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Autore: BambuBaoBab    04/08/2016    1 recensioni
Dal testo : Poi un’altra uscì dal cerchio per avvicinarsi. Era chiara come la neve. I capelli corti che le abbracciavano il volto. Aveva gli occhi rossi, e mi sembrò una tigre bianca. E anche lei continuò il giro e mi guardò intensamente. Poi una attirò la mia attenzione. Fece una capriola e si fermò di fronte a me. Poi si alzò e mi venne incontro. Era dolce ma aggressiva, discreta ma intrigante. I suoi capelli celesti brillavano alla luce del fuoco e i suoi occhi blu erano grandi come il mare.
Mi si avvicinò e mi porse la mano.
-Ciao, sono Bulma.
Ero solo. Lei fu il primo mattone con cui ricostruii il mio mondo
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Essendo un amante della storia pre-medievale ho voluto catapultare i miei personaggi durante l’invasione della Bretagna da parte dell’Impero Romano. All’incirca il 400 DC, ma non ho pretese di una esatta attinenza storica.

 Il racconto doveva essere una one- shot ma mi sono trovata a doverla spezzettare in tre parti perché troppo lunga !

 

PARTE UNO

Il comandante guerriero

 

  Strattonai  il cavallo per rallentarne l’andatura. Dietro di me sentivo i respiri affannati del mio esercito.

Ribelli, osavano chiamarci. Dopo che avevano distrutto le nostre case e invaso la nostra terra, osavano additarci se ci insorgevamo. Che ci chiamassero come volevano. Dal  mio canto eravamo difensori. Sulla mia schiena il peso delle due asce era sempre più grande. Come se con l’avvicinarsi della battaglia , si appesantissero di importanza e significato. Ricordavo ancora quando il Saggio me le aveva consegnate.

 

Entrai nella sua capanna, irruente come era mio solito. Non ero tipo molto dedito alle riverenze e agli inchini, tanto che restai in piedi ed incrociai le braccia mentre  non mi guardava seduto  da dietro il suo tavolo delle mappe. Nonostante questo lui sapeva che nutrivo un profondo rispetto.

- Mi ha chiamato?

Tenendo il capo chinato e mi fece segno di sedermi.

-  Preferisco stare in piedi signore… ho molto da fare.

Non accennò a guardarmi ma mi rivolse la parola con franchezza:

- E io preferisco che ti sieda figliolo perché ciò che ti devo riferire è della massima importanza. E come ti ripeto , da non so ormai quanto tempo ,non chiamarmi signore.

La sua voce era un vecchio ,caldo, severo e roco sussurro.

- Si....- borbottai sedendomi sul ceppo intagliato - perché mi ha chiamato?

Sospirò e quando mi sedetti mi guardò negli occhi. Potevo vedere la stanchezza nelle sue iridi celesti.

- Miok e Caradek sono tornati dalla ispezione. Quello che dicono le altre tribù è vero. Degli sconosciuti sono approdati sulla nostra terra.

Lo ascoltavo in silenzio, abbagliato dalla sua lucidità e dal suo contegno.

- Dobbiamo difenderci , figliolo. Oramai Paragas è troppo vecchio per guidare e riunire l’esercito.- sospirò come esausto e nella pesantezza di quel semplice movimento si leggevano tutti i suoi anni – Come ben sai, siamo un popolo di comandanti guerrieri e quindi non ho pensato a migliore persona a cui affidare l’esercito…che te.

Deglutii sileziosamente…la gola era diventata secca all’improvviso.

- Perciò, vorresti accettare la doppia ascia e con questa il comando della nostra armata?

Indicò le due asce incrociate e appoggiato al fianco del tavolo.

- Pensavo che quelle fossero di Paragas… -risposi.

Il vecchio rise.

- Nonostante ti sia sempre preoccupato di bagnare nel sangue la tua spada nera per noi, non ti sei mia preoccupato di capire le nostre tradizioni. Con il comando, vengono tramandate, da secoli,  queste asce , con cui i miei antenati hanno conquistato la nostra terra. Queste scuri sono antiche, più antiche di me e ricche di potere. Un singolo uomo non può vantare di possederle.

Senza dire nulla mi alzai e le afferrai. Le feci roteare e una mi passo a un centimetro dall’orecchio, sibilandomi parole nella crudele lingua del ferro.

Il vecchio sorrise e posò la schiena contro la pelliccia della sua sedia, soddisfatto.

- Ho visto molti grandi guerrieri, figli di queste terre portarle ma mai a nessuno sono state bene quanto a te, straniero.

Sorrisi. Capitava raramente che mi chiamasse  così. Il comico era che lo alternava “ figliolo”. Non amava il mio vero nome forse perché credeva mi legasse ancora a quel passato oscuro che avevo dimenticato. In realtà il mio nome era l’unica cosa che mi legava al passato. Quello e una collana che portavo al collo arrivato li, e che avevo regalato a mia moglie il giorno delle nozze. Non avevo più ricordi di ciò che ero se non che ero un guerriero. E che  mi chiamavo Vegeta.

Mi infilai la fodera e me le fissai alla schiena .Il vecchio mi contemplò ancora per un attimo e poi sentenziò:

- Vai figliolo…secondo Miok saranno nel nostro territorio  prima dell’alba. Hai una battaglia da organizzare.

 

 Da quel giorno erano passati circa 6 mesi. Avevo imparato tutto di quel nemico. Della sua vigliaccheria, dei suoi colpi bassi, del suo disprezzo per l’onore. Avevo imparato a odiare il loro comandante. E  tutto il suo esercito. Il rumore degli zoccoli mi rimbombava nella testa ogni volta che pensavo a lui. Ma non erano quelli del mio cavallo. Sentivo il calore del fuoco. Anche se fuori gelava.  Mi girai.

Mio figlio, camminava spedito, ed eretto nonostante il peso della sua spada. Aveva circa 15 anni. Era un leone. La sua chioma violacea era trascinata dal vento. I suoi occhi erano carichi di odio, il suo viso teso come la corda di un arco.

Il rumore degli zoccoli nella mia testa mi rapì e gli occhi avvelenati di mio  figlio accesero il ricordo.

 

Faceva freddo in quei giorni. Ma non aveva ancora nevicato. La mia bambina non aspettava altro. Da parte mia detestavo la neve. Eravamo appena tornati vittoriosi da una schermaglia con il nemico. Mio figlio era felice .Era un ottimo arciere e la sua arma intagliata nelle possenti corna di un alce torreggiava su di lui senza riuscire a scalfirne la fierezza. L’unica cosa che ancora lo legava alla sua infanzia era il meraviglioso sorriso che gli illuminava il volto. Poi in lontananza fumo. E lo stridio dei cavalli.

Dalla collina potemmo vedere meglio. Il villaggio era stato attaccato.

Il mio gruppo di uomini e io ci gettammo nella coltre di fumo. Non vi erano molti di noi per le strade e la maggior parte degli uomini restati a pattugliare erano morti, sventarti ed impalati come quando mettiamo a dissanguare le bestie. Poi notai che le capanne erano state sigillate. Pesanti assi di legno erano state inchiodate alle porte, i carretti erano stati spinti danti agli usci.  

Appena svoltammo per la strada principale spuntarono loro. Demoni , in sella a cavalli bianchi come la neve.  Inneggiavano al loro comandante mentre con delle fiaccole scarlatte incendiavano le nostre case. Molte, quelle più lontane dal portone principale fumavano già di un fuoco esausto. Nelle orecchie solo il rumore degli zoccoli e il loro coro festoso.

Il mio cavallo corse verso di loro, verso la fine del villaggio, verso casa mia. Con la mia ascia tesa, uccidevo chiunque mi si parasse davanti, ma non rallentavo. Alcuni miei uomini si gettarono su di loro, altri accorsero alle loro case. I demoni si scontarono con i miei per poi correre verso il portone principale in sella ai loro cavalli freschi, che avevano corso solo dietro donne e bambini.

Davanti a casa mia, chiusa e incendiata, ebbi un tuffo al cuore. Smontai da cavallo e sfondai la porta con un solo colpo. Mia moglie era davanti a me. Inginocchiata , svenuta, davanti a una delle finestre , forse per sfondarla. Erano stati accorti a chiuderle dentro. La sua pelle era annerita dal fumo il caldo insopportabile.

La sollevai e corsi verso la camera da  letto dei miei figli.

La mia bambina, di soli sette anni giaceva anche lei di fronte alla porta . Con la mia spada nelle fragili manine.  Le raccolsi e dietro di me sentii il richiamo, disperato, di mio figlio;  Mi raggiunse prese la sorella e corremmo fuori.

Le lasciai a lui e risalii a cavallo. Le mie asce roteavano vendicatrici e mietevano vittime, raccogliendo gli ultimi bastardi che si erano ritardati a saccheggiare e godere dei fuochi che bruciavano. Urla indicibili sfregiavano l’aria.

Poi lo vidi. Era su un cavallo e contemplava il lavoro fatto. Lanciai un urlo e gli cavalcai incontro. Lo avevo visto solo di lontano in battaglia poiché da loro i comandanti non sono guerrieri, e si tengono a debita distanza dalla mischia.

Mi vide arrivare e sbarrò gli occhi. Lessi più la sorpresa che la paura. Gli volai incontro come un’aquila e agitavo le asce come se fossero i miei artigli e le mie ali.

Lui mosse il cavallo e si gettò alla fuga. I suoi lo seguirono in un attimo, dividendomi da lui. Mi davano le spalle e non li colpii. Sono un uomo d’onore e d’orgoglio. Fino alla fine.

-Sarò l’ultima cosa che vedrai su questa terra….-urlai mentre scappavano

Il coro dei soldati mi suggerì il suo nome

-  Kakaroth , Kakaroth, Kakaroth!!!

-….Kakaroth!

Poi mi voltai e cavalcai verso casa mia. Mio figlio piangeva stremato. Mia moglie era stesa scomposta sull’erba. La presi e portai il suo viso al mio. Il suo profumo sovrastava anche l’odore del fuoco, del fumo. La strinsi forte come se potesse rispondere al mio abbraccio. La mia casa bruciava mentre il mio cuore sanguinava. Affondai il muso nelle sue spalle magre , mentre la sua testa cadeva all’indietro, e la respirai per l’ultima volta. Non piangevo. Le baciai leggero la bocca e le accarezzai i capelli celesti. Sentivo il mio respiro come ostacolato da un enorme macigno.  Non poteva lasciarmi…non doveva lasciarmi. Le accarezzai il collo tremando…la mia mano si fermò sulla sua collana. In quel momento i ricordi mi assalirono. Le toccai le mani. Erano ricoperte di ferite. Chissà con quale forza aveva combattuto. Era coperta  da croste su tutto il corpo, sulla sua pelle candida, come se fosse piovuto sangue su un cigno. Ma per me era perfetta. Le accarezzai il volto e , che gli astri mi siano testimoni, se in quel momento avessi potuto donarle la mia vita l’avrei fatto. Guardai Trunks inginocchiato sulla sorella. Le sue spalle tremavano per il pianto. La copriva come per proteggerla. I suoi piedini solo non erano coperti. Aveva tentato di forzare una  finestra con la spada. Quindi aveva avuto il tempo di prenderla. Pensai al dolore che doveva aver provato soffocando e per un infinito istante soffocai anche io.

Da dietro una mano mi prese la spalla. La riconobbi affusolata e  secca.

- Vada via Vecchio….- sussurrai.

In quel momento nessuno meritava rispetto se non mia moglie e mia figlia.

- Una volta un mio amico rimase in una caverna sotterranea per tre giorni….- disse, intuendo i miei pensieri.

- STIA ZITTO!! – urlai. La sua presenza era un insulto in quel momento.

Trunks prese a piangere più forte.

- ...e quando lo tirarono fuor i - continuò -  era quasi morto soffocato.

Non sarebbe andato via nemmeno se lo avessi minacciato. E allora stetti in silenzio aspettando.

  - …e gli chiedemmo cosa si provasse. Ci disse che era come un agonia…dove senti ogni cellula del tuo essere spegnersi in delle convulsioni di dolore.

La collera divenne insopportabile. Ogni muscolo del mio corpo si tese nella rabbia e nel dolore. Trunks ormai era l’ombra di se stesso, scioltosi nelle lacrime.

- E QUESTO COME PENSA MI POSSA AIUTARE!?!?- gridai voltandomi verso di lui incapace di alzarmi. Aveva il viso tumefatto e sangue sulle mani e sulla barba bianca.

Sospirò….e mi strinse ancora la mano sulla spalla.

-Non può…figliolo.

Mi curvai ancora di più su la mia amata.  Poi lo vidi. Candido , freddo e bagnato. Il primo fiocco di neve cadde a pochi centimetri dalla sua mano. Alzai lo sguardo. Il cielo ne era pieno… e con loro caddero le mie lacrime

 

  Il rumore dei tamburi mi riportò al presente.  Eravamo vicini. Trunks si accostò al mio cavallo. Ero l’unico in sella tutti gli altri camminavano.

- Il piano rimane quello?

Lo guardai e rividi me stesso. Ma soprattutto rividi Bulma.  Il mio pensiero si indirizzo al  mio matrimonio.

Avevo deciso di sposare Bulma 7 anni dopo la nascita di Trunks. Lui me lo aveva chiesto. Lo stesso saggio aveva celebrato. Aveva anche accompagnato la mia sposa all’altare essendone lo zio. Lei era orfana di padre.

Mi sentivo osservato. Poi quando la vidi, capii che non avrei più avuto l’attenzione di nessuno. Era bellissima. Aveva un vestito corto, celeste. Il suo sorriso avrebbe illuminato qualsiasi cuore quel giorno. Il cielo splendeva e il nostro villaggio e gli altri tre villaggi appartenenti alla tribù sedevano nella radura. Camminava a un metro da terra, almeno così mi raccontò. Io in realtà la percepii determinata e seria, forse contenta perché aveva catturato l’attenzione di tutti. In fondo aveva sempre cercato le attenzioni. E soprattutto sorrideva vedendo che godeva della mia.

Trunks mi stava a fianco e mi teneva stretta la gamba. Era un ometto, e sui suoi capelli corti le sorelle di Bulma avevano posato una corona di foglie rosse.

Bulma si fermò davanti a me, e mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.

- Ciao…-mi sussurrò . La sua voce era stridula, ed era una delle cose che meno mi affascinavano di lei. 

 

Il ricordo della sua voce mi fece sussultare. Vicino a me Trunks attendeva una risposta.

- Si…dobbiamo mantenere questa andatura altrimenti arriveremo troppo presto e loro non saranno completamente nella valle.

Annuì silenzioso e serio. Adesso lo era spesso. Aveva smesso di piangere ormai. Sfogava la sua collera nella battaglia. Non sapevo quanto fosse giusto per un ragazzo della sua età… ma non avevo altro da offrirgli.

  -Devi cominciare a richiamare la tua  parte dell’esercito e portarvi in appostamento…voglio la metà delle catapulte e prendi gli arcieri.

Annuì di nuovo e si girò per obbedirmi.

 

Il funerale era stato diverso dal solito. Il vecchio aveva deciso di non bruciare i corpi, così li sotterrammo nel campo dei ciliegi. Erano alberi come altri quell’inverno ma sapevo che in  primavera sarebbe stato speciale. Nessuno parlò…nessuno disse nulla oltre che le sole preghiere. Le decine di tombe erano cariche di angoscia. Su quella di Bulma avevo posato il lenzuolo delle nostre nozze. Si era salvato insieme a poche altre cose. Su quella di Bra vi era una delle sue bambole preferite e la mia spada nera. Nella mia mano stringevo la collana di Bulma. Che era ridiventata mia. Ma che sarebbe stata sempre sua. Come il mio cuore che aveva smesso di appartenermi da quando l’avevo conosciuta.

Di nuovo i miei occhi furono sul mio popolo. Donne, uomini, animali…il mio non era un esercito ma un organo di giustizia e libertà. Lo spirito della mia tribù. Guardai il cielo. Era limpido. E’ un bel giorno per essere liberi…

   
 
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