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Autore: Killu93    13/03/2017    1 recensioni
Questa storia narra le vicende dell'eroe del Kazakhstan, Otabek, che intraprende un viaggio in Russia per salvare il proprio Paese. Da sempre ligio ai suoi doveri, pronto a seguire la strada segnata da altri per lui, cambierà il suo modo di essere e di pensare dopo l'incontro con la fata Yurio che gli insegnerà a credere nella magia e nel destino.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 4 – Agape

Otabek si sentì scrutare l’anima da quello sguardo di cobalto che continuava a fissarlo insistentemente. Quegli occhi così profondi parevano leggergli dentro. Erano occhi grevi e saggi, come se sopra di essi pesassero anni ed anni di esperienza e di dolore, ma il ragazzo riusciva anche ad intravedere nel loro fondo una vivacità che non stonava affatto. Per questo non era intimorito da quella presenza massiccia che gli si parava di fronte, provava solo un grande senso di riverenza.

Finalmente la Tigre distolse lo sguardo e, con la stessa lentezza con cui si era avvicinata al ragazzo, si diresse verso la polla d’acqua ad abbeverarsi. Otabek, però, non riusciva a staccare gli occhi da quell’animale maestoso ed elegante. Ogni suo movimento era fluido ed aggraziato, proprio come quelli della Fata. Che fossero la stessa persona? Il cavaliere non riusciva a capirlo, né tanto meno riusciva a capire cosa gli stesse accadendo dal momento della prima apparizione di quell’essere mistico nella foresta. Perché quella belva non lo stava attaccando? Come avrebbe potuto provargli il suo valore senza un confronto diretto? Avrebbe dovuto fare la prima mossa mentre l’animale era indifeso? Ma Otabek non sarebbe mai riuscito ad usar violenza contro quella creatura tanto aggraziata, così decise di aspettare in silenzio il suo destino.

Passarono così alcuni interminabili minuti prima che la Tigre si allontanasse dalla polla. Si stirò leggermente, respirò a pieni polmoni la gelida aria notturna e ritornò sui suoi passi senza degnare il ragazzo di uno sguardo. Si arrestò sul limitare della foresta come se stesse aspettando qualcosa. Che anche lei avesse bisogno del consenso della Fata per rientrare nella foresta? Ma l’animale si voltò verso di lui e con un cenno del capo lo invitò a seguirlo. Otabek si riscosse e mosse i primi, incerti passi verso di la Tigre che solo allora riprese il suo cammino e sparì tra le fronde della foresta. Aveva ricevuto l’invito.

 

 

Il cavaliere riusciva a stento a tenere il passo della Tigre che si muoveva in quella giungla di rami e sterpi con estrema grazia e agilità. Più volte dovette lottare contro i rovi che si impigliavano nel suo mantello e fare attenzione al fango vischioso che si avvinghiava ai suoi stivali. Tutta la foresta, di nuovo, sembrava lo volesse respingere via, come se fosse un corpo estraneo e dannoso. Lo stesso animale non sembrava voler rendergli facile il percorso, ma anzi, sceglieva attentamente le vie più impervie e fitte, quasi volesse lasciarlo indietro e far perdere le sue tracce. Perché lo aveva invitato ad entrare allora? Otabek non capiva, ma non si dava per vinto. Mai nella sua vita aveva combattuto una battaglia tanto dura, ma non si sarebbe arreso, avrebbe continuato a lottare così come aveva fatto in passato, così come aveva fatto da sempre, persino quando era bambino. Si ricordò allora del campo di addestramento kazako, di quando era un ragazzino gracile e nessuno credeva nelle sue capacità. Non era mai stato un talento naturale, non aveva il combattimento nel sangue a differenza di molti altri suoi compagni, ma aveva avuto da sempre una forza di volontà d’acciaio e più cercavano di spezzarlo ed abbatterlo, lui si rimboccava le maniche e si dava da fare, si allenava sempre di più, studiava la tecnica, affinava l’ingegno per riempire le lacune che gli mancavano e continuava a lottare. Così, dalla nullità quale era, riuscì a diventare il migliore e col suo coraggio, la sua tenacia, la lealtà e la forza divenne il grande Eroe del Kazakhstan. Dopo tutta la fatica e l’impegno di quegli anni, come avrebbe potuto arrendersi proprio ora?

Il tempo si era fermato, lo spazio che si opponeva intorno a lui aveva perso reale consistenza, davanti a lui c’era solo quell’enorme macchia bianca striata che aveva intenzione di raggiungere ad ogni costo. Finalmente la Tigre si arrestò e si voltò indietro per verificare se il suo compagno fosse riuscito a mantenere il passo. Lo vide a pochi passi di distanza, affannato ma composto, lo guardava con uno sguardo fermo e deciso. La Tigre parve quasi sorridergli.

Riprese il cammino adagio, a quella velocità ridotta Otabek ebbe modo di guardarsi intorno e notò che, a differenza della prima volta, non regnavano sovrane le tenebre in quel luogo, ma anzi, riusciva a distinguere bene tutte le sagome degli alberi. Che fosse un buon auspicio?

 

I due compagni camminarono per molto ancora finché l’animale non rallentò ulteriormente il passo, quasi volesse suggerirgli di fare attenzione. Il cavaliere si fidò e si fece cauto, qualunque cosa avrebbero incontrato lo avrebbe affrontato senza esitazione. Mai si sarebbe aspettato di trovare oltre la vegetazione che si parava davanti a loro il luogo in cui aveva visto la Fata la prima volta.

Lo specchio d’acqua rifletteva la luce lunare come allora e tutto intorno riluceva creando un’atmosfera magica. La Tigre si era arrestata al suo fianco e aspettava con trepidazione la Sua venuta.

 

Venne senza far rumore, proprio come la prima volta. Di nuovo, iniziò a danzare. I suoi movimenti erano fluidi ed eleganti; la sua veste, bianca ed argento, catturava la luce lunare facendo risplendere l’intera figura; i suo capelli, biondissimi e sciolti, ricadevano sul viso nascondendo i tratti delicati e armoniosi. La grazia di ogni suo gesto riempiva gli occhi di Otabek tanto che quella figura gli pareva a tratti trasfigurarsi ora in onda ora in vento. Non penso a nulla questa volta, non si riempì la testa di domande come al loro primo incontro. Questa volta si lasciò semplicemente trasportare da quella danza e aprì il suo cuore.

La Fata terminò la sua esibizione rivolgendo le mani al cielo. Una lacrima scese lungo la sua guancia.

Otabek capì.

Quella danza era una preghiera. Una preghiera di speranza. Una preghiera per proteggere tutto quello che gli restava di più caro, quella Natura di cui era custode da tutta l’eternità. E quella preghiera racchiudeva tutto ciò che si celava nel cuore della Fata, un sentimento puro e caldo, un amore incondizionato e innocente verso tutto il creato.

   
 
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