Capitolo 5
«Buongiorno,
Susanna. Dormito bene?» Chiese Dawn
alla sua interlocutrice, che alzò il muso e muggì
in quella che lei tradusse
come risposta affermativa. «Mi fa tanto piacere, mi permetti
di mungerti?» Le
chiese nuovamente, accarezzandole il naso umidiccio.
Quella
mattina la ragazza si sentiva felicissima,
Caroline le aveva permesso di rendersi utile mungendo le vacche. Be' in
realtà
solo una; Susanna, che la donna aveva reputato dolce e calma. Non aveva
mai
munto prima di allora, ma la burbera padrona di casa le aveva mostrato
come
fare ed era abbastanza tranquilla.
Posizionò
il secchio di latta sotto l'animale e si
accomodò sullo sgabello che si trovava lì vicino.
Non voleva ammetterlo però...
dover strizzare le mammelle di quella povera mucca la rendeva un po'
nervosa e
le faceva un certo senso, ma l'aveva promesso a Caroline e non poteva
tirarsi
indietro!
Fece
un bel respirò ed iniziò a mungere
delicatamente la povera Susanna, che se ne stava tranquilla a
mangiucchiare del
fieno lasciandola lavorare in pace. Non era così male, dopo
tutto, e nemmeno
particolarmente stancante, forse proprio per quel motivo Caroline le
aveva
permesso di rendersi utile almeno in quel modo. Avrebbe voluto far
molto di più
ed imparare più cose, così quando Scott avrebbe
finalmente accettato suo figlio
- e pregava anche lei - non si sarebbe trovata impreparata alla vita
che si
conduceva in una fattoria. Voleva essergli utile e non d'intralcio,
avrebbe
imparato tutto ciò che serviva.
«E
tu crescerai in un posto tranquillo e
salutare.» Disse, rivolta all'esserino che cresceva nel suo
ventre. Non poté
far a meno di immaginare un bellissimo bambino dai capelli rossi e gli
occhi
azzurri che correva dietro il padre, ansioso di imparare qualcosa e di
emulare
la figura paterna tanto amata. Una parte di lei la
rimproverò per quella
fantasia, non sapeva se alla fine il rosso li avrebbe voluti nella
propria vita
e sognare era prematuro e poco raccomandabile per il suo cuore. Non
voleva
rimanere ferita, ma non sapeva come impedirsi di vagare con la mente in
quel
modo o di pensare meno a Scott. Lei non era mai stata innamorata, i
ragazzi non
le erano mai interessati perché tutti quelli con cui aveva
avuto la sfortuna di
relazionare si erano dimostrati rozzi, indisciplinati e, cosa
più importante,
non l'avevano accettata per ciò che era né
capita. Non che Scott la capisse, ma
in qualche modo loro due si somigliavano, entrambi conoscevano la
solitudine ed
il dolore di non sentirsi accettati per ciò che erano, e
questo li univa più di
qualsiasi altra cosa. Tuttavia, ora lui aveva trovato qualcuno disposto
ad
accettarlo ed amarlo, qualcuno che avrebbe sempre voluto il suo bene
con
l'unica pretesa di essere amata allo stesso modo. Quello era il punto
criticò
però e lo sapeva, infatti non sperava troppo di essere amata
da lui,
l'importante era che il ragazzo amasse suo figlio.
Finì
di mungere e, con più fatica di quanto avesse
immaginato, tentò di sollevare il secchio di latte per
portarlo in casa come le
aveva raccomandato Caroline. E quella era forse la parte più
difficile visto il
peso del maledetto secchio, infatti non riuscì nemmeno ad
uscire dalle stalle a
causa delle braccia doloranti ed addormentate, quindi fu costretta a
fermarsi
davanti alle porte dell'edificio per riprendere fiato.
«Che
diamine stai facendo?» Le chiese una voce fin
troppo familiare, la stessa voce che ogni sera perseguitava i suoi
sogni e di
giorno affollava i suoi pensieri.
Dawn
alzò di scatto gli occhi, ritrovandosi
davanti la figura sorpresa del rosso. «Scott?»
«No,
un folletto irlandese.» Commentò ironicamente
il ragazzo, lanciando poi uno sguardo dubbioso al secchio accanto ai
suoi
piedi. «Serve una mano? Nelle tue condizioni non dovresti
alzare certi pesi,
giusto?» Commentò con una nota di disappunto.
La
bionda rimase imbambolata per un po', prima di
riuscire a rispondere, ancora incredula non solo di averlo
lì davanti ma anche
di vederlo preoccupato per le sue condizioni. «Sì,
non dovrei, ma non riesco a
starmene in casa a riposare senza far nulla.» Sorrise
imbarazzata, indossava
una delle camicie a quadri di Caroline, che le stava almeno di due
taglie più
grande, ed i capelli erano raccolti in uno chignon da cui ormai
sfuggivano
diverse ciocche. Non era esattamente così che si era
immaginata di incontrare
il ragazzo, ma tanto che importava? Lei non aveva mai badato al suo
aspetto
quindi era inutile farlo proprio ora, e poi lui era lì e
questo era già tanto.
Salvo che Scott non fosse venuto solo per chiederle di andare via, come
aveva
fatto giorni fa e questa volta non c'era nessuna Caroline a difenderla
quindi
sarebbe stata messa alle strette. Ma l'avrebbe affrontato,
perché non aveva
nessuna intenzione di andarsene!
Lo
sentì sospirare rumorosamente e lo vide
avvicinarsi a lei e sollevare il secchio che aveva lasciato a terra per
la
fatica. «Dove devo portarlo?» Chiese quasi
borbottando, come se le stesse
facendo un favore, anche se lei non gli aveva chiesto praticamente
nulla.
«In
casa...» Rispose stupita dal suo gesto, in
nessuno dei suoi sogni avrebbe mai immaginato una cosa simile - o forse
sì -.
Conoscendolo, non se lo sarebbe mai aspettato, ma Scott nel profondo
era buono
quindi non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto. Con lei la
parte del ragazzo
cattivo e senza pietà non funzionava, aveva visto di
più in lui, ed il fatto
che fosse lì a darle una mano lo dimostrava.
Seguì silenziosamente il ragazzo
dentro casa, tentando di tenere sotto controllo le sue emozioni e la
sua
euforia, se qualcuno avesse potuto leggere l'aura come lei avrebbe
notato
quanto fosse esagitata dalla presenza del rosso, e lei non aveva mai
provato
simili sensazioni verso qualcuno.
Entrarono
in casa senza più dirsi nulla, Scott
lasciò il secchio in cucina e ritornò in salotto
dove lei lo stava aspettando,
cercava di prepararsi ad una possibile discussione con lui, anche se la
cosa
non le piaceva affatto. Odiava litigare con Scott, soprattutto per il
bambino,
che era l'unica vittima innocente in tutta quella storia.
«Caroline
non c'è?» Chiese il rosso, comparendo
all'improvviso dietro di lei.
«No,
è andata in paese a sbrigare delle faccende.»
Spiegò, sentendo la mancanza della donna. Avere qualcuno che
ti difendeva era
rassicurante e ti faceva sentire protetto, ma lei non poteva contare
sempre su
Caroline. La verità era che in quel momento aveva un gran
paura, paura di
sentirsi dire le stesse cose che il ragazzo aveva detto alla padrona di
casa
solo una settimana prima.
«Prepara
le tue cose.» Le ordinò Scott, in modo
stranamente calmo.
Ecco,
lo sapevo, si
disse.
«Starai
da me. Hai vinto Dawn, mi prenderò cura di
te e del bambino.» La ragazza si voltò finalmente
verso di lui, sorpresa. La
gioia, le domande, i dubbi e le paure l'assalirono, ma si impose di non
pensarci e mettere tutto a tacere almeno per il momento. Alla fine lui
l'aveva
accettata anzi, aveva accettato il bambino ed era il motivo che l'aveva
spinta
fin lì, avrebbe dovuto fare i salti di gioia eppure... si
sentiva stranamente
vuota.
«Forza!»
La riscosse Scott. «Non ho tutto il
giorno, e preferisco che non arrivi il dittatore di questa casa, odio
ritrovarmi fucili puntati contro il cranio.»
«Scusami,
torno subito.» Come un fulmine, Dawn si
precipitò su per le scale e si chiuse in camera. Raccolse lo
zaino che aveva
portato con sé ed iniziò ad infilarci dentro le
poche cose che possedeva,
sentiva di avere le lacrime agli occhi e si diede della stupida; lui
aveva
deciso di prendersi le proprie responsabilità! Proprio come
aveva sempre
pregato, allora perché si sentiva così delusa ed
avvilita?
Finalmente
il suo bambino aveva un padre pronto ad
accoglierlo ed amarlo, e lei sapeva che Scott sarebbe stato un padre
fantastico.
«Allora
perché ho così tanta voglia di
piangere?»
Sussurrò reprimendo un singhiozzo. Sentiva un macigno sul
cuore e non sapeva il
perché, tutto ciò che aveva pregato accadesse si
era avverato, eppure sentiva
di aver perso. Perché?
Non
voleva che suo figlio fosse accettato ed
amato? Sì, ed era successo, almeno la prima. Lui aveva
accettato le proprie
responsabilità quindi non aveva lasciato tutto per nulla, e
doveva esserne
felice. Ma non lo era.
Si
mise velocemente lo zaino in spalla e scese
nuovamente in salotto, Scott era esattamente dove l'aveva lasciato e si
guardava intorno con aria malinconica. Curiosa, diede una sbirciata
alla sua
aura e vi trovò tristezza, commozione e rimorso. Tanto
rimorso.
«Eccomi.»
Scott si voltò subito verso di lei e la
fisso serio in volto per qualche secondo.
«Hai
pianto?» Chiese, sbalordendola. Era così
cristallina quel giorno? Di solito nessuno riusciva a capire se aveva
pianto,
anche se lo aveva fatto da poco, era sempre stata molto brava a
nascondere il
suo stato d'animo. Evidentemente quel giorno non c'era riuscita, e
visto tutte
le emozioni che la sconvolgevano dentro non le risultava difficile
crederci.
Non riusciva ad avere il controllo su emozioni o stati d'animo che non
si erano
mai manifestati prima di allora.
Si
schiarì la gola e scosse il capo. «No,
assolutamente no. Andiamo?» Uscì di casa sotto lo
sguardo attento del ragazzo,
che avvertiva qualcosa di strano in lei.
Dawn
raggiunse il pick-up nero di Scott e si voltò
verso la casa che per settimane l'aveva accolta e protetta, proprio
come aveva
fatto Caroline. Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime,
stavolta per un
motivo completamente diverso. Sospirando, lanciò un'occhiata
al rosso che
l'aveva raggiunta.
«Scusami
un secondo.» Gli disse. «Ho qualcosa di
importante da fare prima di andare.» E sotto lo sguardo
allibito ed irritato di
lui, tornò di corsa in casa, prese il blocchetto di post-it
che la donna teneva
sulla credenza in cucina e lasciò un messaggio a Caroline,
informandola del suo
trasferimento nella fattoria dei Douglas. Lanciando un ultimo sguardo
alla
cucina ed al salotto, tornò di nuovo da Scott, il ragazzo la
stava aspettando
esattamente dove l'aveva lasciato pochi secondi prima.
«Possiamo
andare, ora?» Chiese con evidente
disappunto.
«Sì,
scusa.» La ragazza entrò nell'abitacolo ed il
rosso fece altrettanto, accendendo il motore e allontanandosi da quella
casa
immediatamente. Sembrava che Scott volesse mettere fine a quella storia
velocemente, come se portarla alla sua fattoria potesse in un attimo
far
aggiustare tutto. E forse era così, ma per quante cose si
risolvano, tante
altre si complicano e lei lo sapeva bene.
Aveva
appena raggiunto il traguardo che si era
prefissata il giorno del suo arrivo a Yellowknife, eppure il suo cuore
ed il
suo animo erano irrequieti. Non c'era la benché minima
felicità nel sapersi
vincitrice di questa battaglia, perché la guerra per
arrivare al cuore di Scott
era ancora lunga e non era detto che ne sarebbe uscita vincitrice.
Si
posò una mano sul ventre e chiuse gli occhi,
chiedendo in silenzio perdono al bambino che cresceva dentro di lei.
Senza di
lui non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi al ragazzo che amava, le
sembrava quasi
di usarlo e si sentiva un mostro per quello.
Scott
lanciò un'occhiata alla sua compagna di
viaggio, trovandola ad occhi chiusi con una mano poggiata sul ventre e
l'espressione quasi sofferente. «Stai bene?»
Chiese, tentando di nascondere
invano la sua preoccupazione.
Dawn
sussultò, come se fosse appena stata
svegliata da un sonno profondo e si guardò intorno confusa
prima di rispondere.
«S... sì, credo di sì.»
Accennò un sorriso e spostò la sua attenzione
verso il
panorama fuori dal finestrino.
Brutto
segno, si
disse. Non l'hai ancora portata a casa e
già sembra che tu abbia fatto
qualcosa di male.
Ma
cosa? Non aveva ancora aperto bocca né fatto
qualcosa che potesse disturbarla o ferirla. Forse era stato troppo
scorbutico a
trascinarla via dalla fattoria di Caroline senza darle il tempo di
salutare?
Forse, oppure si sentiva male? In fondo l'aveva sicuramente sconvolta
un bel
po' portandola via così in fretta.
«Sicura?»
Indagò di nuovo, odiandosi nel mostrarsi
così preoccupato. «Non ti senti male? Il bambino
sta bene?»
La
bionda si voltò nuovamente verso di lui,
sorridendogli in modo dolce e grato. «No, il bambino sta
benissimo e va tutto
bene, davvero.» Lo rassicurò.
Annuendo,
tornò a fissare la strada, ignorando il
sollievo che aveva provato a quelle parole.
Era
preoccupato per me o per il
bambino?, si
chiese Dawn anche se, ovviamente,
conosceva già la risposta. Ma la preoccupazione di Scott
verso il piccolo aveva
tranquillizzato la tempesta di emozioni che si era scatenata dentro di
lei.
Adorava questo lato di lui, quello premuroso e protettivo che il
ragazzo mai
avrebbe ammesso di avere.
Se
solo gli altri vedessero ciò che
vedo io...
Una
cosa su gli abitanti di quel posto l'aveva
capita; davano molta importanza alla prima impressione di una persona e
se
questa era negativa allora escludevano il poveretto - o poveretta -
dalla
comunità. Ed era quello che era successo a Scott, tutti lo
giudicavano per gli
errori dei suoi genitori e questo era ingiusto. Eppure c'era
qualcos'altro, ne
era certa, qualcosa che aveva cementato l'odio degli abitanti verso il
rosso e
che non aveva nulla a che vedere con i suoi genitori, ma cosa?
Spostò
nuovamente lo sguardo fuori dal finestrino
e riconobbe la fattoria del ragazzo, anche se l'aveva già
vista una volta fu
comunque sorpresa e dispiaciuta della decadenza di quel posto. I campi
accanto
alla proprietà erano completamente abbandonati e le
strutture avevano urgente
bisogno di una riverniciatura e non solo...
«Benvenuta
nella vostra nuova dimora,
principessa.» Esalò sarcastico il ragazzo,
parcheggiando il pick-up accanto
alla casa padronale.
Dawn
scese dall'abitacolo ed attese che Scott
facesse lo stesso, non le andava di entrare in casa per prima o di
precederlo,
non voleva dargli l'impressione di considerare quel posto
già casa sua. Anche
perché era abbastanza difficile definirla casa e non
catapecchia fatiscente,
sarebbe stata sicura per un bambino? Pregava di sì.
Come richiamato, il suo sguardo venne di nuovo attirato verso i campi
abbandonati ed una strana apprensione l'assalì. Dopo aver
passato due settimane
da Caroline, e vedendo il modo impeccabile in cui gestiva la sua
fattoria, le
sembrava orrendo lasciare quel posto così deturpato.
«Ehi,
non vuoi entrare?» La voce di Scott la fece
sobbalzare e si voltò verso di lui, trovandolo sotto il
portico ad attenderla.
Si affrettò a raggiungerlo e lo seguì in casa;
visto l'esterno della casa si
era aspettata lo stesso abbandono anche dentro, invece dovette
ricredersi. Il
mobilio, per quanto vecchio e consumato, era lucido e pulito,
così come il
soggiorno. Anche la moquette era pulita e priva di macchie.
«Lo
so, non è di certo una bella casa, ma dovrai
accontentarti.» Sbottò irritato Scott,
fraintendendo la sua ispezione, senza
nemmeno guardarla in volto. Sembrava addirittura imbarazzato e qualcosa
diceva
che non era per l'aspetto della casa, non del tutto almeno.
Senza
riuscire a frenarsi, diede nuovamente una
sbirciatina alla sua aura. Non doveva farlo, lo sapeva, ma con Scott
non
riusciva proprio a frenarsi, voleva sapere ciò che il
ragazzo provava per
aiutarlo o confortarlo in qualche modo. Era stata proprio la sua aura
ad
attrarla, così cupa, tormentata ed infelice. Le uniche volte
in cui aveva
notato della felicità in essa era quando superava
brillantemente gli esami
scolastici, allora la sua aura brillava e lei ne rimaneva affascinata.
Anche
ora, quello che vi lesse dentro la commosse e affascinò come
sempre.
«No,
è tutto perfetto ed in ordine. Pulisci tu
casa?» Chiese, immaginando la risposta che avrebbe ricevuto.
«C...
cosa? Ti sembro uno che pulisce case? Ma per
favore, sono solo un tipo ordinato.» L'espressione
sconcertata ed imbarazzata
di lui era talmente buffa che dovette fare appello a tutto il suo
autocontrollo
per non ridere. «Puoi sistemare le tue cose nella tua stanza;
sali al piano di
sopra, è l'ultima porta a destra.»
Borbottò prima di sedersi sul divano ed
accendere la televisione, un chiaro segno che non l'avrebbe
accompagnata.
Seguendo
le sue indicazioni, salì le scale ed
entrò in camera; la stanza era molto semplice e spaziosa,
dato che gli unici
mobili presenti erano il letto e l'armadio. Sospirando,
lasciò cadere lo zaino
sul letto e si avvicinò alla finestra.
«Oh,
no...» Esclamò alla vista dei maledetti campi
abbandonati. Sembrava quasi che la stessero perseguitando, sicuramente
le
chiedevano aiuto visto la situazione orribile in cui versavano.
«E va bene...»
Uscì
di fretta dalla stanza e tornò al piano
inferiore, trovando Scott ancora seduto davanti al televisore con lo
sguardo
perso altrove, di certo non poteva interessargli la televendita di
pentole
antiaderenti che stavano trasmettendo.
Cercando di fare meno rumore possibile, uscì di casa e si
diresse verso di
campi che la stavano perseguitando. Non sapeva esattamente cosa fare,
tutto ciò
che vedeva erano le erbacce e forse avrebbe dovuto iniziare proprio da
quelle.
Avanzò verso il centro del campo ed iniziò a
strapparle a mani nude, da sola
non avrebbe fatto un granché ma almeno avrebbe acquietato
quella strana ed
orribile sensazione allo stomaco.
Scott
spense il televisore e lasciò che un ringhio
di frustrazione uscisse dalle proprie labbra. Stava tentando di capire
in che
modo poter mantenere Dawn ed il bambino durante i prossimi mesi, ma la
stupida
e fastidiosa voce maschile che elencava i pregi di una cottura senza
grassi non
riusciva a farlo concentrare. I soldi che aveva messo da parte negli
ultimi
anni stavano per finire e quei pochi rimasti di certo non lo avrebbero
aiutato
a crescere un bambino.
Dannazione! Era proprio questo che intendeva quando aveva detto a
Caroline di
non aver nulla da offrire, però ormai aveva preso la sua
decisione e non poteva
di certo tirarsi indietro. Avrebbe trovato di certo una soluzione, per
il
momento era meglio evitare di pensarci o si sarebbe innervosito.
Abbandonò il
capo sui cuscini del divano e si godette la tranquillità ed
il silenzio che
regnavano in casa.
Un momento... silenzio e tranquillità? Non poteva essere
così visto che ora
abitavano in due in quella casa, ed anche se Dawn era silenziosa al
limite
dell'inquietante, in casa si sarebbe dovuto percepire almeno un piccolo
rumore.
«Dawn?»
La chiamò, tentando di apparire scocciato
come al solito, ma non ricevette risposta. Sbuffando,
abbandonò la comodità del
sofà e salì le scale che portavano al piano
superiore. Aprì lentamente la porta
della camera di Dawn e rimase di sasso non trovando la ragazza
lì.
«Dove
diamine si sarà cacciata?» Ringhiando per
l'ennesima volta, tornò al piano inferiore ed
entrò in cucina per vedere se la
bionda fosse lì, ma ancora una volta di lei non vi era
nessuna traccia.
Si portò un mano alla tempia ed inizio a massaggiarla piano,
tutto quel
preoccuparsi non era né da lui né nella sua
routine giornaliera e si sentiva
già sfinito. Lanciò uno sguardo fuori dalla
finestra, cercando di distrarsi
guardando l'erba che cresceva incolta nei suoi campi, gli insetti che
vi
volavano intorno ed una testa bionda che se ne stava sedu... una testa
bionda
che ne stava seduta lì in mezzo? Scott strinse gli occhi per
cercare di mettere
meglio a fuoco ciò che vedeva, e finalmente trovò
Dawn.
«Ma
che cavolo fa quella svitata?» Come un
fulmine, raggiunse la ragazza tra l'erba alta quasi quanto lui.
Nonostante il
rumore provocato dai suoi piedi che calpestarono e spezzarono
l'erbaccia secca,
Dawn non si accorse della sua presenza; troppo impegnata nel suo
intento,
impossibile, di ripulire il campo.
«Cosa stai facendo?» Le chiese, tentando di tenere
a bada l'irritazione. La
bionda sobbalzò e si voltò con aria colpevole
verso di lui.
«Ecco...
non lo so nemmeno io.» Gli rispose,
ridendo in modo nervoso. «So solo che non riuscivo a guardare
questi campi
senza provare una strana ed odiosa sensazione alla bocca dello stomaco.
Così ho
deciso di darmi da fare.»
Scott
rimase per un attimo colpito. Anche lei
provava la stessa sensazione fastidiosa che provava lui ogni volta che
apriva
gli occhi e si rendeva conto dello stato di abbandono in cui versava la
fattoria?
«Molto
nobile da parte tua, ma non puoi fare tutto
da sola. Anche se il campo non è enorme servono comunque
macchinari adatti, o
più persone che facciano quello che stai facendo
tu.» La informò. «Inoltre sei
incinta, dovresti pensare al bambino e non a delle erbacce.»
«Lo
so, ma se non lo faccio so che non riuscirò a
stare tranquilla, quindi non preoccuparti e torna dentro.» La
bionda si rimise
a lavorare, ignorando la sua presenza e le sue parole.
«Io
non mi preoccupo per te, e se vuoi stancarti
inutilmente mettendo in pericolo anche la vita di nostro figlio, fai
pure. Io
torno dentro eccome.» Sbuffando irritato, il rosso
tornò dentro, ignorando la
vocina interiore che gli diceva di aiutarla e non abbandonarla
lì in mezzo alla
polvere e gli insetti.
Nostro
figlio, Dawn
non riusciva ancora a credere alle parole uscite dalla bocca di Scott.
Era
sicura che il ragazzo non se ne fosse reso conto, ma lei sì
e quelle parole
avevano un suono meraviglioso e pregò di poterle risentire
di un nuovo un
giorno.
«Sì,
Scott, è nostro figlio.» Mormorò prima
di
rimettersi al lavoro.
«È
una pazza, una anche molto malata!» Esclamò
irato il rosso, sbattendo la porta dietro di sé.
«Vuole spezzarsi la schiena a
strappare stupide erbacce? Faccia pure, io ho smesso di provare ad
essere
gentile.»
Il
ragazzo entrò in cucina e prese una bottiglia
di birra prima di risedersi sul divano ed accendere la televisione.
Quella
ragazza era completamente fuori, più di quanto si era
immaginato, davvero
credeva di poter cambiare quel posto da sola? Era una visionaria
affetta da
miopia, l'unica spiegazione ad una tale pazzia. Bastava solo uno
sguardo veloce
a quel posto per capire che erano tutte fatiche sprecate, tutto andava
buttato
giù e ricostruito daccapo e lui non aveva nemmeno i soldi
per riverniciare la
porta d'ingresso.
Quella stupida, poteva benissimo rimanere fuori tutta la notte, presto
anche lei
si sarebbe arresa all'evidenza. Inoltre stava anche iniziando a fare
freddo,
quindi sarebbe dovuta entrare per forza in casa.
La
conosci, Scott, è in grado di
restare fuori anche con venti gradi sotto lo zero, lo
mise in guardia la sua coscienza, miracolosamente tornata in vita nelle
ultime
settimane.
«Non
mi interessa, può anche trasformarsi in un
pupazzo di neve.» Borbottò a se stesso, dandosi
dell'idiota nel sentire l'eco
delle sue parole riecheggiare tra le pareti del soggiorno. Dawn lo
faceva
impazzire come poche cose al mondo, non riusciva mai a capire a fondo
ciò che
le passava per la testa mentre lei era in grado di prevedere ogni sua
mossa,
anche prima di lui. E non capiva perché preferisse rimanere
fuori al freddo in
mezzo alla polvere, incinta per di più! Le sarebbe potuto
accadere di tutto, si
stava comportando in modo irresponsabile.
«Oh,
al diavolo!» Spense il televisore ed uscì
nuovamente di casa. Se le fosse successo qualcosa Caroline lo avrebbe
scuoiato
vivo e non poteva permettere che accadesse, non voleva avere nessuno
sulla sua
coscienza appena ritornata. Si fece spazio tra l'erba alta del campo e
le si
sedette di fronte, imitando il lavoro della ragazza.
«Non
una sola parola.» L'avvertì senza nemmeno
guardarla.
«Non
ne avevo intenzione.» Rispose lei, con un
sorriso stampato in viso che lui non vide.
***
«Ehi
Vecchiaccia!» Anderson entrò in casa di
Caroline senza nemmeno bussare, non l'aveva mai fatto e non avrebbe
iniziato di
certo ora. Inoltre la donna non si era mai lamentata, e questo a lui
bastava.
«Cosa
diamine hai da urlare?» Chiese irritata
Caroline, seduta al tavolo della cucina con un'espressione stranamente
compiaciuta ed un foglietto tra le mani.
Andy
avanzò lentamente verso di lei, notando
qualcosa di strano nella donna, gli sembrava più rilassata.
Come se le mille
preoccupazioni che l'affliggevano fossero magicamente sparite, ma aveva
anche
un qualcosa di nostalgico nello sguardo.
«Ero
venuto a chiederti dell'angioletto, non l'ho
vista stamattina e mi sono preoccupato.» L'uomo prese posto
accanto a lei.
«Se
ne è andata, Andy. Finalmente ha preso il
posto che le appartiene.» Caroline sorrise enigmatica, come
se stesse
nascondendo un segreto che non aveva intenzione di rivelare a nessuno.
«Come
andata?» Si allarmò l'uomo. «Non dirmi
che è
tornata a casa!»
La
donna alzò gli occhi al cielo esasperata e
sbuffò. «No, vecchio idiota.» Gli porse
il bigliettino che aveva tra le mani e
sorrise soddisfatta.
Anderson
afferrò il piccolo post-it tra le mani e
si infilò in fretta gli occhiali da vista, senza non
riusciva a distinguere
nemmeno una vocale. Lesse in fretta il biglietto, rimanendone sorpreso.
«Scott
ha accettato di prendersi le sue
responsabilità?» Commentò allibito,
nonostante sapesse che il ragazzo era
tutt'altro che cattivo, aveva dubitato seriamente di lui. Aveva creduto
che
Dawn sarebbe rimasta lì per un bel po', anche per sempre,
insieme a suo figlio.
Invece si era sbagliato e non poteva esserne più felice.
«Sì,
non ho mai dubitato di quel cretino. Sapevo
che alla fine avrebbe ripreso ciò che era suo.»
Caroline riprese il post-it
dalle mani dell'uomo e sospirò felice. Finalmente Scott
avrebbe avuto la
famiglia e l'amore che aveva sempre desiderato, doveva solo superare le
sue
paure ed aprire il cuore. Non sarebbe stato facile ed avrebbe commesso
tanti
sbagli, ma la zia Carol era pronta a rimediare e riportarlo sulla retta
via.
Dawn era l'unica in grado di aiutare il ragazzo, e per fortuna aveva un
gran
cuore ed un'immensa pazienza, ma anche lei aveva bisogno di essere
aiutata ed il
rosso era perfetto per il compito. Quei due si completavano, lei non
aveva mai
creduto alle anime gemelle ma stava per ricredersi.
«Come
mai sei sempre stata sicura di lui?» Le
chiese Andy.
«Perché
ogni volta che si guardano, tutto intorno
a loro brilla e l'unica cosa che si può leggere nei loro
occhi e l'amore che
provano l'uno verso l'altro. È quasi magico.»