Di quando Scotland Yard non sa
«“[...]segreteria
telefonica dell'ufficio di Mycroft Holmes, al momento non posso
rispondervi per tanto vi chiedo di lasciare un messaggio dopo il
segnale acustico e uno dei miei assistenti vi ricontatterà
quanto prima. Buona giornata.”»
“beep”
«Uhm,
sì ciao, salve sono l'Ispettore Lestrade-... Greg; beh spero
di non disturbare sulla linea ufficiale, ma ho solo il tuo numero di
lavoro Mycroft e ho chiamato per scusarmi- mh... se oggi non
potrò
raggiungerti al Diogenes Club, ma sono-... impossibilitato. Mi hanno
trattenuto all'ospedale più del dovuto dopo la sparatoria di
Finsbury Park e appena potrò andarmene dovrò fare
rapporto; come minimo non avrò tempo neanche per prendermi
qualche ora di sonno e... oh-
«Ispettore
si giri su un fianco.»
-Okay,
io è meglio che chiuda qui. Non-... ahi, mi giro d'accordo,
sta più attento, maledizio-...»
«“Il
messaggio è stato registrato ed inoltrato con
successo”.»
L'assistente
personale di Mycroft Holmes dopo aver ascoltato il messaggio prese
immediatamente la cartellina che aveva sistemato poco prima dentro il
secondo scompartimento della scrivania in legno di mogano, si
alzò
dalla comoda sedia girevole e tolse l'auricolare che aveva
nell'orecchio destro per chiamare al cellulare privato il suo capo,
percorrendo nel frattempo il lungo viale che portava agli ascensori.
La
linea era libera e dopo tre squilli l'uomo seduto comodamente su una
delle poltrone del Diogenes Club, in compagnia di Lady Smallwood e di
un bicchiere di Cognac, accettò la chiamata.
«Mr.
Holmes le sto inviando la registrazione dell'ultimo messaggio sulla
sua segreteria telefonica. È dell'Ispettore Gregory
Lestrade,
credo lei voglia ascoltarlo.» Le porte dell'ascensore si
chiusero non appena la donna pigiò il pulsante per arrivare
al
piano terra dell'edificio dalle grandi vetrate a specchio e che
fungeva da ufficio in trasferta quando Mycroft doveva ospitare o
semplicemente parlare con qualche ministro estero o ambasciatore.
Pochi
minuti dopo una chiamata accese il display del cellulare
dell'assistente che istantaneamente rispose mentre entrava in una
delle auto nere messe a disposizione del governo inglese ed indicava
all'autista l'indirizzo in cui avrebbe dovuto portarla.
«Mi
raggiunga qui al Diogenes Club con i file che le ho chiesto questa
mattina sulla sparatoria. Li ha non è vero?»
Questa
volta Mycroft non si era limitato ad annuire col capo senza
rispondere, come per la chiamata precedente, segno che si era
allontanato da una delle innumerevoli stanze in cui vigeva la regola
del silenzio assoluto ed era entrato nell'unica stanza in cui potesse
parlare liberamente.
«Certamente,
sono già in viaggio. -Di riflesso strinse i documenti che
aveva ancora in mano per poi poggiarli sulle gambe. -Vuole altro
signore?»
«In
che ospedale si trova?» Il soggetto della discussione era
chiaro.
«Al
Wellington hospital, stanza 14c. Vi è stato un incidente
sulla
A503/Isledon Rd le consiglio di optare per un'altra strada se si
recherà in ospedale.» La telefonata
terminò e
l'uomo che pigramente si era adagiato solo poche ore prima sulla sua
poltrona in pelle ora con un gesto repentino guardò l'orario
sul suo orologio da taschino e, prendendo l'ombrello nella mano
destra, aspettò in piedi l'arrivo della sua assistente
premendo la fronte contro il vetro della finestra della stanza,
tradendo con quel gesto il suo stato di celata impazienza.
L'aria
pomeridiana fuori era fresca, appena appena poco umida per la pioggia
che in mattinata aveva raffreddato i già fiochi bagliori del
sole che s'erano permessi di accarezzare la capitale i giorni
precedenti.
Quella
stessa mattina che, placida e uggiosa col solito indisponente
guazzabuglio di strade trafficate e chiacchiericci molesti, aveva
seguitato ad andare avanti anche dopo la sparatoria delle 11.37 ad
opera di un uomo e di una donna noti alla polizia di Londra
giacché,
nelle settimane precedenti, si erano trovati invischiati nel furto
del prezioso diadema di berilli¹, furto tenutosi nascosto alla
stampa e ai civili poiché appartenente ad un esponente di
spicco del governo inglese, noto non solo nel Regno Unito, ma anche
all'estero. Vi era andato di mezzo un innocente, tale Arthur Holder
che era il figlio del banchiere a cui, in maniera segreta e piuttosto
sbrigativa il distinto uomo aveva prestato come garanzia il prezioso
gioiello per avere immantinente la somma di 50.000 sterline. La
discrezione era stata di vitale importanza per non far trapelare che
l'altolocato signore avesse dovuto chiedere un prestito di una cifra
così irrisoria e garantire con quel
diadema dal valore
inestimabile; grazie all'aiuto di Sherlock Holmes poi, Scotland Yard
aveva potuto far luce sull'intera faccenda. Certamente una volta
giunto alla dinamica del misfatto e recuperata la refurtiva Sherlock
aveva ritenuto il caso chiuso e non più di suo interesse,
non
per questo però il lavoro della polizia poteva definirsi
concluso: doveva acciuffare i due ladri latitanti.
George
Burnwell era un giovane di mondo, un dongiovanni senza scrupoli e un
affabile manipolatore, Mary era la nipote del banchiere e ne era
rimasta affascinata, tuffandosi a capofitto in una relazione assai
pericolosa. Insieme avevano progettato il furto del diadema dai
trentanove berilli, cui somma era incalcolabile e sempre insieme
avevano tagliato la corda dopo che Sherlock Holmes aveva iniziato a
fare le domande giuste e la situazione s'era fatta irrimediabilmente
più drastica.
La
polizia aveva ottenuto tutte le prove per incastrarli e non solo di
quest'ultimo furto, così segreto e tacito, ma anche di altri
piccoli crimini avvenuti prima. Una escalation di azioni disoneste
che s'era arrestata solo quella mattina quando gli uomini di Scotland
Yard avevano trovato la donna, segnalata da una pattuglia in
ricognizione che l'aveva riconosciuta, intenta a girovagare verso la
Finsbury Park Station. L'ispettore Lestrade si era così
avvicinato alla sospettata, cercando di non metterla in allerta per
non far correre rischi ai cittadini che erano in attesa alla banchina
della metropolitana, affiancato alla lontana da un suo collega in
borghese.
Il
piano era di seguirla e vedere se, una volta uscita dalla stazione,
li avrebbe portati dritti dritti da Burnwell, altrimenti di
arrestarla ciononostante, sperando che parlasse in centrale. In
entrambi i casi l'attesa e la calma erano fondamentali
poiché
una sola mossa avventata in uno spazio chiuso avrebbe potuto causare
incidenti; George Burnwell era conosciuto nel giro del malaffare per
la sua indole rissosa e pessima compagnia di Arthur Holder, la
giovane invece aveva avuto la fedina penale pulita, ma era divenuta
in tutto e per tutto sua complice. Perciò sempre a distanza
i
poliziotti controllarono Mary scrivere qualcosa al cellulare e
posarlo nella piccola borsa a tracolla, camminare a passo misurato e
controllarsi attorno in modo guardingo, sistemandosi ogni tanto i
capelli neri dietro le orecchie.
Giunse
indisturbata nell'angolo sud-est del parco e scrisse un nuovo
messaggio: lì l'area diveniva leggermente più
isolata e
decisamente più spaziosa se ci fossero state complicazioni
di
ogni sorta e il raggio d'azione e le eventuali problematiche non
avrebbero coinvolto civili troppo vicini; sebbene ci fosse
l'attenzione al dettaglio, l'azione in sé poteva ritenersi
semplice e più volte Greg aveva alzato gli occhi al cielo in
quei giorni poiché era stato assegnato a capo di quel caso
solo perché i due ladri avevano tentato di trafugare un
gioiello 'che scottava'. Non era la sua divisione, che cavolo.
Una
volante della polizia era parcheggiata lungo la strada che portava
alla fontana di Tom Smith con altri due agenti di pattuglia
all'interno. Prendendo in considerazione questo, Lestrade che era il
più vicino alla donna, si premurò di afferrarle
un
braccio e fu in quel momento che accadde l'inaspettato: da una
macchina grigio metallizzato parcheggiata poco più avanti
spuntò dal finestrino del conducente una pistola che fece
fuoco sull'ispettore e sull'agente poco distante, i due poliziotti si
abbassarono di riflesso al rumore dei colpi e Mary ne
approfittò
per sgusciare via dalla stretta di Lestrade; mentre anche gli agenti
dentro la volante avevano acceso i motori comprendendo la
gravità
della situazione, altri spari provennero dalla pistola custodita
nella borsa a tracolla della donna, la quale lasciò dietro
di
sé un morto ed un ferito prima di dileguarsi entrando alla
svelta nella macchina dove alla guida risiedeva George. Non avevano
fatto che pochi metri quando vennero bloccati definitivamente, da una
parte la volante della polizia e dall'altra Lestrade che aveva
sparato più di quattro colpi alle ruote posteriori.
Ci
fu un ulteriore sparo che provenne dall'ispettore, questa volta
facendo partire il colpo verso l'alto come avvertimento e fu in quel
momento che dalla macchina, che aveva perso il controllo e s'era
fermata per non schiantarsi, uscirono fuori la donna e l'uomo con una
ferita sulla fronte data dalla brusca frenata che sbraitava nei suoi
confronti, accerchiati dai due poliziotti in ricognizione.
In
quel momento che, persa l'adrenalina, Lestrade accusò il
dolore per il colpo inflittogli al braccio e si accasciò
seduto sul marciapiede, sempre in quello stesso momento che vide
l'agente in borghese lungo disteso sul brecciolino, una mano ancora
sulla fondina e l'espressione sul viso innaturale.
I
curiosi, i cittadini allarmati, altre auto di Scotland Yard e
l'ambulanza arrivarono poco tempo dopo, fra uno scroscio di rumori e
chiacchiere che faceva annegare Greg in un terribile mal di testa.
Non
ci furono abbastanza parole di conforto e di rassicurazione in quegli
attimi da parte dei soccorritori che poterono rinfrancare la mente
dell'ispettore: una variabile non considerata aveva ucciso un suo
collega e ferito lui stesso. Perché quella coppia aveva
sparato? Qual era l'urgenza che aveva fatto di loro degli omicida
piuttosto che dei ladri?
Solo
quando gli avevano tolto il proiettile e stava aspettando di avere
una fasciatura adeguata Donovan si era permessa di disturbarlo di
persona, appoggiandosi con la schiena sul muro accanto al letto
d'ospedale in cui Greg sedeva: «Hanno trovato tre valigette
piene di denaro sotto i sedili dell'auto. -Aveva iniziato, con un
accenno del capo come saluto.- E se ci sono di mezzo così
tante banconote signore, il ragionamento ci conduce in due direzioni:
la vendita illegale o il ricatto.»
«Il
ricatto.»
«Come
capo?»
«La
vendita illegale George Burnwell l'aveva già fatta con i tre
berilli del diadema, recuperati poi da Sherlock.- Sospirò a
denti stretti, le fitte al braccio facevano dannatamente male. -No
Donovan, qui lo schema è cambiato e non c'è
bisogno di
Sherlock Holmes per capire che se spari agli agenti di Scotland Yard,
quando sei sempre e solo stato un truffatore, stai nascondendo
più
di un crimine che hai già commesso più
volte.»
Donovan
aveva annuito e sotto ordine di Lestrade si era congedata per saperne
di più e supervisionare le indagini fino a che lui non
sarebbe
stato dimesso e avrebbe fatto ritorno in centrale.
Respirò
sgraziato stringendo appena il pollice e l'indice sulla radice del
naso e, nel mentre un infermiere iniziava a togliergli la benda per
fare una nuova e durevole medicazione, s'arrischiò a
chiamare
Mycroft ricordandosi che era martedì pomeriggio e che non
avrebbe potuto sostare al Diogenes Club come era ormai di sua
consuetudine. Poco male, si disse, il suo umore era sotto un treno e
di certo non sarebbe stata una buona compagnia nel cercare di
distrarre il governo inglese dalla sua amarezza
composta dopo
le vicissitudini accadute neppure un mese prima a Sherrinford.
Fu
così che lo trovò Mycroft Holmes un'ora dopo,
ancora
con lo sguardo accigliato e qualche sospiro di troppo, seduto a gambe
incrociate sul letto della stanza 14c del Wellington Hospital. Una
stanza bianca opaco, con la finestra aperta e separata con un
paravento da un altro paziente. L'assistente di Mycroft aveva
aspettato fuori, mentre l'infermiera di reparto aveva dovuto
acconsentire, non senza qualche sonoro sbuffo, a far entrare l'uomo
nella stanza anche se l'orario di visite si era concluso una
mezz'oretta prima.
«Non
dirmi che c'entra il governo, Mycroft.»
«Stai
meglio?» Chiese invece serafico il maggiore dei
fratelli Holmes. Era in piedi, l'ombrello stretto fra le sue mani
come fosse stato un bastone da passeggio e lo sguardo leggermente
torvo, crucciato.
Greg
prese un lungo respiro e buttò fuori aria prima di
ricominciare a parlare: «Sebbene il telegiornale non abbia
ancora dato la notizia,- e qui Greg puntò gli occhi verso la
piccola televisione presente nella stanza.- Sui social immagino che
lo scontro a fuoco e le relative informazioni stiano rimbalzando
più
o meno da quando sono stato portato in ambulanza. Credo, quindi, tu
sappia già tutto da questa mattina, no?-
«Non
ho bisogno di leggere su Twitter per sapere che è caduto un
tuo uomo.» Inclinò appena il capo.
-È
morto. -Ribadì il concetto l'ispettore. -No, non
ne hai
bisogno. Ma appunto non era che mezzogiorno quando fui portato via
dai soccorritori e... se sei venuto solo ora che è
pomeriggio
inoltrato, posso permettermi di pensare che non sei giunto qui solo
per... sapere se sto meglio?»
«Avrei
potuto avere qualche incombenza da sistemare o essere stato
trattenuto.» Si avvicinò di un passo, portando la
gamba
destra avanti.
«Avresti
potuto. -Acconsentì l'ispettore. -Ma non è
così,
vero?» Digrignò un poco i denti perché
sentiva
ancora il dolore vibrargli dal braccio.
«Non
è neanche quel che stai pensando tu, Gregory. O almeno non
è
stato quello il motivo che mi ha portato qui un'ora dopo che mi hai
chiamato.»
«Io
ti ho chiamato perché non sarei potuto venire al Diogenes
Club.» Commentò con una chiara rappresentazione
dell'ovvio. Ma già era abbastanza sconquassato di suo, se
poi
ci si metteva pure Mycroft Holmes con le sue mezze frasi, non ne
sarebbe uscito più.
«E
io sono qua, allo stesso orario in cui saresti dovuto
arrivare.»
Gli fece notare, con un movimento leggero della testa in direzione
dell'orologio, appeso al muro, che ticchettava accanto alla
televisione spenta. Poggiò l'ombrello vicino alla parete
bianca e si sedette in fine sulla scomoda sedia in ferro,
accavallando le gambe; con una mano sbottonò la giacca
lasciando intravedere la camicia bianca e il panciotto nero con
sottili strisce grigie, oltre la sempre impeccabile cravatta, questa
volta di color giallo con piccoli pois più scuri.
In
un primo momento Lestrade lo guardò stranito, poi si
massaggiò
il braccio ferito e anche lo sguardo di Mycroft si puntò
sulla
fasciatura.
«Oh.-
Esalò alla fine. -Ma non sarò di buona compagnia.
Non
credo proprio di-
«Lo
so. -Lo interruppe l'altro. -Non sono arrivato prima perché
qualcuno un giorno mi disse “Non
ne sapete poi
molto di sentimenti e rispetto voi Holmes, eh.²”
Così ho rispettato i tempi, non sono un tuo
familiare
né un tuo collega e mi sarei preso un diritto che non mi
apparteneva venendo subito dopo che eri stato ricoverato. Non ho
voluto informarmi, ho piacevolmente trascorso la giornata con una
mia collega e ho aspettato fino a che non saresti stato tu a
chiamarmi.»
«Non
ti ho invitato.- Biascicò sorpreso Lestrade, un leggero
divertimento dolceamaro nella voce. -Sempre se si possa mai 'invitare
qualcuno in ospedale'.» Rincarò, continuando a
massaggiare il braccio.
«No.
Ma avevamo un incontro e io volevo vederti.» Rispose schietto
Mycroft, il tono che non ammetteva repliche.
Il
silenzio che ne seguì fu un silenzio confortevole e
appropriato. Greg si sistemò meglio poggiando il cuscino
sulla
testata del letto e si trascinò fino a far aderirne la
schiena, mentre le gambe rimanevano incrociate. Aveva la camicia
sbottonata e irrimediabilmente rovinata, poiché avevano
dovuto
tagliarla di netto per poter offrirgli le prime cure in ambulanza e i
pantaloni grigi insozzati di brecciolino e polvere. Mycroft
posò
le mani sulle gambe, abituato com'era a schiarirsi le idee nel
silenzioso Club di cui era fondatore; appoggiato sulla stessa sedia
nella quale risiedeva stava il trench di Lestrade.
«Per
un attimo ho pensato: ecco, ora mi portano al St Caedwalla's
hospital.» Una risata di scherno verso se stesso proruppe
dalle
labbra dell'ispettore.
«Paura
del tutto ingiustificata Gregory. Culverton Smith è dietro
le
sbarre e quell'ospedale ora è semplicemente un mediocre
ospedale.» Si premurò di rispondergli pacatamente,
con
il tono che solitamente usava quando voleva scandire per bene un
errore.
«Questo
non mi ha tranquillizzato affatto. Non con un proiettile nel braccio
che bruciava come l'inferno e la mia coscienza che gridava quanto
è
pazzo e furioso questo mondo!» Al contrario del tono iniziale
con cui era iniziata quella discussione, le parole uscirono con un
lamento ironico e piuttosto smussato.
«Hai
ragione. - Concesse incrociando le mani e chiudendole appena. -Quando
mio fratello e il suo Dottore mi hanno fatto un prank, per scoprire
se esisteva davvero una sorella Holmes, la paura ha preso le redini
della mia coscienza.» Oh, e la paura
l'aveva decisamente
reso stupido quando aveva provato a farsi sparare, facendo scoprire
le sue intenzioni sentimentali dopo poche crudeli parole.
«Quello
è stato un maledetto scherzo davvero, Myc.» Al
diminutivo Mycroft alzò un sopracciglio, ma non glielo fece
notare, preferendo annuire.
Nelle
stesse settimane in cui la coppia era latitante il martedì
pomeriggio, quando il cielo iniziava a tinteggiarsi di viola, Mycroft
Holmes e l'ispettore Lestrade si incontravano al Diogenes Club; dopo
quello che era accaduto con Eurus Holmes, Greg aveva voluto ascoltare
il consiglio di Sherlock ed aiutare come poteva Mycroft,
perché
lui stesso ne era preoccupato. Già si vedevano abbastanza
spesso, ma ora si erano dati una sorta di 'giorno promemoria'. Una
serata all'insegna di poche formalità, il solito Armagnac in
bicchieri costosi e la reciproca compagnia che a quanto pare era
l'unica cosa che sembrava reclamare il più grande dei
fratelli
Holmes. La solitudine era diventata una presenza tetra...
dopo
la cella a Sherrinford, dopo le macchinazioni di sua sorella, dopo lo
sconforto con i suoi genitori, dopo la rabbia per aver fatto quel
tanto che non era mai abbastanza in casa Holmes.
«Credo
sia giunta l'ora di andarmene da questo ospedale.- Continuò
franco l'ispettore, puntellandosi con una mano e allungando le gambe
per alzarsi dal letto. -Non so te, ma io ho bisogno di caffeina.
Tanta caffeina. Quindi andrò alla macchinetta del
caffè
prima di firmare le maledette carte e andarmene.»
«Non-
Non dovresti rimanere qui per la notte?» Chiese Mycroft, non
tradendo un certa preoccupazione insita.
Lestrade
gli scoccò uno sguardo poi aggirò il letto, la
sedia su
cui era seduto l'uomo e prese con il braccio buono il suo trench
scuro: «Per una pallottola che non ha colpito nient'altro che
carne?- Rispose alla fine sistemandosi sulle spalle l'indumento,
senza l'intenzione di indossarlo. -No, no. Questi ospedali scoppiano
di pazienti che stanno aspettando un letto e io ho avuto tutte le
cure che dovevo; mi hanno prescritto qualcosa per il dolore dopo
avermi fatto una lastra, sai. L'unica motivazione per cui mi hai
trovato ancora qui a quest'ora è che il medico mi ha
concesso
qualche ora per riassestarmi, niente di più.»
E
doveva essere chiaro il moto di sorpresa che accentuava le
sopracciglia di Mycroft all'insù mentre lo guardava dal
basso
della sedia in cui era ancora seduto, tanto che Greg si
sentì
quasi costretto a sogghignare: «Non smanio all'idea di
andarmene da un ospedale come fa tuo fratello,- poi divenne serio,
prendendo il cellulare e il portafogli sul comodino.- Ma neppure mi
crogiolo nell'idea quando c'è del lavoro da fare e un morto
da
seppellire con tutti gli onori.»
«Ti
accompagno.» Furono le uniche parole che Mycroft Holmes fece
uscire dalla sua bocca, prima di dirigersi a riprendere l'ombrello e
seguire l'ispettore fra i corridoi bianchi, vuoti per l'orario e
lucenti per quelle fastidiosissime luci a neon.
Dentro
di sé invece Mycroft ingaggiava una chiara ramanzina nei
suoi
stessi confronti, rivangando nella memoria a tutte quelle volte che
Sherlock gli aveva rinfacciato quanto fosse pigro, sonnolento, quanto
gli piacesse crogiolarsi nel mondo di un'aristocrazia ormai persa fra
le pieghe del tempo e solo vezzo di ricchi politici annoiati.
Le
cose erano cambiate, certamente, eppure il suo atteggiamento riferiva
superficialmente proprio quel comportamento sonnacchioso e arrogante.
Dopo
aver sorseggiato avidamente un po' di quel caldo liquido scuro
l'ispettore puntò gli occhi sul suo accompagnatore e decise
di
riformulare la prima domanda che gli aveva porto, togliendoci quel
tono stanco e indispettito con cui aveva accompagnato quelle parole
appena l'aveva visto entrare nella stanza 14c: «C'entra il
governo con quello che è capitato oggi?»
Mycroft
Holmes fece oscillare brevemente il proprio ombrello prima di
annuire: era arrivato il momento della domande. C'era sempre il
momento della domande con l'ispettore Gregory Lestrade, deformazione
professionale che occupava tutta la sua vita.
«Sapevate
che erano armati? Che avevano cambiato il loro modus operandi?»
E con “sapevate” Lestrade intendeva i servizi
segreti o
chi diamine c'entrasse in quella storia di cui il maggiore degli
Holmes era a conoscenza.
«Sì.
E no. Perché non ve n'era stata occasione prima di
oggi.»
“Occasione”. l'aveva chiamata proprio
così e
l'ispettore lo guardò in tralice, si morse la lingua, ma
continuò: «Dimmi quello che sai.»
Il
sorriso mellifluo e a tratti irrisorio spuntò sul viso di
Mycroft e Greg non poté fare a meno di pensare che, ecco,
era
da punto a capo; perché quando sorrideva a quel modo con
lui,
voleva dire soltanto che stava per raccontargli frottole. Ma Mycroft
fece di più, glielo disse apertamente: «Posso
dirti
poche cose Gregory, ma guardami ora,
perché se vuoi
davvero delle risposte a tutte le tue domande, allora non saprai mai
quando ti dirò il vero e quando ti darò una
versione di
fantasia. Vedi l'avvertimento che ti ho dato?»
Lestrade
contrasse le labbra un momento e buttò il bicchiere di
plastica vuoto nel cestino vicino la macchinetta, prima di azzardare
a rispondergli. L'avvertimento era chiaro: se avesse voluto tutte le
risposte che voleva lui gliele avrebbe date; ma non avrebbe fatto
nessun sorriso, nessun gesto inconsulto e non avrebbe saputo cos'era
vero e cosa non lo era. Sherlock l'avrebbe saputo, ma non era
lì,
accidenti a lui.
Proprio
in quel momento la suoneria di un cellulare vibrò nel
corridoio vuoto, Mycroft lo tolse dalla tasca interna e
portò
il suo apparecchio telefonico all'orecchio; tempo un paio di secondi
e qualche assenso e chiuse la chiamata.
«Facciamo
così, perché il mio intento è solo
sapere per
quale motivo ho un agente all'obitorio e una fascia a reggermi il
braccio, -e s'indicò il braccio bendato. -Dimmi quello che
puoi, per il resto tralascia. Non chiederò di
più, non
oggi almeno. Ora voglio risposte sensate.» C'erano volte,
proprio come quella, in cui gli sembrava davvero di parlare con un
politico corrotto. Mycroft si aggiustava la cravatta e sembrava che
dietro quell'abito a tre pezzi nascondesse segreti inenarrabili; a
quel punto si sentiva proprio un poliziotto scemo e incazzato, come
quando stava a contatto con Sherlock.
Ma
poi, una questione di istanti, Mycroft Holmes si divideva dalla
figura del fratello minore e tutto, o almeno la gran parte,
ridiveniva equilibrato: «D'accordo. Farò proprio
così.-
Ricambiò lo sguardo. -Hai ragione a pensare che sia un
ricatto. Effettivamente è proprio un ricatto perpetrato ai
danni di un uomo.» L'ombrello
dondolò appena
stretto fra le mani sicure dell'uomo.
Greg
trasalì, aveva dato ordini a Sally di indagarci solo poche
ore
prima su sua supposizione. Quindi Mycroft sapeva anche cosa stava
accadendo in quel momento in centrale, d'accordo; non gli importava
come avesse avuto l'informazione, si disse, quello che gli premeva
era altro: «C'è un'indagine interna... quindi
l'MI5,
oltre che la nostra a Scotland Yard, è
così?»
«Esattamente.-
Rispose con un tono di voce mite. -Ma non crucciarti più del
dovuto; noi abbiamo seguito gli spostamenti della coppia senza
interferire, fino a quando la polizia non ha riconosciuto la donna. A
quel punto vi abbiamo lasciati da soli.» Greg
abbassò lo
sguardo e si sentì parecchio frustrato per un attimo. La
polizia c'aveva messo settimane per rintracciarli! E, senza le
informazioni del'MI5, ecco com'era finita.
«E
perché mai?» La domanda sorse spontanea.
«Gregory,
-e qui ci tenne a sottolineare con maggior enfasi il nome. -Ne valeva
la segretezza del nostro caro uomo.»
Alzò gli
occhi verso l'alto.
«Se
voi l'aveste presi-... se voi l'aveste presi avrebbero spifferato il
motivo del ricatto e addio segretezza.» Si ritrovò
a
constatare. Ma era anche quella una supposizione senza uno straccio
di prova.
«Non
hai indovinato, ma non sei distante dalla verità.
-Tralasciò,
senza mentire, come gli aveva chiesto l'ispettore. -Noi seguivamo voi
e voi seguivate loro per il furto del diadema di berilli. Il nostro
caro uomo, di cui non mi è permesso dire il nome,
è
proprio il possessore del diadema.- Puntò il suo sguardo
sull'anello che portava, considerando che Lestrade aveva deciso di
interrompere il contatto visivo. -Comunque, l'importante era che voi
avevate un mandato per arrestarli senza farli
“cantare”
sul ricatto. Voi non lo sapevate e loro si sarebbero presi meno anni
di prigione, quindi sarebbero stati in silenzio. Ma
è
quello che faranno anche ora che hanno l'aggravante dell'omicidio: staranno in silenzio.»
L'ultima frase sembrò più una minaccia che
un'alta
probabilità.
Greg
si ritrovò a pensare che molto probabilmente il giorno dopo
le
tre valigie sarebbero sparite dal banco delle prove. Poi gli venne in
mente che qualcosa non tornava: «Credo che la situazione sia
più complessa di così. -Lestrade portò
la mano
del braccio sano fra i capelli, uno sguardo di confusione era ben
visibile sul viso tirato. -Mary e George non sapevano il nome
dell'uomo quando hanno tentato il colpo. Il
banchiere l'ha
assicurato al dedective che ha preso le deposizioni; non l'ha detto a
nessuno e neppure a noi di Scotland Yard chi era il possessore del
diadema dai trentanove berilli.»
Mycroft
ridacchiò sommessamente, poi rimase con gli angoli della
bocca
alzati per un po' e Greg cercò di non farci caso. A quanto
pare la coppia un po' inesperta aveva scoperto l'identità
dell'uomo per vie traverse, fantastico...
più
efficienti di Scotland Yard.
«Il
massimo che posso presumere è che il ricatto c'entri con le
50.000 sterline chieste in prestito. Sono un segreto che neppure il
giornalista più promettente è riuscito a
scovare... mh,
merito del Security Service, immagino. 50.000 sterline, una vergogna
aver bisogno di una somma così ridicola, per un uomo
così
importante. Oppure 50.000 sterline e quello che c'ha fatto sono una
vergogna da non far chiacchierare.»
«Onestamente
Sherlock pensa troppe volte male di te. Sei competente.»
«Sono
nella polizia da un po', Mycroft. In più avere a che fare
negli anni con Sherlock Holmes ha solo messo a dura prova la mia
pazienza, non il mio impegno.- Un sorriso gli increspò le
labbra, forse il primo così duraturo in quella brutta
giornata. -E beh, grazie.»
«Hai
assegnato importanza al dato sbagliato, ma sei competente
sì.»
Lestrade
fece schioccare la lingua sul palato e si rassegnò, negando
con
evidenza il capo. S'incamminò in fine con un'alzata di
spalle
verso l'atrio in cui avrebbe firmato l'uscita, sicuro che da
lì
a poco Mycroft l'avrebbe seguito e raggiunto.
I
giorni a venire sarebbero stati pesanti, terribilmente pregni di
lavoro e di preghiere e cordoglio, il braccio gli avrebbe ricordato
quanto poco poteva fare Scotland Yard se c'erano di mezzo segreti che
dovevano rimanere celati, ma un altro martedì sarebbe
arrivato
presto.
«Era
il diadema?- Greg aveva rimuginato e riflettuto finché non
erano usciti entrambi dall'ospedale. Una leggera pioggerellina sopra
le loro teste e l'auto governativa ad aspettare il maggiore degli
Holmes. -Ha sempre avuto tutto a che fare con quello
stramaledettissimo diadema.³ Un buon agente morto, un buco nel
braccio e insabbiamenti dell'MI5 per un gioiello... dimmi che mi
sbaglio Myc.» Guardò il cielo plumbeo e si
fermò
davanti all'auto governativa dove l'altro uomo stava salendo.
Mycroft
non rispose, ma si mosse sul sedile e gli offrì volentieri
un
passaggio fino in centrale per terminare quell'orribile giornata in
buona compagnia.
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¹: Ho voluto omaggiare (?) Una delle storie più famose di 'Le avventure di Sherlock Holmes' ovvero 'L'avventura del Diadema di Berilli'. È come se fosse un proseguimento di ciò che accade nel finale; Mary è, nelle ultime righe della storia, latitante con Sir George Burnwell e qui si scopre che fine fanno. In più il tutto è avvenuto davvero a Febbraio, almeno secondo il racconto del Dr. Watson, perciò visto che quando l'ho postata su AO3 era questo mese... mi sembrava azzeccato!
²:
Questa frase proviene direttamente dalla mia prima one shot (cui
è
collegata, almeno per il fatto che i fatti si susseguono dopo quella
storia).
³:
La trama si sviscererà in una terza one shot che
posterò.
Di certo ho voluto collegare questa alla mia prima storia su Lestrade
e Mycroft e mi serviva un tramite per un continuo! Però
seppur collegate da leggeri riferimenti, possono essere lette
singolarmente.
Buon venerdì e buona
sera! Sono prolissa, ma spero vi siano
piaciute
le interazioni fra questi personaggi che apprezzo tantissimo! Se vi
fa piacere scrivetemi cosa ne pensate, se non sono
stati
chiari dei passaggi o se volete leggerne ancora(!) Anche solo un KUDOS
su AO3
sarebbe tanto per me (la serie, link: http://archiveofourown.org/works/9811709).
♥
ps:
Gregory è sempre un headcanon che oramai
prendo
per valido.