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Autore: Arpiria    17/03/2017    2 recensioni
- Un incantesimo estremamente complicato...-
Peter lo sa almeno quanto James, ma Sirius non gli stacca gli occhi di dosso mentre parla. Si aspetta che si tiri indietro, che all'improvviso non voglia più farlo.
- Hai avuto il fegato di presenziare a questo discorso, Peter, hai già superato le mie aspettative. Adesso giura che manterrai il segreto, e sarà sufficiente.-
***
Sembra inerme tra le sue braccia, il Signore Oscuro, e Peter stringe suo malgrado la serpe che ha in pancia il destino del mondo.
Il feto di stoffa e male dorme poco, perché la fame lo sveglia e gli logora le viscere, lo rende schiavo dei suoi bisogno umani.
- Ancora, p-padrone?-
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Minus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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NdA: Dunque, la fanfiction attraversa due momenti della vita di Peter che vanno ad intrecciarsi nel corso della narrazione: il  giovane e insicuro Grifondoro e il servo spaurito e fedele di Lord Voldemort.
Il titolo della storia è tratto dall'omonimo salmo biblico penitenziale, recitato per invocare la misericordia divina.





 
Miserere




Il mestiere di farsi degli amici è complicato.
Peter Minus ha imparato col tempo a stamparsi sul volto un sorriso quando si approccia a qualcuno per la prima volta, come Remus gli ha assicurato che è bene fare. Un sorriso per chi lo guarda con compassione e uno per chi si dimostra gentile con lui, perché Peter non può permettersi di fare lo schizzinoso.
James può selezionare le sue compagnie in base al taglio di capelli, ai gusti in fatto di squadre di Quidditch, alle ragazze carine che sono in grado di trascinare in sala comune quando si fa festa. Lui no.

La vita del topo è la più ingrata che esista. Striscia il ventre appesantito dal cibo contro il fango come le serpi, ma non ha sacche di veleno e muscoli potenti per difendersi dal mondo. 

- Un incantesimo estremamente complicato...- 
Peter lo sa almeno quanto James, ma Sirius non gli stacca gli occhi di dosso mentre parla. Si aspetta che si tiri indietro, che all'improvviso non voglia più farlo.
- Hai avuto il fegato di presenziare a questo discorso, Peter, hai già superato le mie aspettative. Adesso giura che manterrai il segreto, e sarà sufficiente.-

Neanche una parola di quelle che Peter ha letto negli occhi di Sirius si intreccia al discorso che gli fiorisce sulle labbra, ma del resto lui è sempre stato bravo a capire quello che passa per la mente dei suoi compagni. Di solito vi vagano ragazze mescolate a partite di Quidditch e strategie per mettere nel sacco Severus Piton, ma da quando hanno scoperto che Remus ha un problema con le notti di luna piena, pensano spesso a come farlo sentire meno solo.
Sirius Black, James Potter e Peter Minus parlano a voce bassa, sprofondati nei morbidi divani rossi della sala comune di Grifondoro. Un fuoco incosciente borbotta tutta la sua irritazione per dover riscaldare tre studenti che dovrebbero già essere a letto.

A Peter piace essere un topo. Nessuno fa caso al suo passaggio se non gli insetti aggrappati ai sottili fili d'erba. Si spostano al passaggio delle sue piccole zampe, spauriti, e Peter li frusta con la coda per farli cadere giù nella terra. Il bosco respira sotto il suo ventre, il vento soffia melodie tra i suoi baffi come tra archi di violini polverosi.
Nel suo piccolo mondo non è mai esistito un altro sovrano.


- Te la senti, Peter? Ne sei proprio sicuro?-
Sirius non gli ha più chiesto nulla, ma James sì, e sembra davvero preoccupato per lui. La domanda scoppietta già da un po' nell'aria, impaziente come il fuoco avvinghiato alla grata incandescente che divide il camino dal pavimento di pietra, il mondo caotico delle fiamme da quello vanesio dell'aria.
- Sì, beh... voglio aiutare Remus anche io. Siamo amici,no? Questo fanno gli amici.-
Non sono parole sue, ma le ha sentite da qualche parte e ci crede davvero. Le ha fatte proprie, adesso, non solo perché le ha ricordate più o meno bene, ma perché è riuscito a squittirle fuori, povera scusa d'un cantore che nessuno si volta ad ascoltare. I suoi amici sembrano sorpresi, ma limitano lo stupore ai loro occhi sgranati e non commentano la sua inclinazione alla vigliaccheria. Forse lo ammirano, solo un po', in questo momento.
Peter sorride, anche se non deve fare amicizia con nessuno e non sta prendendo in giro Severus Piton. Sorride perché è felice, perché sa di aver fatto la cosa giusta piuttosto che quella facile. Sorride perché è andato contro la sua stessa natura senza impallidire più di tanto: è giovane e avventato, è in quella fase in cui si è convinti di avere in tasca il mondo. La certezza di non essere solo muove quell'alito di coraggio che gli inebria i polmoni.

I topi non parlano molto. Fuggono dalle ombre del passato e dagli scricchiolii delle radici. Temono il serpente antico che si annida là dove pulsa il cuore degli alberi. La paura stritola loro il cuore, lo sbatte contro le fragili costole. 
C'è un posto nel bosco dove le cose muoiono. Pensano che Peter sia strano perché è proprio nella parte morta della selva che lui vuole andare. O forse non pensano niente, perché la loro vita è fuga e non hanno tempo di pensare, né di essere suoi amici.


Non mentono, James e Sirius, quando dicono che l'incantesimo è difficile. Se è difficile per loro, è quasi impossibile per il povero Peter. Non è un Magonò perché qualcuno, dal cielo o dall'inferno, ha voluto dargli in dono la decenza di poter impugnare una bacchetta e farne sgorgare sprazzi di pallida luce, ma non si direbbe mai in grado di tramutare il suo aspetto. Più di tutto teme il cuore che rimpicciolisce, gli organi interni compressi e le budella legate più e più volte per riuscire a ritagliarsi un posto nel ventre sporco di polvere, nel ventre che è polvere anch'esso.
Si esercita in continuazione, Peter. Ripassa la formula quando dovrebbe stare attento a lezione, muove la bacchetta sotto al banco per non dimenticare il giusto movimento del polso, cancella la paura addentando famelico le portate servite al tavolo dei Grifondoro.
"Niente può andare storto. Sono con i miei amici, no? Non lascerebbero che mi facessi male. Se ci riesco, sarò parte di loro. Sarò come loro. Capiranno che non sono soltanto un pessimo paroliere"

Abita il suo corpo di lunghe ossa e tremiti mentre si trascina nel posto della foresta dove le cose muoiono. Continua a ripetersi che se il Padrone lo vedrà per quello che è - un patetico uomo, una realtà su due gambe che quando inciampa crolla su mani e piedi, ma cammina eretto - allora non porrà fine alla sua vita come farebbe con quella d'un topo.
Il Padrone non è difficile da trovare. Vaga sopra un cespuglio di salvia, si intreccia ai rami spezzati d'una betulla rachitica.
- Non sei chi mi sarei aspettato, Codaliscia. Ma va bene così, lo faremo andare bene lo stesso. Sei tornato dal tuo padrone. Sei stato bravo.-
La voce dolce e carezzevole, il sibilo intonato d'una serpe che ha in pancia il destino del mondo.
- P-padrone...-



Un attimo prima è uno studente basso e tarchiato, con spruzzi di acne sulla pelle e i denti davanti leggermente ingialliti. Un attimo dopo è un topo accucciato in un cumulo di vesti, tra le zampe di bestie più grandi di lui. Si sente protetto tra le zanne e gli zoccoli,  al sicuro accanto al folto manto nero del grosso cane e al collo affusolato del cervo dalle zampe veloci.
Non pensa più come un essere umano: tutto è istinto. Il mondo è una poltiglia informe di rumori e odori che lo rincorrono da ogni zolla di terra bagnata. 
Troppo rapido per aver paura dell'albero che custodisce il segreto del lupo. Evita con guizzi vivaci la frusta di rami e foglie verde smeraldo. Non lo raggiungono che freddi sputi di resina.


Nutre un feto di male con latte liscio di rettile. Sembra inerme tra le sue braccia, il Signore Oscuro, e Peter stringe suo malgrado la serpe che ha in pancia il destino del mondo.
Il feto di stoffa e male dorme poco, perché la fame lo sveglia e gli logora le viscere, lo rende schiavo dei suoi bisogno umani.
- Ancora, p-padrone?-
Peter non sa decidere se sia più disgustoso strizzare mammelle di serpe o allattare le ceneri viventi del male assoluto. Proprio come un bambino, si sporca di latte il mento. Qualche volta vomita, di solito quando è molto stanco e si convince che nutrirsi di più gli permetterà di riposare a lungo. Non funziona, e allora si irrita e maledice il figlio del cervo dalle zampe veloci, i servi più capaci che non sono tornati a cercarlo, il cognome del padre che non gli si scrolla di dosso. Si arrabbia di più quando fuoco e macerie di lividi ceppi si fondono in agonizzanti brandelli di stelle incandescenti, piccole scintille che guizzano e poi muoiono nell'aria che puzza di vecchia cantina.
Peter sa che il suo padrone ha paura del buio, lo sa anche se lui non glielo ha mai detto, e la notte non dorme perché se il padrone si sveglia al buio sono guai, e quindi gli tocca alimentare la rabbia del fuoco con l'attizzatoio elegante.
"Strani", pensava, "strani questi nobili che si circondano solo di bellezza. Rinchiudono in una gabbia d'oro la primavera, e poi ci si rinchiudono anche loro per illudersi che fuori non piova."
La villa dei Riddle respira e scricchiola sotto i suoi passi, e il Signore Oscuro rantola sulla poltrona di seta pregiata in cui è crollato, un tempo, il cadavere del padre.
- Basta così.-



La paura della morte lo costringe sveglio nelle fredde notti londinesi,  vuote di luna e di stelle e frementi di nubi gravide di temporali.
La cerva e il cervo dalle zampe veloci hanno trascorso nascosti l'ultimo autunno della loro vita, come è nella natura delle prede. Peter lo sa perché è preda anche lui, e non possiede forti zoccoli e corna possenti per proteggersi dall'astuzia del serpente.
"Se a loro è concesso temere la morte, perché non a me? Perché la mia vita è più insignificante? Lui vuole il bambino, non gli interessano James e Lily. Tornerà la stagione degli amori anche per i cervi, e ne faranno un altro".
Questi sono i pensieri che lo cullano e alimentano la sua natura incerta. Otterrà perdono e comprensione dal suo amico, perché tra prede ci si comprende piuttosto bene. La vigliaccheria si chiama istinto di sopravvivenza, e ogni giorno e ogni notte è una sfida a chi resta vivo.
"Devo farlo, James, o che cosa resterà di me? Non mi interessano poesie sul mio eroismo, tanto non le capirei. Neanche potrei sentirli, i vostri ringraziamenti. Rendereste i vostri omaggi a un mucchio di ossa e carne secca."
Si è cacciato in un brutto guaio, Peter, e la strada delle fogne si fa sempre più allettante. Sparire nelle viscere del mondo, dove le latrine incontrano il cuore pulsante della terra.
Ma in questo caso morirebbe di solitudine - Peter non vuole morire -, e gli occhi degli intestini del mondo sono gli occhi del serpente. Sono il serpente.
 Neanche nei cieli sarebbe al sicuro, perché quando alle serpi spuntano le ali poi incominciano anche a sputare fuoco.

- Ti disgusta prenderti cura di me, vero, Codaliscia? Mi trovi ripugnante, anche se il tuo manto di topo puzza di fogna.-
Il feto di male gli sa leggere la mente. Ci si tuffa dentro a pesce e la esplora come se avesse tutto il diritto di starci, di riempirla di insicurezze e alimentarla con paure sempre nuove.
- N-no, p-padrone. Niente affatto...-
E Peter mente come se ne fosse capace, come se potesse nascondere la verità al serpente che conosce persino i segreti degli insetti. Mente perché non ha alternative, perché non può dire a quel groviglio di male e stoffa polverosa che lo disgusta asciugargli il mento dal latte e dal vomito.
- Quanto sono penose le tue menzogne, Codaliscia. Ma sei stato bravo a trovarmi, quindi per il momento fingerò che tu dica il vero.-
E ringrazia, Peter, ringrazia per tanta misericordia, poi torna a barcollare nel buio, alla ricerca di un fazzoletto di pavimento dove riposare gli occhi stanchi.


Il cervo e la cerva giacciono sul pavimento, povere prede sgozzate, grovigli di terrore e di nervi. Peter ne è convinto anche se si trova lontano, le zampe conficcate nel terriccio bagnato di un'aiuola di erica. Respira in fretta, i polmoni gli gonfiano le costole e l'aspettativa gli fa tremare i baffi.
Sente che qualcosa è andato per il verso sbagliato, perché un topo è tutto istinto e polvere, e la polvere conosce tutte le storie del mondo, anche quelle dimenticate. 
Essere topo gli piace perché nessuno si accorge di lui, non più di quanto si accorgerebbe di uno spettro. Se lo zoccolo svelto del cervo avesse schiacciato la testa del serpente, se gli avesse trapassato il cranio e avesse sparso le sue cervella sulla moquette, che cosa ne sarebbe di lui?
L'unico vero principio che condivide col suo padrone è che niente è peggio della morte.
In fondo, un'esistenza da topo è comunque un'esistenza.



Il figlio del cervo conosce la compassione, ma la conoscono anche i topi. 
La trappola d'argento a cinque dita gli serra la gola, gli blocca il fiato nella trachea. La sensazione è la stessa di quanto ci si trova sotto il pelo dell'acqua da molto tempo, ma assai più frustrante: l'aria è a portata di respiro, eppure irraggiungibile come la resina che nutre il cuore degli alberi. Gli occhi di Peter bruciano, si rovesciano all'indietro e non resta altro che due deformi bulbi bianchi incendiati da ragnatele di sangue. Il suo corpo lotta e si contorce in una macabra danza di morte; i polmoni sono steppa che brucia dentro il suo petto e i capillari esplodono come ruscelli martoriati da un diluvio senza fine. La punizione della serpe che non conosce pietà lo uccide senza che il cerbiatto riesca a impedirlo; in effetti non è più un cerbiatto, languidi occhi di ingenuità e pece, ma un giovane cervo a sua volta. Un cervo che gli rammenta i pomeriggi d'ozio e risate in compagnia di vecchi amici, il profumo d'erba fresca del parco di Hogwarts quando la notte ci piangeva sopra la sua rugiada.
Un cervo che tempo fa ha tradito e che adesso scorge in un ultimo contrarsi di palpebre, zampe veloci ed esile collo di cigno terrestre: galoppa verso di lui, e ogni balzo è un sussulto del suo cuore verso l'oblio, verso la trappola, verso l'inferno pronto a inghiottilo.
Ma forse il cervo conosce anche il perdono.












 
  
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