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Autore: Arpiria    23/02/2017    1 recensioni
{Partecipa al contest “When love is not enough” || an Hozier&tropes contest di LVdevotee}
- Sai che ti dico, piccola stupida? Morire di freddo è troppo facile. Sei il nostro saltimbanco, ci fai divertire come un nano di corte. Sei la nostra brutta lepre addomesticata.-
E se Greyback avesse voluto prendersela, avrebbe significato che i suoi spettacoli stavano diventando noiosi. Sarebbe stata una fortuna per lei andarsene adesso, in silenzio come un colombo in bocca alla tormenta.
{...}
- Ecco qui, rum per la mia sgualdrina babbana.-
Scabior si accovacciò di fronte a lei, immobile tra le radici di una betulla rachitica, i piedi nudi affondati nel muschio come per riscaldarsi. Tentò di graffarlo con le sue unghie marcite mentre afferrava la bottiglia e beveva, beveva, beveva come se volesse dimenticare il bosco e l'aria e la vita intera.
{Ispirata alla canzone Cherry Wine di Hozier}
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Scabior
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Non-con | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La lepre e l'inverno



 
 

Her eyes and words are so icy
Oh but she burns
Like rum on the fire



 

Si era innamorato di lei come si innamorano i cervi: d'istinto e senza ragione, durante la stagione degli amori. 
Una babbana col sangue marcio che non conosceva la magia, la bocca piena di terra e le unghie mezze sporche e mezze spezzate. Viveva nelle tane delle volpi, vestita di stracci e di muschio silvestre, e si nutriva delle bacche piovute dagli alberi insieme alle piogge e ai nidi di rondine. Aveva il colore delle cortecce impresso negli occhi e labbra carnose di chi sa dare bei baci, per capelli lunghe ciocche di sabbia ingiallita, ricordo d'una brughiera che forse non aveva mai visto. Sembrava uno di quegli idoli intrecciati alle piante rampicanti e affamati di preghiere perdute da secoli, custoditi in una grotta nelle viscere della montagna e ivi dimenticati.
Seguiva la comitiva dei ghermidori come l'albatro il peschereccio, e come i marinai deridono l'uccello dalle goffe zampe loro si prendevano gioco della babbana. Il gusto di vedere la figlia della foresta annaspare tra la polvere per divorare i loro avanzi, patetica bestia dagli occhi di cagna e la fame di lupa, li faceva rimandare il giorno in cui Greyback avrebbe banchettato con le sue carni grige.
Col trascorrere dei giorni, mentre la luna ingrassava ubriaca di stelle in un cielo sconcio, nudo di nuvole, la piccola anima si faceva più ardita. Scabior riusciva a sentire il suo odore di selvaggina sui rami sotto i quali si accampavano per riposare dopo una giornata di caccia. Non era difficile riconoscerlo, perché lei odorava di tutte le bacche e le piante di bosco. 
- Fatti avanti, tu, piccola ladruncola, lepre maledetta che ci fruga nelle borse.-
Il suo ordine si perdeva nel sibilante serpeggiare del vento tra gli alberi, e la babbana sangue marcio era maledettamente brava a rintanarsi nelle buche scavate dai tassi. Piccola anima stupida e ingenua, come poteva non sapere che correva dietro alla sua stessa morte? Ben presto si sarebbero stancati persino della sua vista patetica, e togliere il cibo a Greyback era come togliersi i giorni dal mondo.

***

La scovò una notte d'inverno, accucciata tra le radici curve di una betulla nata insieme al mondo. Tremava avvolta nel suo cumulo di stracci, teneva le mani vicine alla bocca per riscaldarsi le dita col fiato. Piccolo arbusto di primavera, figlia dei campi rigogliosi di delicata erica, l'inverno se la sarebbe portata via prima di Greyback. 
"Meglio così", si disse Scabior diffidente, "Dio solo sa quanto la carne agiti quel mostro."
- Quanto devi essere affamata,  squallida animuccia mia, sangue lercio di fango babbano? Quanto deve contorcersi il tuo stomaco perché tu corra dietro alla morte per una manciata di briciole?-
Ma lo spirito della foresta mezzo assiderato non rispose. La sua era lingua degli alberi che l'allattavano di resina e bacche, e di umano conosceva solo le botte. Ringhiava con l'esperienza di un cane abituato al bastone e ai calci pigiati nelle costole. Scabior non sfoderò la bacchetta di fronte a quel misero latrato di bestia morente, ma non osò avvicinarsi per paura dei suoi morsi e dei suoi artigli. 
- Sai che ti dico, piccola stupida? Morire di freddo è troppo facile. Sei il nostro saltimbanco, ci fai divertire come un nano di corte. Sei la nostra brutta lepre addomesticata.-
E se Greyback avesse voluto prendersela, avrebbe significato che i suoi spettacoli stavano diventando noiosi. Sarebbe stata una fortuna per lei andarsene adesso, in silenzio come un colombo in bocca alla tormenta. Nel mondo del mago oscuro non era sicuro di volerci vivere nemmeno lui, ma avrebbe avuto il suo oro e i suoi giorni d'ozio, e quindi se lo faceva star bene. Che vita avrebbe mai potuto condurre, invece, una sporca babbana? Morta, domestica o puttana per un mago dai gusti poco raffinati.
- Lo conosci questo, piccolo rigurgito di bosco che non sei altro?-
Estrasse dalla borsa una bottiglia di vetro colma di un liquido che riscaldava l'anima e il ventre. Non era stato partorito dalla mente dei maghi, ma Scabior non era un uomo dai gusti complicati, finché qualcosa gli annebbiava un po' il cervello e lo faceva ridere di nulla.
- Rum. L'avete inventato voialtri schifosi babbani. Assaggialo e scaldati, così potrai deliziarci anche domani col tuo mendicare patetico.-
E la piccola donna intruglio di fango e polvere lo graffiò nello strappargli la bottiglia dalle mani, e il suo imprecare furioso fu soffocato dal rumore di lei che beveva il rum come avrebbe bevuto il latte, il volto grigio infuocato e l'esofago in fiamme come quello dei draghi. Scabior indugiò con lo sguardo sulla sua mano di carne e sangue, unica fonte di calore insieme al rum, in quella foresta fredda d'inverno.
- Stupida piccola ingrata, come osi? Come osi ferire un mago, tu, sottospecie di femmina da monta?-
Lei scolava il rum come il lupo affonda le zanne nelle viscere della carcassa, e più beveva più le sue guance si coloravano. Non staccò neanche per un istante gli occhi di quercia dalla bottiglia fusa con le sue labbra, forse perché era sorda o forse perché non capiva che la lingua degli alberi, e si sa che gli alberi in inverno non parlano.
Scabior si chiese ancora una volta quale tronco d'acero l'avesse partorita, piccola e così polverosa, abbandonata nel vento come una delle sue foglie. Sapeva che i babbani sanno essere crudeli con i loro simili, e spesso quando hanno troppe bocche da sfamare abbandonano il figlio dello svago e del rum dove solo gli insetti lo possono trovare.
- Cervello di lepre che non sei altro, doveva piacerti proprio tanto quel rum.-
La bottiglia giaceva abbandonata nella terra scura, tra le gambe fasciate di stracci di quell'anima rabbiosa ed ubriaca. Non una goccia di liquido scivolava dall'anello sudicio a dissetare d'ebbrezza il terriccio gonfio di neve e resti di larve assiderate.
La ladra di vita sbatté le palpebre sopra gli occhi freddi, forse per non far appiccicare le ciglia alla carne. Raccolse la bottiglia, come un mendicante il proprio cesto muffito di speranze, e la allungò verso il giovane principe degli sciagurati a chiedere altro calore in pancia.
- Ne vuoi ancora, eh?-
Iniziava a divertirsi, Scabior. Non solo i babbani si erano rivelati essere creature inferiori estremamente ingrate, ma adesso li scopriva anche voraci di beni che non gli appartenevano.
- Spiacente, occhi di pantegana, mi hai già derubato abbastanza per stasera di tempo e denaro.-
"Che tu possa morire stanotte, con la pancia piena di rum, come muoiono i babbani fuori dai pub."


***


La facevano spogliare degli stracci per guardarla e le lanciavano addosso avanzi di cibo scaduto, ossa di colombo  mezze spolpate, pane indurito che neanche la più famelica delle cornacchie avrebbe voluto ma che lei addentava lo stesso, lo masticava fino a rompercisi i denti. Per i loro sguardi di uomini dimenticati nel bosco era femmina prima di essere babbana, ma nessuno di loro osava toccarla per paura dei morsi e della malattia del sangue sporco. Le guardavano i seni avvizziti e i fianchi incavati, ridevano e pensavano alle donne che vivevano fuori dal bosco, le donne dal sangue puro e le vertebre di cigno che avrebbero avuto quando tutto fosse finito, e il Signore delle Tenebre avesse mangiato il mondo intero. Allora non ci sarebbe più stato posto per la babbana dalla pelle grigia e i capelli odorosi di bosco, braccia lunghe di pallide serpi e gambe storte.
- Ecco qui, rum per la mia sgualdrina babbana.-
Scabior si accovacciò di fronte a lei, immobile tra le radici di una betulla rachitica, i piedi nudi affondati nel muschio come per riscaldarsi. Tentò di graffarlo con le sue unghie marcite mentre afferrava la bottiglia e beveva, beveva, beveva come se volesse dimenticare il bosco e l'aria e la vita intera.
"Vuoi morire avvelenata di calore, brutto spiritello sconcio, piccola lepre? Vuoi che la bottiglia ti scivoli di mano e ti laceri la gola? O aspetti che siamo noi a porre fine alla tua vita, senza senso come quella delle cimici? In che modo scegli di morire, patetica sacca di sangue marcio e ossigeno?"
Le parole di rabbia e veleno non sembrarono raggiungerla neanche questa volta. Scabior intuì che oltre a babbana e figlia del muschio dovesse essere sorda, perché non porgeva mai l'orecchio allo scricchiolio della foresta, non scavava i profili degli alberi lontani quando i lupi uscivano dai rifugi e ululavano al cielo la loro fame. Viveva in una bolla di silenzio e parlava solo col sale delle rocce e con gli insetti che abitavano la gola della terra.
"Per questo ti hanno abbandonata, quegli esseri dal sangue più lercio del tuo? Perché eri solo una storpia, uno spreco di cibo e di rum?"
- Hai mai assaggiato il vino di ciliegia, mia stupida lepre?-
Sapeva che la ragazza dall'età indecifrabile non poteva o non voleva ascoltarlo, ma sedeva scomposta in braccio alla betulla malata d'inverno e ogni tanto lo guardava, sguardo di capriolo smarrito tra il lupo e il precipizio. Lo faceva sentire potente, e a Scabior piaceva molto sentirsi potente. Era una sensazione nuova, un sentimento di potere assoluto che di solito gonfiava il petto di Greyback e lo faceva sentire più Mangiamorte, anche senza quello sputo di male e inchiostro sull'avambraccio. Quello spettava solo a chi leccava bene il sedere a colui che non doveva essere nominato, cosa che forse il lupo mannaro avrebbe anche fatto se gliene fosse stata data l'opportunità, ma che a lui non era mai interessata. Lui stava dalla parte di chi gli dava la grana, linda o lercia che fosse, e non si preoccupava molto degli ideali, del giusto o dello sbagliato.
- Beh, è un'altra stramberia di voi babbani. Ne abbiamo sequestrato un paio di casse da una cantina abbandonata, ma ormai ne è rimasto poco. Conoscendoti divoreresti l'intera bottiglia, lepre ingorda che non sei altro.-
Si era addormentata tra le radici, ma persino nel sonno batteva i denti.

***

Si accoppiava con la babbana quando tutti dormivano. La inchiodava volente o nolente a un letto di foglie secche e spingeva, spingeva, spingeva finché la terra non le imbrattava gli stracci. La lepre ansimava, fronte lucida, e gli graffiava le spalle fino all'osso, ma poi rovesciava il collo all'indietro e spalancava la bocca in gemiti muti fatti solo di denti.
Una femmina marcia era come denaro sporco, e Scabior non era mai stato un uomo dai gusti raffinati.

***

Successe che la lepre si ammalò d'inverno come la betulla. Seguiva la carovana dei disperati e si nutriva ancora dei loro avanzi, ma non balzava più tra le radici coi piedi rovinati e le braccia fredde a sfidare il cielo. Le labbra carnose, che se avessero saputo baciare avrebbero dato bei baci, erano due lembi di pelle screpolati e tremanti; il suo corpo una tomba di ossa impilate e più volte rotte e guarite nei posti sbagliati.
- Non si guarda neanche più,- latrò Greyback un pomeriggio confuso di nubi, ultimo singulto di un inverno che non se ne voleva andar via, - Tanto vale mangiarsela, finché le rimane ancora un po' di ciccia sulle ossa.-
Scabior sapeva che far cambiare idea al lupo mannaro non sarebbe stato semplice. Non era neanche certo di volere fino in fondo che cambiasse idea: se la lepre fosse morta, nessuno avrebbe potuto accusarlo di essersi accoppiato con una sudicia babbana. D'altra parte, non voleva perdere la sua femmina da monta. Graffiava e mordeva e certe volte era costretto a colpirle la testa perché se ne stesse un po' buona, stupido spiritello di muschio inselvatichito, ma era brava a soddisfare i suoi gusti rozzi, e poi, a differenza delle donne vertebre di cigno, se ne stava meravigliosamente zitta.
Era abituato a tornare nel bosco dal Ministero dopo aver consegnato i sangue sporco e trovarla lì, nascosta nelle tane delle volpi e i cespugli di salvia, così selvaggia e così femmina, tutta odorosa di bosco. 
- Se guarisce tornerà ad essere utile come prima.- Intervenne allora Scabior, voce strascicata e occhi indifferenti, - Ma se te la mangi saremo confinati in questi boschi senza neanche un passatempo. A meno che tu non preferisca la vista di due uomini a quella di una femmina, s'intende.-
Greyback grugnì ma poi non se la mangiò, forse per difendere il suo orgoglio o forse perché, nonostante tutto, la vista di un corpo femminile, per quanto letto di fiumi di sangue sporco, gli ricordava che esisteva ancora qualcosa di bello da vedere, fuori dalla sua vita divisa tra Ministero e foreste marce. 

***

Scabior scovava la lepre nascosta nelle tane interrate e le cacciava in bocca cibo buono, miele, qualche bacca. Le dava da bere vino di ciliegia, che era dolce e le dava la forza di affrontare la febbre.
- Se non devi guarire presto, allora lascia che questo malanno ti uccida, lepre dal sangue marcio.- Le sussurrava, e anche se le sue parole non la raggiungevano lei gli teneva gli occhi spalancati fissi sulle labbra, - Se non muori da te, ti aspetta una sorte peggiore dell'agonia.-
Se avesse avuto pietà di lei, forse le avrebbe tirato il collo come si tira al pollame da brodo. Ma Sacabior conosceva solo la disgrazia e i morsi della fame, la mappa delle stelle sopra il capo e le impronte che tradivano le tane dei lupi.
La pietà era per i ricchi e la sopravvivenza per tutti gli altri.
- I tuoi stracci ti lasciano scoperta la gola, sangue sporco. Questo è un guaio, perché è in gola che si annidano i malanni.-

***


Venne il giorno in cui la piccola carovana di poveracci dovette lasciare quel polmone di mondo per seguire le tracce di Harry Potter. La più grande minaccia vivente per colui che non si poteva nominare, forse persino l'unica che dovesse temere; faro di speranza per gli illusi, i disperati e i sangue sporco. Per Scabior, duecento galeoni tondi tondi che se ne andavano in giro su un paio di gambe proprie.
Lasciò la lepre nella tana della volpe, coperta da un cespuglio di ribes che sorride alla primavera, neonata vagente che sanguinava ancora d'inverno.
- Arriveranno bei soldoni! Se non fossi così stupida, cervellino di lepre, capiresti che grande affare stiamo per fare. Un ragazzino morto e un sacco di grana per me. Riempirò una vasca di vino di ciliegia e ti ci farò sguazzare. Chissà che il tuo sangue non diventi meno lercio, così.-
Lei non lo capiva, ma lo stava ad ascoltare come si ascoltano certe cupe favole della buonanotte. Era accucciata contro una scaglia di terra bagnata, lei stessa era tutta terra e tremiti. Sarebbe arrivata la primavera a riscaldare le sue membra, ossa di cerva scavate dalla fame, ma chissà se ella avrebbe avuto ancora vita per vedere la brughiera riscaldata dal sole, le sciagurate acrobazie delle rondini e i campi  fioriti di papaveri. E Scabior convenne che era sporca e bella come la foresta, selvatica e terribile, femmina prima di babbana, femmina prima ancora di essere umano.
- Non muoverti di qui. Può darsi che ritorni a vedere che fine hai fatto, può darsi di no.- Lanciò un'occhiata al sole, aggrappato al punto più alto del cielo. Visto da dove lo omaggiavano gli insetti, sembrava una grossa mosca prigioniera di una ragnatela di rami secchi.

***

Trovò un brandello di stoffa attorcigliato come morbida serpe al tronco di un albero. Se lo legò intorno al collo e pensò: "Coprirà la gola alla mia brutta lepre, se  la febbre non l'ha consumata e la volpe non ha fatto ritorno alla sua tana.  Aggiusterà quella  sua gola piena di malanni."
E comunque avrebbe potuto strangolarla meglio così, sudicia babbana senza valore, pianto di rugiada e profumata resina nelle vene.

***

La morte fu una breve corsa in braccio al niente. Un'esplosione di colori, fiamme negli occhi al posto dei pensieri.
La terra gli mancò da sotto i piedi e agitò le braccia come per volare, ma non volò.
I timpani assordati dal ruggito del ponte e le grida dei compagni; era giunta anche la sua notte senza aurora. Gli frustò il viso il brandello di stoffa, quello che non avrebbe mai coperto la gola di una brutta lepre, né l'avrebbe strangolata, perché questo avrebbe fatto Scabior se avesse avuto pietà di lei. 
Ma la pietà era per i ricchi e la sopravvivenza per tutti gli altri, così le aveva regalato un'altra primavera, un'altra brughiera riscaldata dal sole e sciagurate acrobazie di rondini, e ancora altri campi fioriti di papaveri.
In fondo, se avesse potuto, sarebbe tornato alla tana della volpe.

 
The blood is rare and sweet as cherry wine












NdA: Questa fanfiction partecipa al contest  When Love is not Enought  indetto da LVdevotee.
La canzone a cui mi sono ispirata io è Cherry Wine, che vi consiglio di ascoltare indipendentemente dal fatto che abbiate gradito la fanfiction o meno, perché è un vero capolavoro. Ve la link qui (click!)

Dopo aver ascoltato la canzone un paio di volte sono stata folgorata dall'ispirazione, in particolar modo per il riferimento al rum nelle prime strofe del testo. Il rum, il liquore della povera gente, ha evocato nella mia mente l'immagine dei personaggi più affamati di denaro dell'intera saga: i Ghermidori. Erano banditi estranei a qualsiasi tipo di morale: non appoggiavano Voldemort perché condividevano i suoi ideali, ma semplicemente perché era l'opzione a loro più conveniente, quella che pagava meglio. Non sarebbe sbagliato definirli i personaggi più ignavi e spregevoli in assoluto.
Poi c'è il vino di ciliegia, bevanda delicata e raffinata, che nella storia è oggetto di furto, medicina e promessa; e al tempo stesso è l'unico strumento della manifestazione di una strana forma d'amore.
Il protagonista è lo Scabior che vediamo nei libri, ma soprattutto nei film, dove gli è stato dato un ruolo di rilievo decisamente maggiore. Non ho potuto fare a meno di inserire il riferimento al fatto che si sia appropriato della sciarpa che Hermione ha legato al tronco di un albero nel penultimo film e se la sia legata al collo: non so perché, ma questo gesto da parte del Ghermidore mi ha molto colpita. Spero di aver reso Scabior sufficientemente...Scabior! Meschino, superficiale, attaccato ai soldi.
La presenza femminile all'interno del racconto è tutto e niente al tempo stesso: è donna e animale, è una zingara smarrita nel bosco e spirito del bosco stesso, assetata di vita quanto Scabior di ricchezze.
La canzone parla della violenza con parole delicate e ritmo dolce, ed io ho tentato di scrivere una storia di violenza con uno stile che rispecchiasse il suono.
Spero che vi sia piaciuta! Sarò felice di leggere i vostri commenti e le vostre critiche.
Un grosso bacio

1S1D
  
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