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A story
by: Momo
Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
Beta reading and de-stubbing: 🍦
Seguiteci su instagram: @esg_offical_ig
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Early
Summer Girls
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Capitolo 16
Vedete? È sangue umano, non divino
«...Una
droga artificiale che concede l'immunità per un periodo
limitato di tempo, hai detto?»
La
Campionessa di Sinnoh aveva gli occhi puntati verso la grata bronzea
del cancello serrato.
La
Lega di Unima era diversa da quelle delle altre regioni, era nata
più tardi siccome la guerra che investì il
territorio in
tempi antichi aveva frenato ogni tipo di attività ludica
visto
che i Pokémon venivano reclutati come soldati a fianco degli
uomini senza alcuna pietà.
La
differenza sostanziale era già impostata nelle premesse: gli
Allenatori potevano sfidare i Superquattro nell'ordine che
più
preferivano. Il fautore di questa bizzarra rivoluzione che dunque
aboliva ogni tipo di gerarchia fra i membri della Lega non poteva che
essere Nardo.
La
giovane donna riportò l'attenzione sulla recluta con cui
aveva
fatto un qualcosa, qualcosa di neppure vagamente simile al fare
amicizia, ma comunque diverso dal fare a botte.
«Sì.
- Voltandosi piano, la recluta dai capelli blu le venne vicino - Ghecis
vorrebbe iniziare il contrabbando del Sangue del Drago, per questo
prima lo ha testato su delle persone invece che sui Pokémon.
Vorrei
poterti dire altro, ma non so nulla oltre a queste cose che ti ho
appena detto.
Forse
Georgia potrebbe saperne di più... Lei è la
nostra leader
del resto, è la persona più vicina a Ghecis
Harmonia.»
Dopo
che Lucinda, le aveva detto di chiamarsi così almeno, ebbe
finito di parlare, Camilla ponderò bene che domanda fosse
necessario farle pur di far chiarezza su quella faccenda.
Da
come si era spiegata, ora Ghecis era diventato un venditore
all'ingrosso di droga, uno spacciatore insomma. La sua strategia quindi
risiedeva nel puntare alla fascia più debole della
popolazione
di Unima, quella più disillusa e stremata dalla crisi, dalla
disoccupazione, quella che non credeva più nell'amicizia fra
umani e Pokémon e non vedeva più nella fatica e
nel duro
lavoro la chiave per il successo: i giovani.
Tuttavia
per quanto catastrofico ed incerto questo piano suonasse alle sue
orecchie lei non poteva fare nulla di concreto per fermarlo in quel
momento. Quella sensazione di impotenza la fece imbestialire.
«Devo
andarmene di qui.»
Ripeté
fermamente, guardandosi intorno in cerca di qualche via d'uscita.
Lucinda
le sorrise ancora, emulando l'abitudine della sua avversaria in kimono
bianco latte.
«Sii
paziente, Campionessa. È solo questione di tempo che... -
subito
la ragazza interruppe i suoi giri di parole non appena l'altra la
minacciò facendo gesto al suo Garchomp di avvicinarsi a lei
-
H-Hey, calma!
Lo
sai che i cancelli non si aprono prima della fine di una lotta?
Ma
non di una lotta normale, di una battaglia violenta. Come piace a
noi.»
«Certo
che lo so.» La bionda si toccava nervosamente il ciuffo,
ormai unto e sudato.
Lucinda
l'aveva incastrata sull'orlo del precipizio bloccandole l'unica via di
scampo.
Sapeva
che la bionda non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare una
ragazzina in una battaglia violenta, non lo avrebbe fatto neppure se si
fosse trattato della temutissima recluta in persona.
Lei
non era una persona aggressiva: amava le lotte, amava farle, amava
guardarle, ma questo non faceva di lei una sadica che gode nel far
soffrire il prossimo.
E
di conseguenza, dall'alto del suo titolo conferitole dalla regione di
Sinnoh, non poteva che disprezzare coloro la cui mania di far del male
aveva fatto dimenticare ciò che di bello e sano la contesa
ha da
offrire.
Si
alzò in piedi, sovrapponendo l'ombra del suo corpo
prosperoso
alla flebile luce della luna nel punto più alto del cielo.
Doveva essere l'una di notte passata.
Si
diresse verso uno scaffale, decisa come non mai nelle sue intenzioni.
Anche
l'avessero definita una codarda senza il coraggio di affrontare uno
scontro corpo a corpo poco gliene importava, per dirla tutta gliene
importava tanto quanto le voci che la dipingevano come una maniaca
sessuale.
«Cosa
stai facendo?»
Le
domandò la ragazzina, calciando svogliatamente una delle sue
Poké Ball posate a terra in segno di arresa.
La
giovane donna estrasse un libro dal ripiano intarsiato e verniciato.
Diete
un'occhiata al titolo solo per curiosità, sfogliò
veloce
tutte le pagine e lo tenne chiuso per leggere il retro, ma subito se lo
dimenticò. Tipico di Camilla.
Successivamente
rivolse una scorsa al suo fedele Pokémon Drago per metterlo
al
corrente delle sue intenzioni. Delle sue pazze, ma al contempo come non
mai legittime intenzioni.
Chi
aveva deciso che la pazzia era sempre solo un difetto e mai una dote?
«Garchomp,
usa Lanciafiamme.»
Teneva
quel libro dall'angolo con la punta delle dita, il più
lontano
possibile dai capelli e dalle sopracciglia. Il potente dragone non
mancò il bersaglio.
La
carta prese facilmente fuoco, il getto di fiamme incandescenti era
addirittura esagerato per lo scopo che aveva, ma evidentemente il seno
di Camilla non era abbastanza ampio per contenere anche un accendino
insieme a tre Poké Ball.
Le
pagine si increspavano come foglie d'autunno prima di annerirsi e
dileguarsi in anidride e monossido di carbonio, la donna lo
agitò in aria come se si trattasse di un trofeo.
Intanto
una colonna di fumo si levava alta, come quella che avevano causato
quelle del Neo Team Plasma per attirarle lì. Nera, grigia e
poi
di nuovo nera, l'aria aveva un odore irrespirabile.
Chiudendo
gli occhi per non vedere completamente la scena, la bionda
strappò una pagina immacolata del libro sul punto di
incenerirsi; anche in essa vi erano molte parole, ne colse alcune come
"amore", "anima", "alquanto", un avverbio che finiva in -mente e una
qualche persona del verbo "devastare".
Avvicinò
la carta bianca alla fiamma bluastra del libro che si spense subito
dopo, ma trovò di cui perpetuarsi su quel foglio: Camilla
strinse i denti e deglutì forte, prima lentamente, poi
accelerando così tanto il gesto da non percepirne la
gravità, posò due dita sopra quel fuoco,
ritraendole
immediatamente.
«Sei
proprio matta.» Commentò ancora la recluta.
Il
dito medio e l'indice della sua mano destra ora erano arrossati e
gonfi, il sangue premeva di uscire dalla pelle lesa e per quanto
piccole alcune bollicine sull'epidermide la facevano agonizzare dal
dolore.
Questo
di sicuro lo aveva fatto per le sue compagne.
La
sua lotta infine era stata percepita come persa. Ben per quella, a lei
bastava solo una cosa.
Vide
il cancello aprirsi, solo il suo purtroppo, ma era comunque una notizia
sensazionale.
Fece
rientrare Garchomp nella Poké Ball e si diresse subito
fuori,
talvolta urtando contro i mobili andando a tentoni nel buio.
Prima
che potesse andarsene a controllare come stessero le sue care compagne,
la recluta la fermò ancora.
«Quando
ci rincontreremo, Campionessa di Sinnoh?»
Chiese,
senza muoversi. Aveva i capelli blu e l'uniforme completamente fradici,
stava in mezzo a quell'acquazzone e i suoi occhi azzurri come
lapislazzuli si vedevano ancora, la osservavano disperati.
La
giovane le sorrise, voltandosi indietro per un secondo e sistemandosi
si capelli biondi ormai disfatti e bagnati.
Corse
indietro verso la ragazzina ed incrociò quegli occhi.
Onestamente, non sapeva neppure lei cosa stesse facendo.
«Devo
andare ora. Devo andare dalle mie compagne ora.»
Disse soltanto.
Disse soltanto.
Poi
le stampò un bacio leggero sulla guancia. Lo fece di getto,
non
riusciva a trovare una spiegazione logica a quel saluto così
inappropriato, così scandaloso per un personaggio del suo
rango.
D'improvviso
provò a figurarsi quanti anni potesse avere Lucinda. Non ci
volle pensare.
Intanto
le sue gambe continuavano a muoversi fuori dalla sala, alla ricerca di
un modo per ritrovare le sue quattro ragazze sane e salve, aveva
sacrificato sé stessa ma ancora non aveva ottenuto il
risultato
che sperava.
Camilla
sospirò e non osò fermarsi. Andò
avanti,
esprimendo il desiderio che Catlina, Camelia, Anemone ed Iris fossero
lì davanti ad aspettarla, che a mancare fosse solo lei.
Inevitabilmente
però ripensò a Lucinda e alle sue parole,
immaginò che fosse ancora lì.
Non
avendo il coraggio di lasciarle un ultimo sguardo si diresse fuori,
camminando a testa alta.
❁
La
luce eccessivamente potente della stanza permetteva di discernere a
occhio nudo ognuno dei singoli granelli di polvere che fluttuavano
scomposti nell'aria, rendendola asciutta, irrespirabile.
Non
era vera e propria polvere. Un miscuglio eterogeneo di ciottoli, cocci
e briciole di materiali diversi che si riversavano senza un ordine
preciso.
L'impatto
della mossa Codacciaio di Steelix contro il pavimento aveva a dir poco
distrutto il granito nero frantumandolo come una stoviglia rotta, in
cui nessun pezzo è in alcun modo riparabile.
Anche
la confusione dovuta a tale attacco cessò e per rompere quel
silenzio non sarebbe bastato il fruscio del pulviscolo caotico che
aveva la stessa intensità sonora di un sussurro.
Nella
sua mente, Jasmine pensò con il sorriso sulle
labbra "missione compiuta".
Compiuta
con un bel disastro, ma alla fine dalla sua parte non c'erano state
ingenti perdite, solo un paio di danni psicologici dovuti alle battute
acide della sua avversaria.
Alla
giovane recluta del Team Plasma salì l'adrenalina alle
stelle. O
forse era un'altra sostanza chimica a venir rilasciata nel suo corpo,
una scarica di dopamina la faceva sentire euforica.
Il
suo gesto avrebbe avuto delle conseguenze.
Sottraendo
la vita di una persona allo svolgersi del fato aveva a sua volta
eliminato conoscenze, incontri, occasioni e ricordi che altrimenti le
avrebbero causato un'esistenza pietosa.
Ma
ora non c'era pericolo: diede un occhio veloce all'ammasso di macerie
disposte sul pavimento.
Jasmine
tirò un sospiro di sollievo. Niente. Quella stupida modella
era morta, finalmente.
Se
non fosse stato così per il suo Pokémon poco
cambiava, lo
avrebbe preso con sé e ne avrebbe fatto un'aggiunta per il
Team.
Erano
mesi che le reclute di basso rango, le ragazzine degli ultimi anni
delle medie e quelle che avevano appena cominciato le superiori
solitamente, non facevano altro che racimolare esemplari scarsi,
Patrat, Rattata, Pidgey e Pidove privi del qualsivoglia potenziale per
la lotta.
Il
Neo Team Plasma non sarebbe andato a fallire per una sciocchezza del
genere.
Con
passo lento, come un automa, la giovane di Johto scese dalla testa del
suo Pokémon, posizione sopraelevata da cui aveva osservato
incolume tutta la scena, e le si avvicinò piano.
Attraversò
l'intero perimetro dell'arena di lotta, notando come poco a poco alcune
luci fossero andate in cortocircuito ed emettessero scintille dai cavi
spezzati.
Serbava
una curiosità sadica mista ad un profondo disgusto, la sua
voglia di vedere il cadavere della sua coetanea: immaginava di aver
fatto il peggio, eppure non vedeva l'ora di scoprire le conseguenze del
suo tentato omicidio.
Voleva
vedere Camelia sfigurata. La pelle priva di colore, gli occhi con le
pupille azzurre volte al cielo mentre la sclera bianca abbandonava ogni
contatto visivo con il mondo circostante, il corpo squarciato dai tagli
e il sangue incrostato, una scena da far accapponare la pelle.
In
che modo la vita di una top model viziata, meschina e ninfomane aveva
contribuito a rendere il mondo un posto migliore? A suo parere, era
servita solo a sprecare carta per stampare le sue foto, a sprecare
fiato per discutere i suoi scandali.
Quella
bellissima Capopalestra aveva lasciato solo tracce di odio dietro di
sé. I suoi fans avrebbero presto sostituita con un'idol dal
seno
più grande, la sua tragica esperienza sarebbe diventata un
modello da non imitare per tutte le ragazzine che pensano alla vita
come una vetrina da esposizione.
I
suoi ex infine, loro forse erano stati gli unici a trarre qualcosa da
quel miraggio di piacere, un qualcosa di transitorio e vuoto come il
piacere sessuale, ma pur sempre qualcosa.
Sperò
solo che Corrado si dimenticasse presto di lei, come già
aveva fatto dopo la loro rottura.
La
ragazza giaceva in posizione supina, adagiata sul lato sinistro, con la
frangia nera leggermente spettinata che le copriva gli occhi. Sembrava
una Venere dormiente, non riportava ferite esterne.
Jasmine
allora provò a tastarle con il piede la mano coperta di
smalto.
L'arto
svilito di ella si dischiuse, lasciando scivolarle dalle candide dita
una sfera Poké coperta di polvere, i segni dei polpastrelli
che
afferravano il piccolo oggetto rotondo erano ancora visibili.
Doveva
averla tenuta sotto il torso per proteggere il Pokémon
all'interno dalla frana causata dall'attacco, un atto veramente nobile
per un qualsiasi Allenatore di Pokémon.
Ma
alla brunetta non importò. Quella che aveva appena fatto
fuori era una lurida sciupamaschi.
Niente
e nessuno le avrebbe mai dato la possibilità di redimersi
nemmeno da morta.
Soprattutto
non gliel'avrebbe data lei.
Senza
esitare oltre, quella fece per prenderle la Poké Ball dalla
mano
con l'intenzione di scappare il più velocemente possibile
subito
dopo e non rimanere a guardare ulteriormente.
Non
ebbe il tempo di fare ciò, che il cadavere della famosa
modella fremette.
Una
risata femminile e nasale, prima molto flebile e poi sempre
più
aperta, distruggeva quella barriera di silenzio imbarazzante, rideva di
gusto e non riusciva a fermarsi.
Era
un suono delizioso sentire Camelia ridere. Lo era sempre.
La
recluta indietreggiò spaventata, come se avesse appena
toccato
un essere viscido, lasciando perdere l'oggetto del suo desidero. Era
davvero viva?
Sì
che lo era. Lo era e ci teneva a farlo sapere.
«...Scusa...
- fece per riprendere fiato la mora, non si capiva se stesse fingendo o
facesse sul serio - scusa, non riuscivo più a
trattenermi...»
Non
si mosse dalla sua posizione, contorse i muscoli della schiena per dar
sfogo alla risata.
I
residui di sporcizia erano evidenti sul nero dei suoi capelli,
rendendolo opaco, schiarendolo fino ad una sfumatura più
simile
al grigio antracite.
Il
suo kimono invece non aveva neppure l'aspetto di un capo di
abbigliamento: somigliava ad un insieme di stracci cuciti insieme,
cuciti male per di più, neppure la fantasia a fiori che
colorava
il tessuto giallo limone si distingueva.
«Ma
tu, tu non muori mai?!» Le urlò contro la giovane,
correndo verso di lei.
Ma
Camelia smise di ridere solo quando la ragazza fu per avventarsi su di
lei.
Che
imbecille. Non poteva richiedere l'aiuto del suo potentissimo Steelix?
Immaginò
che si trattasse del classico Pokémon al cento percento
obbediente alle mosse dettate dal suo Allenatore, quelli che vivono per
assecondarlo e vengono trattati come macchine.
Jasmine
la colse di sorpresa però: essendo ancora in piedi
bloccò
sotto la suola dei suoi stivaletti neri in dotazione con l'uniforme le
maniche dello yukata della mora.
Non
le pestò le braccia, fu fortunata, ma così lei si
trovava bloccata a terra, senza via di scampo.
Si
sarebbe dovuta preoccupare. Ma ancora, la situazione per lei era troppo
stupida.
«Lo
sai cosa mi fa ridere di tutto questo?» Le disse, sorridendo.
Si
mosse improvvisamente, con un movimento che non richiedeva
l'elasticità di un acrobata, ma il pudore che solo una
modella
di bikini scosciati poteva avere: in una manciata di secondi
ritirò le braccia lungo le maniche larghe, lottando con gli
elastici e le cuciture che le graffiavano la pelle, scostando le
spalle, riuscì a liberarsi in maniera del tutto poco
ortodossa.
Durante
le sue sfilate le concedevano anche meno tempo per spogliarsi.
«Che
quella dalla parte del torto sia tu. Non hai idea, ci godo troppo...
Credimi
Jasmine, è stato bellissimo morire con la coscienza a posto.
Peccato sia durato poco.
Meglio
questo che vivere col senso di colpa a vita per aver detto cose al
limite del ridicolo su una persona innocente, ma molto, molto
meglio!»
«Non
prendo lezioni di vita da una con mezze tette
fuori!»
Le
ribatté quella, rabbiosa come non mai.
Effettivamente
quella lotta così dinamica aveva causato qualche scompiglio
interno ed esterno.
Camelia
era riuscita a liberare le braccia prima immobilizzate estraendole
dalle maniche e facendole riemergere dal largo spacco sul torace che
aveva.
Ringraziò
di essersi messa lo yukata, con una maglia normale non ci sarebbe
riuscita.
E
comunque, non capiva le paranoie di quella ragazzina
(calcolò
che portasse più o meno la stessa taglia di Iris, dunque un
poco
le capiva), il suo seno era in piena regola. Almeno quella volta, era
perfettamente coperto e non passabile di censura.
«Perché
non ti fai gli affari tuoi? Guarda, hai tutta la gonna abbassata... Non
adatto a un pubblico di minori, direi.»
La
giovane Capopalestra non sapeva se stesse facendo ciò per
diletto o per pura curiosità.
Stava
di fatto che quella piccola smorfiosa le aveva mostrato la sua zona
più delicata senza pensarci due volte, la vedeva quando era
distesa e non se ne sarebbe scordata facilmente.
Non
aveva un piano in mente, era tutto congeniale alla pessima battuta che
aveva fatto.
Con
le braccia nude le afferrò l'orlo della gonna in pelle
sintetica, tirandola verso il basso più forte che
poté,
tenendo lo sguardo fisso sul bordo del suo bacino.
È
lì che si trovava ciò che le interessava: la
cintura con le Poké Ball.
«Sei
solo irritante, non me ne frega di cosa tu pensi
ora!»
Le
gridò contro l'altra, provando a dimenarsi per scacciarla
via da
quella distanza estremamente ravvicinata con il suo inguine.
Era
quella la reazione che desiderava, puro moralismo e puritanesimo.
Camelia
prese tutte e tre le Poké Ball, staccandole dai loro ganci
in
fretta e furia, dovendo fare i conti a sua volta con i pugni e i calci
che provenivano dalla sua avversaria ancora in piedi.
Lanciò
via lontano le altre due Poké Ball, nell'ultima che era
rimasta vuota fece rientrare Steelix.
Tenne
quella sfera sospesa in mano, con l'altra che attendeva che gliela
cedesse.
Ci
fu un attimo di tregua dopo quel marasma confusionario e artefatte sexy.
«Ho
vinto io.» Sibilò Camelia fra i denti,
evidenziando un sorriso vittorioso.
«No...
Non ho ancora finito... Tu sei una sporca gattamorta, lo so io quanto
lo sa Corrado, tu sei una...» Ma non riuscì a
terminare la
frase da quanto era esausta.
«Ho
vinto io, okay? Ora fammi uscire di qui, mi sta venendo il mal di
testa.» Insistette.
La
mora infine, mossa da una quantità industriale di pietismo
accumulatasi in quello scontro, passò la Poké
Ball alla
sua avversaria, mentre la porta del corridoio buio da cui era entrata
si illuminava, mentre tutte le lampade e i riflettori si affievolivano
per la sua uscita di scena.
Mentre
la nostra eroina camminava voltata verso l'uscita, alla solita maniera
elegante che conosciamo, non riuscì ancora a spiegarsi la
marea
di bugie che quella ragazza aveva inventato su di lei.
Erano
tutte bugie, cose non vere. Solo lei poteva confermarle.
Le
fece schifo quanto in basso una persona potesse cadere pur di reclamare
attenzione sottraendola ad altri, lei che aveva ricevuto le peggiori
attenzioni poi.
Lo
avrebbe volentieri definito un fenomeno passeggero, una moda di
internet, ma non c'era verso.
Si
sentiva più pulita a camminare a seno nudo davanti a milioni
di
persone piuttosto che inventare un finto pudore pur di spogliare gli
altri della loro dignità.
E
intanto la recluta dai capelli bruni collassò a terra, come
se
la spina dorsale non riuscisse più a reggere il peso del suo
corpo.
Erano
ormai le due e mezza di notte.
❁
Se
Alice non avesse attaccato dopo aver pronunciato la classica frase
allertante non sarebbe stata una vera antagonista. Non si
smentì: fece uscire dalla Poké Ball il suo
esemplare di
Skarmory, le cui ali platinate puntavano dritte verso l'alto.
Si
massaggiò un ematoma bluastro al centro del viso e subito
impartì un comando.
«Usa
Eterelama.» Disse con il naso tappato, più seria
che poté.
«Che
simpatica. - Mossa dalle circostanze, Anemone si permise il suo primo
accenno di sarcasmo in un discorso, sentendosi presa in giro come mai
era stata - Mi hai rubato l'unico Pokémon che avevo. Cosa
pensi
di attaccare, ti sei fatta due domande?»
La
sua perplessità era assai lecita. Quella recluta stringeva
fra
le mani la Poké Ball di Swanna, tenendola bene in evidenza
per
rinfacciarle l'averla disarmata già a inizio lotta.
Ma
la risposta giunse da sé, non serviva un maestro per dedurla.
Subito
un impetuoso movimento delle ali del Pokémon avversario
squarciò l'aria, producendo un'onda trasversale di notevole
intensità, una lama di etere, appunto.
La
ragazza esperta nel tipo Volante era cosciente della
velocità di
quell'attacco e volle evitarlo a tutti i costi, per quanto le
dispiacesse esserne il bersaglio.
«Non
posso crederci, questa mi vuole fare secca! -
pensò sconsolata - Ma cosa ho fatto di
male nella mia vita per meritarmi tutto questo...»
La
aggredirono due colpi uno di seguito all'altro, rapidi come saette e
taglienti come rasoi.
Certo,
le sarebbe bastato indietreggiare di qualche passo, ma l'audace giovane
dai capelli cremisi non poté che cogliere
l'opportunità
di dimostrare quanto fosse migliorata nel periodo che la separava dalla
lotta contro Camelia.
Inarcò
la schiena all'indietro tale e quale a un giunco mosso dal vento e con
le mani si sostenne, i muscoli delle cosce le diedero la forza
necessaria a spingersi per poi atterrare in piedi, ricomponendosi nella
posizione eretta iniziale.
Evitare
un attacco Eterelama con una leggiadra rondata, quello era il suo stile.
Il
suo piano successivo (ormai nella sua fantasia era diventata la
protagonista del suo anime, che però non era mainstream)
sarebbe
consistito nell'attaccare fisicamente la recluta almeno per riprendersi
la sua Poké Ball, visto che neppure dopo la sua epica
scazzottata quella ragazza andava al tappeto.
Schivò
veloce un'altra serie di mosse impartite con quel tono sciatto e
disinteressato.
Infine
le rivolse queste parole, guardandola dritta in faccia.
«Possiamo
andare avanti anche tutta la sera, se vuoi. Però sappi che
io avrei di meglio da fare.
Ho
una fidanzata che mi aspetta. Una top model, sottolineo.»
Era
ovvio che non volesse davvero restare lì tutta la notte a
saltare da un capo all'altro dell'arena come una cavalletta, lo aveva
detto solo per intimorirla.
«Oh
Dio, e se anche lei ha il fidanzato? -
pensò, allarmata da un'incombente scudisciata - Ho
fatto un'altra figura del cavolo.»
Alice
la fissò falsamente basita. Non credeva che quel caso umano
si
ascoltasse davvero quando parlava, ma allo stesso tempo era curiosa di
vedere quante risorse le fossero rimaste per affrontare la parte
più dolorosa della battaglia.
«E
per ora che tu avrai fatto l'ennesima capriola per evitare gli attacchi
del mio Skarmory, io ti avrò già eliminata.
Quindi mi
dispiace Cenerentola, niente principe azzurro neanche
stasera.»
«A
me non serve un principe, - riprese quella metafora - non sono
né una principessa né una damigella in pericolo.
Se non
ti dispiace, me la cavo benissimo anche da sola.»
Alice
la guardò stupita, ma quella volta dimostrava genuino
stupore,
non quell'espressione posticcia da pesce lesso che in realtà
conosce tutta la storia.
La
rossa si fermò un attimo e aspettò cauta che non
si azzardasse a tirarle contro un'altro Eterelama.
«Skarmory,
facciamola finita. Usa Ferrartigli.»
Il
Pokémon di Hoenn subito obbedì al comando e si
lanciò in planata verso il suo bersaglio, affilando gli
artigli
delle due zampe grazie all'attrito dell'aria.
La
recluta scelse un attacco di tipo fisico per entrare in contatto con la
sua preda, l'ennesimo attacco speciale sarebbe andato a vuoto di
sicuro. Voleva sbrigarsi nel suo compito inoltre.
Lei
non perse tempo e subito si preparò a crearsi una strategia
che
non fosse solo difensiva, ma anche offensiva: attese paziente senza
muoversi che Skarmory le si avvicinasse.
La
sua avversaria era ancora in errore, se pensava che lei si fosse data
per vinta.
Al
momento preciso (aveva notato che ce ne era sempre uno in ogni
occasione) saltò in alto, contraendo i forti muscoli delle
cosce, aggrappandosi con le mani agli artigli acuminati del
Pokémon. La giovane subito contrasse il viso dal dolore.
Il
piumaggio metallico caratteristico dell'uccello non le aveva aperto
solo minuscoli taglietti sulle dita, le sue braccia erano striate di
rosso come quelle di un'autolesionista, in alcuni punti la pelle
abbronzata le si sbucciava perfino: quando era piccola suo nonno
copriva i suoi piccoli malanni con cerotti morbidi di cotone,
ripetendole che peste di una bimba fosse.
Una
volta accortosi di aver mancato il bersaglio, il Pokémon
cominciò ad agitarsi, provando a scrollarsi di dosso la
zavorra
umana appesa alle sue zampe.
Anemone
tentò di non perdere la calma, ma quello continuava a salire
in
alto, sempre più in alto, la stanza aveva un soffitto
decisamente alto, fuori dalla norma.
Continuare
a penzolare non avrebbero aiutato a recuperare i suoi resti spiaccicati
neppure con un cucchiaio.
La
ragazza dai capelli rossi si fece coraggio, ne teneva sempre un po' di
riserva nelle situazioni di pericolo, per tutto simile a un supereroe
quando sfoggia la sua arma segreta.
Più
forte stringeva le dita intorno agli artigli affilati, più
le faceva male. Fece un respiro breve.
Incanalò
tutta la sua energia sulle gambe e, dandosi lo slancio con il bacino a
mo' di altalena, riuscì a salire sul dorso di Skarmory con
una
capriola molto agile, si sentiva una trapezista senza la rete sotto, il
fatto che non fosse ancora caduta lo considerava un miracolo.
Si
trovò seduta in una posizione assai scomoda in cui il suo
kimono
era completamente sollevato nella parte inferiore, rivelando insieme ai
muscoli tonici delle cosce e dei polpacci anche due natiche perfette,
sode e carnose, la pelle vibrava leggermente all'impatto con l'acciaio
duro.
«Che
sta facendo ora... - Alice osservava tutto con lo stesso scetticismo di
chi ha capito il trucco di un mago o non ha nessuna voglia di lasciarsi
impressionare - Questa ha problemi seri...»
Non
era panico quello che la rossa provava, le veniva imposto dal suo
cervello di agire razionalmente seguendo il suo schema, però
quel bestione si muoveva a tale velocità da riuscire a farle
sentire l'aria fischiare nelle sue orecchie.
Dopo
essersi domandata da sola "okay, ora che si fa?" almeno dieci volte in
un minuto, provò ad andare d'istinto, dopotutto fidarsi del
suo
senso dell'intuito le aveva sempre portato fortuna.
Si
avvicinò con non poca difficoltà alla testa
affusolata,
la fisica le era nemica in quell'impresa dato che la direzione verso
cui lei puntava era quasi perpendicolare a quella verso cui si dirigeva
a bordo di quel Pokémon Uccello e i due vettori si sommavano
un
una serie di prove ed errori, tuttavia anche solo uno degli ultimi le
sarebbe stato fatale.
Senza
pensarci due volte, gli coprì gli occhi con le mani.
Una
mossa semplice, ma altrettanto efficace.
«Ecco,
adesso si ammazza.» Commentò senza trepidazione la
ragazza a terra.
Il
volatile lanciò un lungo e disperato stridio, manifestando
la
paura latente sotto quella dura corazza d'acciaio, nonostante
ciò non riuscì a sollevare alcuna preoccupazione
nella
sua Allenatrice.
Non
importa quanto esso si dimenasse pur di scrollarsi di dosso la causa
del suo accecamento, a provare un minimo dispiacere per quell'atto di
maltrattamento era la rossa.
Ma
non aveva altra scelta. La guerra di suo porta sempre gli innocenti in
mezzo al conflitto.
Anemone
cercava di non spostare le mani dagli occhi di Skarmory mentre
contemporaneamente doveva aggrapparsi alle schegge di metallo acuminate
per non precipitare a terra, contando ogni secondo qualche graffio
bianco che risaltava sulla pelle abbronzata.
Come
una domatrice che cerca di non cadere dal dorso di un cavallo
imbizzarrito, il suo numero circense non doveva servir solo a portare
divertimento per la sua avversaria spettatrice, poteva giurarci che
stesse contando i secondi prima che lei venisse sbalzata via.
Ebbe
un'altra idea, in una situazione normale non l'avrebbe mai definita
frutto della sua mente.
Incitò
il Pokémon a planare spostandogli il muso verso il basso.
D'istinto
Skarmory interpretò quello stimolo come ancora di salvezza e
prese a scendere in velocità, sempre più veloce
fendeva
l'aria col suo corpo aerodinamico, costringendo la sua pilota a
chiudere gli occhi e tenersi con tutte le forze.
«Va
per il suicidio? - Alice si pose un'altra domanda all'apparenza
retorica - Va per il suicidio...»
Quell'istante
di forte tensione fu l'ultimo che le due ragazze poterono ricollegare:
pochi istanti dopo, davvero impercettibili, nessuna riusciva ad
intravedere neppure il volto dell'altra.
Erano
entrambe a terra.
Sia
quella che vi si era scagliata contro di sua volontà, sia
quella che già vi era.
La
recluta del Neo Team Plasma non poté considerare sana quella
strategia da kamikaze; la rossa aveva per davvero diretto il suo stesso
Pokémon contro di lei per colpirla?
Più
di questo però, odiava il fatto che il suo tentato suicidio
avesse funzionato ed ora il suo Skarmory era bello che andato.
«...sei
morta?» Sentì domandare.
Erano
ancora sul ring, i tre corpi stremati giacevano su una conca profonda
procurata dall'impatto.
Anemone
si sedette distendendo le gambe, sbattendo un paio di volte le palpebre.
Si
guardò i palmi delle mani, i gomiti, le ginocchia e le
caviglie,
scorticati secondo un disegno astratto di diverse sfumature di
carminio, nei punti in cui non era ferita c'erano macchie di contusioni
ben visibili.
Diede
un'occhiata in giro e giunse allo stesso risultato analitico della sua
avversaria.
«No,
per tua sfortuna.» Non seppe dirsi né contenta
né dispiaciuta nel ricevere tal notizia.
Alice
ritirò il suo Pokémon nella sua sfera. Non
c'erano
problemi per lei, il Sangue del Drago non le aveva fatto percepire il
minimo dolore, era come se le fosse arrivato un cuscino addosso invece
di una bestia da chissà quanti chili.
O
almeno, in teoria.
Rivolse
uno sguardo omicida alla rossa: era veramente decisa a farla finita.
Afferrò
una scaglia tagliente come una mannaia lasciata cadere dal suo
Pokémon.
Avrebbe
puntato alla gola. Non voleva dimostrare alla scientifica che aveva
perso il suo tempo a sviscerare un individuo tanto patetico.
Anemone
colse l'intento assassino e si spaventò. Non aveva
di che difendersi ora.
La
sua avversaria le sembrava invincibile, mentre lei ancora faticava a
riprendersi dalla caduta.
Si
alzò in piedi, come un poveraccio sorpreso a rubare di
nascosto,
scappò via ed inevitabilmente si trovò bloccata
dall'altra parte del ring.
Vedeva
la punta acuminata scintillare: respirò affannosamente,
stringendo gli occhi per la paura.
Ma
la recluta non accennava a raggiungerla. Non si muoveva
neppure.
In
verità non l'aveva ancora uccisa perché non
poteva proprio alzarsi.
Così
vi fu un breve silenzio, in cui la rossa la fissava confusa, mentre
questa non comprendeva come mai si trovasse ad avere tale
difficoltà motoria pur non avendo percepito nulla.
E,
come da copione, Alice scoprì sulle sue macerate ossa quanto
quell'elisir dell'invincibilità non fosse stato altro che
una
gigantesca, enorme, grandissima fregatura.
«...Mi
ha spaccato le gambe! Brutta idiota, che hai fatto, mi hai spaccato le
gambe!»
Gridò
quasi in lacrime. Provò a rimettersi in posizione eretta, ma
sebbene non sentisse alcun dolore, le sue gambe non potevano obbedire,
le ossa fratturate non le permettevano di sostenere il suo stesso peso.
Intanto
la rossa aveva raccolto la Poké Ball del suo Swanna
sfuggitale dalle mani.
Sarebbe
scoppiata a piangere per l'umiliazione, non si trattava solo del
fallimento di una dannata missione, il suo orgoglio ferreo si era
andato ad incrinare e poi spezzare come il ramo di un albero fracassato
dal temporale.
Ora
capiva la sete di vendetta dei cattivi dei film e dei fumetti, non era
questione di successo, era tutto schiavismo dettato dalla sua superbia,
la sua giovane età le aveva davvero dimostrato l'esistenza
del
karma, della provvidenza divina, della vendetta storica.
«Ah...
Ops, scusa...»
Dulcis
in fundo, Anemone le rispose con una dabbenaggine che solo lei era in
grado di dimostrare.
Poi
la vide voltarsi e uscire di corsa, probabilmente sarebbe andata dalla
sua "fidanzata" a raccontarle tutto e a ridere di lei, come chiunque
avrebbe fatto.
Non
conosceva abbastanza a fondo Anemone, per sapere che non lo avrebbe mai
fatto.
❁
Una
barriera sferica invisibile ed impenetrabile circondò
un'area
ristretta intorno alla giovane allenatrice, ella si godeva il prodigio
delle sfere scure che si smaterializzavano al contatto con la
superficie proprio come le bolle di sapone quando scoppiano.
Peccato
che la mossa Protezione funzionasse solo per un limitato periodo di
tempo.
Invece
di perdere la calma o di manifestare sconforto, Catlina dispose di
racimolare istanti per escogitare una continuazione al suo precedente
piano, anche se, per via della fatica e del sonno incombente, non era
più in condizione di temporeggiare.
Il
cielo notturno fedelmente riprodotto sopra la sua testa e quella di
Sabrina non aveva mai smesso di vorticare lento, le stelle ben visibili
scorrevano come in un fiume d'acqua blu cobalto atto a lavare la
distesa buia del soffitto: un'atmosfera onirica avvolgeva quel luogo.
Prima
che nella sua mente confusa potesse affiorare il nome di una qualche
costellazione si trovò a pregare che l'utilizzo prolungato
della
mossa difensiva per eccellenza non decidesse di fallire proprio in quel
momento.
Non
avrebbe accettato quella presa in giro da parte del fato.
Dette
uno sguardo ai fugaci movimenti dell'avversaria, così
lontana da
lei, agli antipodi della stanza: neppure lei pronunciava ad alta voce i
comandi per il suo Pokémon, forse era una cosa che tutti gli
allenatori esperti del Tipo Psico facevano e lei non aveva alcun
diritto di sentirsi unica per quello.
Sapeva
che l'Alakazam della recluta puntava a lei, l'organizzazione del Team
Plasma si era riappropriata della tecnica della battaglia violenta per
sottomettere l'Allenatore al posto del Pokémon, dunque
quella
strana ragazza non l'avrebbe lasciata in pace finché non
l'avrebbe vista al tappeto.
Era
strano: pochi minuti prima parlava di principi morali, di
etica.
Come
questi concetti potessero sposarsi con i piani di dittatoriale abuso
del potere le era oscuro, a suo parere non esistevano filosofi che
avessero incluso nei loro insegnamenti tale incoerenza di pensiero,
né fra i primi pensatori greci, indaffarati alla ricerca
dell'archè, né i monaci chiusi nei conventi ad
analizzare
i cardini della fede, non trovava esponenti di quella teoria neanche
fra gli illuministi e gli psicanalisti di fine novecento.
Le
pesava di non poter afferrare l'apparente profondità di quel
messaggio. La biondina di Sinnoh aveva ricevuto un'educazione
costosissima ma che le era praticamente scivolata addosso, o lei era
una sempliciotta capace solo di ripetere a memoria le declinazioni in
latino, o per davvero la filosofia del Team Plasma non aveva senso.
Camilla
invece... Camilla sapeva un sacco di cose, puntualizzò nella
foga.
Quando
Nardo poneva loro delle domande sull'andamento delle loro tre compagne
più giovani era sempre la leader quella che rispondeva per
prima, mentre lei stava a fissarla come se un macigno le bloccasse la
lingua.
Poi
la Campionessa leggeva, leggeva sempre. Ogni tanto le veniva la balzana
idea di cominciare una conversazione con lei, ma la trovava sempre con
in mano un tablet dallo schermo graffiato o il suo cellulare
indistruttibile, allora si allontanava piano, per paura di causarle
fastidio.
Chissà
quante nozioni doveva aver appreso nel corso di dieci anni o
più, si domandò.
Sapeva
il Pokédex di Sinnoh e quello di Unima a memoria, mediante
contorti trucchetti aritmetici ricordava il numero esatto dei danni
inflitti da una mossa e in determinate occasioni si trovava perfino a
correggerla con il suo tono gentile e disponibile.
Per
quanto innocuo tutto ciò fosse, Catlina non poteva evitare
di
sentirsi a disagio nel ricevere quel tipo di attenzioni.
Era
una cosa insensata da dire o pensare per una che si era posta come
proposito per quell'estate il voler dimostrarsi più adulta e
matura.
La
ragazza si sentiva esposta in maniera eccessiva, avere la pelle di
carta velina amplificava il minimo sfioramento e la sola condivisione
di una stanza con Camilla la rendeva nervosa.
D'altra
parte vi erano momenti in cui la vicinanza con la suddetta le aveva
provocato invece un leggero solletico al cuore, non avrebbe mai
immaginato di rimembrare l'episodio dell'onsen con il sorriso sulle
labbra.
La
ragazza infine ammise a sé stessa di non aver mai provato
quel sentimento prima d'ora.
Era
qualcosa di più di un banale complesso di
inferiorità,
lei e la sua amica d'infanzia avevano condiviso talmente tante
esperienza da aver abbattuto del tutto ogni genere di sciocco orgoglio.
Erano
anni che le due non avevano nulla da dimostrarsi.
E
se c'era una cosa, uno scudo che per Catlina era indispensabile per
affrontare il mondo esterno era il suo scudo d'orgoglio e il velo di
paranoica introversione che la copriva da capo a piedi.
Come
Camilla avesse fatto breccia attraverso di esso... Non sapeva
spiegarselo.
Ancora
una volta, la biondina si vergognò di quei pensieri, non si
sarebbe azzardata a confessare di essersi concessa un volo pindarico
del genere nel bel mezzo di una lotta, e non una lotta qualsiasi.
Strinse
gli occhi che le lacrimavano nelle palpebre, di fronte a lei vi era un
marasma umidiccio che distorceva ciò che vedeva come in un
caleidoscopio e contribuiva a farle venire mal di testa.
Ma
quel suo delirio non scomparve appena lei dischiuse le palpebre.
Non
riconosceva più neppure l'ambiente della sua stanza. Le
stelle se ne erano andare.
Le
colonne ioniche se ne erano andate. Perfino la pietra d'Istria su cui
posava i piedi.
Macchie
indistinte e sfocate avevano preso il posto dei colori, l'aria si era
fatta dolciastra.
La
ragazza tentennò nel mezzo di quella confusione.
«Che
pensieri carini... Adesso siete pure diventata le- intendevo dire,
omosessuale?»
Dunque
era vero che la Capopalestra di Zafferanopoli leggeva nel pensiero.
Intanto
la nostra eroina esitò, inferma nei propositi. Non doveva
per forza rispondere.
«Deve
essere lei allora. Starà usando qualche mossa che altera la
dimensione dello spazio, come Distortozona...»
Rifletté,
prima di venire interrotta.
«Che
piccola presuntuosa. - Commentò la recluta da lontano - Mi
avete
già accusata dei vostri malesseri quella sera al
casinò,
non siete molto sincera con voi stessa.
Guardate,
vi tremano le mani... Non avete affatto una buona cera.
Deve
essere proprio brutto, insieme con tutti i mali che vi affliggono,
soffrire anche di crisi epilettiche! Siete proprio una ragazza
sfortunata.»
Catlina
non riuscì a sentire le ultime parole della frase che il
suono
affannoso del suo respiro si arrampicava disperatamente per uscirle
dalla gola e le aveva alzato la pressione.
Negli
ultimi anni non le era mai capitato di avere due attacchi
così
vicini nel tempo e, vista la natura della situazione, trovò
inutile ribadire a se stessa di doversi imbottire di farmaci.
Ormai
la schiena le faceva già male, le pareva che i tessuti
muscolari le si stessero strappando.
«Non
farti prendere dal panico, Catlina Yamaguchi, non farti prendere dal
panico che fai solo peggio...» Si
ripeteva in testa, incurante del fatto che la sua avversaria la stesse
ascoltando.
«Reuniclus
usa...» Le richiese grande sforzo gridare il comando e questo
suo
primissimo tentativo fu comunque inutile.
Usando
un attacco di tipo fisico Alakazam aveva sbattuto il povero
Pokémon Cellula contro la parete di marmo, scavando un solco
profondo qualche centimetro, mentre il verso straziato di esso
riecheggiava nella stanza.
Ora
la giovane senz'anima era letteralmente spacciata.
Poiché
perfino l'aria sembrava schiacciarla, lei si accasciò a
terra,
reggendosi sulla mani e sulle ginocchia, sentendo di essersi procurata
un nuovo paia di ematomi su ognuno dei due. Ora il suo intero corpo
fremeva visibilmente, come scosso da presenze demoniache.
Chiuse
gli occhi. Non pensò a nulla, volle concentrarsi solo
sull'oscurità che la sottraeva dalla visione della sua
dolorosissima fine.
Senza
dar l'impressione di star traendo alcun piacere sadico dai suoi gesti,
Sabrina si avvicinò alla fanciulla morente e la
squadrò
da capo a piedi.
Fece
poi un cenno con la mano al suo Alakazam, il quale ne
sollevò il
corpo di almeno un metro da terra, come il boia che in un esecuzione
pubblica mostra alla folla assetata di sangue il corpo dello sventurato
nobile di turno che andava a finire sul patibolo su richiesta del
popolo.
Notò
che la signorina Yamaguchi era svenuta per la paura. Sorrise
leggermente.
Poi
attuò il suo vero piano: far soffrire la ragazza, riuscire a
cavarle di bocca almeno un grido, non permetterle di mantenere intatto
il suo prestigio fittizio fino all'ultimo.
Così
fece segno al suo Pokémon di utilizzare Psichico, la mossa
manipolatrice per eccellenza, e di romperle il collo.
Un
crepito improvviso precedette la torsione involontaria, le vertebre
dorsali scricchiolarono quali gusci di noce rotti, la vittima di tali
abusi emise un gemito impercettibile per il dolore.
Ciò
la svegliò e la tramortì, il suo sguardo fu
diretto prima
verso l'alto e poi verso sinistra in un ampia circonduzione non fluida,
del tutto innaturale.
Le
ossa si erano bloccate in uno strano e complicato incastro che il
più piccolo dei movimenti avrebbe potuto trasformare in una
frattura disastrosa. La bionda non si mosse.
Però
i muscoli del collo e dell'addome le facevano un male tremendo, non
poteva più sopportarlo già dopo i primi istanti;
se le
era lecito, non avrebbe aspettato di farsi uccidere lentamente,
soffrendo da sola.
O
peggio, sopravvivere a quell'incubo.
«...S-Spezzami
la spina dorsale... - la flebile voce si era già rotta in un
mugolio straziato - t-ti prego, fallo...»
Inspirò
con forza attraverso i denti stretti. Era la fine. Rilassò i
muscoli del volto e si pulì la coscienza in extremis, per
guadagnarsi almeno il purgatorio.
«Neanche
per sogno, signorina.»
Sabrina
abbassò in modo brusco il braccio verso il basso, la scorse
mentre si voltava allontanandosi insieme al suo Pokémon con
un
aria per nulla turbata dall'omicidio in piena regola che aveva
commesso. I suoi tacchi alti si avviavano verso l'uscita, trascinando
la sagoma nera che li accompagnava con loro.
Catlina
dilatò gli occhi verde acqua, nel disperato tentativo di
mettere
a fuoco il fotogramma che precedeva la sua dipartita dal mondo dei
vivi, ma già non riusciva più a distinguere i
contorni,
poi solo grosse macchie dense le gravitavano di fronte al volto: ne
riconobbe una verdastra e amorfa, doveva essere il suo Reuniclus; gli
rivolse un sorriso brevissimo, per non farlo piangere.
Era
distesa di schiena sul marmo freddo, tenendo le braccia attaccate al
corpo tremante.
Non
sapeva dirsi se il morire da sola fosse un ultimo favore concessole da
Dio o la più triste delle miserie che le erano capitate
nella
sua breve e tormentata vita.
E
sotto quel cielo stellato, i lunghi capelli biondi della ragazza si
tinsero di un rosso cremisi, che presto arrivò a colorire
anche
la pelle del viso, bianca come il velo di una vergine.
❁
«Beartic,
usa Purogelo.»
Una
frazione infinitesimale di tempo divise il rimbombo del nome della
mossa fatale dalla violenta e brusca dispersione nell'ambiente di una
coltre bianca di ghiaccio, essa si propagava attraverso il pavimento e
le pareti, ma il freddo era addirittura tangibile nell'aria.
Come
investita da un'onda tsunami, la ragazzina non poté far
nulla per proteggere se stessa.
Finì
sbattuta per terra, la neve le graffiava la pelle e la sentiva
infilarsi negli anfratti del suo vestiario tutt'altro che invernale,
rotolò rasentando la terra e a fermarla riuscì
solo un
impatto sgradevolissimo con il fusto di una colonna.
Iris
non aveva neppure chiuso gli occhi: la spaventava troppo l'idea di
perdere i sensi e di risvegliarsi in qualche pericolosa situazione,
oppure di perdere i sensi e non risvegliarsi più;
attualmente si
trovava lontana una decina di metri dalla sua avversaria e questo le
portò un minimo sollievo.
Questa
aveva appena usato Purogelo, una di quelle mosse che, come Abisso e
Ghigliottina, garantiva una vincita sicura qualora andasse a segno,
cosa molto difficile.
A
scuola farcivano la testa dei bambini ripetendo loro che per questa
infame caratteristica sono proibite nei tornei ufficiali, che tanto ad
un bravo Allenatore non sarebbero servite, visto che la
probabilità di fallimenti era assai elevata, vista la scarsa
precisione.
Alla
giovane balenò subito in testa il giorno in cui Camilla e
lei
facevano pratica nel colpire i bersagli e di come perfino la
Campionessa non potesse fare a meno di mancarli.
Georgia
era una ragazza dotata di mille qualità, ci mancava solo che
fosse anche esperta nelle lotte: ma a cosa serviva tutto ciò
se
alla fine il suo genio era maligno e depravato?
Prima
cosa, Dragonite era ricoperto da una farinosa brina candida, adagiato
sul terreno come un cucciolo assonnato qualche metro lontano dalla sua
allenatrice. Era esausto.
Iris
prima di notarlo lì dov'era aveva invano sperato che si
fosse
dato alla fuga nel cielo buio, che si fosse messo in salvo volando via
con le sue piccole e tozze ali.
Ogni
attacco glaciale è micidiale per i Pokémon Drago.
Ed
anche la ragazzina dai capelli viola ne rimase quasi sopraffatta.
Si
alzò in piedi dovendosi appoggiare; non sentiva
più le
dita nelle scarpe zuppe di acqua, le facevano perfino male se si
azzardava a muovere un passo.
La
sua cute abbronzata, abituata al caldo sole che irradiava la regione in
quei mesi, ora si era rattrappita a contatto con lo yukata dal tessuto
irrigidito, aveva la pelle d'oca in ogni centimetro del corpo e le
stava causando perfino un forte dolore allo stomaco.
Richiamò
Dragonite nella Poké Ball e poi si rivolse alla recluta dai
capelli magenta.
«G-Georgia...
Ascoltami, non dobbiamo per forza combattere...»
Mentre
lo faceva tremava, batteva i denti, era la sua spiccata
sensibilità al freddo a congelarla nei movimenti.
Tentò
di avvicinarsi a lei nel timore che non riuscisse a sentirla, ma non
poté evitare di scivolare sulla pietra levigata coperta da
uno
spesso strato di ghiaccio, cadendo rovinosamente.
Eluse
del tutto lo sguardo della sua coetanea, i cui occhi le ricordavano
solo dal colore quanto tutto ciò avesse avuto luogo per una
ragione precisa.
Georgia
sospirò e si portò più vicina senza
alcun impaccio, con la scioltezza di un ninja.
«Fai
proprio schifo, non è divertente lottare con te.»
Iris
per tutta risposta le ripeté la stessa frase con una vocina
acuta in segno di sprezzo.
Poi
le rivolse queste parole, annebbiando l'aria di fronte alla sua bocca
con la condensa.
«Come
fai a divertirti così? L-La regione di Unima, vuoi che cada
di
nuovo nelle mani del Team Plasma... T-Tu, tu hai qualche problema...
Fraxure, vieni fuori!»
Si
dice che ai matti, agli psicopatici bisogna dare sempre ragione, non
svegliare i sonnambuli e a chi delira non va mai spiegato nulla. In
quel caso però, Iris non si permise di star ferma.
«Vuoi
farmi fuori con quello sputo di Pokémon?»
Rimarcò Georgia.
«Fraxure,
Cannonflash.» Ordinò lei a denti stretti,
impassibile davanti a quella provocazione.
«Intercettalo
con Slavina, Beartic. Poi attacca con Frana.» Si
sistemò il cappello nero.
I
due Pokémon si stavano scontrando e le due fanciulle si
trovavano nello stesso campo di guerra figurato di Greci e Persiani
alle Termopili, dei Romani contro i barbari sul confine, come
Giapponesi e Portoghesi al porto di Kanazawa.
Due
eserciti schierati, ognuno con il suo bagaglio di ideali, fortezze e
debolezze personali, nessuno dei due disposto a lasciar cedere tali
valori per sostituirli con altri, di stirpe empia.
«Fraxure,
schiva la frana e poniti davanti a Beartic! - Iris riprese il contatto
visivo con la leader delle reclute - Anche se ci uccidete tutte, appena
sarà giorno potete dire ciao ciao al vostro piano
malefico...»
«E
perché dovremmo? - Georgia non si scomodò
nell'emulare lo
stesso pathos - La popolazione di Unima è abbastanza stupida
da
credere che tu ti ci sia buttata da sola contro il Neo Team Plasma.
Qui
tutti credono a quello che leggono sui giornali e vedono in tv,
possiamo dire quello che vogliamo e fare quello che vogliamo, abbiamo
il controllo su ogni aspetto sociale della regione.»
«Peccato
che questa sia anche la tua regione!» Ribatté.
Fraxure
colpì con forza il muso del Pokémon orso,
costringendolo
a torcere la mascella e indietreggiare. La zanna affilata del drago era
una specie di prolungamento del braccio di Iris, se solo avesse potuto
colpire la leader di quel team di squilibrati.
Non
le avevano insegnato niente i libri di storia, quanta strada avesse
fatto Unima per guadagnarsi la sua indipendenza? Non l'avrebbe lasciata
parlare così male della sua regione.
«Beartic,
usa Scagliagelo e finiamola qua. Mi sono rotta di sentire questa
bambina parlare come se avesse vent'anni. - Georgia incrociò
le
braccia sotto il petto, rivolgendole uno sguardo malevolo da qualsiasi
lato lo si guardasse - Ti fanno questo effetto le tue amichette
lesbiche?
Ti
fanno sentire così importante?
Che
carine, una più stupida dell'altra, e tu sei quella
più
stupida di tutte perché creperai per prima!»
«Davvero,
davvero vuoi tutto questo? - Fece una pausa. La fissò,
dritta
negli occhi - ...Andando avanti così rimarrai per sempre
sola.»
La
ragazzina dagli occhi color nocciola cercò di allontanarsi
subito, stava scappando da dei proiettili vaganti in mezzo alla neve,
un vero scenario dal fronte durante la guerra mondiale, ci mancava solo
che oltre a prendersela con lei quella pazza in nero volesse far del
male pure al suo neo-evoluto Fraxure, prendendo di mezzo pure la
creatura più innocente su quel campo di lotta.
Le
fece uno strano effetto scoprire che la voce di Georgia, quando quella
rivelava i suoi veri colori, riusciva a superare in acutezza anche la
sua. Quando erano uscite insieme aveva un tono basso e suadente, anche
quando cantava era così.
Le
fece male ripensarci, mentre apriva le braccia per proteggere il suo
Pokémon usando come scudo il suo gracile corpo
già
indebolito dal gelo.
Il
ghiaccio tintinnava ogni qualvolta colpiva le pareti lastricate e le
incisioni rudimentali sui muri, i luoghi di appostamento per difendersi
dalle schegge appuntite erano talmente pochi da potersi contare sulla
punta delle dita.
Si
chinò a terra sperando di uscirne indenne pure quella volta.
Aspettò immobile, per paura che perfino il minimo
spostamento
d'aria, anche se avesse solo respirato, una grossa stalattite le
avrebbe trapassato la cassa toracica, bucandole il cuore da dietro.
Ma
non poteva affatto concepire un cuore più spezzato del suo
in quel momento.
«Ma
che hai stasera?! - Quella voce intensa fece di nuovo breccia nelle sue
orecchie, la recluta alfa si stava riferendo al suo Pokémon
-
Non ne becchi una, e io mi sto cominciando a...»
Georgia
si interruppe. Iris poté intuire che i suoi occhi freddi
avessero ingaggiato una gara di sguardi coi suoi, si rialzò
e si
rimise in posizione eretta.
Tuttavia,
i suoi occhi erano l'unico punto in cui non riusciva a concentrare lo
sguardo.
Come
a riprendere il tutto con una cinepresa fece una carrellata lenta e
meticolosa sul torace, ancora coperto dal top nero aderente: andare al
di sotto le fece storcere il naso in maniera abbastanza visibile.
«Oh?!
Che cosa guardi?!» La riprese la giovane, irritata.
Senza
neppure starla a sentire, Iris strinse ancora di più il suo
Pokémon al suo grembo, finendo per graffiarsi gli avambracci
sulle scaglie ruvide.
Fece
un piccolo passo indietro.
«Beartic,
- non potendo comprendere quello strano comportamento, Georgia
alzò ancora di più il volume - falla
fuori.
Falla
fuori, ora!»
Neppure
il Pokémon di tipo Ghiaccio si mosse. Sembrava che il tempo
si
fosse arrestato per permetterle di osservare, di osservarsi per la
precisione, e capire cosa le fosse successo.
«Georgia...»
Disse piano, affannosamente.
Iris
si mise la mano davanti agli occhi e si voltò schifata, non
reggeva più quella vista terrificante: era abituata a
guardare
film horror insieme a Velia ogni tanto, non si spaventava
più
ormai, sapeva che era tutto finto.
In
quel momento però si sentiva perfino l'odore, era orrendo.
Infine
deglutì con forza, sentiva un conato di vomito risalirle
l'esofago per il ribrezzo.
Le
puntò contro l'indice con fare recidivo, in direzione
discendente.
A
quel punto la ragazza dai capelli fucsia abbassò gli
occhi.
Iris
la vide portarsi le mani alla bocca, mentre cercava di soffocare un
urlo degno di un quadro espressionista, balzò perfino
indietro,
come a volersi scindere da quel corpo che la spaventava così
tanto.
La
neve bianca sotto le sue scarpe si era colorata di un vermiglio acceso,
ancora caldo le scorreva lungo le gambe bianche solcandole con vene
diramate in mille piccoli capillari rossi.
La
gonna era fradicia e l'intensità di quel color rubino
aumentava
man mano che il flusso diventava più fitto, come il fiume
Flegetonte.
Una
stalattite grossa quanto una lancia e appuntita quanto un pugnale aveva
trafitto in pieno la pancia della giovane leader e si stava sciogliendo
piano piano dentro le sue interiora.
Il
sangue dunque diventava sempre più liquido e viscoso,
grondava
fitto lungo il tronco della ragazza fino a rapprimersi sulle sue
scarpe, incapaci di muoversi ulteriormente.
Sembrava
per davvero una punizione divina, mentre Georgia emetteva gemiti
raccapriccianti che non riuscivano ad attraversarle le labbra per lo
shock.
Subito
la ragazzina si chiese per quale ragione ella non si fosse neppure
accorta di una ferita di tali dimensioni, ma ancora ignota le era la
ragione per cui il dolore del tutto non le avesse dato il minimo
sospetto.
Il
Sangue del Drago era diventato sangue umano quella notte.
Quando
quella si toccò con le mani e le vide tinte di rosso come
quelle
di un assassino, Iris provò a parlarle mettendoci tutta la
risoluzione e il coraggio rimastole: c'era ancora una
possibilità di salvarla.
«C-Calma,
okay? P-Posso avvisare la mia leader, n-non ti farà niente,
tranquilla, e chiamiamo un'ambulanza, ti giuro, non devi
preoccuparti...»
«Vattene!
- le gridò, esasperata - Vattene,
idiota!»
E
non riuscì ad portare a termine il discorso.
Il
suo Beartic cominciò ad attaccare alla rinfusa, condividendo
lo
stato di trauma della sua allenatrice: alla giovane non rimase altra
scelta che la fuga, ora che ne aveva la possibilità.
Ma
indugiò un attimo. Lasciare una ragazza mezza morta in preda
ad
una crisi non rientrava nel suo prezioso codice etico.
Però
non ebbe scelta.
La
lasciò, correndo verso l'uscita, sperando di poter tornare a
riveder le stelle dopo quell'inferno.
Urlava,
agonizzante per la disperazione, stava invocando un qualcuno per
salvarla, un qualcuno che non sarebbe mai giunto. Georgia ora poteva
tastare sui suoi polpastrelli il sangue, si passò le mani
sul
volto per asciugarsi lacrime miste a sudore acido ed
imbrattò
anche i capelli, le guance.
«Se
vai avanti così - riecheggiò
questo pensiero nella sua mente - rimarrai per
sempre sola.»
Alzò
gli occhi al cielo, l'ultima persona che le avrebbe dimostrato
compassione per il suo intestino squartato e per l'insuccesso della
missione sarebbe stato Ghecis Harmonia.
❁
Nell'androne
principale della Lega cinque sagome si ricongiunsero meste, sembravano
gusci vuoti animati solo dalla consolazione di essersi riconosciute
nonostante il loro aspetto falsato.
Almeno
erano tutte e cinque, all'appello però mancava qualcosa.
Nessuno
ritorna indenne dalle battaglie: chi senza un occhio, chi con una gamba
in meno, chi con una delusione in più, chi senza un pezzo di
anima.
Iris
rabbrividì, nonostante l'ambiente ghiacciato ormai lo avesse
lasciato alle sue spalle continuava a sentire freddo, anche in piena
estate la sensazione di congelare la perseguitava.
Camminava
tenendo le caviglie rigide, per paura di spezzarsi i geloni.
Ora
lo scuro mantello della notte era squarciato da numerosi bagliori, luci
artificiali bianche, rosse e blu, poi un brusio insopportabile si
mescolava alle mille impressioni che si stavano imponendo nella sua
memoria, lasciando tabula rasa degli attimi precedenti.
Un
sacco di persone la continuavano a toccare, a girarle la testa e la
costringevano a guardarli negli occhi e le facevano domande e
pretendevano che lei rispondesse.
Avrebbe
voluto chiedere a Camilla cosa fare, ma era voltata altrove.
Dopo
poco la raggiunsero anche le sue compagne Capopalestra, vicine l'una
all'altra.
Un'ambulanza,
la riconobbe in lontananza mentre qualcuno le chiedeva insistentemente
dove fossero i suoi Pokémon e in che condizioni si
trovavano, la
ragazzina glieli cedette alla svelta pur di racimolare un ulteriore
squarcio di cosa stesse succedendo in realtà.
Si
aggrappò al suo yukata sporco e bagnato, tirando
sù col naso e dilatando le pupille.
«Oddio,
Catlina...» Mormorò sconvolta.
Lei
credeva di aver toccato il fondo affrontando da sola la leader del Neo
Team Plasma, la recluta prediletta dal capo, l'amica pericolosa esente
però da ogni suo sospetto.
Quella
fu la prova schiacciante che a tutto c'è un peggio, una sua
compagna, con cui condivideva lo stesso tetto da un mese ormai era
finita in ospedale per colpa di chissà chi: le si
gelò il
sangue.
E
a proposito di sangue, quella visione spaventosa, di una ragazza
ricoperta di esso da testa a piedi, quella la aspettava nei suoi incubi
peggiori, ogni notte d'ora in poi.
Ancora
traumatizzata da quell'esperienza tremenda, non proferì
parola
lungo il tragitto verso casa di Nardo, non che le sue compagne fecero
diversamente. Lo vedeva dai loro volti che di sicuro avevano tutte
qualcosa da raccontarsi e nessuna sperava davvero di dover stare a
sentire.
Quando
l'alba sarebbe giunta ed il sole sarebbe sorto, tutta la regione di
Unima avrebbe dovuto ascoltare controvoglia una storia di violenza, di
inganno e di tradimento.
Addirittura
i draghi guardiani avrebbero preferito giacere quiescenti nelle
profondità della terra piuttosto che udire di una nuova
minaccia
alla salvezza della loro terra, il ritorno inaspettato del Neo Team
Plasma, più forte di due anni prima, più spietato
che mai.
❁
Behind the Summery Scenery #16
2. Il titolo è una citazione di Alessandro Magno, che pronunciò poco prima di morire ferito da una freccia in battaglia. Povero Ale.
3. E povere antagoniste! Io di norma non sono un'appassionata della violenza e del gore (tranne quando c'è di mezzo la mia prof di matematica) e infatti mi sento di aver esagerato... Ammiro la freddezza degli scrittori horror.
Ora vi sfido ad aspettarvi che le 5 cattivone siano morte, dopo i sensi di colpa che mi sono venuti.
4. Ma quanto adoro Alice e Jasmine che interagiscono così, lol. Scommetto che se avessi scelto degli OC da mettere nel Neo Team Plasma avrebbe fatto schifo. Invece così è tutto più un mindfuck.
Sì, questa storia è un unico grande mindfuck.
5. Per i miei capitoli 15-16 mi sono l a r g a m e n t e ispirata agli episodi 5-6 dell'anime Senran Kagura Skirting Shadows. Infatti Iris vs Georgia èun po' come Asuka vs Homura: la prima le prende per tutto i match, ma non va a tappeto, l'altra la chiama indegna del titolo che andrebbe a ottenere e la buona le ricorda che il potere dell'ammicizzia e della vagina tm sconfiggerà il male. Un giorno. Si spera.