Click,
the last puzzle’s piece falls in its place
Aveva passato le
ultime due ore camminando per casa, passandosi convulsamente la mano
fra i
capelli e inciampando di continuo negli scatoloni che si trovavano
ancora in
mezzo al corridoio, nonostante abitasse in quell’appartamento
da quasi un mese
ormai e si ripetesse ogni giorno che il giorno successivo avrebbe
finalmente
concluso il trasloco.
Dopo essersi
quasi rotto l’osso del collo contro lo spigolo del comodino per la
terza volta, Henrik
decise che poteva bastare. Aveva bisogno di rilassarsi velocemente, e
conosceva
due modi per farlo: il primo necessitava di un’altra persona,
e nonostante ciò
che pensasse la maggior parte della gente non aveva una ragazza (o un
ragazzo)
fra le lenzuola ogni volta che aveva voglia di sciogliere i nervi, e il
secondo
…
Aprì il
cassetto
del comodino malefico e tirò fuori una delle canne
già rollate che nascondeva
quando sua madre veniva a fare visita, poi si distese sul letto ancora
disfatto
e l’accese, lasciando che il fumo gli riempisse i polmoni e
gli svuotasse la
mente almeno per un po’.
Era nervoso e
l’ansia lo stava logorando dall’interno, il
perché però non riusciva ben ad
afferrarlo, soprattutto adesso che la sua mente era quantomeno
annebbiata. L’audizione
era andata alla grande: Julie gli aveva fatto provare un paio di scene
scritte
appositamente per l’audizione, e fortunatamente non
l’avevano interrotto nel
bel mezzo di un monologo come il solito cliché del barista
che sogna Hollywood
e viene scartato anche per i ruoli più patetici, nonostante
dovesse ammettere
che le circostanze erano molto simili. Inoltre, le produttrici erano
comprensive e brillanti, il cast era formato da ragazzi simpatici e
rilassati,
gente con cui ci avrebbe messo poco ad andare d’accordo.
E poi,
ovviamente, c’era Tarjei. Aveva guardato le prime due
stagioni di Skam, e
quando il giorno prima quell’uragano dai riccioli biondi lo
aveva letteralmente
travolto era già abbastanza sicuro di averlo riconosciuto,
ma solo quando lo
aveva rivisto quella mattina i suoi dubbi erano stati chiariti.
Tarjei sembrava
un angelo, a tratti più piccolo della sua età e
altri molto più grande, il viso
innocente che pareva comunque avere qualcosa di malizioso a celarsi
dietro gli
occhi verdi e quel benedettissimo labbro superiore: Henrik avrebbe
voluto
stringerlo fra le braccia e proteggerlo dal mondo intero, baciare quel
labbro
fino a scordarsi di aver bisogno di respirare. Poi, si era ricordato
che non è
normale avere certi pensieri su qualcuno appena incontrato, e per
placare il
bisogno di toccare aveva chiesto e ottenuto il permesso di tenergli la
mano,
fino a quando avevano fatto tornare Tarjei a sedere, lasciandogli la
mano più
fredda e più vuota di come l’aveva trovata.
Era come se
…
come se un legame astratto lo collegasse a quell’angelo, come
se qualcuno lo spingesse
inesorabilmente verso di lui, e quando le loro mani si erano toccate
… click, come un
ingranaggio che viene
montato esattamente al suo posto e con un suono secco e deciso mette in
moto
l’intera macchina. Ecco! Ecco perché era nervoso e
ansioso e si stava
letteralmente cagando in mano: l’idea di non poter rivedere
ancora quel ragazzo
lo terrorizzava tanto da mandare tutto il suo organismo in crisi.
Henrik rise di
quanto quei pensieri fossero ridicoli e deliranti e si
stropicciò gli occhi,
spegnendo la canna ormai finita nel posacenere sul comodino. Era solo
ansioso
di ricevere un lavoro decente e che gli piacesse realmente per poter
dimostrare
a sua madre che poteva benissimo cavarsela da solo, ecco tutto.
Stava ancora
fissando il soffitto quando il suo telefono squillò, e
improvvisamente la
tensione lo assalì di nuovo e il cuore iniziò a
battere tanto forte e veloce
che aveva paura che fra qualche secondo avrebbe dovuto raccoglierlo dal
pavimento. Si mise seduto e iniziò a cercare freneticamente
il cellulare sotto
le lenzuola, imprecando un paio di volte e facendo un breve sospiro di
sollievo
prima di rispondere dopo averlo trovato sotto il letto.
“Pronto?”
“Henrik
Holm?”
“Sì?”
“Sono Mari
Magnus, web editor e co-produttrice di Skam, lieta di comunicarti che
sei stato
scelto per il ruolo di Even.”
-
Il ristorante
era particolarmente affollato, inusuale alle tre del pomeriggio, anche
per un
sabato.
Varcando la
porta, Henrik venne accolto dai camerieri e ricambiò i
saluti con più
entusiasmo del solito, guadagnandosi qualche sorriso in più
e delle pacche
sulla spalla. Sfilatosi il cappotto, esaminò il locale con
gli occhi, per poi
sorridere alla vista di suo fratello Mathias, appollaiato su una
poltrona in un
angolo della stanza con un libro di scienze in grembo e
l’espressione più
annoiata del secolo, che si trasformò in un enorme sorriso
quando incontrò gli
occhi di Henrik attraverso la stanza.
Il ragazzo
aggirò il grande tavolo colmo di gente, alla quale
augurò un buon pranzo
sentendo quasi di star camminando sulle nuvole, e riuscì
finalmente a
raggiungere Mathias, che quasi gli saltò addosso, la
verifica del giorno dopo
velocemente dimenticata.
“Fratello,
salvami!”
Il maggiore
rise, ricambiando la stretta e posandogli un bacio fra i capelli biondi.
“Dai
compiti di
scienze?”
“Dall’istinto
suicida.”
“Esagerato
come
sempre.”
Henrik sciolse
l’abbraccio,
gli scompigliò i capelli ridendo alle sue proteste e si mise
comodo sulla
poltrona accanto a quella di Mathias, che aveva ripreso la sua
precedente
posizione. Meno il libro, ovviamente.
Il più
piccolo
lo guardò per qualche secondo, prima di alzare le
sopracciglia in una muta
domanda: ‘allora?’. Henrik ricambiò con
il medesimo gesto e poi si sciolse in
uno dei suoi sorrisi che gli impedivano di tenere gli occhi aperti e lo
sguardo
di suo fratello si illuminò. Henrik poté notare
il chiaro sforzo che stava
facendo per non mettersi ad urlare di fronte ai clienti di sua madre.
“Mio
fratello è
un fottutissimo attore!”
“Linguaggio!”
“Oh ma va
a quel
paese tu e il linguaggio! Ti hanno preso nella serie tv più
famosa del paese e
tutto ciò che sai dire è
‘linguaggio’?”
Henrik
scoppiò a
ridere al tentativo di suo fratello di imitare la sua voce, troppo
profonda per
la sua acuta da quattordicenne, ma smise quando i suoi occhi
incontrarono
quelli di sua madre, che si avvicinava a loro distribuendo sorrisi
caldi come
biscotti appena sfornati.
“Quindi
mio
figlio è un ‘fottutissimo
attore’?”
Mathias
ricevette uno scappellotto ed Henrik dovette mordersi il labbro per non
scoppiargli a ridere in faccia.
“Eh.”
Siv
aggrottò le
sopracciglia e nella mente si schiaffeggiò da solo, urlando
al suo cervello di
tornare velocemente a funzionare. Pensandoci, fumarsi una canna prima
di andare
al ristorante di sua madre non era stata proprio l’idea
migliore della
settimana. Guardò suo fratello in cerca di sostegno, ma
tutto ciò che ottenne
fu un alzata di spalle e uno sguardo divertito, prima di essere
travolto dall’abbraccio
di sua madre.
Più
confuso che
mai si alzò in piedi per evitarle una posizione scomoda e
ricambiò l’abbraccio
ancora titubante, per poi sciogliersi del tutto alle parole che sua
madre
sussurrò contro il suo petto.
“Sono così fiera di te.”
La strinse tanto
forte da avere paura di spezzarla a metà e rise con lei
quando la sollevò da
terra. Quando allentò la presa per riuscire a guardarla in
viso, si accorse che
avevano entrambi gli occhi lucidi. Siv gli accarezzò i
capelli, l’espressione
più dolce e orgogliosa che gli avesse mai visto fare a
illuminarle il viso
stanco per il troppo lavoro. La sua mamma non era mai stata tanto bella.
“Ti voglio
bene
tesoro, così tanto bene.”
“Anche io
mamma.”
Passarono la
successiva mezz’ora attorno ad una tazza di tè,
Henrik che raccontava per filo
e per segno l’audizione alle due persone più
importanti della sua vita, venendo
interrotto di tanto in tanto dalle risate di Mathias e i commenti di
sua madre.
Raccontò tutto, tranne della sensazione di calore che gli
aveva riempito lo
stomaco. Alla fine, abbracciò entrambi e recuperò
il cappotto, dicendo che
aveva ancora una cosa da fare.
“Dove stai
andando?”
“A
licenziarmi.”
-
Gli mancava un
pezzo.
Lo sentiva
esattamente al centro dello sterno, come se avesse appena perso il
pezzo di un
puzzle che era completo. Anzi, come se si fosse appena accorto che al
suo
puzzle apparentemente completo era sempre mancato un pezzo.
“Tarjei?”
La voce di
Marlon lo tirò brutalmente fuori dal limbo di pensieri in
cui si era
momentaneamente rinchiuso, alla ricerca di ciò che gli aveva
fatto rendere
conto del vuoto al centro del suo petto. In realtà,
più che aver perso
qualcosa, Tarjei pensava che il vuoto si era formato per far spazio a
qualcosa
di nuovo, e adesso era lì e aspettava che quel qualcosa
tornasse per colmarlo
nuovamente.
Doveva avere uno
sguardo davvero allarmante, perché le chiacchiere attorno al
tavolo andarono
man mano affievolendosi fino a quando tutti gli occhi furono puntati su
di lui,
tutti, chi più chi meno, preoccupati e curiosi.
“Tarjei?”
“Oh, ehm
… sì?”
“Che hai
amico?”
“Io
… sono
stanco, sì, non ho dormito molto stanotte.”
David non
sembrò
molto convinto della risposta del suo amico, ma fortunatamente Iman
distolse l’attenzione
da lui. Almeno così pensò per una frazione di
secondo, prima di ucciderla
mentalmente in almeno dieci modi diversi.
“Carino
quell’Henrik,
eh?”
Tarjei la
fulminò con gli occhi ma lei ricambiò con un
ghigno eloquente, e il ragazzo
vacillò.
“Carino?
Quel ragazzo
è praticamente un modello di ventun’anni, persino
bello è riduttivo.”
Tutti annuirono
alle parole di Josephine, e Tarjei si morse l’interno della
guancia per impedire
a sé stesso di vomitare tutte le parole che gli erano venute
in mente quando
aveva visto il ragazzo quella mattina; in confronto a quelle, qualsiasi
cosa
sarebbe stata riduttiva.
“Sono
l’unico
che avrebbe voluto scomparire quando Julie ha fatto avvicinare
Tarjei?”
Il diretto
interessato guardò Sasha con un sopracciglio alzato mentre
gli altri si
esprimevano in versi di approvazione. Il ragazzo di colore fece
spallucce.
“Scusami
amico,
ma mi sembrava di essere … non so, nel bel mezzo di un
momento privato, tipo
quando vedi una coppia baciarsi sul tram.”
“Esatto,
la
chimica fra voi era qualcosa di assurdo, e quando vi siete toccati
è stato …”
Ulrikke si
guardò in torno, alla ricerca di qualcuno che le suggerisse la
parola giusta, e
improvvisamente David schioccò le dita.
“Click! L’ultimo pezzo del
puzzle che va
al suo posto.”
L’ultimo
pezzo del puzzle che va al suo
posto.
Tarjei, che non
aveva fatto altro che arrossire sempre di più,
spalancò gli occhi e tutto l’ossigeno
contenuto nei suoi polmoni sembrò abbandonarlo, come se
avesse appena ricevuto
un pugno nello stomaco. L’ultimo
pezzo
del puzzle che va al suo posto.
Tuttavia,
nessuno sembrò accorgersi di lui, tutti troppo impegnati a
sussurrare eccitati
alla vista di qualcuno che era appena entrato nel bar. Lisa gli
picchiettò sul
braccio e riprese fiato, solo per perderlo l’attimo stesso in
cui si voltò.
Henrik, cappotto
ancora addosso e sorriso disarmante, stava parlando con la ragazza al
bancone.
Lei prima spalancò la bocca, poi sorrise e gli fece segno di
raggiungerla dall’altra
parte, dove gli buttò le braccia al collo in un abbraccio, e
Tarjei ignorò il motivo
del senso di fastidio che provava all’altezza dello stomaco.
Quando la ragazza
si decise (finalmente) a mollarlo, un uomo che riconobbe come il
proprietario
emerse dalla cucina, scambiò un paio di parole con Henrik e
alla fine sorrise,
gli diede una pacca sulla spalla e tornò sul retro.
“Non ci ha
visto, sta per andarsene.”
Marlon
alzò un
braccio per farsi notare da Henrik, che si fermò a
metà strada verso la porta e
si aprì in un enorme sorriso nel vederli tutti insieme. Il
ragazzo si spogliò
del cappotto e Tarjei riprovò la stessa eccitazione mista ad
ansia di quella
mattina mentre lo vedeva avvicinarsi sempre di più.
“Ehi!”
“Ehi, che
ci fai
qui?”
“Mi sono
appena
licenziato.”
Il ragazzo rise
alle loro espressioni perplesse e prese una sedia libera dal tavolo
affianco,
sistemandosi esattamente accanto a Tarjei. Il ragazzo
deglutì, ma si rilassò
completamente quando Henrik cercò il suo sguardo e gli
sorrise, come per
salutarlo privatamente. Gli parve e gli piacque pensare che quel
sorriso fosse
diverso da quello che aveva offerto agli altri.
“Sei un
uomo libero,
quindi.”
“Nah,
credo di
essere bloccato con voi per un bel po’ di tempo da adesso in
poi.”
Quando le parole
furono totalmente comprese da tutti, il tavolo esplose in versi di
gioia,
complimenti e pacche sulle spalle, e le ragazze riuscirono anche a
togliersi lo
sfizio di abbracciarlo, anche sa da adesso in poi avrebbero avuto
moltissimo
tempo per includerlo nella loro “grande famiglia
arcobaleno”, come Carl l’aveva
rinominata.
Tarjei
rilasciò
del fiato che non sapeva di star trattenendo, e lo abbracciò
per ultimo,
nonostante fosse quello seduto più vicino, annegando nel suo
profumo e
respirandolo a pieni polmoni.
Click,
l’ultimo
pezzo del puzzle che va al suo posto.