Il
mio mondo
Uno stridio attirò la mia
attenzione. Il falco di Kiok, il
cacciatore più esperto
del villaggio,
volava sopra di noi ,come a
volerci guidare.
Volava in tondo contro il sole, che
brillava tiepido facendo
luccicare le punte delle lance e le frecce.
Ormai Trunks era lontano. Sapevo che
avrebbe fatto un ottimo
lavoro. E sapevo anche che non glielo avrei mai detto. Ero severo con
lui,
perché sentivo che era quello il modo di comportarmi. Ma lui
mi conosceva e mi
capiva. Mi capiva sempre anche quando io stesso non mi comprendevo.
Non ricordando nulla della mia storia
o della mia educazione
dovevo agire d’istinto. Era difficile portarlo in battaglia,
e guardarlo ogni
volta come se fosse l’ultima senza che potesse sapere cosa
pensavo. Ma sentivo
che quello era il modo di agire.
Ricordavo con chiarezza quando ancora
ragazzino aveva
rischiato di morire…e ricordavo la mia
angoscia…nell’aver rischiato di perderlo
senza che sapesse cosa provavo per lui.
Era inverno,
uno dei
più rigidi che ricordassi. In tempo di pace, eravamo andati
con gli altri a
pescare sui laghi ghiacciati. Lo facevamo da quando Trunks aveva 8
anni. Tutti
gli altri bambini iniziavano a 10. Ovviamente io avevo insistito
perché
iniziasse prima.
Aveva 12
anni. Avevamo
appena finito di seguire il sentiero e davanti a noi trovammo la grande
piattaforma ghiacciata. Era uno spettacolo, ogni anno. Fino
all’orizzonte, e
per miglia ai tuoi lati, una grande distesa di ghiaccio, correva
immobile,
bianca, apparentemente immortale.
Eravamo
circa 20.
Quel freddo era
sopportabile per pochi. Tutti
i ragazzi, circa 7
,erano di almeno 4 o
5 anni più grandi
di Trunks.
Noi , adulti, segammo il ghiaccio e dopo
aver tirato via la
lastra tondeggiante ci sedemmo intorno per pescare. Quei momenti erano
diventati molto importanti per me. In essi si racchiudevano le cose che
amavo
di più: Il silenzio, il cibo, la tranquillità.
Inoltre mi
permetteva
di sentirmi inserito nel villaggio. Non che fosse importante per me. Ma
sapevo
che era importante per Bulma. Spesso non partecipavo attivamente alle
discussioni ma mi dimostravo interessato con lo sguardo. Tendevo a
essere
pungente e gli altri mi trovavano divertente. Non che facessi qualcosa
per
esserlo. Le mie piccole acutezze bastavano per far scoppiare tutti a
ridere. Talvolta
le loro risa mi strappavano un sorriso. Ma raramente.
Quel giorno,
i ragazzi
si erano allontanati per ammirare il ghiacciaio più in
là.
Il
più grande era
Hayren. Aveva 17 anni. Era un ragazzo che perfino io avrei definito
bello. Aveva
i capelli corvini, e gli occhi di cielo.
Alto ed
esperto
combattente, era orfano quando arrivai al villaggio. Viveva dal saggio
ed era
un falco, per intelligenza e agilità…mi
colpì. Infatti divenne quasi come un
figlio per me e come un fratello per Trunks. Spesso mangiava a casa mia
e Bulma
gli cuciva i vestiti stracciati e gli puliva
le ferite.
Il vento sibilava insistente
nelle mie
orecchie e cantava una canzone che suonava in quei luoghi da millenni.
Un urlo
interruppe il silenzio. Il mio vicino gettò la canna e corse
verso il
ghiacciaio. Aveva riconosciuto l’urlo del figlio. Tutti lo
seguimmo e io mi
distanziai dagli altri che rimasero dietro.
Le urla
continuavano
ma non sentivo quella di Trunks. Mi arrampicai e poco dopo, quando gli
altri
arrivarono alla base, fui in cima.Tre ragazzi erano in piedi altri due
erano
chinati verso il precipizio dall’altra parte.
Corsi verso
di loro.
Uno dei tre si girò:
- Vegeta!
Trunks è
caduto!
- Cosa?!
–urlai
gettandomi in ginocchio.
Mi chinai
verso il
precipizio. Sotto di noi vi era una sporgenza dove scorreva un ruscello. Oltre il
precipizio.
Nel ruscello scorsi la
figura di Trunks
impigliato in dei rami sulla base di una roccia.
-TRUNKS!!
TIENI DURO,
STO ARRIVANDO…
-NO!- rispose la voce di Hayden .
Spuntò da dietro la
roccia e cercò di afferrare Trunks.
- Che cosa
è
successo?-chiesi ai ragazzi
- Hayden era
sul
bordo, ma il ghiaccio ha ceduto e Trunks tentando di tenerlo
è caduto giù
insieme a lui. - mi rispose uno.
Mi rivolsi
di nuovo al
precipizio. Hayden aveva afferrato Trunks e ora stava cercando di
strattonarlo
dai rami. Faceva perno sulle ginocchia e con uno strattone
più forte divincolò
mio figlio dagli arbusti.
- Quanto
è stato in
acqua ?-chiesi senza voltarmi
- Si
è fatto almeno 200
metri con la testa sotto, deve averla battuta nella caduta. Hayden lo
ha
seguito a piedi. La corrente è forte, lo ha sbattuto verso
la sponda tante
volte.
Mi voltai e
in
lontananza vidi dove il ghiaccio aveva ceduto.
Deglutii.
200 metri…pensando
a quanto tempo aveva passato senza respirare.
Hayden
intanto stava
strisciando sul tronco di un albero caduto usandolo come ponte. Era
stremato.
Un osso della gamba era fuori uscito. Sanguinava.
Si caricò Trunks sulle spalle e
risalì la
parete. Io mi sporsi per afferrarli. La neve era friabile e se mi
fossi avvicinato
di più gli sarei crollato addosso. Potevo vedere il dolore
sul suo volto
chiaramente come vedevo il sangue scuro macchiare la neve.
Dietro di me sentii i gemiti
degli altri che
risalivano ,pesanti ,la parete.
La chioma
viola di mio
figlio si fece abbastanza vicina e gli afferrai la spalla. Poi lo tirai
su e lo
depositai sulla neve.
La viso era
pallido e
non respirava . Prima che potessi rendermene conto Farnuk, uno dei
medicanti
del villaggio, che fortunatamente era con noi gli posò le
mani guantate sul
petto. Mi rivolsi verso il precipizio. Hayden era scivolato
più in basso.
-Forza
figliolo, ce la
puoi fare.- gridai. Stesi il braccio e altra neve scivolò
giù per il mio peso.
Mentre si
arrampicava
un rigolo di sangue gli uscii dal petto. Aveva una profonda ferita alla
spalla.
I rantoli di
dolore si
fecero più frequenti, i movimenti meno. Avanzò
ancora di un passo e
poi riuscì a sfiorarmi le dita. Lo tenni per
un secondo. Era freddo, e tremava. Ma non di freddo. Mi
guardò per un istante.
Il dolore e la paura nei suoi occhi.
Poi la neve
sotto la
sua gamba cedette.
-Mi dispiace
Vegeta…non c’è la faccio -
sussurrò.
Mi
scivolò dalle dita
precipitò nel vuoto. Finì sulla sponda. Sentii la
sua schiena spezzarsi. Il suo
viso bellissimo fu inghiottito dalle acque gelide.
Ma non ebbi
tempo di
compiangere Hayden.
Trunks non
respirava. Lo caricai sulle mie spalle ripresi a correre. Solo il
vecchio
poteva aiutarlo.
Nella mia
testa le
parole erano accartocciate , tutte unite e impastate.
Non
morire…salverò
almeno te… lui è morto per
salvarti…non puoi morire senza sapere che ti voglio
bene….che tu sei il mio mondo.
Non lo avevo
mai
detto.
Lo dissi
solo quando
era steso nel suo letto ancora incosciente. Avevo corso senza fermarmi
fino
alla capanna dell’anziano che mi aveva cacciato fuori e si
era chiuso dentro.
Me lo aveva riconsegnato dicendomi di posarlo a letto.
Rimase 5
giorni senza
svegliarsi. Poi davanti a me spalancò i suoi occhi.
Non riuscivo a dirglielo,
non riuscivo a
ripeterlo. Bulma mi capiva. Ma io no.
Tornai
nel presente.
Sentii la mancanza di Hayden come una scossa nel cuore. Vicino a me si
accostò
Malakina una ragazza, di circa 18 anni. Era una buona guerriera figlia
illegittima di un uomo di qualche altro villaggio. Sua madre e lei
fabbricavano
le frecce migliori della tribù.
-Perché non sei andata con
Trunks?
-Lui ha detto di restare qui. Dice
che non potrai avanzare
con la copertura delle frecce.
-Loro attaccheranno dai lati, saranno
la mia copertura.
– risposi.
-No, dice che gli archi non coprono
la metà della valle in
gittata. Nemmeno dall’alto. Rimarresti con un buco al centro
che ti verrebbe
diritto addosso.
Rimasi in silenzio, stupito.
-Trunks è davvero in
gamba, Vegeta… nonostante sia freddo
come te , in lui brilla la luce di questo popolo.
Sorrisi. Ma solo per una attimo. Era
troppo presto per
sorridere del ricordo di Bulma. Non era ancora arrivato il momento
della
tenerezza. Avevo ancora troppa disperazione nel cuore.
- Quanto manca? Ci siamo allontanati
molto…
-Se ti sforzi la puoi già
vedere in lontananza.- risposi.
Scrutò
l’orizzonte…strinse gli occhi. E poi la vide. Le
si
illuminò il volto pallido. Poi mi guardò
raggiante e tornò indietro. Non mi
voltai mi limitai a ascoltare. Sentii un mormorio
soffuso….poi un urlo!
Mi voltai. Saltavano e
urlavano, inneggiando alla gloria, alla libertà
e alla patria.
Lorch salì su una
catapulta e iniziò un discorso. Era un
grande oratore e poteva realmente spinger le folle a seguirlo ovunque.
-Fratelli - il boato si spense in
ascolto sempre proseguendo
verso la valle - le nostre terre, la nostra indipendenza, il nostro
futuro,
sono minacciati da questi nuovi colonizzatori!
Un boato di disapprovazione si
alzò e si spense di
nuovo ad un gesto di Lorch.
-La nostra vita è
cambiata. Questi che si fanno chiamare
romani rivendicano la nostra terra per la loro città!
– prese fiato - Vogliono
civilizzarci, imporci il loro controllo! Ci vogliono imboccare con
lingua
pomposa è indecifrabile , di cui snocciolano frasi
magniloquenti ad
ogni tiro di vento! Vogliono le nostre
case, i nostri boschi!
Un mormorio di disgusto
scivolò sulla folla.
- Sapete
che vi
dico?! – si accinse a concludere-
Io
sono Lorch, bretone da generazioni, parlo solo il bretone e dico che
mai onore
più grande mi è stato dato che seguire questo
straniero, per difendere la mia
Bretagna!
La folla si scatenò in un
canto della loro tribù, sfegatato
. Mi venne in mente la prima volta che lo sentii. Era più
melodico, e suonava
come un benvenuto.
Il terreno era umido a causa delle piogge. Avevo un senso di vuoto
interiore. Non
ricordavo chi fossi, ne cosa fossi. Nella mia mente erano offuscati i
ricordi
di quei due giorni a vagare sperduto per la foresta. Sul volto il
calore del
fuoco….e il profumo di un bel pesce arrostito. Avevo vicino
il saggio. Mi
guardava fisso e non si vergognava
di fissarmi. Il villaggio era radunato intorno a un grande fuoco e le vecchie nutrici
cantavano il loro inno con
ritmiche e melodiche.
I giovani
ballavano
intono al fuoco. Avevano circa la mia età
all’epoca. Le ragazze sembravano
affascinate, ma erano tutte troppo timide per invitarmi a unirmi a loro.
Una si fece
più vicina
a me, ma continuò la danza, oltrepassandomi. Appena la vidi senza
l’abbaglio del fuoco, mi
sembrò una dea. Era alta e sinuosa. I capelli castani
l’abbracciavano fino alle
ginocchia. I suoi occhi erano come degli specchi dove potevo guardare
la
bellezza del mondo riflessa.
Poi un’altra
uscì dal cerchio per avvicinarsi.
Era chiara come la neve. I capelli corti che le abbracciavano il volto.
Aveva
gli occhi rossi, e mi sembrò una tigre bianca. E anche lei
continuò il giro e
mi guardò intensamente. Poi una attirò la mia
attenzione. Fece una capriola e
si fermò di fronte a me. Poi si alzò e mi venne
incontro. Era dolce ma
aggressiva, discreta ma intrigante. I suoi capelli celesti brillavano
alla luce
del fuoco e i suoi occhi blu erano grandi come il mare.
Mi si avvicinò e
mi porse la mano.
-Ciao, sono
Bulma.
Ero solo.
Lei fu il
primo mattone con cui ricostruii il mio mondo
Il canto si spense. Davanti a noi si
aprì la valle. Scorsi
fino dall’altra parte. E lo vidi. Mi guardava lo sapevo anche
se era troppo
lontano per vederlo.
Tutto scomparì…
ogni ricordo svanì.
Davanti a me
solo
…..VENDETTA.