P |
iena di speranza.
Sansa si sente così: come se il solo
trovarsi su quell’auto, con Tormund che preme sull’acceleratore, fosse già una
certezza. Trovare zio Benjen, scoprire la storia di Jon, farlo trasferire in
una clinica.
È seduta dietro con Arya, ma nota le
continue occhiate che Petyr le lancia tramite lo specchietto.
Da quel giorno lontano in cui è
fuggita da Joffrey, lui non l’ha più lasciata.
È rimasto al suo fianco, le ha dato
conforto, l’ha aiutata.
Il Mastino non può avere ragione. No. Petyr tiene a lei, più di Sandor, che se
n’è andato senza una spiegazione.
Gelosia.
Forse è per quello… ma ora, mentre il
gigante dai capelli rossi ride per qualcosa detto da Arya, Sansa si abbandona
ai ricordi.
“Dov’è
il ragazzo? Jon!”
Arya che fa un passo avanti, che
solleva il mento, che lo invita a entrare. Arya che gli racconta…
Che rivive quanto accaduto a loro fratello.
“Puoi
portarci da lui? Da Benjen?”
Silenzio. Passi pesanti sul pavimento
della cucina, il liquido ambrato che trema nel bicchiere tra le sue mani. E un
cenno.
Un cenno e una conferma che si
trasformano in un fiume di parole.
La corsa in auto… Sansa che ripensa a
Sandor, a quanto le ha detto prima di andarsene.
“Lui
non si fermerà.”
Eppure, in quel momento, mentre
incontra gli occhi di Petyr riflessi nello specchietto, lei allunga le labbra e
sorride.
È rimasto, non se n’è andato. E Sansa
si fida di lui…
Come potrebbe essere altrimenti?
Joffrey le ha stretto le mani intorno
al collo; Petyr ha fermato l’auto e le ha chiesto di salire…
“Penserò
io a te.”
Sandor può dire ciò che vuole, ma è
rimasto inerte, fuori dalla porta, mentre il ragazzo che amava – che credeva di amare – alzava le mani su di
lei.
Petyr le ha offerto una via di fuga:
perché non dovrebbe fidarsi di lui?
Arya stringe le dita sulla sua mano:
si è accorta di quel sorriso. Forse ha capito a chi era rivolto.
Per il resto del tragitto, Sansa
tiene gli occhi fissi sulla strada, mentre la brughiera si fa sempre più tetra.
Distese immense e vuote, dove sono solo loro.
Lei che ama i colori… che adora il
calore del sole, il profumo del mare, la vita di città.
Mentre lì c’è solo silenzio.
Proseguono, Arya fa una battuta a cui
scoppiano tutti a ridere.
L’idea di trovare Benjen sembra aver
calmato anche lei.
E poi, dopo ore, Tormund rallenta e
indica un punto davanti a loro, così lontano da risultare minuscolo.
«Cairnryan. Da lì prenderemo un
traghetto per Belfast.»
«Pensi che lo troveremo in Irlanda?»
chiede Sansa, sentendo il respiro farsi irregolare.
Il gigante solleva le braccia e
spinge al massimo sul pedale, tanto che persino Petyr cerca dei punti dove
reggersi.
Arya, invece, è di nuovo concentrata,
come se l’idea di non trovare lo zio si fosse tramutata in certezza.
Da Belfast, Tormund li porta verso
Dublino, come se fosse un suo obbligo personale. Eppure Jon non ha mai parlato
di lui… Solo un accenno, solo una parola per definirlo: amico.
Nient’altro.
Quando raggiungono la città, è tardi.
Sansa pensa di non aver visto niente di tanto bello da troppo tempo… superano
la St. Patrick Cathedral, poi Tormund ferma l’auto e li guida a piedi per le
strade di Dublino.
Sansa si guarda intorno, ammira i
palazzi alti, gli acciottolati, il ponte sul fiume Liffey, e si chiede perché Benjen sia venuto lì. Che cosa
fa? Perché non ha cercato la famiglia di suo fratello, i suoi nipoti, perché
non è andato da loro?
Petyr cammina al suo fianco, e quando
lei si volta – attratta dall’odore di un chips and lips – le prende la mano.
Arya è davanti a loro, al fianco di
Tormund. Non può vederli.
Forse è per quello che ricambia la
stretta, che china la testa, lasciando scivolare le ciocche rosse sul petto,
che gli lancia una lunga occhiata.
Lui
fa lo stesso.
Restano a guardarsi, mentre le voci
della gente riempiono le strade illuminate dalle luci dei pub.
Poi il gigante si ferma. Arya con
lui.
Mentre solleva il capo verso la
chiesa, Sansa ritira la mano, giungendola all’altra.
«È qui?»
Arya storce il naso. «In una chiesa?»
Non hanno bisogno nemmeno di entrare.
Vedono uscire un prete e Tormund lo raggiunge. Forse, pensa Sansa, vuole
chiedere informazioni.
Parlano fitto fitto, e lei non riesce
a sentire una parola.
Ma poi, quando solleva gli occhi e lo
guarda meglio, riconosce i lineamenti. Lo sguardo. Il sorriso.
È
lui.
Sono seduti in un ristorante, per la
felicità di sua sorella.
Petyr è sulla panca vicino a Sansa,
una mano sul bordo del tavolo e l’altra sulle ginocchia. Ha un sorriso – quel sorriso – che sembra dire quanto
sia interessato a quel racconto.
Ma lei sa che non è così…
«Non avrei mai pensato di trovarti
vestito di nero» dice Arya, scorrendo l’indice sul menù.
«Non lo pensavo neanch’io. Ma era la
volontà di mio padre.»
Sansa si china appena in avanti.
«Come mai non ne sapevamo niente?»
Benjen scrolla le spalle, beve un sorso
di birra. «Dopo l’incidente era doloroso per me pensare di rivedervi. Diciamo
che è stato allora che ho trovato la fede.»
Arya scambia uno sguardo con lei,
interrotto dal cameriere che poggia un piatto sul tavolo. Sono focacce. Focacce
a forma di lupo.
«Dicci di Jon» esclama sua sorella,
con la bocca piena del piatto omaggio. «Come vi siete trovati?»
«Amici. Alcuni amici gli hanno detto
dov’ero.»
D’istinto, Sansa lancia un’occhiata
alla finestra, dove Tormund sta fumando una sigaretta sul marciapiede. Amici.
Non sa perché, ma tutto le ricorda
Jon. Tutto. Il modo brutale che ha il
gigante di ridere, l’espressione tetra di zio Benjen – come se sapesse già il motivo per cui sono lì – persino il cielo
cupo sopra Dublino.
«L’hai riconosciuto subito?»
«Ma certo. Come ho riconosciuto voi.»
Senza volerlo, Sansa coglie un
luccichio divertito negli occhi di Petyr. Senza
volerlo, sotto il tavolo, allunga il mignolo verso di lui, a toccare la sua
mano.
«Sono passati anni» Arya fa una
smorfia.
«Eppure vi ho riconosciuto.»
«Magnifico.»
«Ma ditemi» prosegue Benjen. «Non mi
avete ancora spiegato come mai Jon non è con voi.»
Uno sguardo, poi Arya comincia a
raccontare. Ancora.
Come se rivivere quella notte potesse
aiutarle ad accettarla.
E quando finisce di ricordare, l’espressione
dello zio non sembra stupita. Non quanto dovrebbe.
«Si è messo nei guai…»
«No» lo corregge Sansa, mentre le
dita si Petyr si intrecciano alle sue. «Jon voleva solo proteggermi. Non poteva
immaginare che…»
«C’è un motivo se hanno fatto tanta strada»
la interrompe Petyr, lasciandola. Appoggia i gomiti al bordo del tavolo e si
regge il mento con le mani. «Il ragazzo… ha un problema. Servono documenti,
informazioni, un foglio firmato da un parente che permetta lo spostamento in
una clinica privata.»
Arya stringe gli occhi e aspetta una
risposta da Benjen.
«Cosa posso fare per voi? Perché non
se n’è occupato Robb? O Sansa…»
Lei giunge le mani e si sporge in
avanti. «Non potevamo, zio. Abbiamo guardato dappertutto… ma non abbiamo
trovato niente. Nessun documento di Jon, niente di niente. Come se non fosse
nostro fratello…»
Petyr le sorride: ha capito il suo
gioco.
Nominare subito loro zia, fuggita
chissà dove, non avrebbe portato a niente. Deve essere lui a decidere di
parlarne.
«Non bastava una firma, o qualcuno di
voi che ne attestasse la parentela…»
«No» dice Arya, facendosi più vicina
a Benjen, come se volesse impedirgli di andarsene.
«E avete fatto tanta strada solo per…
per cosa?» chiede, dopo una pausa.
Stavolta è Sansa a guardare sua
sorella, a stringere le labbra un istante prima di rispondere.
Poi fa un sospiro.
«Speravamo che tu potessi dirci chi
è. Chi sono i suoi genitori. Sappiamo che non è davvero nostro fratello»
aggiunge, mentendo, come se fosse l’unico modo per ottenere la verità.
«E come lo sapete?»
«Lo sappiamo e basta» dice Arya,
voltando tutto il corpo verso di lui.
Benjen abbassa gli occhi, si volta
verso la finestra, dove il cielo sembra minacciare pioggia.
Come
starà Jon?
«È una storia che non dovreste
sapere» mormora.
Poi, comincia a raccontare.
Ω
Petyr non pensava che avrebbe mai
dormito a Dublino, che avrebbe affittato diverse camere per la notte solo per
stare vicino a Sansa.
Invece ora è lì che cerca di prendere
sonno, l’occhio fisso sulla porta. Come se lei
potesse entrare in quella stanza, come se potesse voler stare con lui.
Non
è così.
Non stanotte, non dopo quello che ha
scoperto. Che possa volgere a suo vantaggio? O a vantaggio di lei, in qualche
modo?
Non lo sa, e forse nemmeno gli
importa. Non ora, non con lei dall’altra parte del muro, rannicchiata sotto le
coperte mentre cerca di dormire.
Forse, se Cat avesse saputo, non
avrebbe odiato il ragazzo. Forse lo avrebbe accettato, compatito, forse persino
apprezzato.
Petyr ricorda un giorno lontano, in
cui l’aveva incontrata. Lei, Eddard e i bambini. Tutti i bambini. Anche il bastardo.
Ricorda il modo in cui lei sembrava
escluderlo, il modo in cui allungava carezze e sorrisi a tutti gli altri.
Tranne che a lui.
Povera
Cat.
Se solo avesse saputo…
Se
anch’io avessi saputo… le cose sarebbero andate diversamente. Forse ora non ci
troveremmo qui.
Un bussare alla porta, la certezza
che si tratti di lei.
Petyr balza in piedi, raggiunge
l’uscio e lo apre.
«Sansa» sussurra, scostandosi.
«Entra.»
Lei china la testa e obbedisce, come
se ci fosse abituata.
Quando sono soli, davvero
soli, con le luci del corridoio svanite, si lascia andare a un lungo sospiro. E
lo guarda.
«Tu lo sapevi?»
«No» risponde, con un cenno della
testa. «Certo che no.»
Ed
è stata una grave mancanza, la mia…
Sansa resta a studiarlo, incerta. È
come se Petyr potesse sentire la sua mente – il suo cuore – mentre decide se fidarsi di lui.
«E ora?» domanda, stringendo gli
occhi rivolti alla finestra, da cui entra l’unica luce.
Nella penombra, Petyr scorge i
riflessi dei suoi capelli, che appaiono neri.
Non sa nemmeno lui cosa fare, cosa
dire.
Cambierà qualcosa, ora?
«Non me lo aspettavo» aggiunge Sansa.
«Nessuno di noi se lo aspettava.»
Benjen
si era tirato indietro, contro lo schienale della sedia. “Quattro fratelli,
Lyanna sempre tra i piedi… non era come le altre. Ned la ammirava.
Tutti la ammiravamo. Amava gli sport, e
credo sia per questo che sia io che Ned abbiamo fatto di tutto per non farci
superare da lei.
“Da
bambini è così che funziona… Competizione.”
Arya
aveva sorriso guardando Sansa.
“Ma
crescendo… impari che le cose non vanno come ti è stato insegnato.”
Nella penombra, Petyr fa un passo
verso di lei, giusto un istante prima che Sansa frapponga una mano tra loro.
«Dovresti andartene» mormora lei con
un filo di voce, socchiudendo gli occhi.
«Perché?»
«È meglio per tutti. È meglio per me.»
«Ho fatto qualcosa?»
È la prima volta che si sente così,
con lei. Come se la neve vista – immaginata,
sognata – a Grande Inverno, la nebbia languida sui fari esterni, fosse
penetrata fino alle ossa. E con lei il freddo.
Sansa spinge il palmo contro il suo
petto, e fa male, fa male come aver
guardato Cat danzare con un altro. Baciare
un altro.
«Per
favore» insiste, guardandolo negli occhi. «Non farti trovare domattina. Va’
via.»
«Sansa, se potessi cancellare…»
«Non dirlo. Ti credo. Non ne sapevi
niente, in fondo chi poteva immaginarlo? Ma voglio che tu te ne vada.»
“E
Lyanna aveva degli ammiratori?” aveva chiesto Sansa.
“Oh,
sì. Molti. Ma Lyanna ha il sangue del lupo… e tu, Arya, tu le somigli molto.”
«Perché?» Petyr resta immobile,
osservandola raggiungere la porta. «Se mi dirai perché, me ne andrò.»
«Non hai bisogno di un motivo…
Vattene, per favore.»
Sansa si ferma davanti all’uscio, la
mano sulla maniglia e la testa china.
Lui la conosce troppo bene, crede di conoscerla troppo bene, per non
capire. Per non sapere.
Un passo, si avvicina a lei, lento
come se temesse una sua fuga.
«Continui a dirmi di andarmene…»
sussurra, girandole intorno, bloccando l’uscita. «Ma sei ancora qui.»
E quando Sansa sgrana gli occhi, sa
di aver visto giusto. Sa che non se ne andrà.
Scorre la mano sul legno, fino alla
maniglia. Basta sfiorarle la mano per sentirla sussultare.
«Credevo che tu sapessi. Che fosse
colpa tua quanto accaduto a Jon. Credevo fossi stato tu…»
«E mi hai tenuto vicino?»
«Sì» “Come mi hai insegnato” è una frase che rimane sospesa nell’aria
tra loro, come un segreto che custodiscono entrambi.
“Lo
diceva anche mio padre”, aveva risposto Arya, compiaciuta. “Mi piacerebbe
conoscerla…”
“Lei
non è qui. Non so dove sia, da quando ha preso a viaggiare nessuno ha più
saputo niente di lei. Potrebbe anche essere morta… Ah, Lyanna…”
Petyr
aveva inclinato la testa di lato, studiandolo. “Da come ne parli, sembra che tu
l’abbia conosciuta molto
a fondo…”
“È
sua sorella” era intervenuta subito Arya. “Funziona così tra fratelli,
Baelish.”
“Zio”
Sansa si era fatta avanti, posando il palmo aperto sul tavolo. “Non siamo qui
per la storia di Lyanna, ma per Jon. E non abbiamo… tempo. Jon non ha tempo.”
“Puoi
dirci chi sono i suoi genitori? Nostro padre c’entra qualcosa con lui?”
“Sì”
aveva sussurrato Benjen dopo una pausa. “Vostro padre sapeva tutto. E li ha
protetti… Ci ha protetti.”
«Perché?» chiede ancora Petyr. «Sei
venuta qui per mandarmi via, ma ora sei tu a restare. Perché, Sansa?»
Nel buio, coglie il suo sguardo, ciò
che vorrebbe dire e non dice.
«Io… devo andare.»
Un colpo incerto, la maniglia che si
abbassa, lasciando entrare la luce del corridoio.
Sansa stringe gli occhi, accecata,
mentre lui ritrova i suoi colori, quei colori che ricordano Cat.
In un istante, la mano di Petyr si
stringe intorno al suo polso, tirandola dentro.
«No» sussurra, spingendo la porta per
richiuderla. «Non devi.»
“È
stato… un caso? Dopo una partita di calcio, Lyanna che faceva equitazione lì
vicino. Un temporale, la casa vuota… è successo e basta.”
“Cosa
intendi?” aveva chiesto Sansa. “Non capisco.”
“Lyanna
è la madre di Jon” risponde Benjen, mentre lo stupore si allarga sul volto di
Petyr. “E io sono… dovrei
essere suo padre.”
“Per
questo sei venuto qui? Per questo non ti sei mai fatto vivo con noi?”
Il
cielo scuro riflesso negli occhi, Benjen aveva fatto appena un cenno. “Lyanna è
scappata. E io… io ho fatto lo stesso.”
«Non devi» ripete Petyr, tirandola
verso di sé. «Non devi andare più da nessuna parte.»
«Ma non capisci? Siamo venuti qui per
niente!»
Ora, nella sua voce, riesce a sentire
tutto. Tutto ciò che ha provato, il
sospetto nei suo confronti, chiedergli di andarsene, di lasciarle sole…
pensando che sia tutto perduto.
Fa scorrere le mani intorno al collo,
lungo le spalle, fino alle braccia. Si china per baciarla quando qualcuno bussa
alla porta.
Sansa si scosta subito, mentre Petyr
va ad aprire. È Arya.
«Sansa» chiama, con un’espressione
indecifrabile. «Non eri in camera tua, così ti ho cercato qui.»
La vede arrossire, gote e capelli
rossi che evidenziano gli occhi chiari.
Se solo non fosse arrivata Arya…
«Cosa c’è?»
Sua sorella sembra arrabbiarsi,
eppure, in un momento, un sorriso si allarga sul suo volto.
Come se non potesse trattenersi dalla
felicità.
Che
abbia sentito Benjen? Che lui abbia trovato dei documenti?
«Jon» dice Arya, concentrandosi solo
su Sansa. «Mi ha chiamato Robb. Ha detto che tu non rispondi mai, che ha
provato a chiamarti per tutto il pomeriggio…»
«Sì, sì, vai avanti. Come sta Jon?»
Lei sorride, ancora, forse persino
più di prima. «I dottori dicono che è fuori pericolo. È salvo, Sansa. Jon ce la
farà.»
Note
dell’autrice:
Ciao a tutti!
Mi dispiace davvero tantissimo di
essere in ritardo. Odio essere in
ritardo, ma è un mese che arrivano complicazioni, una dietro l’altra. Spero che
il capitolo vi sia piaciuto, anche la mia interpretazione sulle origini di Jon.
In fondo, dai libri non arrivano ancora certezze di nulla, no?
Grazie a chi ha letto, a chi vorrà
lasciarmi un parere o aggiungere la storia tra preferite/seguite.
Scusatemi ancora per il ritardo.
A presto!
Celtica