Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Momo Entertainment    12/03/2017    2 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ESGOTH 3



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
Beta reading and de-stubbing: 
🍦
Seguiteci su instagram: @esg_offical_ig








Early Summer Girls

Capitolo 16

Vedete? È sangue umano, non divino

 

«...Una droga artificiale che concede l'immunità per un periodo limitato di tempo, hai detto?»
 
La Campionessa di Sinnoh aveva gli occhi puntati verso la grata bronzea del cancello serrato.
 
La Lega di Unima era diversa da quelle delle altre regioni, era nata più tardi siccome la guerra che investì il territorio in tempi antichi aveva frenato ogni tipo di attività ludica visto che i Pokémon venivano reclutati come soldati a fianco degli uomini senza alcuna pietà.
 
La differenza sostanziale era già impostata nelle premesse: gli Allenatori potevano sfidare i Superquattro nell'ordine che più preferivano. Il fautore di questa bizzarra rivoluzione che dunque aboliva ogni tipo di gerarchia fra i membri della Lega non poteva che essere Nardo.
 
La giovane donna riportò l'attenzione sulla recluta con cui aveva fatto un qualcosa, qualcosa di neppure vagamente simile al fare amicizia, ma comunque diverso dal fare a botte.
 
«Sì. - Voltandosi piano, la recluta dai capelli blu le venne vicino - Ghecis vorrebbe iniziare il contrabbando del Sangue del Drago, per questo prima lo ha testato su delle persone invece che sui Pokémon.
 
Vorrei poterti dire altro, ma non so nulla oltre a queste cose che ti ho appena detto.
Forse Georgia potrebbe saperne di più... Lei è la nostra leader del resto, è la persona più vicina a Ghecis Harmonia.»
 
Dopo che Lucinda, le aveva detto di chiamarsi così almeno, ebbe finito di parlare, Camilla ponderò bene che domanda fosse necessario farle pur di far chiarezza su quella faccenda.
 
Da come si era spiegata, ora Ghecis era diventato un venditore all'ingrosso di droga, uno spacciatore insomma. La sua strategia quindi risiedeva nel puntare alla fascia più debole della popolazione di Unima, quella più disillusa e stremata dalla crisi, dalla disoccupazione, quella che non credeva più nell'amicizia fra umani e Pokémon e non vedeva più nella fatica e nel duro lavoro la chiave per il successo: i giovani.
 
Tuttavia per quanto catastrofico ed incerto questo piano suonasse alle sue orecchie lei non poteva fare nulla di concreto per fermarlo in quel momento. Quella sensazione di impotenza la fece imbestialire.
 
«Devo andarmene di qui.» 
Ripeté fermamente, guardandosi intorno in cerca di qualche via d'uscita.
 
Lucinda le sorrise ancora, emulando l'abitudine della sua avversaria in kimono bianco latte.
 
«Sii paziente, Campionessa. È solo questione di tempo che... - subito la ragazza interruppe i suoi giri di parole non appena l'altra la minacciò facendo gesto al suo Garchomp di avvicinarsi a lei - H-Hey, calma!
Lo sai che i cancelli non si aprono prima della fine di una lotta?
 
Ma non di una lotta normale, di una battaglia violenta. Come piace a noi.»
 
«Certo che lo so.» La bionda si toccava nervosamente il ciuffo, ormai unto e sudato.
 
Lucinda l'aveva incastrata sull'orlo del precipizio bloccandole l'unica via di scampo.
 
Sapeva che la bionda non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare una ragazzina in una battaglia violenta, non lo avrebbe fatto neppure se si fosse trattato della temutissima recluta in persona.
 
Lei non era una persona aggressiva: amava le lotte, amava farle, amava guardarle, ma questo non faceva di lei una sadica che gode nel far soffrire il prossimo.
 
E di conseguenza, dall'alto del suo titolo conferitole dalla regione di Sinnoh, non poteva che disprezzare coloro la cui mania di far del male aveva fatto dimenticare ciò che di bello e sano la contesa ha da offrire.
 
Si alzò in piedi, sovrapponendo l'ombra del suo corpo prosperoso alla flebile luce della luna nel punto più alto del cielo. Doveva essere l'una di notte passata.
 
Si diresse verso uno scaffale, decisa come non mai nelle sue intenzioni.
Anche l'avessero definita una codarda senza il coraggio di affrontare uno scontro corpo a corpo poco gliene importava, per dirla tutta gliene importava tanto quanto le voci che la dipingevano come una maniaca sessuale.
 
«Cosa stai facendo?» 
Le domandò la ragazzina, calciando svogliatamente una delle sue Poké Ball posate a terra in segno di arresa.
 
La giovane donna estrasse un libro dal ripiano intarsiato e verniciato.
Diete un'occhiata al titolo solo per curiosità, sfogliò veloce tutte le pagine e lo tenne chiuso per leggere il retro, ma subito se lo dimenticò. Tipico di Camilla.
 
Successivamente rivolse una scorsa al suo fedele Pokémon Drago per metterlo al corrente delle sue intenzioni. Delle sue pazze, ma al contempo come non mai legittime intenzioni.
Chi aveva deciso che la pazzia era sempre solo un difetto e mai una dote?
 
«Garchomp, usa Lanciafiamme.»
 
Teneva quel libro dall'angolo con la punta delle dita, il più lontano possibile dai capelli e dalle sopracciglia. Il potente dragone non mancò il bersaglio.
La carta prese facilmente fuoco, il getto di fiamme incandescenti era addirittura esagerato per lo scopo che aveva, ma evidentemente il seno di Camilla non era abbastanza ampio per contenere anche un accendino insieme a tre Poké Ball.
 
Le pagine si increspavano come foglie d'autunno prima di annerirsi e dileguarsi in anidride e monossido di carbonio, la donna lo agitò in aria come se si trattasse di un trofeo.
 
Intanto una colonna di fumo si levava alta, come quella che avevano causato quelle del Neo Team Plasma per attirarle lì. Nera, grigia e poi di nuovo nera, l'aria aveva un odore irrespirabile.
 
Chiudendo gli occhi per non vedere completamente la scena, la bionda strappò una pagina immacolata del libro sul punto di incenerirsi; anche in essa vi erano molte parole, ne colse alcune come "amore", "anima", "alquanto", un avverbio che finiva in -mente e una qualche persona del verbo "devastare".
 
Avvicinò la carta bianca alla fiamma bluastra del libro che si spense subito dopo, ma trovò di cui perpetuarsi su quel foglio: Camilla strinse i denti e deglutì forte, prima lentamente, poi accelerando così tanto il gesto da non percepirne la gravità, posò due dita sopra quel fuoco, ritraendole immediatamente.
 
«Sei proprio matta.» Commentò ancora la recluta.
 
Il dito medio e l'indice della sua mano destra ora erano arrossati e gonfi, il sangue premeva di uscire dalla pelle lesa e per quanto piccole alcune bollicine sull'epidermide la facevano agonizzare dal dolore.
 
Questo di sicuro lo aveva fatto per le sue compagne.
 
La sua lotta infine era stata percepita come persa. Ben per quella, a lei bastava solo una cosa.
Vide il cancello aprirsi, solo il suo purtroppo, ma era comunque una notizia sensazionale.
 
Fece rientrare Garchomp nella Poké Ball e si diresse subito fuori, talvolta urtando contro i mobili andando a tentoni nel buio.
Prima che potesse andarsene a controllare come stessero le sue care compagne, la recluta la fermò ancora.
 
«Quando ci rincontreremo, Campionessa di Sinnoh?»
 
Chiese, senza muoversi. Aveva i capelli blu e l'uniforme completamente fradici, stava in mezzo a quell'acquazzone e i suoi occhi azzurri come lapislazzuli si vedevano ancora, la osservavano disperati.
 
La giovane le sorrise, voltandosi indietro per un secondo e sistemandosi si capelli biondi ormai disfatti e bagnati.
Corse indietro verso la ragazzina ed incrociò quegli occhi. Onestamente, non sapeva neppure lei cosa stesse facendo.
 
«Devo andare ora. Devo andare dalle mie compagne ora.»
Disse soltanto.
 
Poi le stampò un bacio leggero sulla guancia. Lo fece di getto, non riusciva a trovare una spiegazione logica a quel saluto così inappropriato, così scandaloso per un personaggio del suo rango.
 
D'improvviso provò a figurarsi quanti anni potesse avere Lucinda. Non ci volle pensare.
 
Intanto le sue gambe continuavano a muoversi fuori dalla sala, alla ricerca di un modo per ritrovare le sue quattro ragazze sane e salve, aveva sacrificato sé stessa ma ancora non aveva ottenuto il risultato che sperava. 
 
Camilla sospirò e non osò fermarsi. Andò avanti, esprimendo il desiderio che Catlina, Camelia, Anemone ed Iris fossero lì davanti ad aspettarla, che a mancare fosse solo lei.
 
Inevitabilmente però ripensò a Lucinda e alle sue parole, immaginò che fosse ancora lì.
 
Non avendo il coraggio di lasciarle un ultimo sguardo si diresse fuori, camminando a testa alta.

 
La luce eccessivamente potente della stanza permetteva di discernere a occhio nudo ognuno dei singoli granelli di polvere che fluttuavano scomposti nell'aria, rendendola asciutta, irrespirabile.
Non era vera e propria polvere. Un miscuglio eterogeneo di ciottoli, cocci e briciole di materiali diversi che si riversavano senza un ordine preciso.
 
L'impatto della mossa Codacciaio di Steelix contro il pavimento aveva a dir poco distrutto il granito nero frantumandolo come una stoviglia rotta, in cui nessun pezzo è in alcun modo riparabile.
 
Anche la confusione dovuta a tale attacco cessò e per rompere quel silenzio non sarebbe bastato il fruscio del pulviscolo caotico che aveva la stessa intensità sonora di un sussurro.
 
Nella sua mente, Jasmine pensò con il sorriso sulle labbra "missione compiuta".
Compiuta con un bel disastro, ma alla fine dalla sua parte non c'erano state ingenti perdite, solo un paio di danni psicologici dovuti alle battute acide della sua avversaria. 
 
Alla giovane recluta del Team Plasma salì l'adrenalina alle stelle. O forse era un'altra sostanza chimica a venir rilasciata nel suo corpo, una scarica di dopamina la faceva sentire euforica.
Il suo gesto avrebbe avuto delle conseguenze.
 
Sottraendo la vita di una persona allo svolgersi del fato aveva a sua volta eliminato conoscenze, incontri, occasioni e ricordi che altrimenti le avrebbero causato un'esistenza pietosa.
 
Ma ora non c'era pericolo: diede un occhio veloce all'ammasso di macerie disposte sul pavimento.
Jasmine tirò un sospiro di sollievo. Niente. Quella stupida modella era morta, finalmente.
 
Se non fosse stato così per il suo Pokémon poco cambiava, lo avrebbe preso con sé e ne avrebbe fatto un'aggiunta per il Team.
 
Erano mesi che le reclute di basso rango, le ragazzine degli ultimi anni delle medie e quelle che avevano appena cominciato le superiori solitamente, non facevano altro che racimolare esemplari scarsi, Patrat, Rattata, Pidgey e Pidove privi del qualsivoglia potenziale per la lotta.
Il Neo Team Plasma non sarebbe andato a fallire per una sciocchezza del genere.
 
Con passo lento, come un automa, la giovane di Johto scese dalla testa del suo Pokémon, posizione sopraelevata da cui aveva osservato incolume tutta la scena, e le si avvicinò piano.
Attraversò l'intero perimetro dell'arena di lotta, notando come poco a poco alcune luci fossero andate in cortocircuito ed emettessero scintille dai cavi spezzati.
 
Serbava una curiosità sadica mista ad un profondo disgusto, la sua voglia di vedere il cadavere della sua coetanea: immaginava di aver fatto il peggio, eppure non vedeva l'ora di scoprire le conseguenze del suo tentato omicidio.
 
Voleva vedere Camelia sfigurata. La pelle priva di colore, gli occhi con le pupille azzurre volte al cielo mentre la sclera bianca abbandonava ogni contatto visivo con il mondo circostante, il corpo squarciato dai tagli e il sangue incrostato, una scena da far accapponare la pelle.
 
In che modo la vita di una top model viziata, meschina e ninfomane aveva contribuito a rendere il mondo un posto migliore? A suo parere, era servita solo a sprecare carta per stampare le sue foto, a sprecare fiato per discutere i suoi scandali.
 
Quella bellissima Capopalestra aveva lasciato solo tracce di odio dietro di sé. I suoi fans avrebbero presto sostituita con un'idol dal seno più grande, la sua tragica esperienza sarebbe diventata un modello da non imitare per tutte le ragazzine che pensano alla vita come una vetrina da esposizione.
 
I suoi ex infine, loro forse erano stati gli unici a trarre qualcosa da quel miraggio di piacere, un qualcosa di transitorio e vuoto come il piacere sessuale, ma pur sempre qualcosa.
Sperò solo che Corrado si dimenticasse presto di lei, come già aveva fatto dopo la loro rottura.
 
La ragazza giaceva in posizione supina, adagiata sul lato sinistro, con la frangia nera leggermente spettinata che le copriva gli occhi. Sembrava una Venere dormiente, non riportava ferite esterne.
Jasmine allora provò a tastarle con il piede la mano coperta di smalto.
 
L'arto svilito di ella si dischiuse, lasciando scivolarle dalle candide dita una sfera Poké coperta di polvere, i segni dei polpastrelli che afferravano il piccolo oggetto rotondo erano ancora visibili.
Doveva averla tenuta sotto il torso per proteggere il Pokémon all'interno dalla frana causata dall'attacco, un atto veramente nobile per un qualsiasi Allenatore di Pokémon.
 
Ma alla brunetta non importò. Quella che aveva appena fatto fuori era una lurida sciupamaschi.
Niente e nessuno le avrebbe mai dato la possibilità di redimersi nemmeno da morta.
Soprattutto non gliel'avrebbe data lei.
 
Senza esitare oltre, quella fece per prenderle la Poké Ball dalla mano con l'intenzione di scappare il più velocemente possibile subito dopo e non rimanere a guardare ulteriormente.
 
Non ebbe il tempo di fare ciò, che il cadavere della famosa modella fremette.
 
Una risata femminile e nasale, prima molto flebile e poi sempre più aperta, distruggeva quella barriera di silenzio imbarazzante, rideva di gusto e non riusciva a fermarsi.
Era un suono delizioso sentire Camelia ridere. Lo era sempre.
 
La recluta indietreggiò spaventata, come se avesse appena toccato un essere viscido, lasciando perdere l'oggetto del suo desidero. Era davvero viva?
 
Sì che lo era. Lo era e ci teneva a farlo sapere.
 
«...Scusa... - fece per riprendere fiato la mora, non si capiva se stesse fingendo o facesse sul serio - scusa, non riuscivo più a trattenermi...»
 
Non si mosse dalla sua posizione, contorse i muscoli della schiena per dar sfogo alla risata.
 
I residui di sporcizia erano evidenti sul nero dei suoi capelli, rendendolo opaco, schiarendolo fino ad una sfumatura più simile al grigio antracite.
Il suo kimono invece non aveva neppure l'aspetto di un capo di abbigliamento: somigliava ad un insieme di stracci cuciti insieme, cuciti male per di più, neppure la fantasia a fiori che colorava il tessuto giallo limone si distingueva.
 
«Ma tu, tu non muori mai?!» Le urlò contro la giovane, correndo verso di lei.
 
Ma Camelia smise di ridere solo quando la ragazza fu per avventarsi su di lei.
Che imbecille. Non poteva richiedere l'aiuto del suo potentissimo Steelix?
Immaginò che si trattasse del classico Pokémon al cento percento obbediente alle mosse dettate dal suo Allenatore, quelli che vivono per assecondarlo e vengono trattati come macchine.
 
Jasmine la colse di sorpresa però: essendo ancora in piedi bloccò sotto la suola dei suoi stivaletti neri in dotazione con l'uniforme le maniche dello yukata della mora.
Non le pestò le braccia, fu fortunata, ma così lei si trovava bloccata a terra, senza via di scampo.
Si sarebbe dovuta preoccupare. Ma ancora, la situazione per lei era troppo stupida.
 
«Lo sai cosa mi fa ridere di tutto questo?» Le disse, sorridendo.
 
Si mosse improvvisamente, con un movimento che non richiedeva l'elasticità di un acrobata, ma il pudore che solo una modella di bikini scosciati poteva avere: in una manciata di secondi ritirò le braccia lungo le maniche larghe, lottando con gli elastici e le cuciture che le graffiavano la pelle, scostando le spalle, riuscì a liberarsi in maniera del tutto poco ortodossa.
 
Durante le sue sfilate le concedevano anche meno tempo per spogliarsi.
 
«Che quella dalla parte del torto sia tu. Non hai idea, ci godo troppo...
Credimi Jasmine, è stato bellissimo morire con la coscienza a posto. Peccato sia durato poco.
 
Meglio questo che vivere col senso di colpa a vita per aver detto cose al limite del ridicolo su una persona innocente, ma molto, molto meglio!»
 
«Non prendo lezioni di vita da una con mezze tette fuori!» 
Le ribatté quella, rabbiosa come non mai.
 
Effettivamente quella lotta così dinamica aveva causato qualche scompiglio interno ed esterno.
Camelia era riuscita a liberare le braccia prima immobilizzate estraendole dalle maniche e facendole riemergere dal largo spacco sul torace che aveva.
Ringraziò di essersi messa lo yukata, con una maglia normale non ci sarebbe riuscita.
 
E comunque, non capiva le paranoie di quella ragazzina (calcolò che portasse più o meno la stessa taglia di Iris, dunque un poco le capiva), il suo seno era in piena regola. Almeno quella volta, era perfettamente coperto e non passabile di censura.
 
«Perché non ti fai gli affari tuoi? Guarda, hai tutta la gonna abbassata... Non adatto a un pubblico di minori, direi.»
 
La giovane Capopalestra non sapeva se stesse facendo ciò per diletto o per pura curiosità.
 
Stava di fatto che quella piccola smorfiosa le aveva mostrato la sua zona più delicata senza pensarci due volte, la vedeva quando era distesa e non se ne sarebbe scordata facilmente.
Non aveva un piano in mente, era tutto congeniale alla pessima battuta che aveva fatto.
 
Con le braccia nude le afferrò l'orlo della gonna in pelle sintetica, tirandola verso il basso più forte che poté, tenendo lo sguardo fisso sul bordo del suo bacino.
È lì che si trovava ciò che le interessava: la cintura con le Poké Ball.
 
«Sei solo irritante, non me ne frega di cosa tu pensi ora!» 
Le gridò contro l'altra, provando a dimenarsi per scacciarla via da quella distanza estremamente ravvicinata con il suo inguine.
Era quella la reazione che desiderava, puro moralismo e puritanesimo.
 
Camelia prese tutte e tre le Poké Ball, staccandole dai loro ganci in fretta e furia, dovendo fare i conti a sua volta con i pugni e i calci che provenivano dalla sua avversaria ancora in piedi.
Lanciò via lontano le altre due Poké Ball, nell'ultima che era rimasta vuota fece rientrare Steelix.
 
Tenne quella sfera sospesa in mano, con l'altra che attendeva che gliela cedesse.
Ci fu un attimo di tregua dopo quel marasma confusionario e artefatte sexy.
 
«Ho vinto io.» Sibilò Camelia fra i denti, evidenziando un sorriso vittorioso.
 
«No... Non ho ancora finito... Tu sei una sporca gattamorta, lo so io quanto lo sa Corrado, tu sei una...» Ma non riuscì a terminare la frase da quanto era esausta.
 
«Ho vinto io, okay? Ora fammi uscire di qui, mi sta venendo il mal di testa.» Insistette.
 
La mora infine, mossa da una quantità industriale di pietismo accumulatasi in quello scontro, passò la Poké Ball alla sua avversaria, mentre la porta del corridoio buio da cui era entrata si illuminava, mentre tutte le lampade e i riflettori si affievolivano per la sua uscita di scena.
 
Mentre la nostra eroina camminava voltata verso l'uscita, alla solita maniera elegante che conosciamo, non riuscì ancora a spiegarsi la marea di bugie che quella ragazza aveva inventato su di lei.
 
Erano tutte bugie, cose non vere. Solo lei poteva confermarle.
Le fece schifo quanto in basso una persona potesse cadere pur di reclamare attenzione sottraendola ad altri, lei che aveva ricevuto le peggiori attenzioni poi.
Lo avrebbe volentieri definito un fenomeno passeggero, una moda di internet, ma non c'era verso.
 
Si sentiva più pulita a camminare a seno nudo davanti a milioni di persone piuttosto che inventare un finto pudore pur di spogliare gli altri della loro dignità.
 
E intanto la recluta dai capelli bruni collassò a terra, come se la spina dorsale non riuscisse più a reggere il peso del suo corpo.
 
Erano ormai le due e mezza di notte.
 
 
Se Alice non avesse attaccato dopo aver pronunciato la classica frase allertante non sarebbe stata una vera antagonista. Non si smentì: fece uscire dalla Poké Ball il suo esemplare di Skarmory, le cui ali platinate puntavano dritte verso l'alto.
 
Si massaggiò un ematoma bluastro al centro del viso e subito impartì un comando.
«Usa Eterelama.» Disse con il naso tappato, più seria che poté.
 
«Che simpatica. - Mossa dalle circostanze, Anemone si permise il suo primo accenno di sarcasmo in un discorso, sentendosi presa in giro come mai era stata - Mi hai rubato l'unico Pokémon che avevo. Cosa pensi di attaccare, ti sei fatta due domande?»
 
La sua perplessità era assai lecita. Quella recluta stringeva fra le mani la Poké Ball di Swanna, tenendola bene in evidenza per rinfacciarle l'averla disarmata già a inizio lotta.
Ma la risposta giunse da sé, non serviva un maestro per dedurla.
 
Subito un impetuoso movimento delle ali del Pokémon avversario squarciò l'aria, producendo un'onda trasversale di notevole intensità, una lama di etere, appunto.
La ragazza esperta nel tipo Volante era cosciente della velocità di quell'attacco e volle evitarlo a tutti i costi, per quanto le dispiacesse esserne il bersaglio.
 
«Non posso crederci, questa mi vuole fare secca! - pensò sconsolata - Ma cosa ho fatto di male nella mia vita per meritarmi tutto questo...»
 
La aggredirono due colpi uno di seguito all'altro, rapidi come saette e taglienti come rasoi.
Certo, le sarebbe bastato indietreggiare di qualche passo, ma l'audace giovane dai capelli cremisi non poté che cogliere l'opportunità di dimostrare quanto fosse migliorata nel periodo che la separava dalla lotta contro Camelia.
 
Inarcò la schiena all'indietro tale e quale a un giunco mosso dal vento e con le mani si sostenne, i muscoli delle cosce le diedero la forza necessaria a spingersi per poi atterrare in piedi, ricomponendosi nella posizione eretta iniziale.
Evitare un attacco Eterelama con una leggiadra rondata, quello era il suo stile.
 
Il suo piano successivo (ormai nella sua fantasia era diventata la protagonista del suo anime, che però non era mainstream) sarebbe consistito nell'attaccare fisicamente la recluta almeno per riprendersi la sua Poké Ball, visto che neppure dopo la sua epica scazzottata quella ragazza andava al tappeto.
 
Schivò veloce un'altra serie di mosse impartite con quel tono sciatto e disinteressato.
Infine le rivolse queste parole, guardandola dritta in faccia.
 
«Possiamo andare avanti anche tutta la sera, se vuoi. Però sappi che io avrei di meglio da fare.
Ho una fidanzata che mi aspetta. Una top model, sottolineo.»
 
Era ovvio che non volesse davvero restare lì tutta la notte a saltare da un capo all'altro dell'arena come una cavalletta, lo aveva detto solo per intimorirla.
 
«Oh Dio, e se anche lei ha il fidanzato? - pensò, allarmata da un'incombente scudisciata - Ho fatto un'altra figura del cavolo.»
 
Alice la fissò falsamente basita. Non credeva che quel caso umano si ascoltasse davvero quando parlava, ma allo stesso tempo era curiosa di vedere quante risorse le fossero rimaste per affrontare la parte più dolorosa della battaglia.
 
«E per ora che tu avrai fatto l'ennesima capriola per evitare gli attacchi del mio Skarmory, io ti avrò già eliminata. Quindi mi dispiace Cenerentola, niente principe azzurro neanche stasera.»
 
«A me non serve un principe, - riprese quella metafora - non sono né una principessa né una damigella in pericolo. Se non ti dispiace, me la cavo benissimo anche da sola.»
 
Alice la guardò stupita, ma quella volta dimostrava genuino stupore, non quell'espressione posticcia da pesce lesso che in realtà conosce tutta la storia.
La rossa si fermò un attimo e aspettò cauta che non si azzardasse a tirarle contro un'altro Eterelama.
 
«Skarmory, facciamola finita. Usa Ferrartigli.»
 
Il Pokémon di Hoenn subito obbedì al comando e si lanciò in planata verso il suo bersaglio, affilando gli artigli delle due zampe grazie all'attrito dell'aria.
 
La recluta scelse un attacco di tipo fisico per entrare in contatto con la sua preda, l'ennesimo attacco speciale sarebbe andato a vuoto di sicuro. Voleva sbrigarsi nel suo compito inoltre.
 
Lei non perse tempo e subito si preparò a crearsi una strategia che non fosse solo difensiva, ma anche offensiva: attese paziente senza muoversi che Skarmory le si avvicinasse.
La sua avversaria era ancora in errore, se pensava che lei si fosse data per vinta.
 
Al momento preciso (aveva notato che ce ne era sempre uno in ogni occasione) saltò in alto, contraendo i forti muscoli delle cosce, aggrappandosi con le mani agli artigli acuminati del Pokémon. La giovane subito contrasse il viso dal dolore.
 
Il piumaggio metallico caratteristico dell'uccello non le aveva aperto solo minuscoli taglietti sulle dita, le sue braccia erano striate di rosso come quelle di un'autolesionista, in alcuni punti la pelle abbronzata le si sbucciava perfino: quando era piccola suo nonno copriva i suoi piccoli malanni con cerotti morbidi di cotone, ripetendole che peste di una bimba fosse.
 
Una volta accortosi di aver mancato il bersaglio, il Pokémon cominciò ad agitarsi, provando a scrollarsi di dosso la zavorra umana appesa alle sue zampe.
Anemone tentò di non perdere la calma, ma quello continuava a salire in alto, sempre più in alto, la stanza aveva un soffitto decisamente alto, fuori dalla norma.
 
Continuare a penzolare non avrebbero aiutato a recuperare i suoi resti spiaccicati neppure con un cucchiaio.
La ragazza dai capelli rossi si fece coraggio, ne teneva sempre un po' di riserva nelle situazioni di pericolo, per tutto simile a un supereroe quando sfoggia la sua arma segreta.
 
Più forte stringeva le dita intorno agli artigli affilati, più le faceva male. Fece un respiro breve.
 
Incanalò tutta la sua energia sulle gambe e, dandosi lo slancio con il bacino a mo' di altalena, riuscì a salire sul dorso di Skarmory con una capriola molto agile, si sentiva una trapezista senza la rete sotto, il fatto che non fosse ancora caduta lo considerava un miracolo.
 
Si trovò seduta in una posizione assai scomoda in cui il suo kimono era completamente sollevato nella parte inferiore, rivelando insieme ai muscoli tonici delle cosce e dei polpacci anche due natiche perfette, sode e carnose, la pelle vibrava leggermente all'impatto con l'acciaio duro.
 
«Che sta facendo ora... - Alice osservava tutto con lo stesso scetticismo di chi ha capito il trucco di un mago o non ha nessuna voglia di lasciarsi impressionare - Questa ha problemi seri...»
 
Non era panico quello che la rossa provava, le veniva imposto dal suo cervello di agire razionalmente seguendo il suo schema, però quel bestione si muoveva a tale velocità da riuscire a farle sentire l'aria fischiare nelle sue orecchie.
 
Dopo essersi domandata da sola "okay, ora che si fa?" almeno dieci volte in un minuto, provò ad andare d'istinto, dopotutto fidarsi del suo senso dell'intuito le aveva sempre portato fortuna.
 
Si avvicinò con non poca difficoltà alla testa affusolata, la fisica le era nemica in quell'impresa dato che la direzione verso cui lei puntava era quasi perpendicolare a quella verso cui si dirigeva a bordo di quel Pokémon Uccello e i due vettori si sommavano un una serie di prove ed errori, tuttavia anche solo uno degli ultimi le sarebbe stato fatale.
 
Senza pensarci due volte, gli coprì gli occhi con le mani.
Una mossa semplice, ma altrettanto efficace.
 
«Ecco, adesso si ammazza.» Commentò senza trepidazione la ragazza a terra.
 
Il volatile lanciò un lungo e disperato stridio, manifestando la paura latente sotto quella dura corazza d'acciaio, nonostante ciò non riuscì a sollevare alcuna preoccupazione nella sua Allenatrice.
 
Non importa quanto esso si dimenasse pur di scrollarsi di dosso la causa del suo accecamento, a provare un minimo dispiacere per quell'atto di maltrattamento era la rossa.
Ma non aveva altra scelta. La guerra di suo porta sempre gli innocenti in mezzo al conflitto.
 
Anemone cercava di non spostare le mani dagli occhi di Skarmory mentre contemporaneamente doveva aggrapparsi alle schegge di metallo acuminate per non precipitare a terra, contando ogni secondo qualche graffio bianco che risaltava sulla pelle abbronzata.
 
Come una domatrice che cerca di non cadere dal dorso di un cavallo imbizzarrito, il suo numero circense non doveva servir solo a portare divertimento per la sua avversaria spettatrice, poteva giurarci che stesse contando i secondi prima che lei venisse sbalzata via.
Ebbe un'altra idea, in una situazione normale non l'avrebbe mai definita frutto della sua mente.
 
Incitò il Pokémon a planare spostandogli il muso verso il basso.
D'istinto Skarmory interpretò quello stimolo come ancora di salvezza e prese a scendere in velocità, sempre più veloce fendeva l'aria col suo corpo aerodinamico, costringendo la sua pilota a chiudere gli occhi e tenersi con tutte le forze.
 
«Va per il suicidio? - Alice si pose un'altra domanda all'apparenza retorica - Va per il suicidio...»
 
Quell'istante di forte tensione fu l'ultimo che le due ragazze poterono ricollegare: pochi istanti dopo, davvero impercettibili, nessuna riusciva ad intravedere neppure il volto dell'altra.
 
Erano entrambe a terra. 
Sia quella che vi si era scagliata contro di sua volontà, sia quella che già vi era.
 
La recluta del Neo Team Plasma non poté considerare sana quella strategia da kamikaze; la rossa aveva per davvero diretto il suo stesso Pokémon contro di lei per colpirla?
Più di questo però, odiava il fatto che il suo tentato suicidio avesse funzionato ed ora il suo Skarmory era bello che andato.
 
«...sei morta?» Sentì domandare.
 
Erano ancora sul ring, i tre corpi stremati giacevano su una conca profonda procurata dall'impatto.
Anemone si sedette distendendo le gambe, sbattendo un paio di volte le palpebre.
 
Si guardò i palmi delle mani, i gomiti, le ginocchia e le caviglie, scorticati secondo un disegno astratto di diverse sfumature di carminio, nei punti in cui non era ferita c'erano macchie di contusioni ben visibili.
Diede un'occhiata in giro e giunse allo stesso risultato analitico della sua avversaria.
 
«No, per tua sfortuna.» Non seppe dirsi né contenta né dispiaciuta nel ricevere tal notizia.
 
Alice ritirò il suo Pokémon nella sua sfera. Non c'erano problemi per lei, il Sangue del Drago non le aveva fatto percepire il minimo dolore, era come se le fosse arrivato un cuscino addosso invece di una bestia da chissà quanti chili.
 
O almeno, in teoria.
 
Rivolse uno sguardo omicida alla rossa: era veramente decisa a farla finita.
Afferrò una scaglia tagliente come una mannaia lasciata cadere dal suo Pokémon.
Avrebbe puntato alla gola. Non voleva dimostrare alla scientifica che aveva perso il suo tempo a sviscerare un individuo tanto patetico.
 
Anemone colse l'intento assassino e si spaventò. Non aveva di che difendersi ora.
La sua avversaria le sembrava invincibile, mentre lei ancora faticava a riprendersi dalla caduta.
 
Si alzò in piedi, come un poveraccio sorpreso a rubare di nascosto, scappò via ed inevitabilmente si trovò bloccata dall'altra parte del ring.
Vedeva la punta acuminata scintillare: respirò affannosamente, stringendo gli occhi per la paura.
 
Ma la recluta non accennava a raggiungerla. Non si muoveva neppure. 
In verità non l'aveva ancora uccisa perché non poteva proprio alzarsi.
 
Così vi fu un breve silenzio, in cui la rossa la fissava confusa, mentre questa non comprendeva come mai si trovasse ad avere tale difficoltà motoria pur non avendo percepito nulla.
 
E, come da copione, Alice scoprì sulle sue macerate ossa quanto quell'elisir dell'invincibilità non fosse stato altro che una gigantesca, enorme, grandissima fregatura.
 
«...Mi ha spaccato le gambe! Brutta idiota, che hai fatto, mi hai spaccato le gambe!»
 
Gridò quasi in lacrime. Provò a rimettersi in posizione eretta, ma sebbene non sentisse alcun dolore, le sue gambe non potevano obbedire, le ossa fratturate non le permettevano di sostenere il suo stesso peso.
 
Intanto la rossa aveva raccolto la Poké Ball del suo Swanna sfuggitale dalle mani. 
 
Sarebbe scoppiata a piangere per l'umiliazione, non si trattava solo del fallimento di una dannata missione, il suo orgoglio ferreo si era andato ad incrinare e poi spezzare come il ramo di un albero fracassato dal temporale.
 
Ora capiva la sete di vendetta dei cattivi dei film e dei fumetti, non era questione di successo, era tutto schiavismo dettato dalla sua superbia, la sua giovane età le aveva davvero dimostrato l'esistenza del karma, della provvidenza divina, della vendetta storica.
 
«Ah... Ops, scusa...»
Dulcis in fundo, Anemone le rispose con una dabbenaggine che solo lei era in grado di dimostrare.
 
Poi la vide voltarsi e uscire di corsa, probabilmente sarebbe andata dalla sua "fidanzata" a raccontarle tutto e a ridere di lei, come chiunque avrebbe fatto.
 
Non conosceva abbastanza a fondo Anemone, per sapere che non lo avrebbe mai fatto.
 
 
Una barriera sferica invisibile ed impenetrabile circondò un'area ristretta intorno alla giovane allenatrice, ella si godeva il prodigio delle sfere scure che si smaterializzavano al contatto con la superficie proprio come le bolle di sapone quando scoppiano.
 
Peccato che la mossa Protezione funzionasse solo per un limitato periodo di tempo.
 
Invece di perdere la calma o di manifestare sconforto, Catlina dispose di racimolare istanti per escogitare una continuazione al suo precedente piano, anche se, per via della fatica e del sonno incombente, non era più in condizione di temporeggiare.
 
Il cielo notturno fedelmente riprodotto sopra la sua testa e quella di Sabrina non aveva mai smesso di vorticare lento, le stelle ben visibili scorrevano come in un fiume d'acqua blu cobalto atto a lavare la distesa buia del soffitto: un'atmosfera onirica avvolgeva quel luogo.
 
Prima che nella sua mente confusa potesse affiorare il nome di una qualche costellazione si trovò a pregare che l'utilizzo prolungato della mossa difensiva per eccellenza non decidesse di fallire proprio in quel momento.
Non avrebbe accettato quella presa in giro da parte del fato.
 
Dette uno sguardo ai fugaci movimenti dell'avversaria, così lontana da lei, agli antipodi della stanza: neppure lei pronunciava ad alta voce i comandi per il suo Pokémon, forse era una cosa che tutti gli allenatori esperti del Tipo Psico facevano e lei non aveva alcun diritto di sentirsi unica per quello.
 
Sapeva che l'Alakazam della recluta puntava a lei, l'organizzazione del Team Plasma si era riappropriata della tecnica della battaglia violenta per sottomettere l'Allenatore al posto del Pokémon, dunque quella strana ragazza non l'avrebbe lasciata in pace finché non l'avrebbe vista al tappeto.
 
Era strano: pochi minuti prima parlava di principi morali, di etica. 
Come questi concetti potessero sposarsi con i piani di dittatoriale abuso del potere le era oscuro, a suo parere non esistevano filosofi che avessero incluso nei loro insegnamenti tale incoerenza di pensiero, né fra i primi pensatori greci, indaffarati alla ricerca dell'archè, né i monaci chiusi nei conventi ad analizzare i cardini della fede, non trovava esponenti di quella teoria neanche fra gli illuministi e gli psicanalisti di fine novecento.
 
Le pesava di non poter afferrare l'apparente profondità di quel messaggio. La biondina di Sinnoh aveva ricevuto un'educazione costosissima ma che le era praticamente scivolata addosso, o lei era una sempliciotta capace solo di ripetere a memoria le declinazioni in latino, o per davvero la filosofia del Team Plasma non aveva senso.
 
Camilla invece... Camilla sapeva un sacco di cose, puntualizzò nella foga.
 
Quando Nardo poneva loro delle domande sull'andamento delle loro tre compagne più giovani era sempre la leader quella che rispondeva per prima, mentre lei stava a fissarla come se un macigno le bloccasse la lingua. 
 
Poi la Campionessa leggeva, leggeva sempre. Ogni tanto le veniva la balzana idea di cominciare una conversazione con lei, ma la trovava sempre con in mano un tablet dallo schermo graffiato o il suo cellulare indistruttibile, allora si allontanava piano, per paura di causarle fastidio.
 
Chissà quante nozioni doveva aver appreso nel corso di dieci anni o più, si domandò.
Sapeva il Pokédex di Sinnoh e quello di Unima a memoria, mediante contorti trucchetti aritmetici ricordava il numero esatto dei danni inflitti da una mossa e in determinate occasioni si trovava perfino a correggerla con il suo tono gentile e disponibile.
 
Per quanto innocuo tutto ciò fosse, Catlina non poteva evitare di sentirsi a disagio nel ricevere quel tipo di attenzioni. 
Era una cosa insensata da dire o pensare per una che si era posta come proposito per quell'estate il voler dimostrarsi più adulta e matura.
 
La ragazza si sentiva esposta in maniera eccessiva, avere la pelle di carta velina amplificava il minimo sfioramento e la sola condivisione di una stanza con Camilla la rendeva nervosa.
D'altra parte vi erano momenti in cui la vicinanza con la suddetta le aveva provocato invece un leggero solletico al cuore, non avrebbe mai immaginato di rimembrare l'episodio dell'onsen con il sorriso sulle labbra.
 
La ragazza infine ammise a sé stessa di non aver mai provato quel sentimento prima d'ora.
 
Era qualcosa di più di un banale complesso di inferiorità, lei e la sua amica d'infanzia avevano condiviso talmente tante esperienza da aver abbattuto del tutto ogni genere di sciocco orgoglio.
Erano anni che le due non avevano nulla da dimostrarsi.
 
E se c'era una cosa, uno scudo che per Catlina era indispensabile per affrontare il mondo esterno era il suo scudo d'orgoglio e il velo di paranoica introversione che la copriva da capo a piedi.
Come Camilla avesse fatto breccia attraverso di esso... Non sapeva spiegarselo.
 
Ancora una volta, la biondina si vergognò di quei pensieri, non si sarebbe azzardata a confessare di essersi concessa un volo pindarico del genere nel bel mezzo di una lotta, e non una lotta qualsiasi.
 
Strinse gli occhi che le lacrimavano nelle palpebre, di fronte a lei vi era un marasma umidiccio che distorceva ciò che vedeva come in un caleidoscopio e contribuiva a farle venire mal di testa.
Ma quel suo delirio non scomparve appena lei dischiuse le palpebre.
 
Non riconosceva più neppure l'ambiente della sua stanza. Le stelle se ne erano andare.
Le colonne ioniche se ne erano andate. Perfino la pietra d'Istria su cui posava i piedi.
Macchie indistinte e sfocate avevano preso il posto dei colori, l'aria si era fatta dolciastra.
La ragazza tentennò nel mezzo di quella confusione.
 
«Che pensieri carini... Adesso siete pure diventata le- intendevo dire, omosessuale?»
 
Dunque era vero che la Capopalestra di Zafferanopoli leggeva nel pensiero.
Intanto la nostra eroina esitò, inferma nei propositi. Non doveva per forza rispondere.
 
«Deve essere lei allora. Starà usando qualche mossa che altera la dimensione dello spazio, come Distortozona...»
Rifletté, prima di venire interrotta.
 
«Che piccola presuntuosa. - Commentò la recluta da lontano - Mi avete già accusata dei vostri malesseri quella sera al casinò, non siete molto sincera con voi stessa.
Guardate, vi tremano le mani... Non avete affatto una buona cera.
 
Deve essere proprio brutto, insieme con tutti i mali che vi affliggono, soffrire anche di crisi epilettiche! Siete proprio una ragazza sfortunata.»
 
Catlina non riuscì a sentire le ultime parole della frase che il suono affannoso del suo respiro si arrampicava disperatamente per uscirle dalla gola e le aveva alzato la pressione.
 
Negli ultimi anni non le era mai capitato di avere due attacchi così vicini nel tempo e, vista la natura della situazione, trovò inutile ribadire a se stessa di doversi imbottire di farmaci.
Ormai la schiena le faceva già male, le pareva che i tessuti muscolari le si stessero strappando.
 
«Non farti prendere dal panico, Catlina Yamaguchi, non farti prendere dal panico che fai solo peggio...» Si ripeteva in testa, incurante del fatto che la sua avversaria la stesse ascoltando.
 
«Reuniclus usa...» Le richiese grande sforzo gridare il comando e questo suo primissimo tentativo fu comunque inutile.
 
Usando un attacco di tipo fisico Alakazam aveva sbattuto il povero Pokémon Cellula contro la parete di marmo, scavando un solco profondo qualche centimetro, mentre il verso straziato di esso riecheggiava nella stanza.
 
Ora la giovane senz'anima era letteralmente spacciata.
 
Poiché perfino l'aria sembrava schiacciarla, lei si accasciò a terra, reggendosi sulla mani e sulle ginocchia, sentendo di essersi procurata un nuovo paia di ematomi su ognuno dei due. Ora il suo intero corpo fremeva visibilmente, come scosso da presenze demoniache.
 
Chiuse gli occhi. Non pensò a nulla, volle concentrarsi solo sull'oscurità che la sottraeva dalla visione della sua dolorosissima fine.
 
Senza dar l'impressione di star traendo alcun piacere sadico dai suoi gesti, Sabrina si avvicinò alla fanciulla morente e la squadrò da capo a piedi.
 
Fece poi un cenno con la mano al suo Alakazam, il quale ne sollevò il corpo di almeno un metro da terra, come il boia che in un esecuzione pubblica mostra alla folla assetata di sangue il corpo dello sventurato nobile di turno che andava a finire sul patibolo su richiesta del popolo.
 
Notò che la signorina Yamaguchi era svenuta per la paura. Sorrise leggermente.
 
Poi attuò il suo vero piano: far soffrire la ragazza, riuscire a cavarle di bocca almeno un grido, non permetterle di mantenere intatto il suo prestigio fittizio fino all'ultimo.
Così fece segno al suo Pokémon di utilizzare Psichico, la mossa manipolatrice per eccellenza, e di romperle il collo.
 
Un crepito improvviso precedette la torsione involontaria, le vertebre dorsali scricchiolarono quali gusci di noce rotti, la vittima di tali abusi emise un gemito impercettibile per il dolore.
Ciò la svegliò e la tramortì, il suo sguardo fu diretto prima verso l'alto e poi verso sinistra in un ampia circonduzione non fluida, del tutto innaturale.
 
Le ossa si erano bloccate in uno strano e complicato incastro che il più piccolo dei movimenti avrebbe potuto trasformare in una frattura disastrosa. La bionda non si mosse.
Però i muscoli del collo e dell'addome le facevano un male tremendo, non poteva più sopportarlo già dopo i primi istanti; se le era lecito, non avrebbe aspettato di farsi uccidere lentamente, soffrendo da sola.
 
O peggio, sopravvivere a quell'incubo.
 
«...S-Spezzami la spina dorsale... - la flebile voce si era già rotta in un mugolio straziato - t-ti prego, fallo...»
 
Inspirò con forza attraverso i denti stretti. Era la fine. Rilassò i muscoli del volto e si pulì la coscienza in extremis, per guadagnarsi almeno il purgatorio.
 
«Neanche per sogno, signorina.» 
 
Sabrina abbassò in modo brusco il braccio verso il basso, la scorse mentre si voltava allontanandosi insieme al suo Pokémon con un aria per nulla turbata dall'omicidio in piena regola che aveva commesso. I suoi tacchi alti si avviavano verso l'uscita, trascinando la sagoma nera che li accompagnava con loro.
 
Catlina dilatò gli occhi verde acqua, nel disperato tentativo di mettere a fuoco il fotogramma che precedeva la sua dipartita dal mondo dei vivi, ma già non riusciva più a distinguere i contorni, poi solo grosse macchie dense le gravitavano di fronte al volto: ne riconobbe una verdastra e amorfa, doveva essere il suo Reuniclus; gli rivolse un sorriso brevissimo, per non farlo piangere.
 
Era distesa di schiena sul marmo freddo, tenendo le braccia attaccate al corpo tremante.
Non sapeva dirsi se il morire da sola fosse un ultimo favore concessole da Dio o la più triste delle miserie che le erano capitate nella sua breve e tormentata vita.
 
E sotto quel cielo stellato, i lunghi capelli biondi della ragazza si tinsero di un rosso cremisi, che presto arrivò a colorire anche la pelle del viso, bianca come il velo di una vergine.
 
 
«Beartic, usa Purogelo.»
 
Una frazione infinitesimale di tempo divise il rimbombo del nome della mossa fatale dalla violenta e brusca dispersione nell'ambiente di una coltre bianca di ghiaccio, essa si propagava attraverso il pavimento e le pareti, ma il freddo era addirittura tangibile nell'aria.
 
Come investita da un'onda tsunami, la ragazzina non poté far nulla per proteggere se stessa.
 
Finì sbattuta per terra, la neve le graffiava la pelle e la sentiva infilarsi negli anfratti del suo vestiario tutt'altro che invernale, rotolò rasentando la terra e a fermarla riuscì solo un impatto sgradevolissimo con il fusto di una colonna.
 
Iris non aveva neppure chiuso gli occhi: la spaventava troppo l'idea di perdere i sensi e di risvegliarsi in qualche pericolosa situazione, oppure di perdere i sensi e non risvegliarsi più; attualmente si trovava lontana una decina di metri dalla sua avversaria e questo le portò un minimo sollievo.
 
Questa aveva appena usato Purogelo, una di quelle mosse che, come Abisso e Ghigliottina, garantiva una vincita sicura qualora andasse a segno, cosa molto difficile. 
A scuola farcivano la testa dei bambini ripetendo loro che per questa infame caratteristica sono proibite nei tornei ufficiali, che tanto ad un bravo Allenatore non sarebbero servite, visto che la probabilità di fallimenti era assai elevata, vista la scarsa precisione.
 
Alla giovane balenò subito in testa il giorno in cui Camilla e lei facevano pratica nel colpire i bersagli e di come perfino la Campionessa non potesse fare a meno di mancarli.
Georgia era una ragazza dotata di mille qualità, ci mancava solo che fosse anche esperta nelle lotte: ma a cosa serviva tutto ciò se alla fine il suo genio era maligno e depravato?
 
Prima cosa, Dragonite era ricoperto da una farinosa brina candida, adagiato sul terreno come un cucciolo assonnato qualche metro lontano dalla sua allenatrice. Era esausto.
Iris prima di notarlo lì dov'era aveva invano sperato che si fosse dato alla fuga nel cielo buio, che si fosse messo in salvo volando via con le sue piccole e tozze ali.
 
Ogni attacco glaciale è micidiale per i Pokémon Drago. Ed anche la ragazzina dai capelli viola ne rimase quasi sopraffatta.
 
Si alzò in piedi dovendosi appoggiare; non sentiva più le dita nelle scarpe zuppe di acqua, le facevano perfino male se si azzardava a muovere un passo. 
La sua cute abbronzata, abituata al caldo sole che irradiava la regione in quei mesi, ora si era rattrappita a contatto con lo yukata dal tessuto irrigidito, aveva la pelle d'oca in ogni centimetro del corpo e le stava causando perfino un forte dolore allo stomaco.
 
Richiamò Dragonite nella Poké Ball e poi si rivolse alla recluta dai capelli magenta.
 
«G-Georgia... Ascoltami, non dobbiamo per forza combattere...»
 
Mentre lo faceva tremava, batteva i denti, era la sua spiccata sensibilità al freddo a congelarla nei movimenti.
Tentò di avvicinarsi a lei nel timore che non riuscisse a sentirla, ma non poté evitare di scivolare sulla pietra levigata coperta da uno spesso strato di ghiaccio, cadendo rovinosamente.
Eluse del tutto lo sguardo della sua coetanea, i cui occhi le ricordavano solo dal colore quanto tutto ciò avesse avuto luogo per una ragione precisa.
 
Georgia sospirò e si portò più vicina senza alcun impaccio, con la scioltezza di un ninja.
«Fai proprio schifo, non è divertente lottare con te.»
 
Iris per tutta risposta le ripeté la stessa frase con una vocina acuta in segno di sprezzo.
Poi le rivolse queste parole, annebbiando l'aria di fronte alla sua bocca con la condensa.
 
«Come fai a divertirti così? L-La regione di Unima, vuoi che cada di nuovo nelle mani del Team Plasma... T-Tu, tu hai qualche problema... Fraxure, vieni fuori!»
 
Si dice che ai matti, agli psicopatici bisogna dare sempre ragione, non svegliare i sonnambuli e a chi delira non va mai spiegato nulla. In quel caso però, Iris non si permise di star ferma.
 
«Vuoi farmi fuori con quello sputo di Pokémon?» Rimarcò Georgia.
 
«Fraxure, Cannonflash.» Ordinò lei a denti stretti, impassibile davanti a quella provocazione.
 
«Intercettalo con Slavina, Beartic. Poi attacca con Frana.» Si sistemò il cappello nero.
 
I due Pokémon si stavano scontrando e le due fanciulle si trovavano nello stesso campo di guerra figurato di Greci e Persiani alle Termopili, dei Romani contro i barbari sul confine, come Giapponesi e Portoghesi al porto di Kanazawa. 
Due eserciti schierati, ognuno con il suo bagaglio di ideali, fortezze e debolezze personali, nessuno dei due disposto a lasciar cedere tali valori per sostituirli con altri, di stirpe empia.
 
«Fraxure, schiva la frana e poniti davanti a Beartic! - Iris riprese il contatto visivo con la leader delle reclute - Anche se ci uccidete tutte, appena sarà giorno potete dire ciao ciao al vostro piano malefico...»
 
«E perché dovremmo? - Georgia non si scomodò nell'emulare lo stesso pathos - La popolazione di Unima è abbastanza stupida da credere che tu ti ci sia buttata da sola contro il Neo Team Plasma.
Qui tutti credono a quello che leggono sui giornali e vedono in tv, possiamo dire quello che vogliamo e fare quello che vogliamo, abbiamo il controllo su ogni aspetto sociale della regione.»
 
«Peccato che questa sia anche la tua regione!» Ribatté.
 
Fraxure colpì con forza il muso del Pokémon orso, costringendolo a torcere la mascella e indietreggiare. La zanna affilata del drago era una specie di prolungamento del braccio di Iris, se solo avesse potuto colpire la leader di quel team di squilibrati.
 
Non le avevano insegnato niente i libri di storia, quanta strada avesse fatto Unima per guadagnarsi la sua indipendenza? Non l'avrebbe lasciata parlare così male della sua regione.
 
«Beartic, usa Scagliagelo e finiamola qua. Mi sono rotta di sentire questa bambina parlare come se avesse vent'anni. - Georgia incrociò le braccia sotto il petto, rivolgendole uno sguardo malevolo da qualsiasi lato lo si guardasse - Ti fanno questo effetto le tue amichette lesbiche?
 
Ti fanno sentire così importante? 
Che carine, una più stupida dell'altra, e tu sei quella più stupida di tutte perché creperai per prima!»
 
«Davvero, davvero vuoi tutto questo? - Fece una pausa. La fissò, dritta negli occhi - ...Andando avanti così rimarrai per sempre sola.»
 
La ragazzina dagli occhi color nocciola cercò di allontanarsi subito, stava scappando da dei proiettili vaganti in mezzo alla neve, un vero scenario dal fronte durante la guerra mondiale, ci mancava solo che oltre a prendersela con lei quella pazza in nero volesse far del male pure al suo neo-evoluto Fraxure, prendendo di mezzo pure la creatura più innocente su quel campo di lotta.
 
Le fece uno strano effetto scoprire che la voce di Georgia, quando quella rivelava i suoi veri colori, riusciva a superare in acutezza anche la sua. Quando erano uscite insieme aveva un tono basso e suadente, anche quando cantava era così.
 
Le fece male ripensarci, mentre apriva le braccia per proteggere il suo Pokémon usando come scudo il suo gracile corpo già indebolito dal gelo.
 
Il ghiaccio tintinnava ogni qualvolta colpiva le pareti lastricate e le incisioni rudimentali sui muri, i luoghi di appostamento per difendersi dalle schegge appuntite erano talmente pochi da potersi contare sulla punta delle dita.
 
Si chinò a terra sperando di uscirne indenne pure quella volta. Aspettò immobile, per paura che perfino il minimo spostamento d'aria, anche se avesse solo respirato, una grossa stalattite le avrebbe trapassato la cassa toracica, bucandole il cuore da dietro.
 
Ma non poteva affatto concepire un cuore più spezzato del suo in quel momento.
 
«Ma che hai stasera?! - Quella voce intensa fece di nuovo breccia nelle sue orecchie, la recluta alfa si stava riferendo al suo Pokémon - Non ne becchi una, e io mi sto cominciando a...»
 
Georgia si interruppe. Iris poté intuire che i suoi occhi freddi avessero ingaggiato una gara di sguardi coi suoi, si rialzò e si rimise in posizione eretta. 
Tuttavia, i suoi occhi erano l'unico punto in cui non riusciva a concentrare lo sguardo.
 
Come a riprendere il tutto con una cinepresa fece una carrellata lenta e meticolosa sul torace, ancora coperto dal top nero aderente: andare al di sotto le fece storcere il naso in maniera abbastanza visibile.
 
«Oh?! Che cosa guardi?!» La riprese la giovane, irritata.
 
Senza neppure starla a sentire, Iris strinse ancora di più il suo Pokémon al suo grembo, finendo per graffiarsi gli avambracci sulle scaglie ruvide.
Fece un piccolo passo indietro.
 
«Beartic, - non potendo comprendere quello strano comportamento, Georgia alzò ancora di più il volume - falla fuori. 
Falla fuori, ora!»
 
Neppure il Pokémon di tipo Ghiaccio si mosse. Sembrava che il tempo si fosse arrestato per permetterle di osservare, di osservarsi per la precisione, e capire cosa le fosse successo.
 
«Georgia...» Disse piano, affannosamente.
 
Iris si mise la mano davanti agli occhi e si voltò schifata, non reggeva più quella vista terrificante: era abituata a guardare film horror insieme a Velia ogni tanto, non si spaventava più ormai, sapeva che era tutto finto. 
In quel momento però si sentiva perfino l'odore, era orrendo.
 
Infine deglutì con forza, sentiva un conato di vomito risalirle l'esofago per il ribrezzo.
 
Le puntò contro l'indice con fare recidivo, in direzione discendente.
A quel punto la ragazza dai capelli fucsia abbassò gli occhi. 
 
Iris la vide portarsi le mani alla bocca, mentre cercava di soffocare un urlo degno di un quadro espressionista, balzò perfino indietro, come a volersi scindere da quel corpo che la spaventava così tanto.
 
La neve bianca sotto le sue scarpe si era colorata di un vermiglio acceso, ancora caldo le scorreva lungo le gambe bianche solcandole con vene diramate in mille piccoli capillari rossi.
La gonna era fradicia e l'intensità di quel color rubino aumentava man mano che il flusso diventava più fitto, come il fiume Flegetonte.
 
Una stalattite grossa quanto una lancia e appuntita quanto un pugnale aveva trafitto in pieno la pancia della giovane leader e si stava sciogliendo piano piano dentro le sue interiora.
 
Il sangue dunque diventava sempre più liquido e viscoso, grondava fitto lungo il tronco della ragazza fino a rapprimersi sulle sue scarpe, incapaci di muoversi ulteriormente.
Sembrava per davvero una punizione divina, mentre Georgia emetteva gemiti raccapriccianti che non riuscivano ad attraversarle le labbra per lo shock.
 
Subito la ragazzina si chiese per quale ragione ella non si fosse neppure accorta di una ferita di tali dimensioni, ma ancora ignota le era la ragione per cui il dolore del tutto non le avesse dato il minimo sospetto. 
 
Il Sangue del Drago era diventato sangue umano quella notte.
 
Quando quella si toccò con le mani e le vide tinte di rosso come quelle di un assassino, Iris provò a parlarle mettendoci tutta la risoluzione e il coraggio rimastole: c'era ancora una possibilità di salvarla. 
 
«C-Calma, okay? P-Posso avvisare la mia leader, n-non ti farà niente, tranquilla, e chiamiamo un'ambulanza, ti giuro, non devi preoccuparti...»
 
«Vattene! - le gridò, esasperata - Vattene, idiota!» 
 
E non riuscì ad portare a termine il discorso.
Il suo Beartic cominciò ad attaccare alla rinfusa, condividendo lo stato di trauma della sua allenatrice: alla giovane non rimase altra scelta che la fuga, ora che ne aveva la possibilità.
 
Ma indugiò un attimo. Lasciare una ragazza mezza morta in preda ad una crisi non rientrava nel suo prezioso codice etico. 
 
Però non ebbe scelta. 
La lasciò, correndo verso l'uscita, sperando di poter tornare a riveder le stelle dopo quell'inferno.
 
Urlava, agonizzante per la disperazione, stava invocando un qualcuno per salvarla, un qualcuno che non sarebbe mai giunto. Georgia ora poteva tastare sui suoi polpastrelli il sangue, si passò le mani sul volto per asciugarsi lacrime miste a sudore acido ed imbrattò anche i capelli, le guance.
 
«Se vai avanti così - riecheggiò questo pensiero nella sua mente - rimarrai per sempre sola.»
 
Alzò gli occhi al cielo, l'ultima persona che le avrebbe dimostrato compassione per il suo intestino squartato e per l'insuccesso della missione sarebbe stato Ghecis Harmonia.

 
Nell'androne principale della Lega cinque sagome si ricongiunsero meste, sembravano gusci vuoti animati solo dalla consolazione di essersi riconosciute nonostante il loro aspetto falsato.
Almeno erano tutte e cinque, all'appello però mancava qualcosa.
 
Nessuno ritorna indenne dalle battaglie: chi senza un occhio, chi con una gamba in meno, chi con una delusione in più, chi senza un pezzo di anima.
 
Iris rabbrividì, nonostante l'ambiente ghiacciato ormai lo avesse lasciato alle sue spalle continuava a sentire freddo, anche in piena estate la sensazione di congelare la perseguitava.
Camminava tenendo le caviglie rigide, per paura di spezzarsi i geloni.
 
Ora lo scuro mantello della notte era squarciato da numerosi bagliori, luci artificiali bianche, rosse e blu, poi un brusio insopportabile si mescolava alle mille impressioni che si stavano imponendo nella sua memoria, lasciando tabula rasa degli attimi precedenti.  
Un sacco di persone la continuavano a toccare, a girarle la testa e la costringevano a guardarli negli occhi e le facevano domande e pretendevano che lei rispondesse.
 
Avrebbe voluto chiedere a Camilla cosa fare, ma era voltata altrove.
Dopo poco la raggiunsero anche le sue compagne Capopalestra, vicine l'una all'altra.
 
Un'ambulanza, la riconobbe in lontananza mentre qualcuno le chiedeva insistentemente dove fossero i suoi Pokémon e in che condizioni si trovavano, la ragazzina glieli cedette alla svelta pur di racimolare un ulteriore squarcio di cosa stesse succedendo in realtà.
 
Si aggrappò al suo yukata sporco e bagnato, tirando sù col naso e dilatando le pupille.
 
«Oddio, Catlina...» Mormorò sconvolta.
 
Lei credeva di aver toccato il fondo affrontando da sola la leader del Neo Team Plasma, la recluta prediletta dal capo, l'amica pericolosa esente però da ogni suo sospetto.
Quella fu la prova schiacciante che a tutto c'è un peggio, una sua compagna, con cui condivideva lo stesso tetto da un mese ormai era finita in ospedale per colpa di chissà chi: le si gelò il sangue.
 
E a proposito di sangue, quella visione spaventosa, di una ragazza ricoperta di esso da testa a piedi, quella la aspettava nei suoi incubi peggiori, ogni notte d'ora in poi.
 
Ancora traumatizzata da quell'esperienza tremenda, non proferì parola lungo il tragitto verso casa di Nardo, non che le sue compagne fecero diversamente. Lo vedeva dai loro volti che di sicuro avevano tutte qualcosa da raccontarsi e nessuna sperava davvero di dover stare a sentire.
 
Quando l'alba sarebbe giunta ed il sole sarebbe sorto, tutta la regione di Unima avrebbe dovuto ascoltare controvoglia una storia di violenza, di inganno e di tradimento.
 
Addirittura i draghi guardiani avrebbero preferito giacere quiescenti nelle profondità della terra piuttosto che udire di una nuova minaccia alla salvezza della loro terra, il ritorno inaspettato del Neo Team Plasma, più forte di due anni prima, più spietato che mai.

 

 

Behind the Summery Scenery #16

1. Grazie innanzitutto per aver votato Catlina per farla inserire nella lista dei personaggi! Siete fantastici, non so come ringraziarvi. Anzi, lo so, perché oggi non vi fate un 2x1 e vi leggete anche il prossimo capitolo?

2. Il titolo è una citazione di Alessandro Magno, che pronunciò poco prima di morire ferito da una freccia in battaglia. Povero Ale.

3. E povere antagoniste! Io di norma non sono un'appassionata della violenza e del gore (tranne quando c'è di mezzo la mia prof di matematica) e infatti mi sento di aver esagerato... Ammiro la freddezza degli scrittori horror.
Ora vi sfido ad aspettarvi che le 5 cattivone siano morte, dopo i sensi di colpa che mi sono venuti.

4. Ma quanto adoro Alice e Jasmine che interagiscono così, lol. Scommetto che se avessi scelto degli OC da mettere nel Neo Team Plasma avrebbe fatto schifo. Invece così è tutto più un mindfuck.
Sì, questa storia è un unico grande mindfuck.

5. Per i miei capitoli 15-16 mi sono l a r g a m e n t e ispirata agli episodi 5-6 dell'anime Senran Kagura Skirting Shadows. Infatti Iris vs Georgia èun po' come Asuka vs Homura: la prima le prende per tutto i match, ma non va a tappeto, l'altra la chiama indegna del titolo che andrebbe a ottenere e la buona le ricorda che il potere dell'ammicizzia e della vagina tm sconfiggerà il male. Un giorno. Si spera.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Momo Entertainment