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Autore: AnyaTheThief    23/02/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano stati cinque lunghissimi anni. Cinque anni senza sua madre, cinque anni senza Iris, senza amici, senza camminare sulla fune.

Ma ora Jad sapeva che il momento era giunto: era tempo di tornare al circo e rimettere a posto quello scomodo tassello nel quale inciampava continuamente. Per tutto quel tempo aveva vissuto dei pochi soldi messi da parte e quelli ereditati da sua madre, e della generosità della gente che aiutava volontariamente. A volte non veniva nemmeno ripagato, altre volte era lui stesso a non voler accettare.

Trovava incredibile come le persone reagissero differentemente alle notizie spiacevoli o piacevoli che siano. Ma tutto ritornava sempre allo stesso, maledetto punto: qualsiasi cosa facesse, non riusciva mai a cambiare il destino della gente.

Se diceva ad un genitore che il figlio aveva un cancro che andava curato subito, questi non gli credeva e lo mandava al diavolo scambiandolo per un mendicante squattrinato in cerca di guai; se provava ad evitare degli incidenti, questi avvenivano lo stesso, in un modo o nell'altro. L'unica soddisfazione che poteva trarre dal fare tutto ciò derivava dal fatto che qualche volta le persone gli credevano e, anche se non potevano cambiare il loro destino, lo ringraziavano con pasti caldi, soldi o un rifugio per la notte.

Aveva viaggiato in sette diversi stati, imparato nuove lingue, consumato innumerevoli paia di scarpe e quasi morto di fame, ma non era trascorso un giorno senza che riuscisse a non pensarla. Tutto quello che aveva vissuto lo aveva portato a quel momento: Jad passò sotto al grande arco luminoso che segnalava l'entrata del circo. La ruota panoramica si stagliava di nuovo alta ed imponente, e per un attimo gli parve di scorgere una cabina mancante, ma quando batté di nuovo le palpebre, si rese conto che erano tutte lì.

Era stato per miracolo che il direttore era riuscito a salvare il circo dalle accuse di negligenza e di omicidio colposo. Ed ora eccolo di nuovo lì. Non c'era nessun vuoto tra le cabine appese a mezz'aria della ruota, ma ce n'era uno immenso nel suo cuore, ed un altro tra i tendoni. La piccola tenda sotto la quale sua madre leggeva le carte era sparita, ma gli era stato promesso che non l'avrebbero mai rimpiazzata: con suo grande sollievo ora poteva constatare che avevano mantenuto fede all'impegno. Sapere che sua madre veniva ricordata lo fece sentire un po' meno colpevole.

Si tirò su il cappuccio della felpa. Non aveva voglia di parlare con chiunque incrociasse. Riuscì ad evitare lo sguardo di un paio di persone che conosceva, ma schivò troppo tardi quello di una trapezista, che parve riconoscerlo. Lo fissò sorpresa per un attimo, ma non lo fermò.

Jad udì il tamburellare delle sue dita sulla tastiera del telefono, anche se non sarebbe mai stato possibile da quella distanza. "E' qui." nonostante lei non avesse aperto bocca, la voce della ragazza gli giunse in un sussurro all'orecchio, sovrastando il vociare delle persone attorno a lui. Si voltò a guardarla, e lei gli ricambiò un'occhiata ancora più scioccata. Sì, sapeva cosa aveva scritto nel messaggio, e anche a chi. Tuttavia, gli rimaneva ancora un po' di tempo.

Passò tra i tendoni e raggiunse la roulotte del direttore, alla porta della quale bussò con decisione.

"Jad?" disse una voce sorpresa alle sue spalle. Il ragazzo sorrise debolmente al suo ex capo.

"Direttore." salutò, con un cenno del capo. "La trovo in forma."

L'uomo non era cambiato molto da come lo ricordava; aveva sempre lo stesso sguardo vispo negli occhi e quel pancione che lo faceva sembrare un cartone animato.

"Ragazzo mio, ma dove sei stato?" lo strinse in un abbraccio stritolante, che Jad ricambiò appena, con un sorriso divertito. "Vieni, hai tante cose da raccontarmi. E anche io a te."

In un attimo si ritrovò seduto al tavolino a bere un tè caldo, in silenzio. Aveva tante cose da raccontare, ma nessuna che voleva condividere veramente. Aspettò che fosse Gustav a parlare, e le sue prime parole furono subito un duro colpo da incassare.

"Avresti potuto dircelo, sai? Che un giorno sarebbe piombata qui una ragazzetta e avremmo dovuto spezzarle il cuore al posto tuo." il suo tono era severo, ma lasciava spazio ad una giustificazione da parte sua. Soltanto che non ne aveva una.

"Mi dispiace che abbiate dovuto farlo... Fino a pochi mesi fa, pensavo che mi avesse completamente dimenticato." dopotutto, l'aveva abbandonata per strada quel giorno, dopo che avevano passato la notte assieme, e non si era mai più fatto sentire. Lui stesso non era stato al funerale di sua madre, ma aveva immaginato che Iris ci fosse andata con i propri genitori.

"Quindi è riuscita a contattarti?" domandò Gustav incuriosito.

"A dire il vero, no."

Il direttore gli lanciò un'occhiata sospettosa, addentando un biscotto, e Jad si riempì la bocca di un sorso di tè, lasciandolo a riflettere su quella risposta elusiva.

"Ragazzo, sappiamo tutti bene cos'hai dovuto affrontare. Ma nessuno ha compreso la tua scelta di andartene e di rifiutare qualunque aiuto. Quello che ti è stato donato..." e puntò il dito verso il suo petto, dove spiccava il ciondolo a forma di funambolo. "... non è un fardello da poco."

Jad tornò con la memoria a quei primi giorni, quelli in cui non riusciva a chiudere occhio, attanagliato dalle emicranie, da ricordi confusi che gli vorticavano in testa senza logica, dal dolore per la perdita di sua madre. Ricordò come se n'era andato, perché non riusciva a sopportare di stare in mezzo alla gente, non poteva controllare il flusso di informazioni che entravano nel suo cervello.

"Va molto meglio ora. Riesco a tenerlo a bada, in qualche modo." rassicurò, tentando un altro debole sorriso che si mostrò più come una smorfia. “A volte mi torna anche utile” aggiunse, abbassando la voce.

"Devo dirtelo, quando ti abbiamo trovato sul pavimento a tremare come una foglia, pensavamo avessi preso qualcosa per farla finita." confessò Gustav, addentando un altro biscotto.

Jad dovette strizzare gli occhi per un attimo. Ricordando quel giorno, gli provocò una scossa alla tempia e lo bombardò per un millisecondo di tutte quelle immagini confuse che alla fine era riuscito a riordinare. "Pensavo anche io di non poter sopravvivere." disse, facendo finta di nulla e massaggiandosi la tempia in un gesto naturale.

"Ebbene, sei tornato per restare, quindi?" Jad colse quella nota di speranza nella voce di Gustav, nonostante cercasse di non farla trasparire troppo.

"Temo di no. Ho ancora un paio di faccende da sbrigare."

Il direttore gli lanciò un'occhiata di disapprovazione. "Spero che una di queste sia quella ragazzetta. E' un paio d'anni che non viene più a chiedere di te, ma credo che meriti una risposta."

"La avrà." disse Jad. Il suo sguardo scrutò al di là del finestrino e si posò sui palloncini colorati illuminati dalla debole luce del tramonto.

Gustav si sbafò l'ultimo biscotto e guardò anche lui fuori dal finestrino, verso la ruota panoramica.

 

 

 

Porthos non faceva che fissare tra le sbarre della sua cella, in quell'angolo dal quale in rare occasioni aveva scorto qualcuno muoversi all'interno dell'altra cella. Chi gli aveva mandato quel messaggio? Attendeva con impazienza che la guardia si allontanasse per provare a mettersi in contatto con l'altro prigioniero, ma le ore parevano infinite. Doveva occupare meglio quel tempo, non poteva sprecarlo, mentre Athos ed il Re rischiavano la vita.

Si mise a scrivere. Ma subito si rese conto che quella lettera sarebbe stata controllata e gettata se avesse rivelato i dettagli di un complotto. Pensò e ripensò e alla fine giunse ad una soluzione: Athos avrebbe capito. Già solo il fatto che gli spedisse una lettera dalla prigione, lo avrebbe insospettito. Cercò di renderla il più smielata possibile così da rendere ovvio che nascondeva altro, oltre alle informazioni inutili che gli stava fornendo. Dovette fare vari tentativi, perché le prime parole di ogni riga rivelassero il vero messaggio, ma alla fine ce la fece.

Ora doveva solo pregare che la lettera arrivasse nelle mani del Capitano. Mentre ripiegava la lettera, udì i passi della guardia salire le scale e si fiondò immediatamente nell’angolo, premendo il viso contro le sbarre.

“Ehi!” bisbigliò il Moschettiere. “Fatti vedere!”

Fu una completa sorpresa per lui intravedere nell’angolo dell’altra cella una ciocca di lunghi capelli rossi. I grandi occhi di Liz spiccavano sul viso smorto e pallido, ma lo fissavano pieni di orgoglio.

Porthos rimase a bocca aperta. Tutto gli tornava. Ecco l’altro motivo per cui Milady voleva svelare il complotto: non aveva alcuna intenzione di tornare ad essere l’amante del Re, voleva solamente salvare Athos e Liz.

“Come sei finita qui?” domandò. In quel momento udì i passi della guardia scendere di nuovo le scale.

“Cinq-Mars.” fece in tempo a bisbigliare lei in risposta. Poi rimase in silenzio a fissarlo, leggermente imbronciata, ancora per qualche istante prima di sparire nella sua cella quando la guardia raggiunse la propria postazione.

Porthos tornò a sedersi sulla branda, la sua mente iniziò ad elaborare così tante informazioni che non sapeva da quale di queste dover iniziare a sentirsi in colpa. Liz, conosceva quella ragazza. Era venuta da lui, mesi prima, lo aveva accusato di mentire: era così sicura di sé e del fatto che Athos pensasse ancora a Milady che per un attimo aveva pensato di dirle la verità.
Invece le aveva detto di controllare coi suoi occhi. L’aveva spinta a seguire Athos in una delle sue innocenti visite a Constance, nella sua casetta fuori Parigi dove era stata esiliata dopo tutto ciò che era successo. Liz non aveva idea di chi fosse quella donna, ma le bastò vedere il sorriso sul volto del Capitano per convincersi che doveva essere la sua amante.

Porthos non riusciva ancora a credere di essere riuscito, per la prima e unica volta in vita sua, ad essere più furbo dell’astuzia fatta a persona, ma in qualche modo, complice quell’ingenua rossina, ce l’aveva fatta. Non ci aveva più pensato molto in seguito. Era convinto che le cose avrebbero seguito un corso naturale, che Athos si sarebbe dimenticato di lei prima o poi, e viceversa. Ma non era stato così, affatto.

Se da una parte era ancora convinto che fosse stato per il bene di Athos, dall’altra iniziò a porsi dei seri dubbi, mentre il senso di colpa lo divorava. Se Athos avrebbe saputo, lo avrebbe ucciso. Non poteva dirglielo, non ancora.

Intanto doveva pensare a salvargli la pelle. Chissà che magari sarebbe riuscito ad uscire di lì in anticipo. Non si era mai dimenticato che c’era un’altra vita in ballo in quell’intrico, una vita innocente.

“Josèphine...” mormorò in una sorta di benedizione, stringendo tra le mani la lettera che avrebbe potuto cambiare il destino di molte persone.

  
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