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Autore: Carme93    12/03/2017    1 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo trentaquattresimo
 
Il ritorno dei dissennatori


James si guardò intorno. Era in cima a una balconata, che dava su una specie di cortile da cui si dipanavano i vari corridoi del labirinto. Il marmo delle scale era bianco sporco, sembrava umido e con del muschio in alcuni affranti. Come se fosse l’ingresso di un’antica villa. Non poté che rimanerne affascinato. Decisamente si erano impegnati con la scenografia. Chissà che diavolo c’era in quel labirinto. Qualcosa gli diceva che non gli sarebbe piaciuto scoprirlo. Sospirò. Non aveva molta scelta. Si avviò lungò le scale. Le scese lentamente, tentando di captareascoltare ogni rumore. Non doveva esserci nulla in quel cortile: Dumbcenka e Apolline era passati da lì solo da qualche minuto. Impossibile che avessero incontrato un qualunque ostacolo e che l’avessero superato immediatamente.
Il silenzio era assordante e terribilmente inquietante. Il parco di Hogwarts non si vedeva minimamente. Il perimetro del labirinto era segnato da alte siepi.
James stringeva nervosamente la bacchetta nella mano destra. Dopo aver adocchiato le tre entrate al labirinto vero e proprio, decise di usare l’Incanto Quattro Punte. Il centro doveva essere all’incirca a nord-est. Scelse l’ingresso di sinistra, quello che sembrava più adatto. Il problema era proprio il sembrare. Chissà dove l’avrebbe portato. La strada che si aprì di fronte ai suoi occhi era accidentata. Dovette fare attenzione a non inciampare. Iniziò a spaventarsi: in mezzo ai sassi avrebbe potuto benissimo esserci un serpente. O più di uno. Sentì il cuore pesante e procedette nella speranza di trovare un altro corridoio. Camminò per diverso tempo, senza che il paesaggio mutasse. Fissò l’orologio che teneva al polso e si agitò: erano trascorsi sì e no dieci minuti, ma gli sembravano molti di più.
Comunque doveva sbrigarsi. Non aveva nessuna intenzione di regalare la Coppa ai suoi avversari, men che meno a Dumbcenka. Affrettò il passò e non ci volle molto che notasse l’ingresso a un nuovo corridoio. Stava quasi per sorridere contento quando un enorme serpente apparve di fronte a lui, sbarrandogli la strada. Si bloccò e lo fissò. Sentì le gambe diventare di gelatina e la prima e unica cosa che gli venne in mente fu quella di girarsi ea correre via a gambe levate. L’avrebbe raggiunto, ne era sicuro. Lo sentiva strisciare dietro di lui. Poi improvvisamente alla sua destra si aprì un passaggio e vi si infilò senza nemmeno ragionare se fosse o meno una buona scelta.
Imprecò: sempre la stessa strada piena di sassi. Ma era la stessa? In preda all’angoscia si bloccò. Non sentiva più alcun rumore: il serpente non l’aveva seguito. Forse.
Ma chi gliel’aveva fatto fare? Era colpa del suo maledetto orgoglio Grifondoro! Avrebbe dovuto imporsi fin da principio! Fare un casino e mandare a monte il Torneo! Insomma a che serviva essere il figlio del grande Harry Potter? E suo padre? Perché non aveva evitato quel Torneo?
Si passò una mano sul volto nel tentativo di calmarsi: stava pensando un mucchio di fesserie. Suo padre non aveva potuto far nulla per evitare quel guaio in cui si era cacciato. E lui avrebbe potuto fare qualunque cosa, anche mettere a soqquadro l’intero Castello, il Ministero, la Foresta Proibita, la nave di Durmstrang e la carrozza di Beauxbatons e… ma che stava dicendo? Un mucchio di sciocchezze. Eccolo qui il grande James Potter! Il futuro grande Auror che non era capace di superare una stupidissima prova! Era inutile! Tutto fumo e niente arrosto! Era un arrogante, Al aveva ragione da vendere quando glielo diceva. Che vergogna quando avrebbero dovuto tirarlo fuori da lì!
Si lasciò scivolare in ginocchio. Aveva sonno e ci sarebbe voluto tempo prima che lo venissero a cercare. Poteva anche permettersi un pisolino,  dopotutto.
 
«James, sei impazzito!?» la voce di Apolline lo riscosse dal torpore in cui era caduto. «Stupeficium! Alzati».
 
Obbedì distinto. A malapena vide che cosa aveva colpito la ragazza, ma bloccò con le mani una creaturina tutta pelosa, tranne la testa, che gli era saltata addosso con la bocca spalancataaperta. Dove cavolo era la bacchetta? L’aveva lasciata cadere? Lanciò via il mostriciattolo e tirò un calcio a uno che gli stava per addentare la gamba.
 
«La bacchetta!» urlò Apolline lanciandogliela.
 
James la prese appena in tempo per schiantare un’altra creatura che stava per saltare sul collo della ragazza.
 
«Andiamo via» strillò Apolline, tirandolo di peso nella direzione da cui era venuto.
 
«No! Da quel lato c’è un basilisco! L’ho visto!».
 
Apolline si fermò solo quando fu sicura che i mostriciattoli non li stessero inseguendo.
 
«Ma che stai dicendo?».
 
«Ho visto un basilisco prima! E stiamo andando proprio verso di lui!».
 
Apolline si fermò e lo fissò palesemente furiosa. «Ma sei scemo o cosa!? I progrebin stavano per divorarti e ora te ne esci con questa idiozia? Bene, signori e signore, vi presento James Potter Colui-Che-Ha-Guardato negli occhi un basilisco e non è morto! Ma ti senti?».
 
Il ragazzo era trasecolato e ricambiò stranito il suo sguardo. «Progrebin? Ma ho letto che ci vogliono ore perché riescano a far disperare qualcuno».
 
«Sì, ma lì ce n’erano almeno cinque o sei. Qui c’è ne saranno altrettanti!» sbuffò Apolline. «Immagino che tutti insieme facciano un effetto peggiore. Ti giuro, per un attimo ho pensato che avrei assistito al tuo divoramento!».
«Ok» disse James tentando di raccogliere le idee. «I progrebin. Questo spiega quel senso di disperazione e angoscia in cui ero caduto. E va bene, non poteva essere un basilisco, anche se sono sicuro di quello che dico, comunque era un serpente enorme!».
 
Apolline non lo ascoltò e riprese a camminare. «Muoviti» lo incitò. «Non voglio perdere tempo per colpa tua».
 
James si indignò, ma la seguì ugualmente. Non poteva certo mostrarle di aver paura! Il suo cuore, però, batteva ancora all’impazzata.
 
Apolline strillò e divenne più bianca di quanto già non fosse. Il ragazzo fissò esterrefatto l’essere che gli sbarrava la strada. Nuovamente. Solo che stavolta aveva la testa di quello che identificò come uno scarafaggio al quanto ripugnante e la coda di un serpente. Comprese immediatamente e si diede dell’imbecille. «Riddikulus!» disse con fermezza e il molliccio sparì.
 
«E che cavolo!» borbottò Apolline.
 
«Ciò che ti spaventa di più sono gli scarafaggi?» le chiese James con un lieve ghigno dipinto in volto. Ella gli gettò un’occhiataccia.
 
«Io vado di là» disse voltandogli le spalle e dirigendosi verso destra. «Siamo pari, comunque».
 
James non si era neanche accorto che il molliccio nascondeva l’ingresso di nuovi corridoi. Fissò ancora stordito Apolline allontanarsi. Si riscosse e ripeté l’Incanto Quattro Punte. Stavolta prese la strada centrale. Era un ambiente diverso dal precedente. Il terreno era rossastro e anche le pareti avevano cambiato aspetto. Non erano più siepi, ma veri e propri alberi altissimi e tanto intricati tra loro quasi da non permettere la penetrazione della luce del sole. E sentiva sempre più caldo, ma mano che procedeva. Ma dove si era cacciato? In Inghilterra non faceva così caldo neanche ad agosto!
Sbuffò. Come previsto, quel posto non gli piaceva più. Voleva uscire al più presto da quella trappola. Ben presto quel corridoio si trasformò in una vera e propria foresta. Vagò a vuoto per un po’, infine seccato si fermò e usò l’Incanto Quattro Punte, deciso a muoversi in modo razionale. Si diresse verso nord-est, senza però uscire da quel posto. Rimpiangeva la Foresta Proibita. A un certo punto sentì come un raschiare alla sua destra. Si voltò di scatto e fissò orripilato una specie di maiale cornuto che stava palesemente partendo alla carica. Contro di lui.
 
«Un tebo!» sbottò riconoscendolo all’istante. Benedetta sarebbe stata fiera di lui! Si ricordava tutti gli animali classificati da Scamander. Peccato che questo non lo aiutasse molto in quel momento. Scagliò contro la creatura una serie si schiantesimi.
«Maledizione, quanto sei duro!» sbottò. Corse e non badò più alla direzione giusta. L’importante era far perdere le sue tracce alla bestiaccia. «Incendio» disse puntando la bacchetta contro delle felci. Erano umide e si accese solo una lieve fiammella. «Alimentes flames!». La fiamma si sollevò magicamente e come aveva sperato il tebo si spaventò e scappò via. Mantenne la fiamma per almeno un minuto per essere sicuro che il tebo non tornasse alla carica. Abbassò la bacchetta e la fiammata sparì all’istante, infine James spense la il fuoco che ormai stava incenerendo non solo la felce ma anche le piante più vicine.
Cercò la direzione giusta e si avviò sperando di non incontrare qualche altra bella creatura, magari infuriata per essere stata portata lì di forza. Sul serio sua zia Hermione aveva dato il suo assenso a tutto quello? Gliel’avrebbe rinfacciato! Insomma lei era la fondatrice del CREPA!
Percepì un lieve frusciare di foglie e si girò. Non c’era nulla dietro di lui. Affrettò ugualmente il passo. Aveva un brutto presentimento.
Non riuscì ad allontanarsi troppo prima che un’ombra nera apparisse sopra la sua testa. Non lo evitò, ma peggio ancora inciampò e cadde a terra. Strinse forte la bacchetta. Se l’avesse persa sarebbe stata la fine. L’ombra nera si avvolse su di lui repentinamente. Era un lethifold, James non ne aveva dubbi.
Doveva pensare a un ricordo felice. In quel momento, però, aveva un enorme peso sul cuore: non voleva morire in quel modo!
 
«Exspecto Patronums!» gridò mentre nella sua testa le labbra di Benedetta si appoggiavano nuovamente sulla sua guancia come quel pomeriggio prima dell’inizio della prova. Lo stesso uccello del giorno dell’esame spuntò dalla bacchetta e scacciò il lethifold.
Si sollevò da terra e seguito dall’uccello, che iniziava ad apprezzare, riprese a camminare. Anzia quasi a correre.
Finalmente un uscita apparve tra due grossi alberi. «Grazie a Godric» sospirò. La luce seppur tenue del pomeriggio quasi lo accecò. Prese un bel respiro. Era in un corridoio e sembrava finalmente quello di un classico labirinto. Un po’ di erba e niente sorprese. O almeno lo sperava. Il suo Patronus svolazzò sopra la sua testa ancora per qualche secondo e poi sparì. Se fosse uscito vivo da lì avrebbe dovuto scoprire che razza di uccello fosse.
Ben presto trovò un nuovo bivio. Scelse quello di sinistra, che avrebbe dovuto avvicinarlo alla metaà. Entrò in una radura piacevole. Troppo piacevole. Dov’era l’inganno?
Non ci volle molto per scoprirlo: il suo passo si bloccò sulla sponda di un laghetto. Come avrebbe dovuto attraversarlo? Si guardò intorno, a malapena fece caso alla ricca vegetazione. Erano fiori colorati che rasserenavano lo sguardo.
Dopo un po’ dovette rassegnarsi al fatto che non ci fosse alcuna barca. Troppo concentrato nella sua ricerca, aveva abbassato la guardia. Quante volte Williams l’aveva rimproverato per quello? Si ritrovò a gridare e sollevò la mano istintivamente: era insanguinata! Ma come? Abbassò lo sguardo e riconobbe la pianta vicino a lui. Non erano semplici fiori! Un geranio zannuto! Fece per tornare indietro. Erano tutte piante carnivore. Aveva riconosciuto anche un cavolo carnivoro cinese. I piedi, però, erano bloccati da una robusta pianta verde. Per un attimo si immaginò una testa enorme che dall’alto si abbassava per divorarlo. Scosse la testa imponendosi un contegno. Non era una pianta carnivora e quello non era un dei film babbani che tanto piacevano a Rose! Era solo un Tranello del Diavolo. Oddio, solo era una parolona! Com’è che si sconfiggeva? Zio Neville gliel’aveva spiegato! E non solo lui! Che cosa gli avevano raccontato in proposito suo padre e zio Ron? Ah, certo il fuoco!
 
«Incendio!».
 
Con suo enorme sollievo la pianta gli liberò le gambe e finalmente poté muoversi. Da che parte andare? Il lago doveva superarlo a nuoto, ne era certo. Stupidi sadici.
Comunque non doveva essere troppo profondo. Mosse qualche passo fino alla riva, ma si fermò dopo aver notato un’ombra scura al di sotto della superficie.
«Col cavolo!» mormorò. Qualunque cosa fosse, non voleva scoprirlo. Tornò indietro prima che qualche altra pianta lo assaggiasse. Fortunatamente la mano non sanguinava troppo e la ferita non sembrava grave. La fasciò alla ben in meglio con un fazzoletto che aveva in tasca e proseguì verso nord-est. Procedette per un po’ quasi senza problemi: incontrò qualche pixie, ma non ebbe difficoltà a sbarazzarsene.
Ogni tanto sentiva qualche ruggito in lontananza e fu felice di non scoprirne la fonte. Comunque non incrociò più Apolline e fortunatamente neanche Dumbcenka.
Sentiva di essere vicino alla Coppa ormai. Insomma non poteva essere introvabile! Avanzò in una nuova radura, questa volta ben concentrato notò all’istante dei movimenti fuori dal suo campo visivo. Si spostò di scatto evitando per un pelo una fiammata.
Decisamente era finito in un bel posticino accogliente. Apparentemente appariva la stessa foresta in cui si era scontrato con il lethifold e il tebo, ma dopo un imponente incendio. Possibile che fosse tornato indietro, anziché andare avanti? No, insomma aveva spento il fuoco prima di lasciarla. E poi le preziose tartarughe che lo fissavano rispondevano a ogni sua domanda. Erano quelle ad aver fatto, letteralmente, terra bruciata intorno a loro.
James tentò di ricordarsi come si sconfiggevano dei fire crab, ma senza molto successo. Ne vide una con il carapace particolarmente ricco di gemme di vari colori, voltarsi pronto a far fuoco dal suo didietro. Si spostò appena in tempo e anche questa volta evitò di essere arrostito, ma non poteva continuare in quel modo in eterno. Ora anche gli altri stavano partendo all’attacco. Li contò rapidamente: erano quattro.
E dire che quando li aveva studiati, non aveva fatto altro che ridere con Robert e Benedetta del loro inconsueto meccanismo di difesa. Beh, ora non lo trovava più divertente.
 
«Stupeficium!» disse colpendone uno. Funzionò. Non erano cattivi dopotutto. A essere pignoli ai loro occhi era lui a minacciarli e non viceversa. Ne schiantò un altro e evitò di essere incenerito dagli altri due per poco, anche se una leggera puzza di bruciato lo avvertì che la sua maglia era stata sfiorata. «Mi dispiace, eh. Senza rancore» borbottò colpendo gli altri due, prima che avessero il tempo di sparar fuoco.
Procedette lungo un nuovo corridoio dopo aver usato per l’ennesima volta l’Incanto Quattro Punte.
Che cosa avrebbe trovato a proteggere la Coppa? Una chimera? Un grifone?
All’improvviso si trovò la strada sbarrata da fiamme bluastre. Si voltò per vedere la siepe chiudersi alle sue spalle. Era davvero vicino alla fine. Alla sua destra notò un elegante panchina su cui era poggiata una scatola di legno intarsiato. James si sedette redendosi conto per la prima volta di quanto fosse stanco. Non aveva più l’orologio: uno stupido pixie era riuscito a strapparglielo dal polso e non l’aveva recuperato.
Aprì la scatola con circospezione e non rimase particolarmente sorpreso nel costatare che contenesse fiale piene di pozioni. Una di quelle gli avrebbe permesso di attraversare il fuoco indenne, ne era sicuro. 
Si passò una mano tra i capelli nervosamente. Robert se la sarebbe cavata senz’altro meglio in quel caso. Erano sei fialette, doveva distinguerle e capire quale fosse quella giusta. James le tirò fuori e le appoggiò delicatamente sulla panchina, chiedendosi se per caso cinque non fossero veleni che portavano a una morte dolorosa e fulminea. In teoria non avrebbero dovuto ucciderli, ma lui era un’eccezione no?
Mcmillan aveva spiegato milioni di volte come riconoscere una pozione: odore e colore innanzitutto. Ne aprì una che gli sembrò famigliare. Riconobbe il forte odore di menta peperita e sorrise. Era un Decotto Tiramisù. L’aveva preso tante di quelle volte che non poteva sbagliarsi. La ripose nella scatola e si concentrò sulle altre. Ne prese una rossastra con una smorfia. Conosceva anche quella purtroppo. Aveva visto Peter somministrarla a Louis troppe volte: Pozione Rimpolpasangue.
Meno due. Ne rimanevano altre tre. Si sentì un genio quando ne riconobbe un’altra. D’altronde l’aveva preparata pochi giorni prima per i G.U.F.O. Era il Distillato della Pace. La mise da parte e ne prese un’altra. Era gialla intensa, la stappò e la odorò. Scoppiò a ridere, nonostante la parte razionale del suo cervello gli dicesse che non c’era nulla di divertente e di chiudere immediatamente la fiala. Non poté non continuare a sorridere qualche secondo anche dopo averla tappata. La posò e chiuse la scatola.
Quando si alzò e fronteggiò la barriera di fuoco non sorrideva più. Chiunque avesse preparato quell’Elisir dell’Euforia era stato maledettamente bravo.
Strinse per un attimo la fiala che aveva tenuto in mano e dopo aver tolto il tappo di sughero, la bevve tutta d’un fiato. Tanto per non starci troppo a pensare. Aspettò qualche secondo nel timore che fosse un veleno, ma non accadde nulla. Allora attraversò le fiamme e percepì solo un lieve solletico sul volto.
L’ambiente al di là del fuoco era ancora più angusto del precedente, subito di fronte a lui si apriva un nuovo passaggio custodito da una statua. James si avvicinò, ma balzò all’indietro quando si accorse che non era una statua. Rifletté rapidamente: testa umana e corpo di leone. Una sfinge. Maledizione!
 
«Posso passare?» chiese conoscendo già la risposta.
 
«Prima rispondi al mio indovinello» replicò la sfinge freddamente. «Se rispondi al primo tentativo, ti lascerò passare. Se sbagli, ti attaccherò. Se non parli, ti lascerò andar via».
 
James sbuffò. Odiava questi giochini. Ma non poteva mica appellare Louis e far rispondere lui. In più non poteva di certo tornar indietro. La pozione aveva sicuramente terminato il suo effetto. O rispondeva, possibilmente in modo corretto, o poteva anche rimanere lì finché qualcuno non fosse andato a cercarlo. «Puoi dirmi l’indovinello?».
La sfinge annuì e pronunciò quasi con solennità:
 
«Spesso costei i buon
sotto i piè tiene,
gl’improbi innalza, e se mai
ti promette
cosa veruna, mai te la
mantiene.
 
E sottosopra e stati e regni
mette,
secondo che a lei pare, e i
giusti priva
del bene, che agl’ingiusti
larga dette.
 
Questa incostante Dea, e
nobil Diva
gli indegni ispesso sopra
un seggio pone,
dove chi degno n’è mai
non arriva.
 
Costei il tempo a suo
modo dispone;
questa ci esalta, questa ci
disface
senza pietà, senza legge, o
ragione…».
 
James la fissò trasecolato: non aveva capito quasi nulla. «Ti prego, ripeti».
E la sfinge ripeté pazientemente una prima volta, una seconda e una terza. Il ragazzo si sedette a terra a gambe incrociate e tentò di ragionarci prendendo in considerazione una strofa alla volta.
Torturò per un po’ il fazzoletto ormai rosso che aveva legato alla mano. Alla fine sospirò, si sollevò e si rivolse alla sfinge tenendo ben stretta la bacchetta.
 
«La Fortuna?».
 
«Esatto. Puoi passare» acconsentì la sfinge con un sorriso enigmatico.
 
James la fissò titubante per un attimo, infine si mosse celermente verso il varco lasciato incustodito. Tirò un sospiro di sollievo appena lo attraversò, ma non ebbe il tempo di guardarsi intorno che qualcosa gli cadde addosso. Non qualcosa, qualcuno.
 
l«James! Per Merlino! Mi ha inseguita uno schifosissimo troll in mezzo a una specie di montagna! Sono tutti pazzi!».
 
Il ragazzo laiutò a rimettersi dritta, probabilmente era inciampata per la fretta o la paura.
 
«E poi la sfinge! Merlino! Voglio una vacanza di un mese dopo questo!».
 
Apolline sembrava sul punto di avere una crisi isterica. L’elegante tuta che aveva indossato per l’occasione era strappata in più punti e il suo volto era graffiato.
 
«Hanno messo addirittura un Kelpie nel laghetto! Ho pensato che sarei morta! Per fortuna qualcuno era passato prima di me ed era fuori gioco, ma gli avvincini mi hanno graffiata!».
 
«È stato un piafere, madamoiselle».
 
La voce maschile riscosse entrambi. James strinse la bacchetta incrociando gli occhi di Vasilij Dumbcenka.
 
«Se sei arrivato prima di noi, perché non hai preso la Coppa?».
 
Le parole di Apolline erano taglienti e sospettose, James seguì lo sguardo degli altri due: la Coppa. Era lì al centro della radura. Tornò a fissare Dumbcenka.
 
«Dofefo finire un compito» rispose il ragazzo occhieggiando James. «Potter, sperafo morivi prima. Non fare nulla. Io uccidere te».
 
«Sei uno schifoso! Non puoi farlo! Ci sono gli Auror!» gridò Apolline.
 
Dumbcenka rise. «Auror? Trofare solo corpo di Potter». Mosse la bacchetta eseguendo un incantesimo non verbale. Un brivido corse sulla schiena di James e percepì a malapena la mano di Apolline stringersi al suo braccio.
Un freddo intenso si insinuò nelle sue ossa insieme a un’angoscia diversa da quella provocata dai progrebin. Gli sembrava di non poter più essere felice.
 
«James! Cosa sono?» strillò Apolline stritolandogli il braccio.
 
Il ragazzo deglutì. «Dissennatori» mormorò più a se stesso che a lei. Gli aveva visti solo su un libro di Difesa Avanzata che Williams gli aveva mostrato durante le loro lezioni.
 
«No» urlò a Dumbcenka. «Exspecto Patronum!» pronunciò la formula con rabbia. Non gli avrebbe permesso di far del male ai suoi cari. Mai.
Il suo uccello volò contro la decina di dissennatori che Dumbcenka aveva evocato.
 
«Apolline, evoca il tuo!».
 
«Non l’ho mai fatto» replicò ella a stento.
 
«Provaci!».
 
«A noi due, Potter. Affrontare me, se tu afere coraggio» disse Dumbcenka contrariato. Probabilmente si aspettava di assistere mentre i Dissennatori li succhiavano l’anima, per farlo passare per un tragico incidente. Col cavolo che te lo permetto pensò James. Si liberò dalla stretta di Apolinne e fece un passo avanti verso il suo avversario. Era il momento di fare i conti.
 
«Sei stato tu a mettere il mio nome nel Calice di Fuoco? O il tuo Preside?».
 
«Sbagli, Potter. Tuo nome l’ha messo mia fidanzata».
 
«Camilla?» chiese stordita Apolline, mentre i due ragazzi si fronteggiavano.
 
«Chi ti ha ordinato di uccidermi?».
«La mia signora, Bellatrix» rispose Dumbcenka.
 
«Exsperlliamus» gridò James passando subito all’attacco.
 
Il più grande lo parò senza problemi e ridacchiò. «Tu essere ridicolo. Crucio».
 
James evocò appena in tempo un incantesimo scudo, ma si spezzò all’impatto con la maledizione. Fortunatamente attutì il colpo. Strinse i denti per non farsi sfuggire qualche lamento. Non di fronte a Dumbcenka.
 
«Tu essere debole» lo derise quest’ultimo. «Fare fine, Potter».
 
James sentì Apolline gridare, strinse la bacchetta e si preparò all’arrivo della maledizione.
 
«Avada Kedavra» urlò Dumbcenka.
 
«Fianto duri» pronunciò contemporaneamente James. Tenne duro respingendo la maledizione dell’altro. Per la forza del colpo perse l’equilibrio e cadde in ginocchio. Vide, però, Dumbcenka cadere a terra a sua volta.
James respirava a fatica. Non si era mai sentito tanto stanco in vita sua.
 
«Sei vivo» costatò Apolline abbracciandolo e scoppiando in lacrime. Il Grifondoro non seppe cosa rispondere. Percepiva perfettamente, e dolorante, ogni parte del suo corpo quindi tutto sommato poteva dire di essere vivo. «Sei stato magnifico».
 
«Non mi voleva uccidere, veramente» disse liberandosi dalla sua stretta. «Perché Dumbcenka? La tua maledizione non era forte! Chi è il debole?». L’altro ragazzo, però, non si muoveva. «Non mi prendi in giro» sbottò fuori di sé.
 
Apolline si avvicinò a Dumbcenka.
 
«Attenta!».
 
Lei non lo ascoltò e si chinò sul ragazzo. Il cuore di James perse un battito quando la vide raddrizzarsi con volto più cupo.
 
«La maledizione è ribalzata su di lui» sussurrò.
 
James cadde di nuovo in ginocchio mollando la bacchetta. Non aveva il coraggio di avvicinarsi ai due. Aveva ucciso. Aveva ucciso un ragazzo di neanche due anni più di lui! Era un assassino!
 
«James?». Apolline era tornata da lui. «Non è colpa tua» sussurrò, ma sembrò gridare per quanto era silenzioso il labirinto in quel momento.
 
Ma James era fuori di sé. Aveva tolto la vita a un ragazzo come lui! Non riusciva a pensare ad altro.
 
«Maledizione! Ascoltami! Quello ti stava per uccidere! Che cosa volevi fare? Aspettare docilmente che ti colpisse?» sbottò Apolline alzando il tono della voce. La fissò: tremava e aveva le lacrime agli occhi. «Usciamo da qui» lo pregò.
 
Il ragazzo la scrutò completamente smarrito. Come? Come si usciva di lì?
«La Coppa. Prendiamola e facciamola finita».
 
James annuì. Voleva andarsene, allontanarsi il più possibile. «Prendila» rispose con voce roca. Si alzò e la fissò in attesa.
 
«Col cavolo» sbottò lei. «Insieme o niente. Questo Torneo ha fatto abbastanza danni».
 
«Non la voglio quella maledetta Coppa!» gridò.
 
«Non mi interessa se non la vuoi! Non la prenderò da sola! Ci siamo aiutati fin dalla seconda prova e ora finiremo insieme! Pareggio tra Hogwarts e Beauxbatons. E basta!».
 
«No!» s’impuntò James.
 
«Invece sì!».
 
«No!».
 
Apolline ridusse la distanza tra loro e gli diede uno schiaffo.
 
«Ma che cavolo?!» sbottò James toccandosi la guancia sconvolto.
 
«Ti sembra il momento di fare il cretino? Se vuoi uscire da qui, prendi quella Coppa con me o ti giuro che mi siedo qui a terra e non mi muovo!».
 
James la fissò come se fosse matta e borbottò qualcosa che suonò vagamente come ti dovrebbero ricoverare al San Mungo. La ragazza lo ignorò e gli afferrò un braccio trascinandolo verso la Coppa.
 
«Insieme» ripeté con forza Apolline.
 
«E sia» concesse stancamente James. Lei gli liberò il braccio.
 
«Pronto?».
 
«Facciamola finita».
 
Un ultimo cenno d’intesa e i due strinsero ciascuno un manico della Coppa. Sentirono tremare il terreno sotto di loro, che cominciò ad alzarsi progressivamente. Si fermò solo quando raggiunse l’altezza delle pareti del perimetro del labirinto. Il vociare degli spettatori li raggiunse all’istante, ma non erano urla di giubilo. Erano in preda al panico.
Come in un sogno sentì Apolline imprecare in francese.
I dissennatori avevano attaccato il castello.
 
   
 
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