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Autore: A_Typing_Heart    25/03/2017    1 recensioni
Tsunayoshi, Hayato e Mukuro sono tre persone del tutto diverse. Uno impacciato nella sua stessa vita, un altro un piccolo genio stordito dalla perdita di una persona cara, l'altro convinto di avere tutto quello che è desiderabile dall'esistenza; eppure senza saperlo sono tutti spinti sull'orlo del baratro dallo stesso demone chiamato Dipendenza. In un solo giorno il destino li pone di fronte a una scelta: esorcizzare il mostro o morire.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Byakuran, Enma Kozato, Hayato Gokudera, Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mukuro era seduto ormai da qualche ora per terra, nella sua stanza della comune, accanto alla finestra. Fissava l'orizzonte, tendendo le orecchie, in attesa che calasse la notte e tutti dormissero, per tentare di scappare dal centro di riabilitazione. Non gli importava del giudice, né di andare in prigione, e si sentiva uno stupido per aver dato retta a quello sbirro, abboccando come un idiota alla storiella di "quello che avrebbero potuto scoprire i detenuti". Era il trucco più vecchio del mondo e ci era cascato... ma la buona notizia era che indubbiamente sarebbe stato più semplice evadere da una clinica che da un carcere... una volta fuori poteva nascondersi e cambiare aria quando sarebbe stato in grado di mettere le mani sui suoi soldi.
I suoi pensieri ronzavano intorno alla pianificazione della fuga, ma fino a poco prima non riusciva a ragionare su nulla a causa del suo incontro con lo psicologo terapeuta della clinica. Era entrato nella stanza convinto di sostenere la cosa con tranquillità, quasi divertendosi, e di passare i prossimi mesi come aveva passato l'ultima settimana in collegio: attendendo la libertà giocherellando con le menti di professori e compagni. 
Purtroppo non aveva idea di che cosa avrebbero potuto trovare dentro di lui le domande rodate ed esperte di un terapeuta della dipendenza, ed era completamente impreparato ad affrontarle.
Non aveva mai passeggiato per i viali della memoria, perchè in realtà li temeva. Mukuro non parlava mai dei suoi genitori, né della sua infanzia, non gli faceva piacere che qualcuno sapesse che erano stati anni infelici trascorsi in una famiglia fredda. Non gli piaceva l'idea che qualcuno potesse sapere che era stato uno studente diligente e intelligente, prima che una brusca rottura dei suoi genitori lo spingesse a cercare le attenzioni di entrambi in modi sempre più contorti, arrivando a farlo espellere dalla scuola media. Non voleva che uno strizzacervelli tirasse fuori strane teorie su come la mancanza di una famiglia gli avesse fatto intraprendere un lavoro di dubbia moralità e lo avesse indotto all'uso di sostanze. Non era vero, i suoi genitori non avevano nulla a che vedere con le sue scelte di vita, aveva scelto entrambe le strade per il semplicissimo motivo che amava divertirsi, e niente era più divertente che travestirsi, prendere un po' in giro i clienti e farlo essendo parecchio su di giri... tutto lì, nulla di strano, nulla da scoprire, nessun nemico oscuro da additare e sconfiggere...
Mukuro sentì bussare sulla porta e il rumore spezzò il filo dei suoi rimuginii. Guardò la porta, ma decise di non rispondere. In ogni caso, se fosse stato uno di loro, sarebbe entrato anche senza permesso, dato che non era possibile per un abitante del centro chiudere a chiave la propria porta dall'interno. Per un momento ponderò l'idea di barricarsi dentro spostando il letto, ma gli bastò un'occhiata per capire che il mobile era troppo leggero per offrire una qualche protezione efficace. Certo, pensò, che pensavano davvero a tutto...
La persona fuori dalla porta bussò con più decisione, la terza volta. Mukuro, che voleva soltanto ribollire di rabbia nel suo angolo e fantasticare sulla fuga, iniziò a irritarsi per quell'insistenza. Alla quarta volta, si alzò pronto a sbottare contro chiunque difendendo il suo diritto all'isolamento volontario, sempre ammesso che a qualcuno della clinica importasse qualcosa di quello che aveva da dire.
Mukuro si bloccò attonito, con la mano tesa verso la maniglia della porta che era appena stata aperta dall'esterno. Tra tutte le persone del mondo quella che meno avrebbe desiderato vedere in quel momento particolare era davanti a lui, lasciandolo in parte sconvolto per lo shock e in parte invelenito alla sola vista di quei candidi capelli bianchi e dello sguardo viola che, come altre volte, sembrava volerlo solo criticare.
-Co... ma che diavolo ci fai tu qui?-
-Sembra che io sia arrivato in tempo.- ribattè Byakuran, col tono di chi osserva di aver evitato un robusto acquazzone.
Senza minimamente badare alla sua reazione poco entusiasta, il poliziotto entrò nella stanza togliendosi il cappotto nero e guardandola come se stesse visitando un delizioso monolocale da prendere in considerazione. Appoggiò sulla scrivania sgombra una scatola di cartone senza scritte né disegni, ma non accennò ad aprirla. La sua ultima occhiata fu al panorama dalla finestra.
-C'è una bella vista, non credi? Io pagherei per una vista così... vivo in una palazzina di appartamenti in mezzo a grattacieli di uffici e altre palazzine, sai.-
La risposta onesta di Mukuro sarebbe stata "chi cazzo se ne frega", ma decise di tacere e continuare a fissarlo in cagnesco per vedere se riusciva a incenerirlo.
-Come stai, Mukuro?- gli chiese quello con molta calma, guardandolo. -Ho sentito che la disintossicazione in ospedale è stata molto difficile per te... sei stato molto male per una nottata.-
Mukuro fu colpito duramente dai ricordi di quei giorni di ricovero per la disintossicazione fisica, tanto che dimenticò completamente i suoi tentativi di infliggere dolore a Byakuran con il solo contatto visivo. Non era mai arrivato, in vita sua, al punto di desiderare la morte... fino a quella prima notte di cura. Era comunque molto sorpreso che Byakuran si fosse informato dai medici sul suo percorso travagliato.
-È passato ormai.-
Mukuro si portò la mano alla gola: non avendo quasi spiccicato parola dal momento in cui aveva urlato contro il terapeuta, non si era reso conto che la gola gli doleva nel parlare e la sua voce era molto bassa, cose che non aveva notato nemmeno quando aveva rivolto la parola a Byakuran. Forse era troppo preso dall'ospite indesiderato.
-Mi hanno chiamato e mi hanno detto che cosa è successo oggi, con il terapeuta.- disse Byakuran ripiegando con cura il cappotto sullo schienale della seggiola. -Pensavano che avresti voluto andare via e mi hanno chiesto cosa fare, dato che la tua libertà è giuridicamente correlata alla tua permanenza qui...-
-Sei venuto ad arrestarmi?-
-Hai intenzione di andartene? Perchè se fosse questo ciò che vuoi, allora lo dovrei fare.-
Mukuro incrociò le braccia e inclinò leggermente la testa, fissandolo. Non aveva la minima idea di che cosa davvero gli passasse per la testa, e ancora meno capiva di che cosa facesse lui lì, esattamente.
-Perchè ti hanno chiamato?-
-Beh, per la sfuriata che hai fatto, te l'ho detto...-
-No, intendevo perchè hanno chiamato te.- precisò Mukuro, belligerante. -Chi diavolo sei per me? Non sei nessuno, perchè per decidere cosa fare di me vengono a chiamare il poliziotto che mi ha venduto droga, molestato e pure arrestato?-
-Sai benissimo che non è andata così, e dato che siamo soli puoi tranquillamente ammettere che non ti ho forzato a fare proprio niente... potevi uscire e trovare un altro spacciatore, nella zona ce ne sono moltissimi... nemmeno la tua dipendenza ti obbligava a rivolgerti a me.-
-Rispondi alla mia domanda, e le tue congetture legali risparmiale per quando qualcuno mi darà retta e si deciderà a processarti per abuso di potere e di minore, tra le altre cose.-
Byakuran avrebbe voluto rispondere sulla questione ed era palese dal suo sguardo, ma decise di lasciar cadere il discorso e si limitò a guardare Mukuro negli occhi per un lungo momento. Mukuro si domandò se non stesse cercando una menzogna credibile da offrirgli.
-Tu non hai più nessuno... i tuoi genitori non sanno dove sei da tanto tempo, non è così?-
La sola menzione dei propri genitori infastidì il ragazzo al punto che si voltò verso la finestra, benchè il sole fosse calato immergendo il cortile nell'oscurità.
-Non ti hanno cercato, non sono venuti all'udienza, non ti chiamano... da quanto tempo non si interessano più di te?-
-La cosa non ti riguarda.-
-Eppure il motivo per cui sono qui è che loro non sono con te.- insistette Byakuran. -Non abbiamo trovato nessuno... né tutori, né amici che potessero garantire per te... quindi, quando hanno chiesto un nome e un recapito per le emergenze, ho dato il mio. Per questo hanno chiamato me.-
-Questo è davvero il colmo, dico sul serio... è da malati...-
-Mukuro, tu continui a vedermi come una specie di mostro e capisco che hai delle ragioni per pensarlo, ma non è la realtà.- rispose il poliziotto con tranquillità. -Voglio aiutarti.-
-Non devi sentirti in obbligo di aiutarmi solo perchè ti ho toccato il pene una volta.-
-Voglio aiutarti perchè nessun altro al mondo vuole farlo, e ti assicuro che se volessi aiutare tutti quelli che mi hanno toccato una volta non avrei più tempo per lavorare.-
Mukuro si ritrovò senza parole, più che senza voce. Non capiva per quale motivo, ma ciò che aveva detto l'aveva colpito interiormente con violenza, e per riflesso strinse ancor più forte le braccia conserte in un istinto di difesa. Si aggrappò disperatamente alla seconda parte della sua frase per tentare, con una risata stentata di sviare da quel terreno pericoloso.
-Non avresti tempo di lavorare? Certo che è veramente una spacconata da dire...-
-Io farei qualsiasi cosa perchè tu possa avere una vita davvero libera.-
Mukuro si accorse che nel brevissimo tempo in cui aveva distolto nervosamente lo sguardo Byakuran si era avvicinato a lui di alcuni passi. D'istinto indietreggiò, ma trovò la parete a impedirgli un'ulteriore ritirata, e il poliziotto si avvicinò ancora. Ormai si sfioravano e il suo pallido viso era a pochi centimetri dal suo.
-Co... sei troppo vicino.-
Mukuro tentò di svicolare sulla destra per liberarsi da quell'angolo, ma il braccio di Byakuran gli impedì di muoversi prima in quella direzione, poi in quella opposta. Cominciava ad avere decisamente paura, soprattutto per il fatto che non riusciva a leggere le sue intenzioni.
-È questo il motivo per cui sei solo, Mukuro? Perchè quando qualcuno è troppo vicino tu scappi?- gli sussurrò Byakuran, vicinissimo. -O scappi perchè pensi che la tua vita sia già perfetta, e non vuoi nessun altro?-
-Io non voglio te, che cosa c'entra adesso la mia vita o...-
-Io penso che tu abbia una tremenda paura di provare quello che hai provato quando i tuoi genitori hanno smesso di preoccuparsi di te... che la storia si ripeta ancora...-
Mukuro lo fissò, smettendo di cercare di liberarsi dall'angolo, mentre il cuore gli batteva nel petto prepotentemente, mentre una sensazione gelida di panico si spandeva in ogni parte del suo corpo.
-Dove hai visto... chi te l'ha detto? Chi ti ha raccontato dei miei genitori?-
-Tu me l'hai raccontato, Mukuro... i tuoi comportamenti mi hanno detto che hai una fame disperata di attenzioni... e la tua scheda mi ha detto che i tuoi genitori non sono più nella tua vita... non ci voleva un genio per tirare le somme...-
Mukuro ammutolì e diventò particolarmente pallido. Non si era mai sentito prigioniero del suo passato, non da quando aveva deciso di andarsene di casa. Aveva smesso di pensare ai suoi genitori, non gli sfiorava il dubbio che potessero cercarlo o rivolerlo in casa, dato che già prima pareva non importargliene nulla. Si era sentito felice di trovare un lavoro così particolare, dove poteva gestire i suoi orari, i suoi clienti, le sue uniformi in piena libertà, guadagnare tanto denaro... e scoprirsi desiderato, ricercato? Era una parte del suo lavoro che non aveva mai valutato in quell'ottica. Non aveva mai pensato che quello potesse essere il motivo primario per cui fare un lavoro che lo costringeva a vestirsi e comportarsi in un modo che lo avrebbe fatto imbarazzare in altri contesti... credeva che fosse normale, essere quotato significava avere tanti clienti e quindi più soldi...
Byakuran si allontanò un po' da lui e gli afferrò la mano, guidandolo verso il letto. Mukuro si lasciò trascinare docilmente e alla sua leggera spinta sedette sul bordo del materasso. Era ancora incredibilmente frastornato, tanto che fece caso a malapena al poliziotto che andava alla scrivania e apriva la scatola che aveva portato in camera sottobraccio.
-A proposito... queste sono tue.-
Byakuran aveva aperto la scatola e ne aveva estratto un paio di scarpette lilla, porgendogliele.
Mukuro le dovette guardare qualche istante prima di focalizzare che erano le scarpe che indossava quando era stato arrestato, le stesse che aveva scagliato con rabbia contro quell'uomo dai capelli bianchi che ora gliele tendeva. Ancora confuso, con un violento nubifragio nella mente, allungò la mano e le prese, osservandole con un misto di nostalgia e sorpresa, come si osserva una foto della propria infanzia di cui non si conservava alcun ricordo.
-A me non importa se vuoi continuare a travestirti e a esibirti vestito da donna... ma se lo farai... se vorrai indossare ancora quelle scarpe, dovrai farlo solo perchè ti diverte, perchè ti va di farlo... non perchè pensi che non puoi avere una vita normale... e soprattutto, non farlo perchè ne hai disperatamente bisogno per sentire che qualcuno ti desidera.-
Byakuran mosse qualche passo verso la porta. Mukuro avrebbe voluto lasciare che uscisse, che se ne andasse, ma le parole gli salirono alle labbra senza che potesse anche solo pensare di trattenerle.
-Sono sempre stato... Romi... hanno sempre chiesto di lei, hanno sempre voluto lei... per loro... Mukuro non esiste nemmeno... nessuno può desiderare qualcuno che non sa che esiste...-
Mukuro sentì pochi, veloci passi, prima di trovarsi Byakuran di nuovo a pochi centimetri dal volto, chino sul letto, con uno sguardo spaventoso. Per poco non si fece sfuggire di mano una delle scarpette.
-Mukuro esiste per me.- disse Byakuran con tono fermo. -Romi non è niente, è solo un'idea. A dare una forma a quell'idea sei tu. Il suo modo elegante di parlare, il suo sorriso, la sua ironia, la sua sensualità... sono tue, Mukuro. Sei tu a darle queste qualità, non è lei a darle a te.-
-Se... sensu... i-io non ho nulla del genere... non scherziamo...-
-Mukuro.-
Il tono perentorio di Byakuran zittì la già flebile protesta di Mukuro, che restò immobile e silenzioso a guardarlo raddrizzarsi e infilarsi il cappotto con aria irritata. Per qualche istante il ragazzo si domandò se non fosse combattuto sul dire o meno quello che pensava.
-Se non fosse severamente vietato avere rapporti sessuali qui dentro, io te lo avrei sicuramente chiesto adesso.- fece lui, per la prima volta evitando di guardarlo direttamente negli occhi. -Il tuo sex appeal non cambia a seconda della maschera che metti.-
Con evidente imbarazzo, il poliziotto infilò la porta e se ne andò a grandi passi. Mukuro guardò di nuovo le scarpette, confuso come non lo era mai stato in vita sua, e quasi in uno stato di trance si alzò per riporle nella scatola. Non si sarebbe mai e poi mai aspettato che un poliziotto, quel poliziotto, potesse capire qualcosa di lui senza nemmeno conoscerlo... né si aspettava che le sue parole avessero su di lui un effetto tanto devastante.
Si avvicinò alla finestra nel tentativo di vedere se stesse andando via, ma da quell'angolazione non poteva vedere il cancello o il vialetto d'ingresso; era tutto buio, illuminato fiocamente solo da un lampioncino distante.
Nel vetro distingueva nitidamente, invece, il proprio riflesso, e per la prima volta da molti anni si soffermò a osservarlo, toccando il proprio viso specchiato contro la notte.
Ebbe la sensazione, del tutto nuova, di non essere soltanto un manichino che indossava gli abiti e il volto di Romi.
   
 
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