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Autore: Strawbana    06/03/2017    1 recensioni
Perso tra i suoi pensieri, Kageyama osserva il mare di gente in maschera che occupa Piazza San Marco. Dovrebbe cercare dei ragazzini capaci per formare la sua nuova squadra, l'ennesima nuova squadra, ma la sua mente è concentrata su un unica domanda: doveva farlo davvero? Non aveva altra scelta?
Sentendosi per la prima volta perso nell'oscurità in cui si era addentrato anni prima, l'allenatore cerca una strada verso la luce.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kageyama Reiji, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-      Nihil inimicus quam sibi ipse -

 

 

Gli italiani avevano un che di altamente irritante. La loro giovialità, la loro assurda apertura al contatto fisico, le loro feste così incredibilmente chiassose e insensate. Cosa spingeva le persone ad affollare le piazze vestite con le maschere più bislacche e ingombranti mai viste?

 

“Lo sai che lo fanno per festeggiare il martedì grasso prima di entrare in un periodo di digiuno e penitenza”

 

Che festività senza senso. Mentre guardava la gente in maschera ridere e divertirsi in Piazza San Marco, Kageyama non faceva che interrogarsi sul motivo che lo aveva spinto a studiare la lingua e la cultura italiana in gioventù.

 

“Hai deciso di studiare questo paese perché tuo padre ha passato il suo periodo più felice giocando per le squadre italiane”

 

Un motivo stupido e insensato ovviamente, un errore di giovinezza, ma Garshield era in grado di sfruttare ogni errore a suo vantaggio. Per questo l’aveva mandato lì, in quella landa di barbari, per comporre una rappresentativa italiana fedele alla loro causa da sostituire a quella ufficiale durante il Football Frontier International. Ma l’unica cosa che l’allenatore giapponese aveva trovato fino a quel momento era un motivo per mollare tutti quei complotti e i piani di vendetta per iniziare una nuova vita. La piccola Rushe era diventata il suo pensiero fisso, voleva andare a trovarla più spesso e farle compagnia, invece era costretto a vagare di città in città in cerca di una squadra da allenare.

Ma forse quella condizione si poteva ancora cambiare…

Mentre si allontanava dalla piazza gremita di gente, Kageyama prese il cellulare e guardò il numero del suo capo, pensando a cosa fare. Poteva inventarsi un problema che gli impedisse di andare a Liocott, oppure poteva semplicemente chiedere a Garshield di assegnargli un compito più stabile che gli permettesse di rimanere in Italia. Una possibilità di convincere il magnante del petrolio c’era, ma per prima cosa Reiji avrebbe dovuto chiamarlo.

Mentre l’allenatore rifletteva su come portare avanti la conversazione, una figura completamente vestita di nero e avvolta in un mantello del medesimo colore emerse alle spalle dell’uomo e con un gesto veloce gli rubò il telefono, correndo poi avanti.

Completamente colto alla sprovvista dalla cosa, Kageyama esitò un attimo prima di reagire con comprensibile rabbia.

-Me lo restituisca!-

L’individuo in maschera si girò, mostrandosi meglio: oltre agli abiti completamente neri indossava un tricorno in testa dello stesso colore, mentre sul viso indossava una maschera bianca con la base appuntita e le fattezze umane appena accennate. La maschera copriva completamente il volto dello sconosciuto e in qualche modo doveva alterarne la voce, visto che la risata dell’individuo alla richiesta di Kageyama risultò strana, spiritata, innaturale.

Davanti all’ilarità dello straniero l’allenatore si rese conto di essersi talmente alterato da aver urlato in giapponese, cosa che alimentò la sua rabbia e la condì con dell’imbarazzo.

“Ora quel tipo mi crederà un turista sprovveduto.” Era quello il pensiero che più turbava il giapponese, ma avrebbe fatto ricredere il ladro in un modo o nell’altro. Doveva risanare il suo orgoglio ferito e soprattutto recuperare il cellulare, pieno di informazioni e contatti importanti, oltre che il mezzo per iniziare una nuova vita.

Quando il ladro riprese a correre Kageyama non esitò a inseguirlo, le gambe lunghe e allenate a resistere all'età lo rendevano in grado di muoversi con grande velocità e i sensi affinati sul campo di calcio in giovinezza gli permettevano di schivare i passanti anche poco prima di schiantarsi contro di loro.

Nonostante questo l’uomo in maschera sembrava irraggiungibile, era sempre abbastanza vicino da poter seguire i suoi spostamenti ma troppo lontano per poterlo fermare.

Mentre correvano, i due si allontanarono sempre più dalle strade affollate di visitatori e gente in maschera, fino a raggiungere i vicoli più stretti e isolati di Venezia.

La figura in maschera si muoveva in maniera caotica e disorganizzata, zigzagando casualmente per le strade. Proprio questo suo modo di fuggire sgretolato lo portò a infilarsi in una stradina ancora più angusta delle altre, che terminava in una piccola apertura colma di luce che impediva di vedere cosa ci fosse oltre quel punto.

Ancora una volta Reiji non esitò a seguire lo sconosciuto e si infilò nel vicolo stretto, sperando che qualche passante impedisse all’uomo in maschera di continuare a scappare, ma il vicolo era completamente deserto. La figura in nero raggiunse in fretta la fine del vicolo, venendo inghiottita dalla luce, e poco dopo varcò quella soglia soleggiata anche Kageyama, che rimase però abbagliato e fu costretto a fermarsi. Quando gli occhi neri dell'allenatore si ripresero, l’uomo si rese presto conto della situazione assurda in cui si trovava: il vicolo terminava in un ponte sospeso su un canale e il ponte terminava a sua volta su una soglia sigillata da una porta in legno dall’aria logora e antica. Dell'uomo in maschera però non c'era alcuna traccia. Non poteva essere entrato nella porta, non avrebbe mai potuto aprirla e richiuderla nei pochi secondi che erano serviti a Reiji per raggiungere quel punto, poi l’allenatore avrebbe dovuto sentire qualcosa, il rumore del legno che scricchiolava o il suono dei cardini che cigolavano, invece intorno a lui regnava sovrano lo sciabordio del canale.

Non riuscendo però a trovare altra spiegazione se non che il ladro si era infilato in quella casa, Kageyama iniziò a tentare di forzare la porta, urlando e chiedendo ai proprietari di aprirgli.

Non ricevendo nessuna risposta, Reiji rinunciò a quel tentativo, convincendosi che ormai l’unica cosa da fare era chiedere lo sgradito aiuto delle forze dell’ordine, e tornò sui suoi passi, rimmergendosi del vicolo. Ma, proprio quando era ormai a metà della stradina, l’allenatore si sentì afferrare i polsi e sbattere con decisione contro il muro del vicolo. Con grande sorpresa per il giapponese, l’autore di quella aggressione era proprio l’uomo in maschera, rispuntato dal nulla e che, a causa dello spazio angusto in cui si trovavano, si trovava a pochi centimetri dall’altro; troppo vicino per l’allenatore, che subito iniziò a dibattersi nel tentativo di liberarsi, ma la presa dello sconosciuto era ferrea. Sconfitto e umiliato, Kageyama ringhiò, fulminando nel contempo con lo sguardo celato dalle lenti scure l’uomo che aveva davanti.

-Chi è lei? E cosa vuole da me?

Sibilò il biondo e l’uomo in maschera, per tutta risposta, emise un'altra risata spiritata.

-Ma come, ti basta iniziare a pensare di cambiare vita per dimenticarti completamente di me?

Lo sconosciuto portò i polsi di Reiji in alto, sopra la testa del giapponese, per poterli tenere con una mano, poi con quella libera si tolse la maschera.

Nel vedere il volto del suo aggressore, Kageyama sentì il suo cuore saltare qualche battito: la persona che aveva davanti era una sua copia identica, o almeno identica al sé stesso di qualche mese prima, quando ancora portava i capelli grigi legati in una coda bassa sulle spalle.

Gli occhi dell’entità si illuminarono di una luce malefica vedendo lo stupore del suo prigioniero.

-Come mai così sorpreso? Pensavi davvero che ti avrei lasciato mandare all’aria quarant’anni di sacrifici senza fare nulla?

Il biondo boccheggiò, ancora incapace di comprendere la situazione, riuscendo poi a biascicare solo poche parole.

-Chi sei tu…?

L’entità emise una risata, scuotendo appena la testa, poi lasciò che le sue mani scivolassero dai polsi dell’allenatore alle sue mani, che strinse appena.

-Io sono te e tu sei me, anche se ora vuoi abbandonarmi. E per cosa poi? Una bambina? Non ti facevo così sentimentale, Reiji.

Kageyama cercò di recuperare il suo naturale contegno, pensando a come contrastare quella che, secondo lui, era solo un’illusione creata dalla sua mente.

-Rushe è speciale, per stare con lei sono pronto a sacrificare qualsiasi cosa.

La stretta dell’entità si fece più decisa, senza mai risultare violenta, mentre accorciava la distanza tra lui e il suo doppio.

-Qualsiasi cosa, per una bambina così? E perché, ti fa pena? Ti senti in così in colpa nell’averla mandata per sbaglio all’ospedale? Non ti sei fatto così tanti scrupoli quando hai fatto investire la piccola Gouenji…

L’allenatore emise un verso stizzito e distolse lo sguardo. Mentre cercava di distrarsi da quella velenosa affermazione, Kageyama si rese conto di poter sentire il respiro della figura in nero sulla sua pelle, il calore delle dita intrecciate alle sue… Era davvero un’illusione? Cosa stava succedendo?

-Pensi davvero che basti una telefonata per cambiare vita? Vestirti di bianco e tingerti di biondo ti ha annacquato il cervello? Non puoi cancellare quello che abbiamo fatto, anche se i mocciosi della Raimon hanno distrutto quasi tutto.

Il giapponese si morse le labbra: quei pensieri gli balenavano in testa da tanto, sentirli espressi ad alta voce era devastante per la sua voglia di cambiamento e questo l’entità lo sapeva.

-Abbiamo passato quarant’anni a costruire il nostro impero, a eliminare ogni avversario o minaccia che ci si è posta davanti, e siamo stati terribilmente bravi a farlo. Dimmi, quante persone abbiamo visto resistere così tanto al fianco di Garshield?

Reiji trattenne un attimo il respiro prima di dare una risposta.

-Nessuno…

Un lampo di soddisfazione attraversò gli occhi neri dell’entità, dando loro una parvenza selvaggia.

-Esatto. Garshield ha bisogno di noi perché siamo i migliori e noi abbiamo bisogno del suo aiuto per finire la nostra vendetta. Non vorrai lasciare che la Raimon la passi liscia dopo tutto quello che ci ha fatto…!

Kageyama scosse la testa, come se volesse liberarsi dalle parole dell’altro che lentamente si insinuavano nelle sue convinzioni.

-Non mi interessa più, voglio iniziare a vivere una vita normale!

L’entità fece scivolare via una delle sue mani per alzare il mento dell’allenatore, in modo che i loro occhi neri potessero incontrarsi.

-Non sei fatto per essere normale, Reiji. Sei diverso, sei nato per stare al potere, comandare gli altri e appagare la tua ambizione. Nessuna difficoltà ci ha fermati perché niente può tenerci lontani da ciò che ci spetta di diritto. Quanto pensi di durare in una vita tranquilla? Non potrai badare a Rushe tutto il tempo, quanto tempo ci impiegherai per farti venire a noia la calma?

A questo Kageyama non aveva pensato. Cosa avrebbe fatto quando Rushe era a scuola o faceva altro? Avrebbe lavorato? Era abituato a una mansione da dirigente, un qualsiasi altro incarico gli sarebbe risultato estraneo, fastidioso e un posto di comando non si trova facilmente senza i giusti appigli. Anche un lavoro da allenatore era difficile da conquistare, avrebbe dovuto partire dal basso e far conoscere il suo nome vista la sua condizione di latitante, e allenare la squadra di qualche chiesetta non gli andava per niente.

L’entità ridacchiò soddisfatta, portando entrambe le mani sui fianchi dell’uomo.

-Vedo che inizi a ragionare… Basta riflettere un attimo per capire che una vita normale non fa per te. Questa è la strada che hai intrapreso e non puoi cancellare il passato. Io e te saremo insieme per sempre…

Reiji sussultò sentendo la sua tasca farsi più pesante: il cellulare gli era stato restituito. La figura in nero si lasciò scappare un’altra risata risata di fronte a quel sobbalzo.

-Puoi riaverlo, ora che hai riaperto gli occhi so che non farai sciocchezze. Hai capito che non puoi abbandonarmi…

Quelle ultime parole ricordarono al biondo che aveva un dubbio ancora irrisolto.

-Ma tu chi sei?

L’entità si fece avanti, arrivando quasi a toccare le labbra dell’altro con le sue, mentre il suo mantello sembrò acquistare vita propria e avvolgere i due, separandoli da ogni raggio di luce.

Spaventato come se fosse sul punto di essere divorato da una bestia, Kageyama chiuse gli occhi, preparandosi per qualsiasi cosa fosse successa dopo.

 

Io sono le tenebre che avvolgono il tuo cuore. Da sempre sono al tuo fianco e non potrai mai liberarti di me. Ma in fondo non lo vuoi nemmeno, è inutile che ti ribadisca il concetto!

Non abbandonarti a sciocche fantasie, Reiji, abbiamo del lavoro da fare…

 

Quando il giapponese riaprì gli occhi era di nuovo solo, la via era deserta e la luce era tornata a baciare i suoi occhi. L’allenatore dovette poggiarsi al muretto per non cadere, l’esperienza l’aveva lasciato tremante e con il cuore che batteva a mille.

Nel momento in cui si fu calmato, Kageyama fece scivolare una mano in tasca per recuperare il suo cellulare ed esaminarlo: l’apparecchio era ancora aperto sul numero di Garshield, che Reiji osservò attentamente prima di chiudere la rubrica e avviarsi verso l’uscita del vicolo.

Sarebbe tornato in hotel, quell’incontro spettrale l’aveva scosso profondamente e l’uomo aveva bisogno di tempo e solitudine per riflettere sull’accaduto. Il giorno dopo avrebbe ricominciato la sua ricerca per una squadra, affondando sempre di più in quell’oscurità ammaliante da cui si era fatto rapire in giovane età.

 

~~~~~~~~~

Angolino rotondo

 

Ho sempre sognato di scrivere qualcosa su un Kageyama sdoppiato. Con questa fic mi sono finalmente tolta lo sfizio! Per ora…
Era da tanto che non facevo una fic completamente introspettiva, spero sia gradita. L’episodio è ambientato tra seconda e terza serie, quando Kageyama era ancora alla ricerca del Team K in Italia.
Che altro dire… È tutto molto ambiguo, ma la cosa è voluta. Volevo dare all’entità un’aura seducente e irresistibile, quella che caratterizza il lato oscuro della vita. Spero di non avere esagerato, darsi un contegno è stato difficile X°

Spero che la storia vi sia piaciuta!

Ci sentiamo presto,

 

-Lau

 

   
 
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