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Autore: altman    24/03/2017    5 recensioni
Itachi non seppe resistere; non aveva molto tempo, ma un’ultima volta poteva concedersela. Chiuse gli occhi, rilassandosi, autoinfliggendosi quella dolce tortura: irretì la sua stessa mente in un genjutsu, quello in cui si crogiolava da anni cercando sempre di mantenere il controllo necessario per non smarrirsi e non restarvi intrappolato.
Chiuse gli occhi: l’unico modo che ormai aveva per vedere davvero.

*
-Sei in pessima forma.- sentenziò Shisui, puntandogli contro uno sguardo severo e soppesandolo dalla testa ai piedi.
-Non guardarmi così. Io sarò in pessima forma, ma tu sei morto.-
-E ho comunque una cera decisamente più bella della tua. Questo la dice lunga, amico.-
Itachi si sporse con uno scatto del busto, afferrò il viso di Shisui tirandolo a sé, ringraziando il potere di quel genjutsu che gli permetteva anche di sentire sui polpastrelli la sericità di quella pelle liscia, gli catturò la bocca rosata in un bacio rapido e urgente.
-Non sono tuo amico.- gli sussurrò sulle labbra, allusivo, ebbro del sapore dell’altro.
-No, hai ragione, sei il mio cuginetto sodomizzato.-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Shisui Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest | Contesto: Naruto Shippuuden
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I
close my eyes to see

-Sweet Dreams-

  

Thanks for all you've done
I've missed you for so long
I can't believe you're gone
You still live in me
I feel you in the wind
You guide me constantly
  

Dalle stalattiti che si stavano sciogliendo scivolavano gocce dense e corpose; precipitavano al suolo roccioso, infrangendosi in lacrime di cristallo, producendo un ticchettio sordo che gli martellava la testa. 
Faceva freddo, sulla pelle e nell’anima; l’unico tepore, in quella grotta gelida, gli era donato dalla creatura che, placida, riposava come sempre sulla sua spalla. Itachi accarezzò il piumato di pece del corvo, e si girò leggermente per fissare quell’occhio rosso a lui così familiare: l’occhio di Shisui. Lo stesso occhio che a Shisui era costato la vita; quello che avrebbe dovuto salvare prima Konoha, e suo fratello adesso. Quante cose potevano girare intorno a un’iride rossa… come se si trattasse di un piccolo sole incandescente, intorno al quale ruotavano, come orbi di ghiaccio, le brame di potere di sciocchi uomini impauriti; quella galassia di cospirazioni era destinata ad implodere, consumata dalla forza autodistruttiva che la alimentava dall’interno. 
Shisui aveva dato la propria vita per evitare quell’epilogo funesto, era morto da eroe silenzioso e gli aveva scaricato, lavativo come al solito, un fardello impossibile da sostenere. Quasi gli pareva di sentirlo ridere, intimandogli giocoso di mettere da parte il suo muso lungo e di rimboccarsi le maniche. Era come avvertire il peso di Shisui sul cuore, dato che egli, ancora, era lì che dimorava. Quasi gli ricordava, il vento che spirava dall’ovest, gli sbuffi che Shisui gli soffiava tra i capelli, quando Itachi diceva qualche stupidaggine -più spesso di quanto tutti credessero-, e gli ansimi che gli alitava sul collo quando si prendevano con dolce ferocia. 
Ma si trattava sempre di un’illusione; l’ennesima, tra tutte quelle che avevano segnato il tracciato dei suoi passi e che lo avevano lasciato a brancolare in un limbo di ombre e nebbia: Shisui se ne era andato. Era morto, sfracellato contro alla roccia aspra di un dirupo; le sue ossa si erano accartocciate come plastica, il viso era stato deformato dall’impatto; uno spunzone di roccia lo aveva trafitto allo stomaco, sventrandolo. Shisui aveva preferito diventare una carcassa piuttosto che continuare ad essere suo. Shisui adesso era polvere. A Itachi quell’idiota mancava da impazzire, non riusciva più a ridere senza di lui: nessun altro era abbastanza stupido da suscitare la sua ilarità. Da piccolo lo aveva adorato e venerato; crescendo lo aveva scoperto anche nei suoi lati più umani, e proprio di quelli si era poi innamorato. Adesso lo odiava, per quanto era insostenibile la sua assenza. Lo odiava, perché gli doveva gratitudine eterna per ciò che aveva fatto per lui e per Konoha, e Itachi si irritava sempre quando era in debito verso qualcuno. Lo odiava, perché il giudizio di Shisui era l’unica cosa che avesse mai temuto. “Veglierò su di te, e approverò qualsiasi tua scelta: so già che sarà quella giusta”. Itachi si guardò le mani: di quanto sangue si erano macchiate… erano pregne degli ultimi soffi di tutte le vite che si era preso. Shisui era sempre stato una guida per lui, ma Itachi era cambiato negli anni: l’altro avrebbe ancora appoggiato il suo operato? 
 
I've never known what it was to be alone, no
'Cause you were always there for me
You were always waiting
And I’ll come home and I miss your face so
Smiling down on me
I close my eyes to see
  

Itachi accavallò le gambe, sistemandosi meglio sul trono di pietra sul quale stava aspettando, lui che aveva l’impressione di star aspettando qualcosa da tutta la vita. Ingoiò quel boccone amaro di solitudine e strinse gli occhi, innervosito dalla patina che gli appannava la vista: le sagome si confondevano, le linee dei contorni sfumavano e si incrociavano. Ma sorrise, quando in quel delirio d’ombre riuscì a visualizzare, con gli occhi della mente, il volto di Shisui: i ricci scuri gli incorniciavano il volto efebico; sarebbe parso un angelo, non fosse stato per la piega irriverente che assumevano le labbra piene e morbide, quasi femminee. La linea dritta del naso evidenziava gli emisferi perfetti dell’ovale del volto, ombre e luci danzavano su quella pelle d’alabastro; era come quando Itachi lo ammirava riposare sotto ai ciliegi, mentre Shisui stava al riparo delle fronde ma veniva comunque investito dalle screziature di luce dei raggi che passavano attraverso i rami. Il sorriso dell’amato si allargò sempre di più, incavandogli le guance nelle due ben note fossette, portandolo a strizzare gli occhi. Quando Shisui tornò a guardarlo, serio, Itachi fu travolto dalla potenza di quello sguardo amaranto: il tracciato cupo del disegno del Mangekyo incideva lo sfondo scarlatto dell’iride, ammaliandolo e calamitandolo nelle sue profondità, canto ipnotico di sirena. 
Itachi non seppe resistere; non aveva molto tempo, ma un’ultima volta poteva concedersela. Chiuse gli occhi, rilassandosi, autoinfliggendosi quella dolce tortura: irretì la sua stessa mente in un genjutsu, quello in cui si crogiolava da anni cercando sempre di mantenere il controllo necessario per non smarrirsi e non restarvi intrappolato. 
Chiuse gli occhi: l’unico modo che ormai aveva per vedere davvero. 
 
And I know, you're a part of me
And it's your song that sets me free
I sing it while I feel I can't hold on
I sing tonight cause it comforts me



-Come sei sexy, in questa posizione.- 
La voce roca di Shisui gli graffiò, sensuale, l’orecchio; Itachi regalò all’altro un sorriso, debole e stanco, ma risplendente di una luce sincera. Aprì gli occhi e mise a fuoco nitidamente il volto, divertito e irriverente, che si trovava davanti. 
-Non è la posizione, è il mantello dell’Akatsuki: molti dicono che mi doni.- 
-Secondo me ti ingoffa.- 
-Mi dispiace che non sia di tuo gradimento.-
-Non preoccuparti, non avrebbe fatto differenza se tu avessi indossato qualcos’altro: sei di mio gradimento solo quando sei nudo.- 
Nonostante la situazione, nonostante gli paresse già di fiutare l’odore stantio di morte -la propria morte-, Itachi abbandonò la testa allo schienale e si lasciò andare a una bassa risata vibrante. 
Shisui gli fu vicino prima che potesse accorgersene; gli carezzò il volto tirato, smagrito; tracciò con le dita il contorno delle sue occhiaia marcate; passò la mano tra le ciocche lisce e appiccicate al volto di Itachi per l’umidità. 
-Sei in pessima forma.- sentenziò, puntandogli contro uno sguardo severo e soppesandolo dalla testa ai piedi.
-Non guardarmi così. Io sarò in pessima forma, ma tu sei morto.- 
-E ho comunque una cera decisamente più bella della tua. Questo la dice lunga, amico.-
Itachi si sporse con uno scatto del busto, afferrò il viso di Shisui tirandolo a sé, ringraziando il potere di quel genjutsu che gli permetteva anche di sentire sui polpastrelli la sericità di quella pelle liscia, gli catturò la bocca rosata in un bacio rapido e urgente. 
-Non sono tuo amico.- gli sussurrò sulle labbra, allusivo, ebbro del sapore dell’altro.
-No, hai ragione, sei il mio cuginetto sodomizzato.- 
Itachi alzò gli occhi al cielo, facendogli posto accanto a sé sul largo sedile di pietra, constatando ad alta voce quanto l’idiozia di Shisui fosse perpetua e gloriosamente immortale; cercava di distrarlo così, mentre intrecciava con disinvoltura le loro dita. 
-Non ti lamentare, Itachi.- gli rispose Shisui serafico -Dopotutto, mi hai voluto qui con te proprio perché ti intrattenessi, in questi ultimi istanti, con la mia idiozia.- 
-Io ti voglio sempre con me, e infatti ti porto in ogni luogo, custodito nella mia anima e nei miei ricordi.- ammise Itachi con semplicità -Ma stanotte avevo bisogno di vederti, di parlarti, di toccarti; ho paura di non riuscire ad andare fino in fondo, adesso che il momento è arrivato. Ho paura di non farcela, ad andarmene sapendo che Sasuke mi odierà per il resto dei suoi giorni, ho paura di esitare e di rivelargli tutto… Shisui…-
La voce di Itachi si era spenta in un lamento, quando aveva invocato il nome dell’amato, gli aveva graffiato la gola come carta vetrata, soffocandolo di timori mal espressi e di terrore latente, di una malinconia straziante che aspettava al varco l’autentica disperazione. Shisui non aveva detto niente; lo aveva stretto, portandolo delicatamente ad appoggiare la fronte sulla sua spalla muscolosa, lo aveva tempestato di baci leggeri sui capelli neri. 
-Hai paura di morire, Itachi. Tutto qui.- 
-Non sono mai stato coraggioso quanto te. Io non sono te. Non sono mai stato neanche degno, di te.- 
-Anch’io avevo paura di morire, cosa credi…- Shisui gli sfiorò le labbra, comprensivo, gli baciò le palpebre chiuse -Ma poi non ho avuto più paura, perché c’eri tu con me. Mi hai dato la forza di lottare fino in fondo per quello in cui credevo.- 
Itachi trattene un sospiro, stringendo quella mano amata fino a sbiancarsi le nocche. 
-Allora è una fortuna, che ora tu sia qui con me.-
-Non è fortuna, novellino. È lungimiranza. Se non ti avessi insegnato la formula di questo genjustu, a quest’ora ti staresti sfogando con le stalagmiti.-

-Shisui-senpai, gli adulti stanno andando al cimitero per il giorno della memoria. Perché tu non vai?- chiese un Itachi bambino, con i ciuffi scuri e scompigliati a sfuggirgli dalla coda e a scendere a coprirgli gli occhi mentre lui, sbuffando, cercava di scostarli.
-Perché non è guardando una pietra bianca, che sento vicini i miei genitori.- 
Il tono di Shisui non era stato brusco, ma il bambino che era stato Itachi era trasalito, puntando a terra gli occhioni tristi e rammaricati. 
-Vieni qui, ’Tachi- lo invitò Shisui con un sorriso, tendendo una mano bianca. 
Itachi lo raggiunse, ed arrossì quando la mano di Shisui si posò sulla sua spalla, tirandolo più vicino a sé, rincuorandolo per essere rincuorato lui stesso. Nessuno, nessuno, lo faceva mettere in discussione quanto Shisui. Itachi sentiva troppo, e allora a volte decideva di non sentire più niente. Ma, quando era col cugino, quella parte di giornata che si negava tornava a farsi sentire, travolgendolo; lo destabilizzava e lo sensibilizzava in modo quasi spiacevole. 
-Come fai allora, Shisui-senpai, a sentire vicini i tuoi genitori?- chiese Itachi, sapendo di essere invadente ma troppo curioso per frenare la lingua. 
Shisui rise, senza amarezza ma con sincero divertimento.
-Infrango le regole.- 
Itachi strabuzzò gli occhi, trattenendo il respiro;aveva nello sguardo una muta domanda, a cui esitava a dar voce. 
Shisui lo soppesò attentamente, ponderando se fosse il caso di rendere partecipe un bambino di un segreto così insolito. Ma Itachi non era un bambino come tutti gli altri: avrebbe capito la sua imperfezione, avrebbe fatto tesoro di quella confidenza, avrebbe valutato, saggio e calcolatore, il pericolo di una dolce dipendenza. 
-Uso un genjutsu, ’Tachi. Fu proibito dal clan Uchiha perché l’illusione che crea è potente, e viene rivolta dallo shinobi che la crea contro se stesso.- 
-E perché mai qualcuno dovrebbe colpire se stesso con un genjutsu?- chiese Itachi, serio, presagendo dove sarebbero andati a parare. 
-Per vedere e rivivere ciò che si desidera. Quando chiudo gli occhi, vedo davvero. Mi tornano alla mente i volti dei miei genitori, posso abbracciarli, parlare con loro, chiedere consiglio. È un prodotto della mia mente sola e malata, ma sembra così vero…puoi biasimarmi, se lo desideri, ma ti prego di non farne parola con nessuno.- 
Itachi sentì la fiducia che l’altro aveva riposto in lui scaldargli il petto; era onorato da quella confessione, e adesso il volto imbarazzato di Shisui sembrava dannatamente umano, così lontano da quell’aurea perfezione di cui Itachi l’aveva sempre rivestito. Così vicino… 
Itachi sorrise, strizzando gli occhi, allungando la mano nervosa -non più paffuta come quella dei bambini della sua età, ma già solcata dai calli dell’allenamento-; con due dita colpì la fronte di Shisui, come faceva sempre col suo otouto quando era triste, perché in quel momento Shisui era tanto, tanto triste. 
-Che fai, adesso mi tratti come Sasuke?- chiese Shisui scuotendo la testa, chiedendosi quanto esattamente Itachi a volte sembrasse più grande della sua tenera età. 
-No, ti tratto come qualcuno a cui voglio bene. E a cui starò vicino.- 
Shisui spalancò gli occhi, grandi e profondi, dal taglio dolce ed esotico. Lo tirò ancora più vicino, affondando il viso nei suoi capelli che sapevano di sapone e nella sua maglia che odorava ancora di bucato. 
-Insegnami il tuo genjutsu.- 
-Perché?- 
-Perché così condivideremo qualcosa.- 
Shisui sorrise tra sé: era stato rapido il cambiamento. Fino ad allora Itachi gli aveva portato sempre un certo rispetto misto a deferenza, ma era bastato gettare quel ponte tra loro due, quella confidenza, perché l’atteggiamento del bambino mutasse. Shisui decise, in quel momento, che avrebbe sempre fatto in modo che Itachi si sentisse suo pari. 
-D’accordo. Ma promettimi che non lo userai mai, almeno non finché non avrai la certezza di essere abbastanza forte da padroneggiarlo senza perderti in esso.- 
-È così pericoloso?- chiese Itachi, già preoccupato dal fatto che l’altro ne facesse uso, da come aveva capito, piuttosto spesso. 
-È oppio per l’anima, Itachi, è il balsamo che lenisce ogni ferita. Ma è pur sempre un’illusione, e rinchiudendoci in essa siamo incapaci di adempiere ai nostri doveri.- 
-E quali sono i nostri doveri, Shisui-senpai?- 
-Il nostro dovere è solo uno: proteggere le persone che amiamo. I morti non hanno più bisogno di noi, ma i vivi sì.- 
-E tutte le regole degli shinobi? Rispettarle non è nostro dovere?- 
-Delle regole fanne carta straccia, e soffiatici il naso. Non saranno quelle a renderti un uomo buono. E prima di essere un bravo shinobi, devi essere una persona giusta.- 
Itachi annuì, solenne, prendendo appunti mentali, dicendosi che sarebbe dovuto diventare un uomo buono, che avrebbe lottato per quella pace che a Shisui sembrava essere tanto cara. Che avrebbero lottato insieme. 
-D’accordo. Ti prometto che, se utilizzerò il genjutsu che mi stai insegnando, lo farò con molta attenzione.- 
-Ma certo, piccolo ’Tachi.- rise Shisui, scompigliandogli la chioma folta -Poi un giorno ti insegnerò anche ad essere meno serio di così.- 
Itachi, un po’ indispettito per l’appellativo “piccolo”, contrasse la boccuccia e lo guardò male; tuttavia non fiatò, nel timore che l’altro cambiasse idea e non gli insegnasse il genjutsu. 
-Bene, cominciamo.- proferì Shisui, alzandosi in piedi e spolverandosi i pantaloni della tenuta -Vieni davanti a me, e chiama a raccolta il chakra. Te ne servirà molto, e non sarà semplice.- 
Ormai silenzioso e già concentrato, il bambino si posizionò con i piedi saldamente ancorati al suolo, a gambe leggermente divaricate, con gli occhi chiusi e le ciocche scure che danzavano leggermente nell’aria immobile, rese elettriche dalla potenza che aveva già accumulato nei punti vitali con la forza della sua concentrazione. 
-Molto bene, da bambino prodigio quale sei non ti smentisci mai.- constatò, orgoglioso, Shisui -Adesso componi i segni: Cinghiale. Toro. Cavallo…- 
Itachi li aveva composti rapidamente, mentre Shisui continuava il suo elenco e scandiva accuratamente il nome di ogni nuovo segno; il bambino sentiva a ogni nuovo incrocio delle dita la disposizione della propria essenza cambiare, plasmarsi sui nuovi stimoli, permeare la natura che li circondava, inondarlo con la sua forza. Sembrava sempre quasi magia. 
-Adesso viene la parte più difficile. Questo genjutsu risale a molti secoli fa, è uno dei più antichi, e come tutti i jutsu risalenti assomiglia più ad un rito religioso che ad uno strumento di lotta.- 
Shisui aveva poi parlato, per minuti interi, in una lingua che a Itachi era sconosciuta; distingueva qualche parola appartenente al loro idioma, ma queste assumevano inflessioni ed accenti ignoti, impedendogli di capire il senso di quanto veniva detto. 
-Queste sono le parole a cui devi accompagnare l’uso dei segni, e come puoi notare non sono in lingua corrente: la formula è stata scritta in un antico dialetto degli Uchiha.- 
-A cosa servono delle parole che accompagnino i segni?- 
-A piegare la tua mente, a farla arrendere e assopirsi. Tu hai una mente potente, non sarà facile addormentarla.- 
-Tu come hai fatto, a memorizzare tutto questo con efficacia?- 
-L’ho cantato.- 
Itachi lo guardò perplesso, chiedendosi se l’altro lo stesse prendendo in giro.
-Tutti i riti, anticamente, erano cantati. Anche queste formule sacre sono fatte per essere cantate. Se canterai ogni volta che proverai ad eseguire il genjutsu, in breve riuscirai a scolpire tutto nella mente. Poi, con l’abitudine, ti basterà ripetere le parole nei tuoi pensieri senza dover dare loro voce.- 
Itachi, dopo aver deciso che l’altro diceva sul serio, si preparò psicologicamente a dover cantare e a rendersi ridicolo. 
-Allora cantamela.- pretese Itachi, concentrato e pronto a memorizzare ogni sillaba. 
Shisui, appoggiandosi con la schiena ad un tronco, iniziò a cantare a mezzavoce. Non era molto intonato, pensò Itachi con un sorriso. La voce profonda si inceppava e si arrochiva sulle note più melodiche, a volte quasi raschiava su quella che avrebbe dovuto essere una litania soave. Ma quel timbro caldo riusciva comunque a emozionarlo, proprio per le incrinature che lo rendevano unico; Shisui cantava la sua canzone, come una sirena stonata, e lo calamitava a sé, intrigante come un demonio, con la forza di un’attrazione che Itachi avrebbe saputo spiegarsi solo molti anni dopo. 
Quando Shisui ebbe finito Itachi, imbarazzato, dovette chiedergli di ripetere la canzone un’altra volta: si era perso nella contemplazione dell’altro, e non aveva ascoltato neanche una parola. 

 
I carry the things that remind me of you 
In loving memory of 
The one that was so true 
You were as kind as you could be 
And even though you're gone 
You still mean the world to me


-Non ti perdere nei ricordi, Itachi. Resta con me, per il poco tempo che ci rimane.- gli sussurrò Shisui, languido, baciandogli la pelle nivea e tenera della gola. 
-Sono qui. Ma a volte, arrivati a questo punto, è difficile non perdersi.- 
-E allora aggrappati a me, e io mi aggrapperò a te. Come abbiamo sempre fatto.- 
Il modo, tutto suo, che aveva Shisui di alternare stupidaggini e promesse sacrali, aveva il potere di confondere e destabilizzare Itachi, di lasciarlo in balia, incantato, delle brusche virate dell’altro. 
Shisui passò le dita sul laccio che Itachi portava al collo, soffermandosi sui cerchi di metallo che intervallavano la corda scura. 
-Sei proprio un sentimentale. La porti ancora, dopo tutto questo tempo.- lo schernì Shisui bonariamente, scuotendo la testa e sbuffando una mezza risata emozionata. 
-È l’unica cosa che possiedo che possa ricordarmi di te. Non che ci sia bisogno di qualcosa di materiale, per ricordare…riesci comunque a darmi continuamente il tormento.- concluse Itachi, sospirando. 
-Sembri tanto una vedova, ’Tachi. Dovresti smetterla di essere così melodrammatico.- 
-Non sembrerei così una vedova, se tu non fossi così morto.- 
-Guarda che ti ho tenuto d’occhio per tutto questo tempo: adesso fai tanto l’altra metà della mela, che da sola marcisce, ma poi quando non ci sono fai lo svenevole con faccia di pesce.- 
Itachi rise, portandosi la mano smaltata alla bocca, le spalle scosse dall’ilarità. 
-Sei geloso di Kisame?- chiese, incredulo della piega che aveva assunto quella conversazione. 
-Mi limitavo a farti notare quanto sei caduto in basso: da questo…- disse Shisui, indicandosi con un gesto teatrale il cavallo dei pantaloni -…a questo!- concluse, mimando con le mani due branchie. 
Itachi gli afferrò le mani, ancora intente a sventolare nella patetica imitazione della respirazione di un pesce, per tirarlo bruscamente a sé e baciarlo con tutta la foga che lo travolgeva in compagnia dell’altro. Gemette sulla sua bocca, sentendo quel sapore che era la sua personale ambrosia, leccando le labbra di Shisui, morbide e appena screpolate come le ricordava. 
-Te l’ho detto, non preoccuparti di cosa faccio quando non ci sei: ti porto sempre con me.- Si era staccato dalle sue labbra solo per sussurrargli questo, prima di infilargli la lingua in bocca in modo molto prosaico. 
-Sai quante porcate faremo in paradiso…- pregustò Shisui, passandogli le mani dietro alla schiena e infilandole sotto all’ampio mantello, strizzandogli il sedere. -Se avremo un letto, ti legherò alla testiera con questa.- concluse, risoluto, tirando Itachi per la collana. 
-Oh, dovevo immaginarlo, quando me l’hai data, che questo era il vero uso a cui era destinata.- 

Il buio della camera di Itachi, adesso che i raggi del sole nascente si infiltravano dagli scuri della finestra, stava cedendo rapidamente il passo alla penombra. Lo shinobi guardò l’uomo che giaceva accanto a lui, scomposto, e che prendeva come sempre, steso a pelle di pecora, i tre quarti del futon. 
Shisui mugugnò, girandosi irrequieto, schiaffandogli sullo stomaco una manata vigorosa che lo fece tossire.
-Sei proprio una seccatura.- sentenziò Itachi contro quella insolita bella e invadente addormentata, per colpa della quale aveva continuamente mal di schiena a causa delle terribili posizioni in cui era costretto a dormire: ormai da mesi, Shisui si intrufolava nella sua camera nel cuore della notte, sfidando sempre la sorte e Fugaku che, se li avesse scoperti, probabilmente sarebbe volato in cielo con una poetica morte di crepacuore. 
-Adesso non esagerare.- bofonchiò l’altro, che evidentemente era già sveglio -Non è che puoi godere del mio splendido corpo per buona parte della notte e poi cacciarmi dal talamo.- 
Ricordandosi, appunto, dello splendido corpo che aveva a disposizione, Itachi trovò che l’altro non meritasse una risposta e gli passò semplicemente una mano sull’addome tonico, accarezzando la pelle imperlata dalla leggera patina di sudore di cui la calura estiva l’aveva ricoperta, arpionando con le dita contratte ad artiglio i pantaloni di cotone e tirandoli fino a scoprire un’erezione mattutina decisamente prorompente. 
-Vedo che sei già sveglio. Del tutto.- gli sussurrò Itachi arcuando un sopracciglio, sorridendo storto mentre accarezzava quella carne cedevole, sfregando il pollice sul glande già un poco umido, portandosi sopra a Shisui con un movimento fluido. 
-Porco.- decretò Shisui, fintamente oltraggiato, mentre si rilassava beatamente all’indietro e sporgeva il bacino per invitarlo a continuare indisturbato le sue porcherie. 
Un bussare insistente li fece trasalire. Itachi schizzò in piedi, e così fece l’altro, rivestendosi in fretta e sperando che la sua condizione pietosa in zona inguine non fosse così evidente. 
Itachi spalancò fulmineo la finestra e tirò su le coperte del futon con un unico gesto secco, prima di imporsi un’espressione impassibile e andare ad aprire la porta. 
-Sì?- chiese educato, accogliendo la cameriera che, imbarazzata, sostava sulla soglia con un vassoio in mano. 
-Oh, perdonate, signorino Itachi. Ieri non stavate molto bene e così avevo pensato di portarvi la colazione in camera. Non volevo disturbare lei e il signorino Shisui.- 
-Nessun disturbo, il cibo è sempre ben accetto.- la accolse Shisui sornione, sorridendo beato dal tavolino pieno di carte sul quale sembrava tutto impegnato a scrivere una missiva ufficiale. 
-Bene.- sospirò la ragazza sollevata -Allora lascio tutto qui e torno alle mie mansioni.- 
-Grazie per il pensiero. Lascia pure a me.- la congedò Itachi, prendendole il vassoio dalle mani e tenendole aperta la porta, in quello che era un modo per invitarla ad andarsene celermente ma che riusciva ciononostante a passare per un gesto di galanteria. 
Quando se ne fu andata, i due sospirarono: c’era mancato davvero poco. 
-Che sciupafemmine. Ancora un minuto, e ti avrebbe pregato di farla sua con passione qui, in mezzo alla stanza.- osservò Shisui, caustico, guardandolo storto. 
-Avrei dovuto prenderla a calci? E, se proprio vogliamo, tu sei un attore nato:- gli rispose Itachi, pacato -sembrava davvero che stessi bramando da ore la colazione, quando è entrata. Un coinvolgimento quasi commuovente.- 
-Mi stai chiedendo se fingo il mio coinvolgimento anche con te?- lo interrogò Shisui, un po’ intenerito dall’insicurezza che ancora, talvolta, si affacciava timida dai bastioni di imperscrutabilità dietro cui Itachi si era trincerato negli anni. 
-Forse.- 
Shisui lo raggiunse in pochi passi, mettendosi alle sue spalle, cingendogli la vita con delicatezza. 
-Non posso fingere con te. Non ero così vero neanche con me stesso, prima conoscerti nell’intimità.-
Itachi reclinò il capo all’indietro, chiudendo gli occhi, posando la propria mano su quelle che si erano richiuse sul suo ventre, abbandonate e lascivamente dolci, gentili quanto potevano esserlo mentre bramavano di strappargli i vestiti. 
-Dunque sono tutto il tuo mondo, e racchiudo anche la tua introspezione. Interessante.- 
-Non esagerare, Principessa.- sibilò Shisui, mordendogli un orecchio. 
Itachi sorrise obliquo, pensando che far irritare Shisui era il passatempo più spassoso in cui potesse sperare di cimentarsi; pensando che Shisui invece quasi lo era, tutto il suo mondo. Tutto l’amore che nutriva per la sua famiglia lo legava a quella terra e a quel villaggio, e Itachi viveva per Sasuke. Ma era solo grazie a Shisui, che Itachi sapeva chi era; solo grazie a lui che aveva scoperto i propri ideali e il proprio modo di amare; solo grazie a Shisui, che Itachi aveva potuto donare la sua essenza più vera anche alle altre persone che facevano parte della propria vita. 
Itachi sobbalzò, quando una sensazione di freddo sullo sterno lo fece rabbrividire: abbassò gli occhi, e rimase interdetto nello scorgere del metallo sulla pelle nuda. Shisui gli stava legando le estremità di un laccio al collo. Itachi lo guardò interrogativo. 
-È tua.- chiarì Shisui lapidario. 
-No. È l’unico oggetto che porti con te fin dall’infanzia…-
-Mia madre è sotto terra, non ha certo bisogno della sua collana adesso. E poi mi sono accorto di come la guardi, lo so che ti piace.- Shisui gli strizzò l’occhio. 
-Shisui…- Itachi si era portato una mano al collo, gli occhi resi liquidi dall’emozione che straboccava da essi. 
-Oh, smettila di farla tanto lunga.- gli sbuffò Shisui tra i capelli -Prendila e basta. E comunque sta meglio a te, io sono troppo virile per portare collane.- 
Itachi, dopo un attimo di esitazione, aveva annuito. 
-La porterò sempre, e la custodirò come una parte di te.-
Shisui rise, morbido, della solennità a cui l’altro accompagnava sempre quei momenti. Lui invece si trovava costretto a scherzare, a sdrammatizzare, per non crollare in ginocchio dinanzi allo sgomento che rischiava di fermargli il cuore ogni volta che erano insieme. 
-Bravo. Ma adesso, per favore, prenditi cura anche dell’altra parte di me, quella a cui ti stavi dedicando prima che venissimo così crudelmente interrotti.- 
 
I've never known what it was to be alone, no 
'Cause you were always there for me 
You were always there waiting 
But now I come home and it's not the same, no 
It feels empty and alone 
I can't believe you're gone


-Itachi, non sopporto di vederti così triste. Sei l’ombra di te stesso.- Shisui chiuse gli occhi, addolorato, tenendo i palmi sul viso dell’altro. 
-Lo so. Il peso delle mie colpe mi ha schiacciato. Dovessi tornare indietro rifarei la stessa scelta ma, anche quando mi dico che tutto questo era inevitabile, ciò non basta a redimermi. Quando sono sveglio le mie mani chiamano il sangue, quando dormo sogno ancora dei volti di mia madre e di mio padre, del modo in cui mi hanno sorriso quando ho calato la spada su di loro. Sento ancora il loro sangue appiccicoso tra le dita, ed è come se le lacrime di Sasuke scendessero a bagnare anche i miei occhi.- 
-Era il nostro destino, Itachi. Eroi silenziosi, l’ombra della foglia che brucia. Ma a te è toccato il compito più arduo, e il dolore più grande. Mi dispiace solo di essermene andato, e di non averlo potuto condividere con te. È il mio unico rimorso.- 
-Anche quando sei serio, dici scemenze.- lo riprese Itachi, dolcemente -Hai fatto solo quello che doveva essere fatto. Ma adesso manca poco. Mi hai aspettato per tutto questo tempo…-
-Sembri proprio avere fretta di morire, depresso che non sei altro.- 
-Ho fretta di trascorrere con te la mia eternità. Il mio tempo è giunto. Ma prima, mi assicurerò che Sasuke abbia il Mangekyo, e che sia finalmente libero dal parassita che lo infesta. Mi sono consumato, in questi lunghi anni, mentre vegliavo su di lui e predisponevo ogni pedina sulla scacchiera; è stato lento, e straziante. Ma era la cosa più importante. Niente era più importante di Sasuke. Neanche il nostro villaggio, Shisui.- 
-Lo so, lo so.- Shisui lo cullò tra le braccia -Ma hai lottato per salvare entrambi. Sono fiero di te, Itachi, e sono fiero di essere il tuo uomo.- 
Itachi tremava, mentre quella paura traditrice tornava, strisciante, a incatenarlo nell’oscurità. 
-Respira, amore mio, respira.- lo pregò Shisui, anche lui incapace di trattenersi mentre una goccia umida gli bagnava l’occhio -Adesso sei a casa.- 
Sì, Itachi sarebbe stato presto a casa. Era ancora insopportabilmente doloroso, il ricordo delle giornate che avevano seguito la morte di Shisui. Se chiudeva gli occhi, Itachi udiva ancora i propri passi riecheggiare, spettrali, per i corridoi della Villa grande e fredda, che era sembrata così vuota da quando il suo amante non l’aveva più abitata. Anche il suo stesso letto gli era sembrato alieno, da quando non l’aveva più condiviso con Shisui. “Buffo”, aveva pensato in quei momenti: proprio quando avrebbe potuto finalmente riposare comodo, non riusciva più a dormire. 


I'm glad he set you free from sorrow 
I'll still love you more tomorrow 
And you will be here with me still 
  


-Shisui, è vero che la morte libera dal dolore?- 
-Sì, Itachi. Libera quasi da ogni pena.- 
-Quasi?- 
-Non ho sofferto, dopo la mia morte; sarei stato in pace, se non mi fossi rifiutato di abbandonare questa terra. Ma non l’ho fatto.- 
-Il solito cocciuto.- 
-Dovevo assicurarmi che tu non fornicassi con la sirenetta.- 
-Amarti mi ha richiesto davvero troppo tempo. Me ne è rimasto giusto quel poco che occorreva per sterminare un clan e salvare il villaggio.- 
-Non te l’avrei perdonato, Itachi, se mi avessi dimenticato. Ti avevo detto di andare avanti con la tua vita, lo so, ma la verità è che sono molto più egoista di così.- 
-Non lo sei, è solo umano. È l’amore che ci rende egoisti, ma è anche quello che ci rende vivi. E io ho vissuto nell’amore che provavo per te, l’ho nutrito di giorno in giorno, e giorno dopo giorno esso è cresciuto. E domani sarà ancora più grande, Shisui. Domani ti amerò ancora di più.- 
-Domani ci ameremo insieme, Itachi. Saremo insieme, e siamo insieme anche adesso. Io sono con te.- 
-Sì, sei con me. Lo sei sempre stato, lo sei ancora. Lo sarai ancora.-
  
And what you did you did with feeling 
And You always found the meaning 
And you always will 
And you always will 
And you always will


Fu in quell’ultimo bacio che Itachi superò la sua paura; fu in quello scambio di saliva e anime che l’Uchiha raccolse i cocci infranti di sé, guardandoli dall’alto di un addio, capendo quanto fosse il marcio della vita, ma anche come, arrivati alla fine dei giochi, fosse insignificante. Perché c’era un punto, un traguardo; passato quello, restava solo l’amore. Più forte dell’odio, della solitudine, della vendetta, del terrore. 
Anche in quel bacio, spietatamente dolce, scappava loro quel pizzico di lussuria che non li aveva mai abbandonati: si sfregavano l’uno contro l’altro; alle carezze e alle parole adoranti, che spezzate scivolavano loro dalle labbra, alternavano tocchi possessivi e potenti, sensuali, erotici. Era indispensabile strusciare i bacini tra di loro, anche nell’ora più tarda e più triste, baciare la pelle segnandola di marchi indelebili, inspirare l’odore della loro eccitazione. 
Preghiera e blasfemia, purezza e dannazione: il confine sottile che avevano varcato ancora e ancora, avanti e indietro, a ogni loro passo. 
“Cosa mi fai, Shisui?” La prima volta che Itachi l’aveva pensato era stato molti anni prima, e ogni volta che si incontravano lo shinobi non poteva che ripetersi, incredulo, quella domanda. E quando Itachi, a volte, smarrito, si fermava a chiedersi il vero significato della vita e della morte, dell’amore e dell’odio, era Shisui a trovarlo per lui, coi suoi baci impudici e le sue battute sconce, con la devozione sacrale che provavano l’uno per l’altro, maldestramente celata dietro a un siparietto di frasi sciocche. 
Itachi affondò la lingua nella cavità umida dell’altro, tirandogli i capelli per inclinargli il volto e avere un accesso più profondo alla sua bocca, riversando in lui tutto l’amore che a parole a volte ancora non riusciva ad esprimere. Glielo disse muovendo le labbra sulle sue, che Shisui prima di tutto gli aveva donato un’identità, un’essenza; che, grazie a Shisui, Itachi era stato. Niente di più, niente di meno. Che, per Itachi, Shisui era stato. Solo quel verbo “essere”, non serviva accompagnarlo di aggettivi; bastava, per definirlo, la profondità dell’esistere. Glielo disse toccandogli avido le cosce, che erano stati e che sarebbero stati, questa volta per sempre. 
-Itachi.- Quella voce fredda e amara irruppe nella mente di Itachi, strappandolo ai suoi sogni più dolci. La voce di Sasuke. Era arrivato. 
Mentre tornava cosciente, aprendo gli occhi con lentezza esasperante, Itachi diede un ultimo sguardo al volto onirico di Shisui, che sfumava man mano che la realtà circostante prendeva invece consistenza. Fece in tempo a soffermarsi, per un ultimo istante, sul volto terso e sorridente, limpido; riuscì a leggere le labbra soffici che mimavano parole di incoraggiamento: “Coraggio. Da oggi sarà per sempre”. 
Quando mise a fuoco il volto di Sasuke, Itachi aveva ripreso il pieno controllo di sé. Il volto del maggiore degli Uchiha era quasi interamente coperto dal bavero del mantello; solo gli occhi erano visibili, ed emanavano bagliori sinistri carichi di macabri presagi. Ma fu con dolcezza malcelata, che Itachi usò quegli stessi occhi per percorrere, orgoglioso, la figura alta del suo fratellino, le sue spalle solide e possenti, che ormai sperava fossero in grado di reggere il peso della vita di uno shinobi. Sasuke sarebbe stato un grande uomo, e Itachi guardandolo dall’alto avrebbe gioito dei suoi traguardi, prendendo a pugni Shisui se avesse osato prendere in giro il suo otouto come aveva la brutta abitudine di fare. 
Itachi represse un sorriso, e si scostò il collo del mantello dal viso; impresse durezza nello sguardo e severità nella piega della bocca, nel rivolgersi a Sasuke. 
-Sei venuto da me.- 
Itachi accarezzò per l’ultima volta il corvo che, docile, non si era mai mosso dalla sua spalla. Diede anche quell’ultimo addio, dispiegando il braccio e lasciandolo volare via. 
L’animale si librò alto, sfiorando col piumaggio color della notte il soffitto dell’antro; si lanciò poi nel cielo avvolto dal crepuscolo, sfumato di tinte delicate, visitato dalle timide stelle che, come opache capocchie di spillo, iniziavano a punteggiarne la volta. 
Il corvo si sarebbe diretto dal clone di Itachi che, poco lontano da lì, aveva appena fatto il suo incontro con Uzumaki Naruto, stimandolo meritevole di quel dono e della responsabilità della salvezza di Sasuke. 
Itachi si alzò, adesso solo, spogliandosi della veste ingombrante. 
No, non era solo. 
Mentre piegava le ginocchia, pronto a spiccare un salto, il primo di quelli che l’avrebbero condotto alla morte prima dell’alba di un nuovo giorno, sfiorò per l’ultima volta i cerchi grigi che portava sulla pelle, intiepiditi dal calore del proprio corpo. 
Lanciandosi verso Sasuke piegò le braccia protese, tendendole per ghermirlo, come avrebbe voluto fare in tutti quei lunghi anni quando invece immaginava di abbracciarlo; si sentiva molto fortunato, adesso che poteva già pregustare il momento in cui, finito il loro scontro, si sarebbe lasciato morire tra le braccia del fratello, stringendolo vicino al cuore. Per poi volare tra altre braccia, amate anch’esse.
“Da oggi sarà per sempre”, pensò.
 






 

 

 

Ultimi lamenti di un autore straziato
Quanto mi piacerà farmi del male...
I motivi per cui ho scritto questa piccola triste storia: 
1) Itachi su quel trono è un’immagine che mi martella il cervello da sempre, dovevo immortalarla a modo mio. 
2) Ero -sono- in fase premestruo, e non mi sentivo all’altezza della situazione: depressa ma non abbastanza -depressa e mai abbastanza-.
3) Itachi e Shisui sono due personaggi che mi affascinano moltissimo, anche se non pensavo che ne avrei mai scritto: non riuscivo a inquadrarli, e questo era anche il motivo per cui non volevo leggerne. Poi non ho resistito e ho aperto, ieri notte, una OS che puntavo da tempo, molto triste, che li riguardava…l’ho trovata bellissima, e mi ha fatto immergere in quel loro amore così tormentato. Mi ha ispirata -a proposito, grazie <3-. Per chi volesse leggerla, si chiama “L’inverno in fondo al cuore”, è di Alixia700. Munitevi di fazzoletti, ma dire che ne vale la pena è riduttivo. Sono felice che sia stata la prima storia che io abbia letto su questa coppia. 
4) Ok, dai, tutti i tre motivi sopracitati possiamo eliminarli, in realtà volevo solo avere un pretesto per pubblicare questa bellissima immagine di Itachi super erotico tronomunito. Ahah, scherzi a parte, le immagini le ho prese da Pinterest e sono di Lily, vi linko la sua bacheca: https://it.pinterest.com/Niisama00/lily/
Vi consiglio di passarci, dentro ci sono le immagini più belle dell’Akatsuki che io abbia mai visto. A volte ci rimango male, da quanto sono bravi gli artisti che si trovano in rete… 
Ultima cosa: i versi della canzone sono di “In loving memory”, di Alter Bridge. La OS ripercorre, passo passo, la canzone. Ma, scrivendo questa ff, ho ascoltato anche “Sweet Dreams” di Marilyn Manson. Queste due canzoni, insieme, per me racchiudono quel misto di romanticismo, dolore, frustrazione e terrore che volevo comunicarvi. Spero, con i miei mezzi forse un po’ scarsi, di esserci riuscita anche solo in minima parte. 
Dettò ciò, non mi resta che ringraziarvi per aver letto questa storia, amara sì, ma per me piena anche di tanto amore.
Altman <3

   
 
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