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Autore: AliNicoKITE    14/03/2017    1 recensioni
Dal testo:
''Ares li percorse con lo sguardo uno a uno: Ermes che giocherellava con i suoi inseparabili braccialetti a forma di serpente, uno rosso corallo l'altro azzurro, Apollo che sorrideva, come se la scena gli ricordasse tempi migliori, Artemide che lo fissava non proprio entusiasta dell'uscita, Zeus esaltato, Poseidone che continuava a infastidire Ade, sempre torvo, per poter usare la sua moto al ritorno.
Era un bel gruppo il loro, lo sapevano, ed erano certi che avrebbero superato tutto quello che stava accadendo assieme. Ares doveva loro molto, e si sentì in dovere di ricambiare.
-Ok ragazzi vediamo di passare una serata indimenticabile. Parola d'ordine Zeus? Suggerimenti?
Il ragazzo in questione sorrise malandrino. Il luccichio dei suoi occhi non faceva presagire niente di buono.
-Parola d'ordine in arrivo: RIMORCHIARE.
I ragazzi esultarono.
Ares si girò, sorrise, e spalancò in un gesto teatrale le porte del Dionisus.''
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 19

Parola d’ordine: Fractals of two minds

ADE

Sebbene la scuola fosse iniziata a malapena da due settimane, Ade Grace aveva la sensazione che l’estate non fosse mai esistita, e di non aver mai lasciato quei corridoi. Bisognava ammettere che i corridoi della Olympus High School non erano orribili, con le loro pareti giallo crema e le foto degli ‘studenti meritevoli’ appesi alle pareti -c’era pure uno scatto di una accigliata e vagamente indispettita Atena, scattata in occasione della sua terza vittoria consecutiva ai campionati di chimica, fisica, trigonometria e onniscienza, come se quella foto fosse solo un motivo di noia e una perdita di tempo per la ragazza-, ma Ade aveva sempre trovato il peregrinare tra quelle stanze un detestabile supplizio.

Ade non amava chi, come Afrodite, camminava per i corridoi come se si sentisse la persona più importante della scuola: era inutile, pensava, ritenersi qualcuno di speciale. Non era forse vero che entro pochi anni sia lui sia Afrodite sarebbero stati un vago ricordo per la scuola, un ennesimo viso sorridente nelle foto scolorite nell’ufficio del preside?  

Ade sapeva che, se un giorno sarebbe tornato alla Olympus dopo il diploma, avrebbe trovato non solo un’altra capitana delle cheerleader, magari bella quanto Afrodite stessa, ma anche un altro ragazzo dall’aria mogia che voleva sedersi, solo, nell’angolo più imboscato della mensa. Si immaginava, a volte, seguendo quel filo di pensieri, di andare dal suddetto ragazzetto, che magari portava una logora giacca di pelle proprio come era stato solito fare anche lui, solo per rivelargli, sedendoglisi affianco con aria lugubre, di non preoccuparsi per le sue disavventure scolastiche o, non sia mai, amorose, perché tanto sarebbero tutti morti prima del previsto, e a nessuno sarebbe importato ad un colloquio di lavoro se la cheerleader dai capelli rossi l’avesse scaricato o meno nel fatidico giorno del ballo di fine anno. Come se esistessero davvero, pensava allora con un sorriso disincantato e, nella sua testa, adulto e cinico, i balli di fine anno come si vedevano nei film. Da quando gli Olympians avevano infettato la scuola come un morbo incurabile, le feste di fine anno si erano sempre risolte con un delirio di alcol, urla e ormoni sovraeccitati.  Per l’ultimo anno di Ade, Afrodite, Ares e Thanatos, Dioniso aveva promesso che in occasione del ‘ballo’ avrebbe preparato il miglior punch mai realizzato. Ade era conscio di cosa avrebbe significato, e dopotutto gli andava bene: sapeva già come sarebbero andate le cose. Presagiva già come Demetra e Thanatos avrebbero ballato in maniera disgustosamente romantica, o poteva scommettere ad occhi chiusi sul fatto che Zeus ed Era per allora si sarebbero già rimessi assieme -checché ne dicessero tutti, aveva un occhio per certe cose-, e accettava come dato di fatto il finale solitario che l’attendeva come giusto coronamento dei suoi anni di liceo.

 Quella mattina, i suoi pensieri erano più negativi del solito. Non solo avrebbe confidato al ragazzo dalla giacca di pelle di non curarsi della vita amorosa, ma anche di proseguire la sua vita con il fermo proposito di non fidarsi né degli amici, né tantomeno dei fratelli. Una vita da lupo solitario, ecco la vera via. Tanto alla prima occasione il tuo migliore amico ti avrebbe abbandonato per un’uscita romantica con la sua ragazza, e i tuoi fratelli si sarebbero accordati per lasciarti solo con la sorellina con cui avevi litigato. Sì, trasferirsi in Antartide, o non uscire più dagli Inferi, ecco cos’avrebbe dovuto fare.

Poseidone era uscito a comprare il latte ad un orario inumano -conoscendo suo fratello, aveva fatto di tutto per evitare di essere presente al momento dello scontro-, e Zeus aveva stranamente lasciato la cucina con la scusa di dover rifare il letto.

Rifare il letto, alle sette e un quarto di mattina. Ma sul serio.

Ade osservò con fare recriminatorio la porta da cui Zeus era appena uscito, e nella sua mente riecheggiavano le parole di Thanatos, dovutamente modificate dal suo subconscio: ‘Domani io e Demi andiamo assieme a scuola, berremo cioccolata calda ed elisir del vero amore e voleremo a scuola sulle ali del lieto fine adolescenziale che incarniamo ai tuoi occhi’.

Se non fosse stata mattina, Ade si sarebbe persino arrabbiato, ma la sera prima Caronte era andato via dagli Inferi verso le due di notte dopo una salutare maratona di ‘The Walking Dead’ e circa sei chili meno salutari di M&M’s ingeriti: sentiva il coma diabetico pronto a bussare alla porta, e il cervello rispondeva poco alle proteste del suo corpo intorpidito.

Alla porta, però, non era il coma diabetico a fissarlo in stile ‘A Christmas carol’, ma Estia. Probabilmente gli aveva anche rivolto la parola -dopo due settimane di silenzio-, perché dopo un attimo disse:-Allora, Ade?

Il lupo solitario che era il lui si rese conto che rimanere immobili con una bottiglia di latte vuota fissando con aria ottusa il vuoto non era il massimo che si poteva fare di fronte alla sorella con cui, doveva davvero ricordarselo, aveva litigato poco prima dell’inizio della scuola. Scrollò le spalle, quindi, e voltandosi alla ricerca di qualcosa da mangiare -era sicuro di vomitare alla vista di un altro M&M’s, un grissino, un grissino, i miei Inferi per un grissino- rispose:-Come scusa?

-Ti ho chiesto se mi daresti un passaggio a scuola.

Ade sollevò la testa e si girò di nuovo per guardarla in viso: non solo evitava di parlargli per due settimane, ma pretendeva pure una scorta su Bucky III. Un germe di reale fastidio si annidò tra i capelli scuri.

-Ah, no.

Silenzio. Ade si concentrò sulla bottiglia vuota, sperando che fissando abbastanza intensamente il fondo alcune gocce di latte sarebbero magicamente apparse. Niente da fare.

Decise di optare per un caffè, nero come la sua anima, e con quel nuovo proposito passò davanti ad Estia in maniera agile e fulminea, con la velocità che acquistava Ermes quando c’era da saltare giù dal divano pur di afferrare per primo il telecomando del televisore.

-Okay. Allora arriverò in ritardo. Zeus è già uscito.

Ade fece finta di non aver percepito la finta nonchalance con cui la sorella aveva pronunciato quelle parole, e con lo stesso identico modo di fare rispose:-Male. La scuola è importante, mamma non sarà contenta.

Finalmente, Estia diede segno del suo rancore.

-Oh, per piacere, mi chiedo chi dei due abbia quindici anni qui dentro!

Ade le rivolse un’occhiata carica di veleno:-Beh, tu.

E l’hai pure dimostrato ampiamente.

Estia emise una specie di ruggito soffocato, come se si trattenesse dal saltargli addosso solo per non dar fastidio ai vicini, o alla loro madre. Ade sperò che ci provasse, giusto per giungere all’apice dello schifometro per quella mattina. Sicuramente Akhlys avrebbe fatto il tifo per lui, sbirciando dalla finestra del suo orribile salotto.

-Sto cercando di fare la pace, per l’amor del cielo! Lo vuoi capire?

-Un attimo, rinfrescami le idee: devo capire che vuoi fare la pace, -quelle espressioni così infantili gli facevano saltare i nervi- o devo capire che sei una donna matura che non vuole più avere a che fare con il fratello iperprotettivo che si ritrova? Illuminami.

Estia per poco non roteò gli occhi al cielo, ma dimostrò un autocontrollo migliore del fratello nel non rispondergli a tono.

-Entrambe le cose. -Estia incrociò le braccia al petto, prendendo un respiro profondo come se stesse per recitare un discorso imparato a memoria -Mi sono arrabbiata per il fatto che mi consideriate troppo piccola per uscire con voi, o per uscire in generale, e per la stupida concezione che avete tu, Pos e Zecca -a quel soprannome, Ade non poté fare a meno di sentire un minuscolo moto di ilarità: Zeus si arrabbiava sempre quando Estia lo chiamava così, come Poseidone quando qualcuno chiedeva dove fosse ‘Possy’- sul fatto che io sia l’unica che non sa come va davvero il mondo, o quanto faccia schifo ritrovarsi papà a casa ubriaco a mesi alterni. Non è così, e dato che ci siamo capiti non vedo il motivo di continuare a non parlarci. Zeus fa schifo a fingere di far finta di ascoltarmi, e Pos-

-Poseidone sta architettando qualcosa, non fa che leggere e pretendere di studiare.- la interruppe Ade, che cercava comunque di mostrarsi distante e non sollevato da quel ramo di ulivo offerto in una situazione tranquilla, lontano da sguardi altrui. Vide Estia accennare a un sorriso.

-Esatto. L’ultima volta che l’ho visto stava leggendo un libro sulla crittografia.

-Crittografia.-meditò Ade, stando attento a non versare caffè ovunque-Forse stava cercando di decifrare la sua stessa scrittura, dubito sappia davvero scrivere.

-E’ una copertura-gli diede manforte Estia-E’ rimasto alla scrittura cuneiforme.

Ade le sorrise mentre beveva il caffè. Per una volta, potevano riappacificarsi senza drammi ed esplosioni, da persone adulte e responsabili.

Diede uno sguardo all’orologio appeso sul muro della cucina.

-Cazzo, siamo in ritardo. Prendi i caschi, muoviti!

Estia imprecò in maniera più educata e corse, sempre mormorando i suoi ‘Acciderbolina’ che facevano ridere Zeus alle lacrime.

Arrivarono in ritardo di dieci minuti, ma Ade giurò di non aver visto mai Estia così rilassata mentre entrava a scuola.

 

ARTEMIDE

A pranzo, Artemide pensò che suo fratello potesse fare a meno di lei, e non andò alla mensa. Quella mattina era passata in una lenta e metodica alternanza tra urla dei professori ed esercizi, immersa nello scorrere delle penne sulla carta e nello sfrigolio impercettibile del gesso sulle lavagne. Artemide aveva avuto la tentazione di tirare il suo quaderno di trigonometria in faccia al suo compagno di banco, un ragazzetto nuovo con un’acne incipiente lungo il viso, non appena questi aveva tirato fuori da una tasca dello zaino una untuosa focaccia che avvolgeva parecchi wurstel, divorando poi il panino con aria famelica e leggermente ripugnante. Per amor di buon vicinato, Art aveva solamente separato i due banchi di qualche centimetro e scostato il più velocemente possibile tutte le briciole che gli erano finite addosso.

Gerione Triplets era un essere sudicio, ma la trigonometria era un affare ben più sporco: Artemide non aveva mai amato studiare. Non era per pigrizia, o per disinteresse degli argomenti trattati a scuola: semplicemente, tutto in quella scuola, dai corridoi trafficati e i bidelli incompetenti, dalle cheerleader cliché viventi alle stupide faide tra gruppi di amici e squadre di basket, baseball e nuoto, tutto la faceva soffocare. Il soffitto delle aule era sempre a un centimetro di distanza dalla sua testa, pronto a schiacciarla. Non era così che Art avrebbe voluto scoprire il mondo e i suoi segreti, non con lezioni tediose e briciole di wurstel masticato sui fogli.  Artemide agognava la libertà di scegliere cosa fosse meglio per lei, e, sotto sotto, la possibilità di staccarsi dai suoi amici storici, e da suo fratello.

Non c’era mai stato, tra lei e Apollo, né quell’odio viscerale che a volte intercorre fratelli troppo presenti nella vita dell’altro, specialmente nel caso di due gemelli come loro, né allo stesso tempo l’attaccamento affettivo che invece teneva assieme fratelli come Elio e Selene, quella scintilla di comprensione e complicità che vedeva Phobos e Deimos uniti nelle malefatte e nelle punizioni. Lei e Apollo si volevano bene, tanto, troppo, un dato di fatto dato per scontato. Erano però persone indipendenti, con interessi diametralmente opposti e attitudini sostanzialmente divergenti su aspetti fondamentali. Apollo sarebbe stato un perfetto intellettuale medievale, dedito a ogni campo del sapere con lo stesso entusiasmo e la stessa grinta con cui studiava la musica, o l’arte. Apollo era poliedrico e inconcludente, Artemide più selezionata nei suoi interessi. All’età di cinque anni avevano entrambi cominciato a prendere lezioni di tiro con l’arco, dimostrando tutti e due un talento naturale per la disciplina. Se per Apollo, però, il tiro con l’arco era un passatempo come un altro, per Artemide era un sogno divenuto realtà. Artemide amava il suo arco con la stessa intensità con cui Apollo stringeva al petto il suo violino dopo aver suonato, con lo stesso ardore con cui Apollo dipingeva uno scorcio particolarmente vibrante di colori, con la stessa foga con cui Apollo divorava tomi sull’anatomia umana. Per Apollo il mondo era una stanza colorata, insidiosa ed estremamente divertente; per Artemide era una scala di grigi tenuamente illuminata dal perlaceo illuminare della luna, con qualche oggetto risplendente di luce argentea.

Artemide sapeva già che, alla fine del liceo, tutta la sua vita sarebbe cambiata, e se tutto fosse andato bene sarebbe andata nella direzione che desiderava. Voleva continuare a tirare con l’arco e andare al poligono di tiro con chiunque fosse stato abbastanza coraggioso da accompagnarla, ma sicuramente avrebbe lasciato New York. Apollo sarebbe andato in una discreta università, e ne sarebbe uscito con un camice bianco e uno stetoscopio. Lei aveva intenzione di lasciare a suo fratello la casa in cui in quel momento vivevano, e girare il mondo. Studiare all’estero e magari cacciare in luoghi ancora impervi e nemici all’uomo...

-Art?

La ragazza sbatté le palpebre. Nel cortile della scuola, il sole era mogio dietro le nuvole, e lasciava quella luce fastidiosa tipica di un’estate morente. I capelli di Ermes erano fili di rame aggrovigliati come cavi elettrici attorno al viso dai lineamenti elfici.

Sebbene il ragazzo avesse il viso in ombra, Artemide conosceva il colore degli occhi del suo amico, un verde intenso e macchiato di pagliuzze scure e dorate, ma differenza di Apollo non avrebbe mai saputo trovare i colori giusti per rappresentarli.

Ermes era appoggiato su un muretto con lo zaino posto a terra davanti ai suoi piedi. Teneva in mano quello che poteva sembrare un accendino, ma che probabilmente era l’ennesimo pezzo di ciarpame che il ragazzo aveva trovato in giro, e la plastica rossa ricordava quella dei giocattoli meccanici che Apollo aveva ricevuto un anno a Natale. Le dita nodose e sottili rigiravano il nuovo anti-stress come gli imbroglioni fanno con le carte da gioco di fronte ai turisti ignari, mentre un complice ruba il portafoglio con mani leste ed abili. Al solito, non passava un attimo senza che Ermes non si muovesse impercettibilmente, le membra scosse da un impulso irrefrenabile che ad Artemide faceva venire in mente le domeniche mattine passate a bere caffè pur di tener dietro alla vitalità innaturale di Ermes dopo poche ore di sonno.

Senza dilungarsi in molte parole, Artemide si sedette di fianco all’amico. Ermes le offrì un panino alla marmellata, e Art pensò chiaramente che il silenzio fosse un buon ornamento alla figura del ragazzo. Era raro che Ermes stesse zitto, ma era anche vero che le parole non erano mai -troppo- inutili, o pronunciate senza pensare. Ermes non era stupido, sebbene a volte si comportasse come tale.

Diede un morso al panino, riempito all’inverosimile da una marmellata ai frutti di bosco che a quanto pare Janine sapeva fare benissimo: ad Artemide piaceva quella donna, anche se spesso incuteva un leggero timore ai suoi amici.

-Hai restituito la bici a Cerbero?

Ermes si voltò di scatto, distogliendo lo sguardo dall’entrata della scuola.

-L’ha ripresa il giorno in cui siamo andati al locale.-rispose il ragazzo, lanciando quello che sembrava uno strano temperino da una mano all’altra-Mi sono scusato con lui-aggiunse frettolosamente. Artemide colse il fetore della bugia con la certezza di un segugio.

-Sei scappato, altroché- gli diede una leggera spallata, offesa nell’orgoglio. Ti conosco troppo bene.

-Sì, sono scappato. Ho corso a una velocità mai percepita dall’occhio umano, alterando lo spazio e il tempo.

Art trattenne un sorriso esasperato.

-Sì, certo. Non mi piace che rubi. - Potresti fare mille altre cose.
Ermes era simile ad Apollo, pieno di interessi e passioni: non capiva quanto si sprecasse continuando con quei piccoli furti?

-Nemmeno a Janine. O ad Apollo. O alle forze dell’ordine e al mio senso civico.

-Trattieniti, Ermes.-rimarcò con tono più serio -Prima o poi finirai male. Trovati un lavoretto pomeridiano, studia.

Ermes le rivolse un’occhiata da ‘‘dice il bue ‘cornuto’ all’asino’’.

-Il progetto di scienze sui batteri era interessante!- si difese, non era assolutamente vero che non aveva interesse per tutto ciò che facevano a scuola; era stato divertente vedere Poseidone fare scena muta all’interrogazione, per poi uscirsene con l’unica frase sensata ‘I batteri causano le infezioni batteriche’. Pos si era dimenticato di dover esporre il suo progetto quel giorno, e Atena non era mai stata più felice della sua A in confronto al misero voto di Poseidone.

 

-Ah, io ho finito il mio!- si rianimò Ermes, dando un calcio allo zaino per aprirlo del tutto. si chinò e riesumò trionfante dal buco nero di quaderni semi-distrutti un foglio leggermente stropicciato sui bordi-Ta-daaa!

-Il testamento di Escherichia-coli John, il batterio più figo al mondo.-lesse Artemide. Fissò l’amico:-Sul serio? Un testamento?

-Se fossi in un batterio, cederei il mio patrimonio genetico in maniera oculata.- Ermes annuì solenne.

-Non vedo l’ora di vedere la faccia di Atena quando esporrai questo… coso alla classe. Sarà più scandalizzata della professoressa stessa. -Art sentì il suo lato oscuro sgranocchiare biscotti con aria soddisfatta.

Ermes si fermò un istante. Solo uno.

-A parlar del diavolo…

Ermes stava indicando Atena, indice puntato sulla ragazza come fanno i bambini. La bionda stava procedendo a passo di marcia nella loro direzione, e pareva decisa ad ucciderli. Ermes ebbe l’istinto di nascondersi, Artemide di urlare di gioia di fronte a una possibile situazione adrenalinica. Atena era una di quelle persone che non portavano mai il conflitto a livelli preoccupanti, e conversare con lei era sempre fantastico, forse perché pochi altri avevano davvero il coraggio di farlo.

Poi Atena afferrò la manica di Ermes e cominciò a trascinarlo senza troppi complimenti verso la scuola.

-SEQUESTRO DI PERSONA, ART! VENDICAMI!- cominciò a strillare Ermes. Non erano urla molto virili, e Artemide scoppiò a ridere. Il suo lato malvagio aprì una nuova scatola di Oreo.

-Riportalo tutto intero, Atena, mi serve per scienze!-urlò alla ragazza prima di addentare il panino di Ermes. Uh, nutella. Il ladruncolo teneva sempre quelli alla nutella per lui.

Atena non si voltò nemmeno.

-Mi serve per un controllo. Sto facendo un’indagine.

-Uh.-commentò Artemide. Avrebbe anche chiesto qualcosa in più, ma la coppia mal assortita era già entrata a scuola, una imperiosa, l’altro scalciante.

Si guardò attorno nel cortiletto più o meno deserto, e inspirò a pieni polmoni quell’aria di pieno autunno.  Quel periodo dell’anno era sempre piaciuto ad Orione.

Diede un altro morso al panino di Ermes, stando attenta a non sporcare il testamento di escherichia-coli John ulteriormente: una ditata di unto era già impressa in un angolo, e Artemide si figurò Ermes chino sul tavolo della cucina di Janine, la schiena curva come un ramo carico di neve e una fetta di pizza alle olive in mano. Ultimamente Artemide si sforzava di concentrarsi sul presente, sui più minuscoli particolari, pur di non pensare al passato. Orione era una presenza costante nei suoi pensieri. Nella sua agognata solitudine, era sempre stato lui, dopotutto, a farle compagnia.


***Primo Ricordo***

 

Artemide non è mai stata al poligono di tiro. Non ha nemmeno l’età adatta, probabilmente, ma il suo istruttore non ha mai badato a certe sottigliezze: Artemide è il talento migliore che abbia visto da anni, e limitarsi a un arco sarebbe uno spreco. Ha promesso ad Art che non appena compiuti i sedici anni, la porterà a sparare. Art non sa se esserne felice o meno: il pensiero di utilizzare una pistola, o una carabina, le pare una questione completamente diversa dal tirare con l’arco. Continua a rimuginare su come può essere legale portare una sedicenne a sparare senza porto d’armi o allenamento specifico quando Orione le si para di fianco.

Orione le va dietro, secondo Apollo, fin dal primo momento in cui l’ha conosciuta. Art non se ne cura molto: ci sono già troppi maschi inutili che girano per casa, e Orion non fa eccezione, anche se è l’unico che sarebbe capace di sostenere con lei una conversazione in merito al tiro con l’arco. Apollo non conta, dato che salta più della metà delle lezioni e preferisce strimpellare sul pianoforte dal mattino alla sera.

 

Orion non è un Olympian, ma a Poseidone sta simpatico, e gli altri accettano ben volentieri la sua compagnia. La prima volta che Art lo ha visto, durante la prima lezione di tiro con l’arco dopo il rientro dalle vacanze estive, mai si sarebbe immaginata che presto sarebbe stata parte integrante della sua vita, sempre in giro con Apollo e gli altri. Forse lo riteneva più intelligente, con dei gusti più selettivi in merito ad amicizie. Art fatica a sopportare Dioniso, alcune volte, e Poseidone più o meno tutte le volte in cui apre bocca. Ultimamente sono tutti più rincretiniti che mai all’adolescenza: Zeus non era così interessato alle gambe di Era Juno prima, né Apollo era così attento alla direzione che prendeva il suo ciuffo biondo di capelli appena sveglio. Artemide ringrazia il cielo di avere delle amiche, le sue cacciatrici: alcune sono molto più grandi di lei, ma tutte sembrano capire sia la sua passione per la corsa, ‘la caccia’ -l’adrenalina che scorre nelle vene quando si allenano-, l’arco, -persino il dolore ai muscoli una volta tornata a casa-, e il suo disinteresse verso i maschi in senso amoroso. Insomma, quando sua madre le chiede la mattina perché non esce con Afrodite Beauregard e le altre cheerleader, Artemide rischia di strozzarsi con i cornflakes.  Tra le due, il male minore rimane suo fratello: territorio neutro, anche se maschile.

Orion non è territorio neutro. E’ alto, con le spalle forti e una risata vibrante. Porta orribili canottiere verde militare e ogni volta che Art gli risponde in malo modo non fa cenno di prendersela, ma persiste nel parlarle quando persino suo fratello la ignora, magari mentre tutti gli Olympians sono sdraiati sul divano a guardare Star Wars con aria attenta. Quando Pos lancia un pop-corn in testa ad Artemide, ogni volta Orion prima ride, poi si volta come per vedere se Artemide sta bene, se non se l’è presa. Lei si premura ogni volta di lanciargli un’occhiata gelida, o proprio di non restituire lo sguardo.
Apollo ha le sue teorie riguardo ad Orion. A volte Art lo sente blaterare con Mamma riguardo alla sua vita amorosa, e si trattiene dall’uccidere il fratello solo perché non è legale, e perché Apollo non ha mai detto che Art ricambia. Quello sarebbe il massimo dell’offesa e della bugia.

 

Orion le si siede accanto. Artemide guarda avanti, ignorando il tranquillo ‘Buondì’ che il ragazzo le rivolge.

Passano le restanti due ore a sorridere sprezzanti di fronte ai centri che entrambi segnano sui bersagli. Orion è bravo, ma non come lei. E’ bravo abbastanza da sfidarla.

Il fatto che lei lo batta sempre sembra non preoccuparlo.

**Continua!**









 
Note:
Riprendo con rinnovata speranza e prematura felicità di fronte a questo parto. Non sono convinta di alcune cose, ma mi sono resa conto che programmare ad oltranza per poi incartarsi nella scrittura meticolosa e 'seria' non si addice a questa storia. E' nata come un teenage drama mitologico, e così sarà fino alla fine. Scriverò altri ricordi di Orion e Artemide. Avevo intenzione di non inserire questo primo ricordo, che è più un'introduzione che altro, ma ho pensato che meritaste quante più parole possibili. Non queste mie, in blu. Le altre.
Un grazie ad M. e a tutti voi.
Ali 
P.S. sto già scrivendo il nuovo capitolo, con Atena ed Ermes e un Grace-Pov. Sarei curiosa di sapere di chi vi interessa più sapere, ma so di chiedere troppo. Un bacione!
   
 
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