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Autore: Kitsunelulu    24/02/2017    0 recensioni
Sono i primi anni 20, ed a New York si festeggia. Siamo in un locale chiamato Little Paris. Tra la folla danzante spicca un giovane dai capelli lunghi e l’aria intraprendente, che sembra aver conquistato una giovanissima inglesina decisa a godersi la sua visita negli U.S.A.
Non troppo distante, ma con l’aria di essere completamente altrove, siede solitario un uomo dai capelli scuri, intento a sorseggiare il suo assenzio. Sembra stia attendendo qualcuno, perché rifiuta la compagnia delle ballerine che provano a svolgere il loro lavoro di coinvolgimento. Allontanatele, torna a bere accigliato.
Genere: Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
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Capitolo secondo: L'estate è sempre troppo corta


Lasciate che vi introduca i protagonisti di questa nostra storia.
Lo scorbutico signore dal cappello grigio, che sorseggia assenzio come se fosse la via di fuga dal luogo in cui si trova, è Charles Torrence. Venticinque anni d’età, cinquanta nell’anima. Giornalista da un anno dopo quattro da scribacchino in uno studio legale. Casa sua è una vera e propria fortezza ed egli si sente al sicuro circondato da tutti i libri, i dipinti e gli inutili gingilli accumulatori di polvere. Sguscia tra una stanza e l’altra nella sua vestaglia mentre sorseggia del caffè e, soddisfatto e appagato da tutta la materia che lo circonda, si tuffa nella poltrona rossa accanto al caminetto. La sua routine è questa, e prima di quel giorno non avrebbe mai  immaginato di potersi ritrovare in uno di quei locali dove prostitute e malfattori di ogni genere si fingono persone per bene. O almeno, lui pensava così.
Il giovane carismatico dai lunghi capelli color sabbia è George Hatkins. Coetaneo di Charles, almeno all’anagrafe. Non ha una professione, nonostante le rigide regole sociali impongano che i venticinquenni perbene siano già uomini occupati, e perciò si definisce “studente e poeta”.  In realtà non ha mai scritto poesie. Volteggia tra i salotti delle signore borghesi dai grandi cappelli all’antica, rapace di fanciulle da sedurre. Casa sua è una villetta trasandata ricevuta in eredità da uno zio defunto, che il nostro poeta-cacciatore definisce “un tugurio agghindato da appartamento”. Non avendo disponibilità economica sufficiente a cambiare residenza, George passa più tempo possibile lontano da quell’inquietante edificio. Per questo, la sera è solito frequentare i café in stile francese che illuminano le strade di Manhattan da qualche anno. Vi si sente a suo agio poiché, a suo dire, circondato da spiriti liberi, da intellettuali e donne interessanti. E da simpatiche ballerine in abiti svolazzanti.
Ma dunque, come mai in quella calda sera di maggio i nostri due, all’apparenza così lontani l’uno dall’altro, chiacchieravano in un locale notturno come i migliori degli amici?  Per spiegare come vi arrivarono, bisogna viaggiare indietro nel tempo di quindici anni o giù di li.
Era il 1906. Un’estate torrida, la cui afa incessante rendeva invivibile la città. L’asfalto, generalmente calpestato da frenetiche masse in cammino o ricchi magnate in automobile, si era fatto il grigio e bollente deserto di New York. Charles Torrence, detto Charlie, e la sua famiglia medio borghese, padre stimato medico e madre devota alla cura della casa, avevano lasciato la zona urbana per rifugiarsi nella fresca campagna del New Jersey. Era una consuetudine estiva delle famiglie benestanti. Possedevano tutti delle deliziose villette colme di prati, alberi da frutto ed ogni sorta di profumato tipo di fiore. I bambini, come Charlie, scorazzavano nei frutteti in calzoncini e camicette, sempre macchiati d’erba o terreno. L’estate era una stagione meravigliosa per loro, ed ogni anno l’attendevano impazienti di tornare a giocare insieme tra le foglie. Ogni tanto i vicini si proponevano di portare la compagnia al fiume, per una breve e rinfrescante escursione. Quell’estate, oltre a Charlie ed i suoi soliti amici estivi, al fiume apparve il volto di George per la prima volta. Lo scorsero che armeggiava con un rametto lungo la sponda opposta, e accorgendosi della sua età simile alla loro, urlarono per invitarlo a giocare insieme. Questi fuggì, senza dire una parola. Tornato al fiume di nascosto il giorno dopo, Charlie cercò di indagare su quel misterioso ragazzino solitario. Cosa ci faceva lì? Dove si trovava la sua villetta e come mai era fuggito? Avrebbe voluto porgli tutte queste domande, se solo l’avesse trovato. Ma George rimaneva nascosto tra le foglie color smeraldo, incuriosito a sua volta dal ragazzo, ma troppo timido per farsi vedere. Charlie tornò ancora, e ancora, finché per un caso fortuito scorse i capelli biondissimi della sua preda, e finalmente lo sorprese mentre giocava con delle biglie. “Ti ho trovato!” , disse, e George trasalì dallo spavento. Quello fu l’inizio di un’amicizia profondissima. I due si vedevano al fiume ogni giorno di nascosto ed ogni tanto si addentravano nei boschetti proibiti con gli altri bambini. Giocavano e si arrampicavano, lottavano e ridevano insieme, ogni giorno, ogni anno, da luglio a settembre. Tutto procedeva per il meglio, fin quando nell’estate dei loro 15 anni, nel 1911, i due si ritrovarono nuovamente al fiume dopo un anno di assenza, ed iniziarono la lunga chiacchierata di consuetudine. Si raccontarono delle noie scolastiche, della neve che c’era stata a dicembre, delle prime nuove esperienze di cui potevano vantarsi. George aveva baciato una ragazza per la prima volta. Charlie aveva seppellito Barbarossa, il suo Terrier amico d’infanzia. Il biondo una volta era scappato dalla lezione del maestro di matematica e non era stato scoperto. L’altro aveva ricevuto un premio per aver scritto una serie di componimenti. Fatti poco importanti, dall’ottica di un adulto, che rappresentavano il fulcro della vita per dei giovani così spensierati. Il mese scorreva tranquillamente finché un giorno Charlie decise di invitare George a casa sua. “Siamo amici da tanto tempo ma non ti ho mai presentato a mia madre”, disse. L’altro rifiutò categoricamente. Spiegò di sentirsi in imbarazzo di fronte agli adulti, che non sapeva come comportarsi, che non avrebbe voluto mettere in mezzo i genitori nella loro amicizia. “Di cosa ti preoccupi? I miei genitori conoscono tutti i miei amici, non sono cattive persone!” cercò invano di convincerlo l’altro. E l’estate passò con la costante di questi piccoli battibecchi. Il 10 settembre, nel momento di salutarsi, Charlie consegnò una lettera all’amico estivo. “Qui dentro c’è l’indirizzo di casa mia a New York. Dovresti scrivermi ogni tanto, così d’estate avremo più tempo per giocare e non dovremo raccontarci tutto quanto.” E George così fece. Per tutto l’inverno ci fu un intenso carteggio da parte di entrambi, che si divertivano a trattare l’altro come il proprio diario. Quando si rincontrarono a luglio la loro amicizia era cresciuta ancora. Ormai non c’era posto per nessun altro nella loro complicità, si conoscevano meglio di chiunque altro. Eppure, i loro incontri si limitavano a brevi escursioni nei frutteti, gite idilliche che non bastavano più a Charlie. Nessuno dei due aveva mai conosciuto la famiglia dell’altro, né George ne aveva mai voluto parlare. 
   
 
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