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Autore: Caramell_    25/02/2017    1 recensioni
[...] Baciare Camus è tipo un’esperienza mistica. Milo gli circonda la vita con le braccia e, in silenzio, si meraviglia di quanto sia sottile. Gli stringe una guancia con la mano libera e prova a tirarselo più vicino. Va specificato però; non è come se avessero una relazione, non è che stanno insieme o cose così, è solo che si baciano, ogni tanto e dormono insieme. Niente sesso, solo, ecco, dormire.
[Parent!MiloxCamus/Child!Hyoga/Child!Shun]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Sei mesi dopo
 
 
 
 
La scuola, quindi, rimane la stessa. La sua routine anche. La maggior parte delle volte si presenta in ritardo, Aiolos lo guarda storto e lui ridacchia. Si accorge di avere ancora la bocca sporca di dentifricio, i capelli legati alla bell’e meglio.
Le aula sono sempre uguali, i muri, e il materiale da disegno e le sedie rotte, i banchi con le ginocchia sbucciate. È tutto uguale, gli schiamazzi di Seiya e la faccia imbronciata di Hyoga, le visite inopportune di Saga, le incursioni di quell’imbecille della classe affianco.
La differenza è che tutto è un poco più vuoto, da allora.
- Sto contattando i parenti – gli ha detto Marin, dopo – I più vicini o, almeno, quelli che possono prendersene cura. Detesto l’idea che li spediscano chissà dove, con qualche sconosciuto.
È andata da lui, una sera. Fuori nevicava di brutto e Milo si era sentito in dovere, anche per la gioia della sua pelle, di sprofondare poco elegantemente nel pigiama di pile che Aldebaran, centrato in pieno da una delle sue idee imbecilli ed inopportune – condite, oltretutto, con una buona dose di spirito vendicativo – gli aveva regalato il Natale precedente. Un obbrobrio, a suo dire. Scorpioni rossi inclusi.
- Mi dispiace terribilmente – gli ha detto, piangendo. E Milo ha capito. È venuto fuori, parecchi singhiozzi dopo, che si, chiudevano l’orfanotrofio, ma almeno la scuola gliela lasciavano. Marin aveva finto di vomitare – A quanto pare non sono interessati, gli stronzi – e niente, questo. L’unico suo dispiacere sono rimasti i bambini. Nessuno di loro frequenta più le lezioni e molti dei banchi in prima fila rimangono desolatamente vuoti. Milo non c’ha fatto caso o, almeno, non troppo e non fino a quel momento. Provare a far finta di niente non è così difficile come si dice. Oggi probabilmente è solo una giornata no. Non gliene capitavano da parecchio, lo ammette.
Aiolos passa da lui, come sempre. Niente caffè, questa volta solo un mezzo sorriso triste – Come stai? – domanda e Milo, davvero non sa proprio che rispondergli. Opta per un diplomatico – Ok – ma, dopotutto, nemmeno lui ci crede.  Aiolos, da parte sua, sospira, afflitto e – Chi? – domanda.
- Shiryu – sbuffa Milo – A quanto pare ha un nonno, in Cina. Sono venuti a prenderlo un paio di giorni fa – storce la bocca, contrariato – Marin mi ha avvisato stamattina
Non c’è niente da dire, e Aiolos rimane in silenzio. Milo non l’ha mai retto il silenzio, non per troppo tempo. Si potrebbe dire – e molti l’hanno accusato spesso – che ami il suono della sua voce – non che sia del tutto sbagliato, s’intende.
- Sono una persona orribile – bisbiglia, la testa abbandonata tra i gomiti. Sa che dovrebbe essere felice, per Shiryu, per Seiya e Jabu e tutti gli altri. Hanno trovato una famiglia, dopotutto. Qualcuno che si prenderà cura di loro e che, soprattutto, saprà farlo meglio di come lui e Marin hanno fatto fino a quel momento. È che Milo si sente come se l’avessero lasciato indietro. Sbuffa di nuovo. Hanno portato via anche tutti i loro disegni e le pareti, adesso, sembrano così tristi. Quel giallo paglierino è orribile, santo cielo!
Aiolos vede quel suo broncio orribile e sorride – No che non lo sei – dice – Sono i nostri ragazzi – gli sussurra in un orecchio ed è così vicino che è come fossero abbracciati – Saranno sempre i nostri ragazzi – e non c’è niente di più vero.
- Forza, allora – borbotta alla fine – che ne dici d’un caffè? – e Milo inarca un sopracciglio, scettico – Offro io – e ok, va bene, il caffè aggiusta tutto. Soprattutto quando è corretto.
 
 
Tornare a casa è uguale e diverso allo stesso tempo. Shun lo aspetta in salotto, tutti i giorni. Si rannicchia sul divano e, tutto appallottolato nel suo plaid, chiude gli occhi e sonnecchia. Poi, beh, poi Milo non gira la chiave nella toppa e si lascia crollare sul tavolo da pranzo.
Allora, i piedi nudi e i capelli aggrovigliati gli si avvicina e, tutto concentrato, gli stampa un umido bacio sulla guancia. Quella sera rimangono accoccolati tutti e due sul divano. Milo tiene su i suoi vestiti stropicciati e Shun gli si aggrappa alla maglietta talmente forte che il tessuto gli si ritira tra le dita.
Milo non ha mai pensato che sarebbe finita così. Forse, si dice, dovrebbe smetterla di comportarsi da padre. Gli porteranno via anche Shun e, anche se gli duole ammetterlo, quel frugoletto gli mancherà più di tutti. Anche se, a voler essere brutalmente sinceri, Milo non è niente, per Shun. Ed è tutta colpa sua. Quando Marin gli ha chiesto di adottarlo, non se l’è sentita e ha rifiutato – Perdonami, Marin – le ha detto, in imbarazzo – ma non sono adatto a fare il padre – poi – Ha già qualcuno – ha continuato, per convincerla – si prenderà cura di lui come io non riuscirei a fare – e quando è tornato a casa, quella sera stessa, ha sollevato il telefono e ha contattato Ikki.
 
 
La casa di Camus è, oramai, una loro tappa fissa. I bambini vanno parecchio d’accordo e s’era capito e così almeno riescono a vedersi quasi tutti i giorni – ritirare Shun dalla scuola non è stato affatto facile, né indolore complici, soprattutto, i suoi capricci infantili e le occhiatacce oblique di Hyoga. Quella specie di moccioso troppo cresciuto ha fatto passare a lui e ad Aiolos un quarto d’ora terribile il giorno in cui, infilando la testolina bionda tra la porta schiusa e lo stipite, s’è reso che conto che no, Shun non c’era e che la colpa era, sostanzialmente, tutta di Milo. S’era calmato solo quando, un’ora dopo e alla presenza di Camus, Milo gli ha promesso che avrebbe portato Shun a casa loro ogni pomeriggio, o quasi. Hyoga l’aveva guardato per un minuto buono, in silenzio, e poi aveva deciso di graziarli tutti, annuendo. A ripensarci ora, comunque, Camus aveva messo su di nuovo quella sua strana faccia, come se avesse voluto pestarlo lì sul posto.
Sogghigna. Di sicuro non deve avergli fatto cosa gradita. Camus è, dopotutto, uno di quei tipi estremamente schivi e solitari. Non va matto per la confusione, né per, beh, le persone in generale. Soprattutto per le persone come Milo, così caotiche, così disordinate. Milo, invece, va parecchio matto per Camus, anche per le sue occhiate omicide. Glielo dice spesso - Dovresti sorridere di più – ma Camus si stringe le labbra fra i denti e rimette su quella sua espressione seriosa. Che terribile spreco.
La sua casa è il doppio di quella di Milo, talmente ordinata da far male agli occhi. Hyoga e Shun si rintanano in salotto, ai piedi del divano, giocano tra di loro e ridacchiano a bassa voce. Non è la prima volta che Milo pensa che siano troppo vicini.
Camus ha una lunga treccia rossa che gli incornicia il collo. E, appena lo vede, Milo scoppia a ridere e poi, dopo averlo visto digrignare i denti, prova con tutte le sue forze a trattenersi. Non ci riesce, non troppo bene almeno e Camus solleva un sopracciglio - È stato Hyoga – ringhia e Milo ride più forte.
A casa di Camus Milo smette di essere triste, anche quando gli racconta tutto. Si siede di fianco a lui, con le gambe aperte, gli occhi fissi sui bambini.
- Sarà qui tra un mese – dice. Camus non alza nemmeno lo sguardo.
- Il fratello di Shun?
Milo annuisce, assorto - Lo porterà con sé, naturalmente
E Camus poggia finalmente la penna sul tavolo, inclina un poco la testa, impercettibilmente si allunga verso di lui – È questo che ti preoccupa? – domanda.
- Hmn? Oh no, certo che no – sussurra lui in risposta – Ikki è – una pausa – buono, davvero. E adora Shun
- Allora cosa?
Milo socchiude gli occhi, sospira – Mi preoccupa Hyoga – bisbiglia – e il fatto che mi mancherà terribilmente
E Camus non l’ha mai incontrato, un tipo come Milo, nemmeno nei libri. Giura. Lancia un ultimo sguardo ai piccoli, li osserva disegnare in silenzio e poi allunga un braccio. Afferra la mano di Milo e intreccia le loro dita assieme. Stringe forte.
 
 
Punto uno: si baciano, e parecchio.
Baciare Camus è tipo un’esperienza mistica. Milo gli circonda la vita con le braccia e, in silenzio, si meraviglia di quanto sia sottile. Gli stringe una guancia con la mano libera e prova a tirarselo più vicino. Va specificato però; non è come se avessero una relazione, non è che stanno insieme o cose così, è solo che si baciano, ogni tanto e dormono insieme. Niente sesso, solo, ecco, dormire.
Punto due: In verità è Milo ad aver cominciato, il giorno in cui ha saputo dell’orfanotrofio. Si è presentato da Camus senza preavviso e ha bussato alla porta talmente forte che dopo le mani gli hanno fatto male per ore. Camus aveva su i suoi occhiali da vista e una tuta comoda, larga sui fianchi. Milo ha solo pensato che fosse meraviglioso, anzi, a dirla tutta, non ha pensato affatto. Si è gettato su di lui come un disperato – Hyoga? – gli ha respirato sulla bocca – Da un’amica – e giù, a mordergli le labbra.
L’ha baciato per un’ora intera. Camus ha provato a respingerlo, all’inizio, ma poi, alla fine, forse s’è arreso, riluttante.
Milo ha ritrovato il coraggio – e la lucidità, soprattutto – di scusarsi solo parecchio dopo.
- Sono mortificato – ha detto, rosso fino all’attaccatura dei capelli, terribilmente in imbarazzo – Non so cosa mi sia preso – anche se in realtà lo sapeva eccome, maledetto il suo cuore – Ero giù e ho alzato un po’ il gomito e avevo bisogno di qualcuno che- e mi dispiace, Camus – non era nemmeno riuscito a guardarlo in faccia.
Camus aveva distolto lo sguardo dalla sua chioma bionda e – Va bene – aveva esalato, gelido.
Milo aveva sollevato la testa ad una velocità impressionante - Che?
- Puoi farlo – un grosso respiro – quando sei giù e ne hai bisogno, puoi fare – e un sospiro – quello che hai fatto
E quindi, punto tre: Milo non può lamentarsi di niente, dopotutto. A sua discolpa si può dire che fosse ubriaco. Non tanto da perdere la memoria il giorno dopo, ma abbastanza per abbandonare parecchi freni inibitori. Non riesce a capire Camus, a dirla tutta. Ma, uhm, non sembrava per niente disgustato anche solo all’idea di baciarlo e ora pare rispondere alle sue carezze con un certo trasporto, perciò. Milo gli morde il labbro superiore e traccia con la lingua quel suo delizioso arco di cupido. Lo sente gemere ad alta voce e lo bacia di nuovo, morbido – Sveglierai i bambini – gracchia completamente perso e le guance di Camus si fanno di un rosso delizioso. Milo sorride.
Punto cinque: Davvero, la casa di Camus è tutta felicità.
 
 
Camus ha appena due settimane per concludere il suo ultimo lavoro. È frustrante perché ha questo blocco e, obbiettivamente, gli manca pochissimo per finire. È solo che quella è una scena centrale e in quei giorni la sua testa non funziona proprio come dovrebbe funzionare. Un miscuglio di cose, probabilmente. E Milo. Milo c’entra sempre.
Quel suo protagonista un po’ gli assomiglia; stessi capelli biondi, stessa sfacciataggine. Camus ancora non è riuscito a capire come possa sentirsi attratto da un soggetto simile. Non è per niente il suo tipo, a dirla tutta. Eppure sente come un fremito, quando lo tocca, una spropositata quantità di calore che gli serra la gola e gli addormenta le braccia. Non c’è niente di razionale in quello che fa, quando Milo è vicino a lui, né tantomeno in quello che dice. Si è scoperto, addirittura, ad arrossire senza controllo. E quando si baciano. Ecco, lì.
Quante volte gliel’hanno detto? E cazzo, lasciati andare un po’. Persino Shura, parecchio meno volgare e tutto rigido nella sua professionalità, ha provato a farglielo capire, anche se non troppo velatamente ad essere sinceri. Sono anni che gli deve una storia d’amore.
Camus non ci ha mai neanche provato, ad abbandonare la sua proverbiale serietà. Non seriamente. Ora, invece, con Milo ci riesce. E non gli piace. Si trasforma, in sua compagnia, in una specie di budino tremolante. E, cielo, solo l’immagine l’inorridisce.
E quella scena, con quella scena è uguale. È come avere un blocco, alle mani e un po’ dappertutto. In due giorni è riuscito a buttar giù solo una mezza frase decente e ha dei dubbi anche su quella. Forse è perché non sa cosa dire. Come spiegare quella specie di pena? Ha paura di non esserne più capace.
Camus non è più un ragazzino. Sa, e da molto tempo – complice il suo lungo soggiorno francese – qual è la sua soglia di sopportazione, quanto dolore ci vuole prima che cominci a spaccarsi.
Sono stati anni felici, quelli trascorsi a Parigi. Non aveva da occuparsi che di se stesso. Poi però Natassia ha avuto quell’incidente e gli è capitato Hyoga tra capo e collo. È stato allora che ha smesso di scrivere o, per meglio dire, non c’è riuscito più, se non con difficoltà. È un peccato che la scoperta della felicità l’abbia privato di una delle cose più importanti per lui.
Hyoga, non c’ha messo molto a scoprirlo, ha il suo stesso carattere. Probabilmente Natassia glielo ha affidato anche per questo.  Era sua amica. Anche volendo, non avrebbe potuto dirle di no, non senza sentirsi in colpa a vita e non dopo che lei era morta. È stata una di quelle sorprese che nessuno si augura di ricevere.
Fu l’avvocato a spiegarglielo. Tutore legale, disse, ma può rifiutare, s’intende. Non aveva avuto il cuore di farlo. Prima grande debolezza.
La pagina bianca però continua a fissarlo, ma Camus ha il cervello da tutta un’altra parte e spremersi a quel modo di sicuro non migliora la situazione. Gli fa venire l’emicrania, quello si. Si afferra la testa tra le mani, allora, prova ad ignorare la luce del PC che gli martella la fronte.
Poi si sente tirare un fianco. Colpetti leggeri, di bambino. Hyoga lo fissa con due occhi enormi. Ha la faccia imbronciata, sempre triste e Camus vorrebbe insegnargli a sorridere.
Dopo un po’ se lo tira sulle ginocchia, anche perché non è in grado di fare altro, gli circonda la schiena col torace e prova, per tutta la sera, fino a notte inoltrata ad insegnargli qualcosa sulla scrittura. Gli bacia piano la fronte e lascia che riempia di parole senza senso tre intere pagine bianche.
 
 
Aldebaran ha una cotta per Shun. Milo si chiede spesso chi esattamente non ce l’abbia. Con Toro, però, la cosa raggiunge livelli quasi imbarazzanti.
Lascia stare Shun dietro al bancone, vicino alla cassa e a lui fa battere gli scontrini. La cosa sconvolgente è che non sembra importargli della coda che, così facendo, va ad ingrossarsi. Ma, ancora peggio, è il fatto che nemmeno a quelle stesse persone in coda dispiaccia aspettare tanto. Perché Shun, per logica, riesce a battere, con le sue piccole manine, una cosa come due scontrini ogni mezz’ora ma, a quanto pare, riesce a farlo con un espressione così adorabile che i clienti, invece di battere i piedi e far crollare il cielo a forza di ingiurie e parolacce, sorridono, ridacchiano e, alle volte, provano persino ad aiutarlo. E Toro? Toro gongola come un genitore fiero del proprio pargolo, completamente dimentico del bancone vuoto e istruisce Shun come se, da grande, dovesse ereditare il bar.
- Ecco – dice e Shun solleva il nasino verso l’alto, attento ad ogni parola – devi premere qui, e qui – insegna, diligente e poi aspetta che il piccolo ripeta tutto e, quando sbaglia, ride più forte, fa quasi tremare le pareti. E i clienti ridono con lui. È quasi inquietante. Ma no, togliamo il quasi.
Milo solleva un sopracciglio, sbigottito. Quando poi finalmente, una cosa come un’ora dopo, Aldebaran decide che forse è meglio finirla lì, affida Shun a Shaka che, contento come una pasqua, si tira il piccolo nelle cucine e lascia che gli intrecci i lunghi capelli biondi con i vecchi lacci dei grembiuli che tiene sotto il mobile dei dolci, poi, ancora col sorriso stampato in faccia, si piazza di fronte a Milo e – Allora – bofonchia – cos’è che vuoi esattamente?
Milo ha un vena sporgente proprio lì, sulla fronte e comincia a pulsare – Che diavolo, amico – protesta – Potresti anche evitare di sembrare così scocciato
- Ascoltare le tue lagne è degradante per il mio cervello – tuona, due metri e due di muscoli sudati – Non so come faccia quell’angelo a sopportarti – Shun, ovviamente. Non che Milo lo biasimi, naturalmente, persino lui ne è innamorato. Questo, però, non significa assolutamente che gli altri debbano saperlo.
Sta, perciò, per rispondergli a tono quando sente, di striscio, una vocina familiare trapanargli il cervello. E niente. Si gira e un secondo dopo si trova a nemmeno una spanna dalla faccia seria di Camus. Niente occhiali, oggi e Milo adora i suoi occhi scuri, e anche tutto il resto, certo.
- Ciao – bisbiglia già mezzo intontito.
Camus inarca un poco le sopracciglia, annuisce – Milo – e sulla faccia di Milo si disegna il sorriso più ebete del mondo. Aldebaran quasi si soffoca dal ridere. Hyoga gli fa ciao ciao con la manina e Aldebaran non sapeva nemmeno di avere un tale debole per i bambini. Lo sta scoprendo adesso.
- Allora – domanda quasi uggiolando – che ne dici di dare un’occhiata alle cucine? Sono sicuro che, là in mezzo, ci sia una sorpresa per te – e Hyoga non se lo fa ripete due volte, molla la mano di Camus dopo un educato – Posso? – Ovvio che può, e scorrazza felice verso il retro del locale. Lo sentono strillare felice quando vede Shun e Shaka gli accarezza la fronte col naso.
Camus solleva piano un angolo della bocca – Lo vizi troppo – gli dice. Ma Aldebaran scrolla le spalle – Sono bambini – ribatte – Viziarli è uno dei nostri compiti – poi si sposta di lato e volta loro la schiena – Per te il solito?
Camus annuisce, sempre impassibile, e Aldebaran si allaccia bene il grembiule.
In tutto questo, Milo rimane immobile, ancora mezzo allucinato. Sembra riprendersi solo quando Camus afferra uno degli sgabelli, si siede accanto a lui.
- Da quando voi due vi conoscete? – chiede, incredulo e, diavolo, se ne pente immediatamente. Camus si gira verso di lui e solleva quel suo sopracciglio minaccioso. È incredibile quante parole possa sottintendere quando fa quella cosa con la faccia. Tutte maledizioni, Milo ne è sicuro.
È Aldebaran a salvarlo, una tazza fumante nel palmo – Camus è uno dei miei clienti abituali da almeno tre mesi – oh, ma guarda, da quando Milo ha fatto la cazzata. Non sa se esserne spaventato o cosa.
Camus afferra attento il suo cappuccino – Pensavo fossi a scuola – dice e soffia.
- Oh, no – spiega – Rimarrà chiusa per un po’. È affiliata all’orfanotrofio. Dobbiamo solo aspettare che venga ufficialmente venduto
Camus annuisce, assorto. Ha i capelli sciolti e un maglione talmente lungo che supera le maniche del cappotto e gli copre le nocche. Milo ha scoperto di avere una vera e propria venerazione per le mani di Camus. Sono così sottili. Fosse per lui, passerebbe le ore a baciarle.
- E tu – comincia poi per distrarsi – non hai un lavoro? – ed ecco, Aldebaran, da lontano, scoppia a ridere e Milo si sente, per l’ennesima volta, un emerito imbecille. Che poi, che avrà mai ha detto di così divertente?
Camus ridacchia, il naso infilato nella tazza e Milo si rende conto in quel momento di non averlo mai sentito ridere, non per davvero. È più bello del solito quando è rilassato.
- Ce l’ho un lavoro, Milo – lo prende in giro a bocca schiusa – È solo che non è a tempo pieno – poi si beve il suo caffè e, cielo, quando rialza la testa, un paio di deliziosi baffetti di schiuma gli incorniciano la bocca. E Milo ci prova, davvero, conta fino a tre, poi fino a cinque, ma non ce la fa e il suo corpo si muove da solo.
- Hai- comincia, allunga una mano verso il viso di Camus e, sotto i suoi occhi spalancati, rimuove col pollice ogni traccia di panna dal suo labbro superiore e poi, beh, fa la cosa più logica. In assenza di tovaglioli a portata di mano, si porta il dito alla bocca e succhia.
Camus non ha nemmeno il tempo di respirare. È un battito di cuore e la sua faccia si tinge di rosso acceso e non vorrebbe esagerare, ma crede che le sue orecchie abbiano appena fischiato. In un attimo di lucidità si chiede se Milo si renda conto delle cose che fa, delle cose che dice, dei mezzi infarti che gli procura ogni volta. Persino Aldebaran ci è rimasto.
E Camus è talmente imbarazzato che prende a balbettare.
- Io ecco g-grazie – e tossisce, gli occhi spalancati grandi come tazzine da caffè – È meglio, si – poggia la tazza sul marmo, si alza in piedi di scatto – È meglio che vada adesso
Detto fatto. Un secondo e ha Hyoga appiccicato al braccio destro e un piede fuori dal negozio. Dimentica persino di pagare il conto.
Milo ci rimane talmente male che spalanca la bocca. Si gira verso Aldebaran e, con quella sua solita faccia da schiaffi, chiede – Che ho fatto?
E Aldebaran quasi si mette a piangere dalla frustrazione. La situazione è talmente ai limiti del ridicolo che non riesce a fare altro. Colpisce forte Milo in testa e spera che il colpo, almeno, gli abbia attivato qualche neurone.
- Senti un po’ tu – comincia dopo essersi assicurato di non averlo ucciso – Qual è, esattamente, il vostro rapporto?
Milo ha la testa che pare un tamburo. Probabilmente il suo cervello, in quel momento, si sta facendo un giro di giostra. Gli rimbombano persino i pensieri.
- Porca merda – impreca sotto voce – Potevi evitare di colpire così forte! Credo di essere morto e risorto nel giro di due secondi
Aldebaran, però, non sembra per niente dispiaciuto – È perché sei un pappamolle, l’ho sempre detto – solleva la fronte, lo sguardo serio e concentrato – Rispondi alla domanda
Milo, però, non sa esattamente cosa dirgli. Lui e Camus sono cosa? conoscenti? amici? amici con benefici? Non è che abbia proprio le idee chiarissime, lui in primis.
- L’ho baciato – sputa fuori alla fine.
Toro quasi si strozza con la saliva – L’hai cosa?
- Baciato – ripete – E parecchie volte anche
- E lui?
- Beh, non mi ha ucciso – e boh, Aldebaran non sa che dire, a questo punto. Non che sia troppo sorpreso, in realtà, la stupida faccia innamorata che Milo tiene su da quasi un anno a questa parte è inequivocabile. Non che quella di Camus sia poi così difficile da decifrare.
A dirla tutta, però, non credeva che Milo sarebbe riuscito a fare il primo passo, non prima del duemila mai.
- Quindi, che, state insieme?
Milo sbuffa e sospira – Mi piacerebbe – pigola – ma no, certo che no
- Ma hai appena detto-
- Ci baciamo e basta, in realtà
Le sopracciglia di Toro, adesso, gli arrivano dietro la fronte.
- Anzi – riprende Milo dopo un po’ – a voler proprio dir la verità sono io che lo bacio e basta. Credo non abbia ancora trovato un modo abbastanza gentile per scaricarmi
Aldebaran non riesce a credere alle proprie orecchie. Guarda Milo accasciare la testa sul bancone, i capelli biondi sparsi ovunque e l’aria afflitta di un condannato al patibolo. Se solo non facesse la figura dell’insensibile gli scoppierebbe a ridere in faccia. Allora, da buon diplomatico quale è sempre stato, fa la cosa che gli riesce meglio. Gli tira una sberla e pure bella pesante. È probabile che, andando avanti così, qualche cliente del locale lo denunci per maltrattamenti. Ma se tutto quello serve per far entrare un po’ di sale in quella zucca vuota, beh, che ben venga.
Milo ci rimane di sasso, ovvio che si. Se le merita tutte.
- Che hai nel cervello? – gli sibila Aldebaran ad un palmo dal naso – Tu credi davvero, dall’alto della tua cretinaggine, che un tipo come Camus, Camus per gli dei, riservato e serio com’è si faccia baciare così, per pietà, dal primo che passa?
- Ma-
- Ma, cosa? – lo interrompe Toro, mezzo irritato – È l’unico che riesce a parlarti per più di dieci minuti di fila senza avere il desiderio di spaccarti qualcosa in testa. Devi piacergli parecchio se ancora non ti ha preso a sberle!
- Che dici? – scoppia Milo tutto d’un botto – Non posso mica piacergli, io. Lui è, è, l’hai visto, no? E io sono solo-
Poi, ecco, il momento dell’epifania. Forse quel suo neurone si riattiva per davvero, perché Aldebaran vede la realizzazione spaccargli la faccia a metà e le guance di Milo tingersi di un delicato color ciliegia. Era anche ora. Toro sorride così tanto e tanto ampiamente che gli fanno male anche le orecchie, dopo.
D’altra parte, del tutto ignaro dei suoi deliri di onnipotenza, Milo deglutisce, a disagio.
- Toro – lo chiama – Puoi controllare Shun per un po’?
- Ma certo, ragazzo
Milo annuisce – Digli che passo a prenderlo tra poco. Io, ah, ho un – una pausa – una cosa da sistemare
Aldebaran incrocia le braccia, già orgoglioso di lui – Ci vediamo dopo – dice e Milo probabilmente non l’ascolta nemmeno. Si fionda, gambe in spalla, verso la porta, non saluta nessuno e Aldebaran se la ride.
Cinque minuti dopo sente suonare il suo telefono. Un messaggio. Grazie, Toro. E niente. Aldebaran l’adora, quell’imbecille. Spera davvero possano essere felici.
 
 
 
 
Nemmeno un quarto d’ora dopo
 
 
 
 
Dicevamo, il loro primo bacio è stato orribile, c’è poco da dire. Milo era poco meno che ubriaco e Camus non c’ha capito niente dall’inizio alla fine. Questo però, questo sarà diverso, tutta un’altra cosa. Milo conosce quella strada, quel giardino come le sue tasche. Quando è caduta la prima neve Hyoga e Shun ci hanno giocato fino ad addormentarsi in piedi. Hanno messo su piramidi di pupazzi usando tutte le sciarpe di Camus. E lui ha riso per ore, dopo, con Camus che tentava, senza successo oltretutto, di reprimere i propri istinti omicidi e sculacciarli tutti. Milo ha paura che ricordi così siano per sempre.
Non sa nemmeno se è in casa, se è con qualcuno e, dal nervoso, cominciano anche a prudergli le mani.
Bussa, ok, si. Bussa. E appena lo vede e riconosce quella sua splendida faccia perplessa è come la prima volta, non gli dà nemmeno il tempo di respirare. Lo afferra per il collo – Milo, ma che- ma niente. Milo fa scontrare le loro labbra e se lo stringe al petto, forte, e sente il cuore di Camus martellargli la cassa toracica, correre come il suo e quasi esplodere e rituffarsi nel suo respiro e le guance di Camus sono così calde, il suo profumo gli dà alla testa. E Milo continua a baciarlo per non sa quanto tempo, un secondo, forse un’ora.
Fino a che, beh. Fino a che Camus non lo prende a sberle. Ma sul serio. E Milo ci rimane come c’è rimasto mezz’ora prima, con Aldebaran. Attassato. Pure mezzo ferito. Attassato e ferito insieme.
Camus ha il respiro affannoso, il petto che si alza e si abbassa ad una velocità impressionante, i capelli tutti scomposti – a pensarci bene, comunque, anche lui non deve essere poi tutto sto spettacolo in quel momento. Milo però lo trova bello come non mai. Il suo cervello probabilmente funziona a senso unico, ma lo trova bello sempre, anche ora che sembra che, arrabbiato? Oddio, perché sembra arrabbiato?
- Sei di nuovo ubriaco, non è vero?
- Cosa? – balbetta, e poi – Oh, no. Certo che no. Io-
Gli occhi di Camus paiono fatti di saette – Che diavolo ti prende stamattina? – sibila.
Milo non riesce nemmeno a respirare – Volevo, volevo solo-
- Non adesso, Milo – sussurra – Hyoga è di sopra. E io ho da lavorare – si passa una mano sulla bocca, si pulisce le labbra. Non va bene, non va assolutamente bene. Camus non se l’aspettava, niente di tutto quello. Ha il fiato intrappolato, la fronte calda e continuare a quel modo gli sta spezzando il cuore.
Si sposta verso la porta che nella foga, prima, s’è richiusa con un tonfo. Ha bisogno di stare solo, di raccogliere le idee. Preferirebbe non vedere nessuno per giorni. E questo solo per cominciare.
Milo però, a quanto pare, non è della stessa opinione. Inarca le sopracciglia e, veloce, gli afferra un polso, il braccio destro – Tu mi piaci – gli vomita addosso e Camus è sicuro, a quel punto, d’essersi fatto luminescente e che il suo cuore si sia fermato tutto d’un botto.
- Anzi no – continua Milo, senza pietà – Non è che mi piaci e basta. Io ti amo. Ti amo da – e si ferma un attimo, ci pensa su – da quant’è che ci conosciamo?
- Ah – tossisce Camus tremante – Un anno – e Milo annuisce, fiero e serissimo.
- Ecco – dice – Ti amo da un anno, da quando ti ho visto. E ogni volta che t’ho baciato non ho fatto che amarti di più, ma credevo che tu- e adesso sono così vicini che Camus può contargli le pagliuzze d’argento che si ritrova negli occhi. Questa volta è lui a non lasciarlo finire. Si sporge in avanti, le punte delle orecchie in fiamme e gli bacia tutte quelle inutili, stupidissime parole e le labbra di Milo sono morbide, come sempre, e sanno un po’ di miele. Lo zittisce così, schiudendo la bocca.
- Dopo che mi hai baciato – comincia, la voce talmente bassa che, se non fossero quasi appiccicati, petto contro petto, Milo non riuscirebbe a sentirla – quella prima volta, si, non ho fatto che pensarci, per giorni. Ero così felice – confessa, e gli regala un sorriso minuscolo – ma poi tu hai detto che era stato un caso, che ti serviva qualcuno e io-mi sono sentito così sbagliato  
E a quel punto Milo gli circonda il viso con i palmi e lo bacia ancora, leggero – Mi dispiace – gli geme in bocca – Mi dispiace – e gli accarezza il labbro inferiore con la lingua, lascia che le loro bocche scivolino piano le une sulle altre. Non fa che scusarsi, incessantemente, finché non sente il corpo di Camus abbandonarsi alle sue braccia e le sue mani incidergli piano le scapole. È stata colpa sua, tutta colpa sua. Non avrebbe mai voluto ferirlo, non credeva nemmeno di esserne capace.
Gli bacia tutta la faccia, anche la base delle orecchie e poi Camus gli ride addosso, tra un respiro e l’altro, e Milo sente milioni di cristalli sfrigolare.
- Quindi, io ti piaccio? – domanda – Almeno un po’?
Camus annuisce. Ha le lentiggini in rilievo, tutte disseminate sulle guance.
- Davvero?
- Ovvio che si – bofonchia, gli occhi liquidi – Idiota
E Milo ridacchia – Non sei il primo che me lo dice oggi – sospira, gli stringe le braccia intorno al collo, e Camus sprofonda il naso nel suo petto. Ha un paio ciocche di capelli appiccicate alla fronte umida e trema come un cucciolo.
- Milo? – pigola dopo un po’
- Hmn?
- Non è che mi piaci e basta – dice e solleva la testa – Ok?
Milo scopre un poco i denti, incredibilmente, dopo tutto, arrossisce – Ok – e gli bacia piano la linea della mascella, gli occhi schiusi, quel suo naso aristocratico.
Rettifica: Camus è tutta felicità.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

  
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