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Autore: Vorhs    05/06/2009    0 recensioni
Minatori, sogni e speranze.
Genere: Triste, Suspence, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riflessi di tela

Luce

 

Il rumore dei picconi sulla roccia si faceva mano a mano più forte e la luce solare sempre più flebile. L’aria si appesantiva, così come un po’ la solita paura di cui non ci si può liberare.

Due picconi battevano insieme a formare un duetto di una qualche canzone rock anni ‘60. Dovevano essere quei pazzi di John e Mark: erano gli unici a trovare divertente il lavoro in una miniera di carbone. “Ti fai i muscoli, puoi parlare del più e del meno con chi ti pare e non rischi insolazioni”. Lo dicevano sempre ai nuovi arrivati. Forse erano pagati per dirlo.

Dan sentì una forte presa ai polmoni. Ultimamente aveva di questi acciacchi. Forse un tumore. Forse suggestione. Odiava quel posto, ma non aveva trovato di meglio.

Era figlio di contadino, suo padre gli aveva trovato quel posto in miniera siccome fin da piccolo Dan aveva odiato il lavoro in campagna. In particolare non sopportava le mucche: quel loro sguardo indifferente, bieco a volte, lo trovava sinistro e inquietante.

Raggiunse presto gli altri del settore B.

Dan salutò Peter per primo, un uomo strano e paranoico. Ogni tanto aveva degli scatti d’ira piuttosto violenti. Meglio tenerselo buono: era in fin dei conti un pazzo con un piccone in mano.

Peter ricambiò il saluto con un ampio sorriso. Forse era di buon umore oggi.

Dan si mise al lavoro, partendo come al solito di buona lena, sperando di poter anche solo per una giornata non detestare quel maledetto movimento di spalle che, più che tonificare i muscoli, spezzava le ossa.

Un messaggero dall’esterno portò una lieta notizia quel giorno: avevano portato le trivelle.

Era una grande novità da quelle parti. Qualcuno le amava e qualcuno le odiava.

Potevano portarti via il lavoro, ma, se ti andava bene, potevano rendertelo molto più facile.

A Dan non importava molto: se anche l’avessero licenziato avrebbe aiutato suo padre nei campi.

Ciò che odiava di quella prospettiva era la scarsa possibilità di muoversi dal paese in futuro.

Avrebbe voluto vedere posti nuovi, conoscere gente nuova. E’ il sogno di chiunque è condannato a vivere chiuso in 2 chilometri quadrati. Coltivava quel sogno come nient’altro.

Iniziarono a sentirsi dei rumori e delle voci estranee. Stavano portando una delle nuove macchine dentro la cava. Un uomo baffuto, che capeggiava sugli altri, iniziò a dare ordini.

Fecero uscire molti uomini, alcuni si chiesero se avevano già deciso di licenziarli.

Ci volle qualche ora perché installassero la trivella, dopodichè la azionarono.

Un forte rumore si propagò per il tunnel, era quasi insopportabile ad un orecchio non abituato. Fortunatamente tutti lì avevano a che fare con esplosivi quasi ogni giorno, nessuno si allarmò.

“Tutti dentro!” Urlò l’uomo baffuto e qualcuno tirò un sospiro di sollievo.

Il lavoro riprese normalmente, gli uomini che prima scavavano nel settore B furono semplicemente spostati nel settore F, sostituiti dalla macchina.

Dan seguì Mark nel nuovo settore.

Lì l’aria era un po’ più pesante e la roccia più fredda. Dan tossì violentemente prima di abituarsi.

Jim raggiunse gli altri dopo un po’: portava con sé le nuove torce a muro per illuminare il tunnel.

Una volta sistemati si rimisero al lavoro. Dan si sentiva più affaticato del solito, forse per la lunga attesa. “Porca vacca manca l’ossigeno qua!” irruppe Mark. “Tutta salute” intervenne John: “Quando usciremo saremo grati all’aria aperta di esistere, oggi abbiamo avuto pure 2 ore in meno di lavoro.”.

Peter sbuffò: non era più di buon umore.

Dan nel frattempo pensava. Lui amava pensare, era il suo passatempo preferito in miniera. Di rado parlava con gli altri di argomenti che non avessero a che fare col lavoro.

Pensava alla sua famiglia, e a quella che avrebbe voluto mettere su.

In paese aveva già una promessa sposa, si chiamava Annie e un po’ gli piaceva. E’ difficile trovare una ragazza bella, simpatica e intelligente quando si vive isolati in un paesello di montagna. Dan lo sapeva e si accontentava.

Si erano conosciuti in età infantile ed erano cresciuti insieme. Questo lo aveva aiutato a superare i primi blocchi, non aveva niente da nasconderle, non aveva niente di cui preoccuparsi sul suo passato: lei sapeva già tutto, dalla cosa più bella alla più vergognosa della sua adolescenza.

Ultimamente non passava molto tempo con lei, le prometteva sempre però che un giorno sarebbero usciti a fare una lunga passeggiata fuori dal paese. Forse senza più tornare. Chissà, forse fuori avrebbe trovato una ragazza migliore. A Dan non importava molto: vivere lontano dal paese l’avrebbe già reso felice.

“Cristo che sonno! Devo trovare un modo per sconfiggere la noia…” sbuffò Mark. John gli propose un nuovo gioco da fare coi picconi ma l’amico questa volta non accettò.

Peter li zittì con una delle sue solite minacce dirette alle loro facce. Di solito diventava rosso quando si alterava. Questa volta il suo colorito non cambiò.

Peter aveva un fratello maggiore: Sergio, dal nome italiano per decisione del suo padre italiano.

Aveva un’ottima famiglia e viveva in condizioni piuttosto agiate rispetto ai suoi colleghi di lavoro.

Era cresciuto in America, tra le strade di Brigham City. Aveva sempre detestato quel posto. Voleva andarsene a vivere lontano, in un paese possibilmente isolato. E in parte il suo desiderio si era avverato. La sua adolescenza fu tormentata dall’idea di poter essere un fallimento per la sua famiglia. Aveva un padre intelligente e interessante, portava sempre notizie nuove dall’Italia, e una madre premurosa e casalinga. Sergio era il migliore tra tutti: a scuola andava benissimo e poté continuare i suoi studi fino a quando decise di iniziare a lavorare per un’azienda edile, quando si accorse che suo padre da solo non bastava a reggere l’intera famiglia. E preferì non dare un peso in più alla mamma e lasciare che si cercasse un lavoro.

Gli amici di Sergio erano persone molto simpatiche ma Peter spesso li fraintendeva quando ogni tanto lo deridevano di fronte al fratello per la sua generale incompetenza di fronte al genio della famiglia.

Ebbe un momento di profonda crisi: si sentiva inutile, inetto, un fallimento per la famiglia. Poteva solo appoggiarsi ai suoi sogni. Decise quindi di lasciare gli studi e andare a vivere in paese.

Non trovò di meglio del lavoro in miniera, ma era contento di essersi liberato dell’angoscia che lo legava alla città.

Si rese conto per la prima volta che John e Mark erano buoni amici e non desideravano dargli fastidio con quei picconi. Volevano solo sdrammatizzare il lavoro in miniera.

Capì che non tutti hanno la stessa ottica. Lui era lì per inseguire un sogno, loro erano lì per sognare.

I muscoli di Peter mollarono la tensione e il minatore si accasciò un attimo su un macigno appena strappato dalla roccia. Riusciva a palparne il calore quasi.

Dan continuava a scavare e a pensare ad Annie, non la Annie che conosceva, ma quella dei suoi sogni. Una Annie bellissima e dolcissima, che non conosceva il lavoro nei campi e non odorava di terra. La immaginava così. Una donna che nulla avesse a che fare con quel mondo che lui conosceva bene. Una Annie che potesse insegnargli a diventare un uomo felice.

Arrivò Jim che annunciò l’ultima pausa della giornata.

“Era ora cazzo!” esplose Mark che si lasciò andare per terra posando la testa sulla sua camicia che si era tolto per il caldo. “Che fai? Pensi di avere tempo per il sonnellino delle cinque?” ridacchiò John. Dan non parlò: doveva riprendere fiato. L’aria sembrava davvero più pesante là sotto nel settore F. Peter lo rassicurò: “Ci faremo presto i polmoni, eravamo abituati troppo bene prima”.

Era troppo strano che si comportasse così. La sua presa di posizione con la famiglia lo aveva probabilmente reso troppo sicuro di sé: era diventato uno iroso sbruffone egocentrico. Tutti lì lo conoscevano così.

“Jim, fammi un favore, dì alla sentinella coi baffi che vorrei tornare a casa ora, non mi sento bene” affermò Mark dal suo letto improvvisato.

“Non ti darà la busta del giorno” disse a malincuore Jim. “Non importa, non ce la faccio più”.

Aspettarono tutti ancora 5 minuti, dopodichè ripresero a lavorare e Jim si avviò ad informare l’uomo coi baffi.

Un leggero torpore si era infiltrato nei corpi dei minatori durante quella pausa.

Dan sentiva gli occhi che tendevano a chiudersi, le braccia che si muovevano da sole, quasi per inerzia. Con un fare lento e stanco.

Peter non ci fece caso ma anche a lui sembrava mancassero un po’ le forze. Non era impetuoso come al solito nel rompere la roccia.

John continuava invece di buona lena, rallentato solo dallo sguardo che finiva ogni tanto sull’amico malato lì per terra a fianco a lui.

Ma i pensieri fluirono di nuovo tra i minatori.

Era tutto verde, un prato in fiore. Una casetta di legno con un grosso melo che faceva ombra lì vicino. Peter camminava per il prato, accarezzava ciò che aveva di più caro: la sua terra.

A casa lo aspettava sua moglie, una bellissima e allo stesso tempo semplice contadina mora, e il suo cane che corse come al solito per andare a salutarlo rischiando di farlo cadere sul grano.

In tavola lo aspettava un’abbondante cena, preparata con prodotti di prima scelta: quelli che lui stesso produceva grazie alla fattoria.

Del buon formaggio, dei salumi stagionati e salati al punto giusto e del pane soffice e caldo, appena sfornato.

Nessuna preoccupazione per la testa, nessun figlio da gestire. Due fidati amici per aiutarlo con gli animali e con la coltivazione. La felicità alle porte.

Dan era in ufficio e stava completando l’ultimo grande progetto per un nuovo impianto per l’energia elettrica. I dipendenti si congratulavano con lui. Avrebbe quasi dimezzato le spese grazie alle nuove centrali.

La moglie lo chiamò in ufficio, dicendogli di non preoccuparsi dei figli, che li avrebbe accompagnati lei a casa da scuola. Dan sorrise e la ringraziò. Era pronto per darsi da fare con la nuova dipendente. Era una ragazza molto carina, giovanissima e un po’ imbranata. Gli faceva molta tenerezza e si sentiva in dovere di aiutarla nei primi giorni di lavoro.

Lui amava quel genere di cose. Quando incontrava una ragazza carina faceva di tutto perché ci fossero dei sinceri sorrisi tra loro, si innamorava di tutte le ragazzine che entravano in ufficio e gli sorridevano timide se combinavano qualche pasticcio.

A casa lo aspettava un bel letto dove passare la notte, accanto alla donna della sua vita. Rimaneva spesso in dormiveglia, a pensare a quante ragazze aveva dato una mano e a quanto lui potesse piacere a loro. Ricordava ogni singolo sorriso ricevuto. Era felice e innamorato della tenerezza che provava nel vedere giovani donne alle prime armi.

John era ad una festa. Una grande festa, in una città senza regole. Era nel suo appartamento e aveva invitato tutte le persone che conosceva, assicurandosi di ottenere in casa più donne che uomini.

Tutti ballavano e si divertivano, si poteva andare avanti tutta la notte a bere, cantare, baciare, suonare, urlare. Non c’erano tensioni fra amici, ognuno si voleva bene a pari merito. Niente segreti.

Ognuno aveva l’unico obiettivo di sfruttare ogni momento della propria vita per godere fino allo sfinimento. Si muoveva in continuazione, era un nomade, viaggiava per il mondo in cerca di cose nuove da provare e apprezzare, gente nuova da conoscere e amare.

Non aveva particolari ricordi felici: qualsiasi posto nuovo era una miniera di emozioni impareggiabili rispetto a quelle passate.

Mark venne portato immediatamente all’ospedale più vicino. Era però troppo tardi: il metano gli aveva bruciato i pori dei polmoni. Sentì l’aria mancare.

 

Il sole illuminava una strada di villeggiatura. Una leggera brezza scivolava fra i capelli.

Dan, Peter, John e Mark camminavano ognuno per la propria strada.

Si incrociarono. Nessuno salutò. Proseguirono per la loro via.

In lontananza sorrisero fra loro.

  
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