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Autore: usotsuki_pierrot    28/03/2017    1 recensioni
Un brivido si impadronì del suo corpo, mentre il sangue le si raggelava nelle vene. Non aveva il coraggio di girarsi a guardare chi effettivamente avesse pronunciato in quel modo il suo nome, sebbene la sua mente avesse già elaborato fin troppo bene la risposta a quella domanda.
L'azzurrina rimase ancora immobile, tentando di mimetizzarsi il più possibile con il buio della casa, sfruttando il tessuto nero di cui era ricoperta dal mento in giù.
Lo sapeva che non sarebbe servito a niente, i suoi capelli lunghi e di quel colore così appariscente non l'avrebbero aiutata di certo, e il proprietario della voce "misteriosa" (che a dire la verità di misterioso aveva ben poco), aveva ormai già dato prova di averla riconosciuta.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
- Questa storia fa parte della serie 'Sabaku no Yami'
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PREMESSA
Era da giorni che volevo scrivere e terminare questa ff. E finalmente ci sono riuscita; credo di aver anche reso abbastanza bene l'idea che avevo in mente per questa scena che sinceramente mi sta molto a cuore. Finalmente posso scrivere di Yami nell'Akatsuki! Non ho nulla da dire per questo capitolo, in verità, se non che si svolge all'incirca pochi giorni prima dell'attacco a Suna da parte di Deidara e Sasori per recuperare Gaara e lo Shukaku.
Yami chiede di potersi recare al Villaggio in cui è nata e cresciuta fino ai sette anni per riprendere qualcosa che le appartiene, ma cosa sarà mai?
E chi sarà il misterioso ospite indesiderato che arriverà proprio nel momento meno opportuno?
Bene, spero che il capitolo vi piaccia e buona lettura!



Erano passati all’incirca quattro anni da quando la allora quasi tredicenne Yami aveva visto il Villaggio della Sabbia l'ultima volta. Le era mancata la sensazione morbida dei minuscoli granelli colorati di quel marroncino che la rilassava tanto, quando era più piccola. Il vento le scompigliava i lunghi capelli azzurri, che si disperdevano nell'aria. Il paesaggio monotono ma caratteristico circondava il Villaggio, nascosto nelle profondità del deserto, le cui barriere erette a sua protezione già iniziavano a fare la loro apparizione all'orizzonte, agli occhi verdi della ragazza.
“Ci siamo quasi”. Il ragazzo al suo fianco, ben più alto di lei, con la testa coperta dal copricapo tenuto da una mano, per evitare che volasse via con il vento, continuava a camminare mantenendo gli occhi, tinti di un rosso che certamente spiccava, fissi davanti a loro.
L'azzurrina annuì, senza dire nulla. Il suo passo si fece più lento e incerto man mano che i due si avvicinavano all'entrata del Villaggio.
Non ci volle molto affinché riuscissero a distrarre a sufficienza le guardie per entrare indisturbati e senza creare troppo scompiglio al suo interno; vennero subito accolti dalle decine e decine di case erette attorno a loro, che ospitavano gli abitanti di Suna, che vivevano le loro vite ignari del fatto che due forestieri totalmente inaspettati avevano fatto la loro apparizione.
Il ragazzo dai capelli neri alzò di poco la testa per poter osservare in tutta la sua tranquillità quell'ammasso di case totalmente diverse da quelle che era abituato a vedere, a Konoha. I suoi occhi così particolari sfioravano ogni costruzione, ogni abitazione e vicolo, ogni quartiere che i due attraversavano e superavano, mantenendo un profilo basso, silenzioso e furtivo.
Yami, al contrario, procedeva tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, l'espressione imperturbabile che non l'aveva abbandonata da quando erano partiti, le mani strette quasi a pugno, nascoste nelle lunghe maniche della divisa nera, le pupille che non accennavano a muoversi di un solo centimetro, per non posarsi su nulla che avesse a che fare con quel Villaggio, simbolo della sua infanzia.
Più volte Itachi aveva rivolto una lieve occhiata alla compagna, come per riposare lo sguardo dalla silenziosa ma accurata esplorazione tra i quartieri di Suna, e altrettante volte aveva osservato i capelli azzurri scostarsi a causa del vento che di tanto in tanto si alzava intorno a loro; era decisamente strano vedere Yami in quello stato, nonostante non fosse la prima volta, e il ragazzo pensò che in quel Villaggio dovessero essere nascosti ricordi e segreti che nessuno all'interno dell'Akatsuki aveva ancora conosciuto e scoperto.
Ma forse era proprio quello, il motivo per cui aveva deciso di accompagnarla lì, all'interno della sua infanzia, nel momento in cui proprio la ragazza chiese di poter recarsi a casa sua, nella sua prima casa, per recuperare un qualcosa che le sarebbe servito; o così aveva detto lei.
“Yami”.
“Mh?”. La ragazza rallentò il passo, rivolgendo per qualche istante lo sguardo al suo interlocutore; era rimasta sorpresa dal fatto che avesse iniziato a parlare, nonostante il suo tono di voce fosse estremamente basso, per non attirare l'attenzione e farsi scoprire.
“Non ci hai detto cosa stiamo cercando, esattamente”.
L'azzurrina tornò a guardare dritto davanti a sé, nascondendo parte del viso nel collo alto della divisa nera.
“La mia prima marionetta”. Quelle semplici parole attirarono l'attenzione di Itachi, che si corrucciò e rimase nuovamente in silenzio, facendo intendere alla ragazza che quella frase non era assolutamente sufficiente a soddisfare la sua curiosità; anzi, sembrò avere l'effetto opposto.
“La tua... cosa?”.
“Pensavi forse che Haru e Fuyu fossero i primi? Non ne avrò di certo costruite tante quante Sasori-sama, ma ho dovuto per forza avere un esempio da seguire per poter creare loro due, non credi?”.
Itachi non sembrò ancora pienamente soddisfatto, nonostante fosse appena riuscito ad ottenere quel minimo di informazione utile a capire cosa stessero cercando nel Villaggio. Non volle proseguire oltre con le domande, anche perché non era opportuno parlare nel bel mezzo delle strade di Suna, non essendosi nemmeno nascosti o camuffati. L'unica cosa che il ragazzo le chiese prima di arrivare effettivamente a destinazione, fu un sussurrato “e dove stiamo andando a recuperarla?".
All'azzurrina bastò proseguire per qualche passo ancora, prima di fermarsi davanti ad una delle tante case che li circondavano. Posò una mano sulla porta, aprendo bene il palmo sul legno, e si voltò completamente verso Itachi, che la raggiunse in poco tempo, mantenendo in ogni caso quella distanza che gli permise di alzare lo sguardo e osservare l'abitazione.
“Questa è... era casa mia”. La lieve pausa a metà della frase fu sufficiente a Itachi per capire che l'essere proprio lì, davanti a quell'edificio o addirittura in quel Villaggio, stava diventando difficile e faticoso per la ragazza. Ma la sua determinazione a voler arrivare fino a quel punto era fonte di una grande curiosità, che vagava nella mente del corvino, che non riusciva a comprendere fino in fondo cosa la stesse spingendo a continuare.
“Itachi”.
L'interpellato posò gli occhi su di lei, che ricambiò immediatamente lo sguardo; in quel momento, il ragazzo poté notare l'incertezza nelle sue pupille sparire per far posto ad una nuova energia. Sapeva cosa stava facendo e quello bastò per tranquillizzarlo sulla situazione.
“Potresti fermarti e rimanere qui fuori? Non entrare per nessun motivo, per favore...".
Il ninja annuì con un piccolo cenno del capo, ottenendo un lieve sorriso da parte dell'azzurrina che posò l'orecchio alla porta chiudendo gli occhi. Qualche istante dopo, evocò Fuyu, la gemella, e con un rapido movimento del braccio la alzò fino a farla giungere davanti alla finestra semiaperta del piano di sopra.
Dopodiché chiuse gli occhi concentrando tutta l'attenzione sui fili di chakra che partivano dalle sue dita, fino a connettersi completamente con la marionetta, che si trovava in quel momento all'interno della stanza.
Bastarono pochi istanti, affinché Yami potesse appropriarsi del campo visivo della marionetta, muovendo di poco le dita per farla avanzare e girare la testa.
A minuscoli passi, grazie ai delicati gesti delle dita della proprietaria, Fuyu arrivò in cima alle scale, punto da cui l'azzurrina poté vedere l'intero piano inferiore. Yami mosse il braccio, permettendo alla marionetta di scendere qualche gradino senza fare troppo rumore, e a quel punto la vide: l'unica presenza all'interno dell'abitazione era la donna che l'aveva cresciuta fino all'età di sette anni, sua madre. Dormiva, seduta su una sedia che non aveva l'aria di essere poi così confortevole, il viso lievemente contratto e le mani strette intorno ai braccioli in legno. Non sembrava che il suo sonno fosse tranquillo e ristoratore, anzi, tutto il contrario.
A quel punto, Yami sentì un peso posarsi sulla sua spalla e fu costretta a diminuire quel tanto il collegamento con Fuyu che le permise di ritornare totalmente all'interno del suo corpo; e quando aprì gli occhi, con le dita che ancora tenevano in piedi la marionetta, si voltò a guardare il ragazzo al suo fianco, che le rivolse un lieve cenno contrariato del capo.
“Basta così, Yami...”.
L'azzurrina sospirò, sussurrando un “d'accordo, ho capito”, mosse ancora le dita per qualche istante, tanto da far avvicinare di poco Fuyu alla finestra da cui era entrata, e la fece ritornare nella pergamena.
“Tsk...”. Una fitta, leggera e fastidiosa più che dolorosa, si impossessò del collo della marionettista, che si portò d'istinto un mano sulla porzione di pelle che aveva iniziato a pungere. Si morse il labbro, conoscendo perfettamente l'origine, la causa e la relativa conseguenza di quella sensazione e di quel dolore tanto lieve quanto pericoloso.
Itachi non disse nulla, rimanendo a guardarla con la mano ancora posata sulla sua spalla, mano che tolse solo nel momento in cui Yami si riprese completamente, tirando un nuovo e più potente sospiro, anche per calmare la pesantezza che si stava man mano accumulando all'altezza del petto, e posò le dita sulla maniglia della porta.
L'azzurrina non se lo aspettava, ma era effettivamente aperta. Non aveva visto nessun altro all'interno della casa, la madre dormiva e, nonostante non fosse preoccupata a tal punto per la donna, non riusciva a capire come potessero lasciare l'abitazione aperta a praticamente qualsiasi persona avesse voluto provare ad entrarvi. Così come stava facendo lei in quel preciso momento.
Impresse una leggera forza per poter aprire completamente la porta, senza far rumore, ed entrò a passi lenti, decisi e cauti. Di fronte a lei si presentò l'intero piano inferiore della casa, così come lo ricordava.
Il salotto era proprio di fronte ai suoi occhi, essendo la stanza connessa direttamente con la porta d'ingresso. Alla sua sinistra, in fondo, la cucina spiccava, seppur non interamente, visto il muro che la separava parzialmente dalla prima stanza. Accanto, le scale che portavano al piano di sopra, quello più arredato dell'edificio e in cui si trovavano le camere, il bagno, e le stanze che mancavano a quello sottostante.
La prima cosa che notò entrando fu, appunto, la madre che in fondo alla sala, seduta, continuava a dormire seppur non tranquillamente, come se non avesse sentito assolutamente nulla. Il che rappresentò un vantaggio non indifferente, dato che l'azzurrina avrebbe prima dovuto cercare per tutta la casa dove potesse esser stata posizionata la marionetta.
Nella sua mente iniziò ad elaborare pensieri il più logici possibili, così da capire senza dover setacciare ogni minimo angolo dell'edificio dove potesse essere finita; la madre non usava marionette, e nemmeno la sorellina Hikari, e nonostante non l'avesse vista da anni, la conosceva abbastanza da sapere bene che non avrebbe mai voluto diventare marionettista come lei.
In parte, quel pensiero la rassicurò: non era usata, in quel momento, dalla più piccola e quindi sicuramente l'avrebbe trovata in casa. La stessa Hikari, poi, non avrebbe mai permesso alla madre di buttarla, essendo uno dei pochi oggetti che ancora la collegava a lei.
Analizzando ogni singolo pensiero, e cercando di esplorare la casa con gli occhi, continuando a camminare lentamente e producendo il minor rumore possibile, l'azzurrina cominciò con calma la sua operazione di ricerca.
La marionetta che stava cercando era, per la precisione, all'incirca della sua altezza, aveva una forma umana, non era stata ultimata ed era sprovvista, perciò, di quei dettagli piccoli ma significativi che l'avrebbero resa davvero sua. Dopotutto, l'aveva costruita insieme al padre, ed essendo morto prima che potessero terminare la sua costruzione, era finita per esser buttata in un angolo remoto della casa e mai più utilizzata e ritoccata come lei stessa e l'uomo avrebbero voluto.
Sapeva cosa avrebbe dovuto fare e cosa sarebbe successo di lì a qualche giorno al Villaggio, e avrebbe preferito di gran lunga avere la fortuna di ritrovarla prima che potesse andare perduta. Non sapeva cosa Deidara avrebbe voluto e potuto fare, ed era consapevole che avrebbe dovuto mettere in conto anche la distruzione totale di Suna.
Analizzò ogni minuscolo angolo della sala, senza trovare assolutamente nulla, nemmeno pezzi sparsi precedentemente appartenuti alla marionetta o frammenti dei vestiti provvisori di cui l'avevano ricoperta, niente di niente.
Sconsolata, Yami tirò un sospiro di profonda rassegnazione, chiudendo gli occhi verdi che quasi brillavano nell'angolo buio in cui si era ritrovata lungo la ricerca.
E proprio nell'istante in cui posò la mano sulla ringhiera delle scale per poter salire al piano di sopra, dopo aver dato una rapida occhiata alle sue spalle per controllare che la madre stesse ancora dormendo, il rumore della porta che lentamente si apriva la colse totalmente impreparata.
Rimase qualche istante ferma sul posto, immobile, senza dire una parola. I pensieri le si accavallarono nella mente, ma in quella situazione quasi surreale, a Yami parve quasi che si fossero invece completamente volatilizzati.
Qualche istante dopo, sentì un passo. Evidentemente, chiunque avesse aperto la porta, stava lentamente entrando nell'edificio. L'azzurrina sospirò senza fare alcun rumore, dando per scontato, come per trovare un metodo per rassicurarsi e calmare la paura che aveva improvvisamente attanagliato il suo corpo, che sulla soglia ci fosse Itachi.
“Ya...mi..?”. Quella voce non era di sicuro di Itachi. Yami ne era certa. Un brivido si impadronì del suo corpo, mentre il sangue le si raggelava nelle vene. Non aveva il coraggio di girarsi a guardare chi effettivamente avesse pronunciato in quel modo il suo nome, sebbene la sua mente avesse già elaborato fin troppo bene la risposta a quella domanda.
L'azzurrina rimase ancora immobile, tentando di mimetizzarsi il più possibile con il buio della casa, sfruttando il tessuto nero di cui era ricoperta dal mento in giù.
Lo sapeva che non sarebbe servito a niente, i suoi capelli lunghi e di quel colore così appariscente non l'avrebbero aiutata di certo, e il proprietario della voce "misteriosa" (che a dire la verità di misterioso aveva ben poco), aveva ormai già dato prova di averla riconosciuta.
"Yami, sei... sei davvero tu..?". L'incertezza nel suo tono lo rendeva così fragile che la ragazza sentì una lieve fitta dentro di sé.
Seguiti da dei passi avvicinarsi a lei.
"Fermati".
Silenzio. Per alcuni istanti, non si udì altro se non il rumore del vento fuori dall'edificio.
L'azzurrina si voltò quel tanto da lasciar intravedere all'ospite indesiderato parte del suo viso, senza però guardarlo. Fu solo quando non percepì nessuna reazione e nessun movimento da parte sua che si decise a girarsi completamente verso di lui, chiudendo gli occhi verdi e tirando un profondo sospiro, per poi riaprirli e osservarlo.
"È da tanto che non ci si vede, Gaara...".
Gli occhi verdi si concessero qualche istante per posarsi con più tranquillità sul corpo dell'interlocutore.
I vestiti portati dal ragazzo, ma soprattutto il copricapo tipico accuratamente sistemato dietro la schiena, fecero intuire a Yami che molto probabilmente colui che aveva di fronte non era più il bambino che aveva sempre avuto al suo fianco da piccola, e tanto meno il ragazzino che aveva visto combattere durante l'esame da Chunin qualche anno prima.
Le pupille tornarono a fissare il suo volto, che ancora era segnato dalla sorpresa e dallo shock.
"O forse dovrei chiamarti Gaara-sama?".
Il rosso deglutì, senza fare rumore, e strinse lievemente i pugni, rimanendo immobile davanti a lei, teso.
"Yami, allora è tutto vero... Ti sei davvero unita all'Akatsuki...".
"Come puoi vedere, è così. Noto con dispiacere che la gente ancora non si sa fare i fatti propri, così come i bei vecchi tempi".
Ancora nulla. Il ragazzo stava lì, senza muovere un muscolo, senza dire una parola che potesse fornire una risposta esaustiva all'amica d'infanzia.
“Sei addirittura diventato Kazekage, eh? Non mi sorprende, ho sempre pensato che lo saresti stato, un giorno”.
Gli occhi verdi di lei si abbassarono di poco, come se stessero cedendo alla pressione. La voce si fece sempre più incerta e non presentava quella punta di superiorità e freddezza che aveva tentato di mostrare qualche minuto prima.
Non ottenendo ancora nessuna risposta sospirò, chiudendo gli occhi e girandosi per dare le spalle all'ospite.
“Scusa, ma non ho tempo per star qui a parlare, ho del lavoro da sbrigare e in fretta. Perciò-”.
Yami non fece in tempo a finire la frase. Si sentì tirare e si ritrovò con la schiena appoggiata al petto del ragazzo, che con entrambe le braccia le aveva intanto circondato le spalle per poterla stringere senza che potesse opporre resistenza, e aveva appoggiato la fronte alla sua spalla sinistra, nonostante la differenza d'altezza fosse notevole. Era cresciuto parecchio, superandola di una decina di centimetri - se non di più - sebbene fosse due anni più piccolo di lei, e per un istante a Yami sfuggì un lieve sorriso.
“Vieni qui per dare un'occhiata a quella donna, non è così..?”.
Il rosso annuì debolmente, sussurrandole un lieve “voglio sdebitarmi, per ciò che ho fatto...”. Yami deglutì senza fare troppo rumore.
“E Hikari? Hikari è qui, a Suna?”. Alla seconda risposta affermativa del ragazzo, l'azzurrina tirò un leggero sospiro, che conteneva tutta la preoccupazione che si creò dentro di lei al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere alla sorella.
Si concessero di rimanere in quello stato per qualche minuto in cui la ragazza prese a sfiorare i corti capelli rossi di Gaara, come non faceva da ormai dieci anni. Dopodiché, si staccò da quella posizione, non appena il contatto delle dita con il collo scoperto del Kage lo fece rilassare abbastanza da allentare la presa intorno a lei.
“Adesso basta... Mi sono trattenuta troppo qui dentro”.
“Yami...”. Il rosso fu abbastanza rapido da afferrarle il polso con una mano prima che la ragazza si allontanasse velocemente da lui.
L'avvicinò quanto più possibile a sé, tenendole il polso fermamente, e posò con delicatezza le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi.
La ragazza strabuzzò i suoi, non riuscendo ancora a capire cosa stesse succedendo. Il suo corpo rilasciò tutta la tensione che lo aveva impossessato fino a quel momento, rilassandosi al punto di appoggiarsi a quello del ninja. Quest'ultimo portò lentamente la mano dietro la testa di lei, infilando con delicatezza le dita all'interno dei lunghi capelli azzurri, chiedendole silenziosamente si avvicinarsi ancora di più.
Yami intanto posò i palmi sul petto del ragazzo, alzandosi in punta di piedi per poter imprimere più contatto contro le sue labbra, lasciando che man mano gli occhi verdi le si chiudessero, riempiendosi di lacrime.
Il braccio libero del Kage si avvolse successivamente intorno ai fianchi dell'azzurrina, che si stringeva maggiormente, lasciando che il petto aderisse completamente contro quello di lui e che piccole linee bagnate solcassero le sue guance, talmente rosse da rischiare di prendere fuoco da un momento all'altro.
La mano di Gaara si spostò lentamente dai suoi capelli per posarsi sulla sua guancia, asciugando con il pollice le lacrime che continuavano a scendere silenziosamente fino a raggiungere il mento per poi cadere sulla divisa nera marcata da nuvolette rosse.
Qualche istante più tardi, il rosso staccò lentamente le labbra dalle sue, rompendo quel magico contatto, mentre gli occhi di Yami si riaprivano di poco per guardare i suoi, ancora pieni di lacrime. Gaara si lasciò sfuggire un lieve sorriso, la mano che ancora le accarezzava la guancia per asciugare quella visibile traccia dell'umanità e della dolcezza che sperava e sapeva fosse ancora presente nell'anima dell'azzurrina.
La ragazza si accorse di quanto lo stesse fissando, e sussultò di poco, distogliendo lo sguardo. Il rosso, per tutta risposta, si abbassò lievemente, posando le labbra sull'altra sua guancia, lasciando che quelle lacrime salate le bagnassero.
“G-Gaara, devo andare adesso..!”.
“Perché non resti qui, con me..? Lascia stare quell'organizzazione, manchi a tutti qui, e a Konoha!”.
“Mi dispiace, ma io non...”.
In quel momento, un grido fece raggelare il sangue di entrambi, e si voltarono quasi nello stesso istante verso l'origine di quelle urla: la madre di Yami.
“Quindi quella vecchia si è svegliata...”, disse lei, tra i denti, stringendo i pugni alla vista della donna che la fissava con il terrore e l'odio dipinti sul volto, la bocca completamente aperta per poter urlare come se un demone si fosse appena impossessato di lei, gli occhi sbarrati, la mano allungata atta ad indicarla. Il rosso si avvicinò rapidamente a lei, posandole le mani sulle spalle, scuotendola lievemente e cercando, a parole, di calmarla e di farle capire che non c'era alcun pericolo.
A quel punto, Itachi si sporse dalla porta, avvicinandosi, quasi scosso da cosa stava accadendo; guardò Yami, che ricambiò subito lo sguardo intriso di rabbia e odio.
“A quanto pare avevi torto, Gaara-sama. Non sono molto desiderata qui, tolgo il disturbo”.
Il ninja si voltò per l'ultima volta verso di lei, facendo si che i loro occhi si incrociassero per qualche istante, prima che Yami si avvicinasse al corvino, con le guance ancora lievemente tinte di rosso e segnate dalle lacrime ormai asciutte. Non fece nemmeno in tempo a dire nulla, a donarle un ultimo saluto, un'ultima parola.

Si dileguarono.


"Yami".
"Mh".
"Chi era quella donna?".
"Quella che un tempo chiamavo madre, intendi? Oh, nessuno".
Itachi e Yami stavano camminando lungo il deserto, sulla strada del ritorno, a mani vuote ma con la mente intrisa e occupata da mille pensieri differenti.
Il corvino si voltò a guardare la ragazza che, camminando, teneva metà viso nascosto dall'alto colletto della divisa nera, un po' per proteggersi dal vento e dalla sabbia, un po' per nascondere i segni delle lacrime che poco prima le avevano bagnato e rigato le guance.
Dopo qualche attimo di silenzio, il più grande iniziò a parlare.
"È successo qualcosa, là dentro?".
"No, semplicemente non ho trovato quello che cercavo".
"C'entra quel ragazzo che è entrato in casa?".
Minuti interminabili di silenzio.
"Yami, lo conoscevi bene, non è così?".
"Probabilmente, non ricordo".
"Ti ha fatto qualcosa, vero?".
Una lieve e amara risatina incerta sfuggì dalle labbra della più piccola.
"Itachi-san, dovresti smetterla di sapere sempre cosa dire".
"Non saprò molte cose su di te ma ormai la nostra Yami la conosco bene".
Dopo qualche istante in cui il silenzio tra i due la fece di nuovo da padrone in mezzo al rumore fastidioso del vento, il ninja sospirò lievemente e con lo sguardo rivolto all'orizzonte, verso la loro meta, pronunciò nel suo solito tono quasi solenne:
"Lo sai, che dovrai lasciarti sfuggire il passato dalle mani, Yami. Se non te lo lasci alle spalle non smetterà mai di torturarti".
L'azzurrina non spostò di un millimetro lo sguardo, ma si limitò a lasciar scorrere una piccola lacrima su entrambe le guance, che venne subito trasportata lontano dal vento.
"Itachi-san, sbaglio o sei la prima persona che fa fatica a dimenticare il suo passato?".

   
 
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