron? Abbiamo una sorpresa per te» annunciò in tono allegro.

L'altro gli indirizzò un'occhiata interrogativa, senza smettere di armeggiare con il bollitore. «Ovvero?»

«Che ne diresti di un viaggio in Giamaica?»

Sgranai gli occhi, ma non ebbi il coraggio di replicare o di ribellarmi, perché sul viso del mio amico e chitarrista comparve un sorriso a trentadue denti che illuminò perfino i suoi occhi arrossati.

«Ecco... partiamo insieme, ti va?» intervenni infine, capendo che ormai non avevo vie di scampo.

«Con te? Non ci divertiremo mai, sei troppo serio, Dolmayan.»

«Ci sarà anche Shavo!» esclamò Angela.

«Già» borbottai. «Dobbiamo solo convincerlo.»

«Non sarà un problema. E... a cosa devo questa bella proposta?» indagò Daron con curiosità.

«Una vacanza serve a tutti voi, ragazzi» disse Serj serafico.

«A voi no, eh?»

Angela ridacchiò. «Non è il momento.»

Daron fece spallucce. «Non sapete cosa vi perdete. Okay, mi faccio un caffè e poi vediamo di trascinare Shavo fuori casa, che ne dici Dolmayan?»

«Per oggi penso di avergli rotto le palle abbastanza, ma quando sentirà la parola Giamaica, sono sicuro che uscirà di lì senza neanche pensarci» ghignai.

Speravo seriamente che questa cosa funzionasse: non mi piaceva per niente il fatto che Daron avesse avuto un altro attacco di panico, non era affatto rassicurante e non volevo che si ripetesse.

Avevo creduto fino all'ultimo che quella fase della sua vita fosse ormai conclusa da tempo, ma evidentemente mi ero sbagliato.




Eccomi qui con il secondo capitolo, stavolta dal POV di John. Cosa pensate del modo in cui ho caratterizzato lui e gli altri personaggi?

Mi dispiace di aver fatto succedere questo disastro al povero Daron, mi auguro che la cosa non vi abbia rattristato troppo!

Aspetto le vostre recensioni, e ringrazio chi mi ha già supportato nel primo capitolo: Hanna, Stormy e Soul, siete fantastiche ♥

  
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