-
Nihil inimicus
quam sibi ipse -
Gli italiani avevano un che di altamente irritante. La loro giovialità, la
loro assurda apertura al contatto fisico, le loro feste così incredibilmente
chiassose e insensate. Cosa spingeva le persone ad affollare le piazze vestite
con le maschere più bislacche e ingombranti mai viste?
“Lo sai che lo fanno per festeggiare il
martedì grasso prima di entrare in un periodo di digiuno e penitenza”
Che festività senza senso. Mentre guardava la gente in maschera ridere e
divertirsi in Piazza San Marco, Kageyama non faceva che interrogarsi sul motivo
che lo aveva spinto a studiare la lingua e la cultura italiana in gioventù.
“Hai deciso di studiare questo paese
perché tuo padre ha passato il suo periodo più felice giocando per le squadre
italiane”
Un motivo stupido e insensato ovviamente, un errore di giovinezza, ma Garshield era in grado di sfruttare ogni errore a suo
vantaggio. Per questo l’aveva mandato lì, in quella landa di barbari, per
comporre una rappresentativa italiana fedele alla loro causa da sostituire a
quella ufficiale durante il Football Frontier International. Ma l’unica cosa
che l’allenatore giapponese aveva trovato fino a quel momento era un motivo per
mollare tutti quei complotti e i piani di vendetta per iniziare una nuova vita.
La piccola Rushe era diventata il suo pensiero fisso, voleva andare a trovarla
più spesso e farle compagnia, invece era costretto a vagare di città in città
in cerca di una squadra da allenare.
Ma forse quella condizione si poteva ancora cambiare…
Mentre si allontanava dalla piazza gremita di gente, Kageyama prese il
cellulare e guardò il numero del suo capo, pensando a cosa fare. Poteva
inventarsi un problema che gli impedisse di andare a Liocott,
oppure poteva semplicemente chiedere a Garshield di
assegnargli un compito più stabile che gli permettesse di rimanere in Italia.
Una possibilità di convincere il magnante del petrolio c’era, ma per prima cosa
Reiji avrebbe dovuto chiamarlo.
Mentre l’allenatore rifletteva su come portare avanti la conversazione, una
figura completamente vestita di nero e avvolta in un mantello del medesimo
colore emerse alle spalle dell’uomo e con un gesto veloce gli rubò il telefono,
correndo poi avanti.
Completamente colto alla sprovvista dalla cosa, Kageyama esitò un attimo
prima di reagire con comprensibile rabbia.
-Me lo restituisca!-
L’individuo in maschera si girò, mostrandosi meglio: oltre agli abiti
completamente neri indossava un tricorno in testa dello stesso colore, mentre
sul viso indossava una maschera bianca con la base appuntita e le fattezze
umane appena accennate. La maschera copriva completamente il volto dello
sconosciuto e in qualche modo doveva alterarne la voce, visto che la risata
dell’individuo alla richiesta di Kageyama risultò strana, spiritata, innaturale.
Davanti all’ilarità dello straniero l’allenatore si rese conto di essersi
talmente alterato da aver urlato in giapponese, cosa che alimentò la sua rabbia
e la condì con dell’imbarazzo.
“Ora quel tipo mi crederà un turista sprovveduto.” Era quello il pensiero
che più turbava il giapponese, ma avrebbe fatto ricredere il ladro in un modo o
nell’altro. Doveva risanare il suo orgoglio ferito e soprattutto recuperare il
cellulare, pieno di informazioni e contatti importanti, oltre che il mezzo per
iniziare una nuova vita.
Quando il ladro riprese a correre Kageyama non esitò a inseguirlo, le gambe
lunghe e allenate a resistere all'età lo rendevano in grado di muoversi con
grande velocità e i sensi affinati sul campo di calcio in giovinezza gli
permettevano di schivare i passanti anche poco prima di schiantarsi contro di
loro.
Nonostante questo l’uomo in maschera sembrava irraggiungibile, era sempre
abbastanza vicino da poter seguire i suoi spostamenti ma troppo lontano per
poterlo fermare.
Mentre correvano, i due si allontanarono sempre più dalle strade affollate
di visitatori e gente in maschera, fino a raggiungere i vicoli più stretti e
isolati di Venezia.
La figura in maschera si muoveva in maniera caotica e disorganizzata,
zigzagando casualmente per le strade. Proprio questo suo modo di fuggire
sgretolato lo portò a infilarsi in una stradina ancora più angusta delle altre,
che terminava in una piccola apertura colma di luce che impediva di vedere cosa
ci fosse oltre quel punto.
Ancora una volta Reiji non esitò a seguire lo sconosciuto e si infilò nel
vicolo stretto, sperando che qualche passante impedisse all’uomo in maschera di
continuare a scappare, ma il vicolo era completamente deserto. La figura in
nero raggiunse in fretta la fine del vicolo, venendo inghiottita dalla luce, e
poco dopo varcò quella soglia soleggiata anche Kageyama, che rimase però
abbagliato e fu costretto a fermarsi. Quando gli occhi neri dell'allenatore si
ripresero, l’uomo si rese presto conto della situazione assurda in cui si
trovava: il vicolo terminava in un ponte sospeso su un canale e il ponte
terminava a sua volta su una soglia sigillata da una porta in legno dall’aria
logora e antica. Dell'uomo in maschera però non c'era alcuna traccia. Non
poteva essere entrato nella porta, non avrebbe mai potuto aprirla e richiuderla
nei pochi secondi che erano serviti a Reiji per raggiungere quel punto, poi
l’allenatore avrebbe dovuto sentire qualcosa, il rumore del legno che
scricchiolava o il suono dei cardini che cigolavano, invece intorno a lui
regnava sovrano lo sciabordio del canale.
Non riuscendo però a trovare altra spiegazione se non che il ladro si era
infilato in quella casa, Kageyama iniziò a tentare di forzare la porta, urlando
e chiedendo ai proprietari di aprirgli.
Non ricevendo nessuna risposta, Reiji rinunciò a quel tentativo,
convincendosi che ormai l’unica cosa da fare era chiedere lo sgradito aiuto
delle forze dell’ordine, e tornò sui suoi passi, rimmergendosi del vicolo. Ma,
proprio quando era ormai a metà della stradina, l’allenatore si sentì afferrare
i polsi e sbattere con decisione contro il muro del vicolo. Con grande sorpresa
per il giapponese, l’autore di quella aggressione era proprio l’uomo in
maschera, rispuntato dal nulla e che, a causa dello spazio angusto in cui si
trovavano, si trovava a pochi centimetri dall’altro; troppo vicino per
l’allenatore, che subito iniziò a dibattersi nel tentativo di liberarsi, ma la
presa dello sconosciuto era ferrea. Sconfitto e umiliato, Kageyama ringhiò,
fulminando nel contempo con lo sguardo celato dalle lenti scure l’uomo che
aveva davanti.
-Chi è lei? E cosa vuole da me?
Sibilò il biondo e l’uomo in maschera, per tutta risposta, emise un'altra
risata spiritata.
-Ma come, ti basta iniziare a pensare di cambiare vita per dimenticarti
completamente di me?
Lo sconosciuto portò i polsi di Reiji in alto, sopra la testa del
giapponese, per poterli tenere con una mano, poi con quella libera si tolse la
maschera.
Nel vedere il volto del suo aggressore, Kageyama sentì il suo cuore saltare
qualche battito: la persona che aveva davanti era una sua copia identica, o
almeno identica al sé stesso di qualche mese prima, quando ancora portava i
capelli grigi legati in una coda bassa sulle spalle.
Gli occhi dell’entità si illuminarono di una luce malefica vedendo lo
stupore del suo prigioniero.
-Come mai così sorpreso? Pensavi davvero che ti avrei lasciato mandare
all’aria quarant’anni di sacrifici senza fare nulla?
Il biondo boccheggiò, ancora incapace di comprendere la situazione, riuscendo
poi a biascicare solo poche parole.
-Chi sei tu…?
L’entità emise una risata, scuotendo appena la testa, poi lasciò che le sue
mani scivolassero dai polsi dell’allenatore alle sue mani, che strinse appena.
-Io sono te e tu sei me, anche se ora vuoi abbandonarmi. E per cosa poi?
Una bambina? Non ti facevo così sentimentale, Reiji.
Kageyama cercò di recuperare il suo naturale contegno, pensando a come
contrastare quella che, secondo lui, era solo un’illusione creata dalla sua
mente.
-Rushe è speciale, per stare con lei sono pronto a sacrificare qualsiasi
cosa.
La stretta dell’entità si fece più decisa, senza mai risultare violenta,
mentre accorciava la distanza tra lui e il suo doppio.
-Qualsiasi cosa, per una bambina così? E perché, ti fa pena? Ti senti in
così in colpa nell’averla mandata per sbaglio all’ospedale? Non ti sei fatto
così tanti scrupoli quando hai fatto investire la piccola Gouenji…
L’allenatore emise un verso stizzito e distolse lo sguardo. Mentre cercava
di distrarsi da quella velenosa affermazione, Kageyama si rese conto di poter
sentire il respiro della figura in nero sulla sua pelle, il calore delle dita
intrecciate alle sue… Era davvero un’illusione? Cosa stava succedendo?
-Pensi davvero che basti una telefonata per cambiare vita? Vestirti di
bianco e tingerti di biondo ti ha annacquato il cervello? Non puoi cancellare
quello che abbiamo fatto, anche se i mocciosi della Raimon hanno distrutto
quasi tutto.
Il giapponese si morse le labbra: quei pensieri gli balenavano in testa da
tanto, sentirli espressi ad alta voce era devastante per la sua voglia di
cambiamento e questo l’entità lo sapeva.
-Abbiamo passato quarant’anni a costruire il nostro impero, a eliminare
ogni avversario o minaccia che ci si è posta davanti, e siamo stati terribilmente
bravi a farlo. Dimmi, quante persone abbiamo visto resistere così tanto al
fianco di Garshield?
Reiji trattenne un attimo il respiro prima di dare una risposta.
-Nessuno…
Un lampo di soddisfazione attraversò gli occhi neri dell’entità, dando loro
una parvenza selvaggia.
-Esatto. Garshield ha bisogno di noi perché siamo
i migliori e noi abbiamo bisogno del suo aiuto per finire la nostra vendetta.
Non vorrai lasciare che la Raimon la passi liscia dopo tutto quello che ci ha
fatto…!
Kageyama scosse la testa, come se volesse liberarsi dalle parole dell’altro
che lentamente si insinuavano nelle sue convinzioni.
-Non mi interessa più, voglio iniziare a vivere una vita normale!
L’entità fece scivolare via una delle sue mani per alzare il mento
dell’allenatore, in modo che i loro occhi neri potessero incontrarsi.
-Non sei fatto per essere normale, Reiji. Sei diverso, sei nato per stare
al potere, comandare gli altri e appagare la tua ambizione. Nessuna difficoltà
ci ha fermati perché niente può tenerci lontani da ciò che ci spetta di
diritto. Quanto pensi di durare in una vita tranquilla? Non potrai badare a
Rushe tutto il tempo, quanto tempo ci impiegherai per farti venire a noia la
calma?
A questo Kageyama non aveva pensato. Cosa avrebbe fatto quando Rushe era a
scuola o faceva altro? Avrebbe lavorato? Era abituato a una mansione da
dirigente, un qualsiasi altro incarico gli sarebbe risultato estraneo,
fastidioso e un posto di comando non si trova facilmente senza i giusti
appigli. Anche un lavoro da allenatore era difficile da conquistare, avrebbe
dovuto partire dal basso e far conoscere il suo nome vista la sua condizione di
latitante, e allenare la squadra di qualche chiesetta non gli andava per
niente.
L’entità ridacchiò soddisfatta, portando entrambe le mani sui fianchi
dell’uomo.
-Vedo che inizi a ragionare… Basta riflettere un attimo per capire che una
vita normale non fa per te. Questa è la strada che hai intrapreso e non puoi
cancellare il passato. Io e te saremo insieme per sempre…
Reiji sussultò sentendo la sua tasca farsi più pesante: il cellulare gli
era stato restituito. La figura in nero si lasciò scappare un’altra risata risata di fronte a quel sobbalzo.
-Puoi riaverlo, ora che hai riaperto gli occhi so che non farai
sciocchezze. Hai capito che non puoi abbandonarmi…
Quelle ultime parole ricordarono al biondo che aveva un dubbio ancora
irrisolto.
-Ma tu chi sei?
L’entità si fece avanti, arrivando quasi a toccare le labbra dell’altro con
le sue, mentre il suo mantello sembrò acquistare vita propria e avvolgere i
due, separandoli da ogni raggio di luce.
Spaventato come se fosse sul punto di essere divorato da una bestia,
Kageyama chiuse gli occhi, preparandosi per qualsiasi cosa fosse successa dopo.
Io sono le tenebre che avvolgono il tuo cuore. Da sempre sono al tuo fianco
e non potrai mai liberarti di me. Ma in fondo non lo vuoi nemmeno, è inutile
che ti ribadisca il concetto!
Non abbandonarti a sciocche fantasie, Reiji, abbiamo del lavoro da fare…
Quando il giapponese riaprì gli occhi era di nuovo solo, la via era deserta
e la luce era tornata a baciare i suoi occhi. L’allenatore dovette poggiarsi al
muretto per non cadere, l’esperienza l’aveva lasciato tremante e con il cuore che
batteva a mille.
Nel momento in cui si fu calmato, Kageyama fece scivolare una mano in tasca
per recuperare il suo cellulare ed esaminarlo: l’apparecchio era ancora aperto
sul numero di Garshield, che Reiji osservò
attentamente prima di chiudere la rubrica e avviarsi verso l’uscita del vicolo.
Sarebbe tornato in hotel, quell’incontro spettrale l’aveva scosso
profondamente e l’uomo aveva bisogno di tempo e solitudine per riflettere
sull’accaduto. Il giorno dopo avrebbe ricominciato la sua ricerca per una squadra,
affondando sempre di più in quell’oscurità ammaliante da cui si era fatto
rapire in giovane età.
~~~~~~~~~
Angolino rotondo
Ho sempre sognato di scrivere qualcosa su
un Kageyama sdoppiato. Con questa fic mi sono finalmente
tolta lo sfizio! Per ora…
Era da tanto che non facevo una fic completamente
introspettiva, spero sia gradita. L’episodio è ambientato tra seconda e terza
serie, quando Kageyama era ancora alla ricerca del Team K in Italia.
Che altro dire… È tutto molto ambiguo, ma la cosa è voluta. Volevo dare
all’entità un’aura seducente e irresistibile, quella che caratterizza il lato
oscuro della vita. Spero di non avere esagerato, darsi un contegno è stato
difficile X°
Spero che la storia vi sia piaciuta!
Ci sentiamo presto,
-Lau