L’uomo senza cuore
Ignoriamo troppo spesso
le lacrime altrui,
ma pretendiamo che gli altri ci asciughino il volto
quando si bagna.
Ma se solo capissimo
davvero che
la tristezza finisce col morire scontrandosi con altra
tristezza
e che la gioia rinvigorisce abbracciando altra gioia
il mondo sarebbe diverso.
G |
iaceva sull’asfalto ormai da
giorni, settimane o forse anche mesi.
Nessuno però sembrava averlo
notato, come se una cosa del genere potesse passare inosservata… Solo Caroline
risentiva della sua presenza, solo lei era costantemente distratta da quei
battiti che sembravano inseguirla. Ovunque andasse, per quanto lontano si
spingesse, quel rumore così debole ma incessante riusciva sempre a distrarre i
suoi pensieri.
Che lo sentisse solo lei? Che lo
vedesse solo lei? Ma com’era possibile?
Eppure vedeva uomini e donne
passargli accanto senza nemmeno gettargli uno sguardo, magari troppo presi
dalle loro inutili conversazioni e da frivoli pensieri.
E intanto lui se ne stava ancora là,
in mezzo alla folla, aspettando che qualcuno lo riportasse al proprio padrone. Ci
volle un po’ prima che Caroline decidesse di essere quel qualcuno, ma
finalmente raccolse quel cuore abbandonato per riportarlo a chiunque lo avesse
smarrito.
La città era come al solito molto
caotica, piena di persone che si muovevano freneticamente. A lei però importava
trovare qualcuno che non potesse soffrire, che vivesse senza far rumore. Non
era affatto semplice trovare un uomo del genere in quella folle città, ma la bambina
era determinata nonostante si sentisse come una formica che inutilmente cercava
di farsi notare da dei giganti. Chiamava timidamente la loro attenzione, ma la
sua voce non riusciva a giungere alle loro orecchie che subito riprecipitava al
suolo. Era ignorata da chiunque e come se non esistesse veniva ripetutamente
colpita da quelle gambe che marciavano senza sosta. Ci provò con tutte le sue
forze, ma non riusciva in alcun modo a far notare la propria esistenza. S’intrufolò
dentro un piccolo vicolo senza sbocco per evadere da quel caos, si sedette
sulla strada e poggiò la schiena contro il cemento. Chiunque avrebbe trovato
quella posizione piuttosto scomoda, ma lei no. Lei c’era abituata, da sempre.
Uscì dalle vesti il cuore che aveva
raccolto e lo osservò. Era di un rosso acceso, caldo al tatto. Ogni tanto si
contraeva, sembrava quasi vivo.
“Ti riporterò dal tuo padrone, te
lo prometto” gli sussurrò la piccola, come se potesse capirla. Si sentì poi un
lamento, che mise sull’attenti Caroline.
“Chi è?” domandò osservandosi
intorno. Qualcuno emise un grande sbadiglio. Sembrava provenire dal cassonetto
dell’immondizia, così la bambina vi si avvicinò e, arrampicandosi, ne scrutò l’interno.
“Sì?” fece l’uomo comodamente
sdraiato fra i rifiuti.
“C-cosa ci fa qua?”
“Beh, mi sembra ovvio. Ci vivo”
spiegò sbadigliando nuovamente.
“Ma perché?”
“Perché no? Qua ho cibo e acqua e
posso riposare tutto il tempo. A proposito, vai via per favore: ho proprio
voglia di una bella dormita”
“Vuole dire che mangia queste
schifezze? E cosa beve?”
Il senzatetto allora indicò
svogliatamente verso l’alto. Un vaso sporgeva leggermente dalla finestra.
Gocciolava.
“E non vorrebbe vivere meglio di
così?”
“Non mi importa, sto benissimo”
rispose lui. Che fosse proprio quel signore l’uomo che aveva smarrito il
proprio cuore?
“Senta, per caso questo è suo?”
“Un cuore? No, il mio lo sento
battere forte in petto. E adesso lasciami” le ordinò voltandosi su di un fianco
e dando le spalle alla bambina.
Caroline era sul punto di
ribattere, ma un nuovo rumore la distrasse. E ora cosa stava accadendo? Saltò
giù dal cassonetto e uscì fuori dal piccolo vicolo. Cercò di inserirsi tra la
folla che per la prima volta aveva arrestato la sua imperterrita corsa e si era
adunata a cerchio. Con le sue piccole fattezze riuscì a passare in mezzo a
tutte quelle persone e ad osservare l’origine di tanto fervore. Sembrava
proprio che vi fosse in corso una lite, fra un pazzo iracondo e un povero
mendicante. Il pover’uomo era stato scagliato a terra e per quanto ne avesse
capito Caroline, i motivi erano banalissimi. Ma quel forzuto signore pieno di
rabbia continuava a riversare la sua collera su chiunque gli desse il minimo
fastidio e così la massa si dileguò subito. Era stato sufficiente intrufolarsi
negli affari degli altri per poi non fare assolutamente niente. La gente
ragionava sempre in quel modo. Per loro era un divertimento osservare i
problemi altrui, ma nel momento in cui questi rischiavano di diventare i loro,
sparivano. Una volta che il folle andò via per causare nuovi disordini altrove,
solo Caroline intervenne in soccorso del mendicante, pensando che potesse
essere proprio lui l’uomo senza cuore.
“Sta bene?” domandò cercando di
aiutarlo a sollevarsi. Questi però la cacciò immediatamente e si concentrò sulla
raccolta delle monete che aveva lasciato cadere al suolo, tenendo la testa
bassa.
“Aspetti, la aiuto” fece la piccola
cordialmente, nonostante la precedente maleducazione subita.
“No, stai lontana dal mio denaro!”
le urlò di risposta il pezzente, voltandosi un momento. Fu in quell’istante che
lo riconobbe. Sotto quella finta sporcizia si nascondeva il volto dell’uomo più
ricco e potente della città e piuttosto che pensare ai suoi cittadini, si
fingeva povero per poter ottenere ancor di più.
“Signor sindaco… È davvero lei?”
“No, io sono un povero mendicante”
finse continuando la sua disperata ricerca.
“Ma… Con tutto il denaro che
possiede, perché…”
“Perché ho solo banconote!
Profumatissime banconote! Ma io ho bisogno anche di questi gioiellini. Non
capisci? Non ne senti il suadente odore metallico? E adesso sono mie!” fece lui
con sguardo spettrale e famelico.
Allora per Caroline fu chiaro più
che mai che anche quello fosse un ennesimo buco nell’acqua e si allontanò
immediatamente da quell’uomo tanto avido, dirigendosi in un’altra zona della
propria città. Ma anche là, la situazione non si rivelò particolarmente
diversa.
“Ehi tu” sentì chiamare. Si voltò,
incerta.
“Sì, parlo con te” fece un giovane
senza maglietta.
“Con… me?” chiese Caroline stupita per
essere stata notata per la prima volta da qualcuno. Ma quella meraviglia
iniziale si trasformò in sbigottimento una volta resasi conto che quel giovane
fosse praticamente nudo a zero gradi.
“E con chi se no? Quanti anni hai?”
“Dieci” rispose lei. Il ragazzo
sembrò riflettere su un momento.
“Sì, dai. Si può fare”
“Che cosa si può fare?”
“Un gioco”
“Che tipo di gioco?”
“È un gioco molto speciale. Devi
venire con me e…” ma si bloccò.
“Togliti di mezzo” ordinò in
seguito, puntando poi davanti a sé. Si diresse verso quella che sembrava una
ragazza ben vestita, con alti tacchi, calze a rete e un ombrellino che la
riparava da un sole inesistente.
“Ehi, tu” fece il giovane all’orecchio
della sconosciuta. Questa allora si girò, mostrandosi per quello che era
realmente.
“Sì?” fece la vecchia signora,
sbattendo velocemente le sue lunghissime ciglia finte. Scoprendo l’età avanzata
di quella donna, il giovanotto non perse tempo e andò immediatamente via,
inorridito dalla verità. Caroline pensò dunque di approfittare della situazione
e provare a parlare con quella donna.
“Mi scusi, signora”
“E tu che vuoi?” rispose un po’
acidamente.
“Non è che per caso lei ha perso il
suo cuore?”
“Il mio cuore? Beh, dovresti
chiedere al mio chirurgo” rispose fra le risate.
“Comunque no. Non ho nulla in meno
di nessuno, anzi, probabilmente ne ho due di cuori”
“Due?”
“Certo! Sono meglio di chiunque
qua, sono la più simpatica, la più bella, la più ricca di tutti! Nessuno può
avvicinarsi a tale perfezione e il mio corpo funziona così bene che potrei
avere anche un cuore in più!”
Caroline ebbe la netta sensazione
che quella vecchia donna fosse davvero convinta delle sue parole, che si
credesse davvero la più bella sotto quella maschera di trucco.
“Guarda per esempio quel mostro,
così grassa e brutta. Non si vergogna di andarsene in giro in questo modo?”
domandò indicando a pochi metri di distanza.
Effettivamente aveva ragione, non
se ne vergognava affatto. La bambina pensò bene di allontanarsi da quell’ennesima
sconfitta, per dirigersi verso quella nuova possibile speranza.
“Mi scusi, signora”
“Dimmi pure, piccolina” esortò in
maniera stranamente cortese la sconosciuta che intanto si ingozzava.
“Ha per caso perso il suo cuore?”
“Ma certo che no! Però, a dire il
vero… Non trovo il mio bignè. Credevo di averlo messo in tasca e invece è
sparito!” disse mordendo l’ala di pollo che aveva in mano. E una volta ingoiata
sembrò estraniarsi completamente dalla realtà.
“Si sente bene?” chiese Caroline
inutilmente.
“Lascia stare, non può sentirti per
il momento” spiegò una voce.
“E tu chi sei?” domandò la piccola
accovacciandosi.
“Per mia sfortuna sono il suo
animale domestico” disse il candido ermellino, osservando accigliato la donna
in estasi e con la bava alla bocca.
“Lo sai che sei proprio bello? Sei
molto fortunato, non ci sono molti animali come te”
“Dici? Beh, io sarei voluto essere
un uccello e volare tutto il giorno. O un pesce e nuotare in libertà. Come li
invidio…”
“No, non dire così!”
“E perché no? Invidio anche te, che
puoi andare in giro per conto tuo senza essere trascinata da una palla di
lardo” disse in modo particolarmente scontroso.
“Ma…”
“Niente ma. Sono l’essere più
sfortunato al mondo. Prendi quel topo, per esempio. Ha un collare più comodo
del mio!” fece notare allungando il muso in direzione del ratto domestico.
“Beh, se vuoi te lo tolgo, così non
avrai più fastidio”
“Non provarci nemmeno! Il mio
almeno è pieno di diamanti! Se mi togli anche questo non mi rimane più niente”
“Ma secondo me quel povero ratto
preferirebbe di gran lunga essere come te”
“Non essere sciocca! Ad ogni modo,
se dovessi passare di lì, mi faresti un gran favore se gli dessi un calcio.
Sai, almeno così soffrirebbe più di me!”
“Ecco… okay” mentì lei, così che se
ne poté andare. Era stanca di tutti quei fallimenti, ma non aveva più idea di
dove cercare.
Trovò un posto isolato da tutta
quella gente e prese a contemplare nuovamente quel cuore. Chi ne era il
padrone? Chi lo aveva perso? Voleva tanto trovare una risposta, ma forse non l’avrebbe
mai ottenuta. E intanto il cuore si contraeva, tanto da sembrar vivo. E intanto
lei lo fissava, lui quasi ricambiava…
Ripensò a tutta quella gente che
aveva incontrato, cercò di ricordare anche quelle persone che aveva
semplicemente incrociato per strada, nel folle tentativo di capire chi non
provasse veri sentimenti. Tutta la città pensava ai propri interessi, tutti
pieni di emozioni che nascevano e si esaurivano in loro stessi e che non
condividevano con nessuno. E capì che nessuno di loro potesse essere l’uomo
senza cuore.
O forse sì…
D’un tratto piccoli e confusi
ricordi cominciarono a riaffiorare, crescendo progressivamente e facendosi
sempre più nitidi: era trascorso quasi un anno da quando aveva abbandonato quella
parte di sé. Adesso ricordava perfettamente la scena, ma ancora non ne capiva
il perché. Cominciò dunque a mangiare il suo cuore, perché era suo, lo era
sempre stato, ed era giusto che tornasse da lei. E più se ne nutriva, più si
sentiva male. Sì, perché ricordava quegli uomini che erano soggiogati solo dai
lori interessi, che non volevano altro al di fuori del loro bene. Lacrime
involontarie cominciarono a rigarle il volto, adesso finalmente ricordava
perché avesse abbandonato il suo cuore. Era sola, ma nessuno se ne era mai accorto.
Nessuno aveva mai badato a quella povera bambina in mezzo alla strada coi piedi
nudi e sempre tremante. Nessuno aveva mai capito la sua tristezza, condiviso
con lei le lacrime, ma soprattutto nessuno aveva mai donato un sorriso che ne
avrebbe fatto nascere un altro.
E sempre nessuno si sarebbe mai
accorto della presenza di quella bambina vestita di stracci morta per il
freddo.
E per la solitudine.