Perché sono
ancora qui, dopo aver
promesso infinite volte a me stessa che me ne sarei andata in
fretta?
Perché sono
ancora qui a guardare
le mie unghie scheggiarsi a furia di
picchiare
contro un muro?
Perché sono
ancora qui a
scorticarmi le parole dalla gola per il disperato bisogno di dar loro
forma?
Per il
bisogno di sapere che una forma ce l’ha, questo qualcosa che sento nel petto,
che mi annulla corrodendomi le ossa e consumandomi
dall’interno.
E non me l’hanno detto perché sono ancora qui a scrivere e
sbagliare parole, a mescolarle senza dire nulla per il puro diletto di sentirle
infuocate sulla mia pelle.
Magari non hanno neanche un
senso, magari sono solo scherzi giocati dalle mie sensazioni troppo morte, fatto
sta che mi divertivo a vestire la mia invisibilità di colori cangianti per
giocare a vederla e non ignorarla.
Non me l’hanno ancora
detto, il perché, intendo, e so che
non lo diranno mai, eppure ho il sangue così sporco ed annacquato che neanche
vederlo sciogliersi alleviava il dolore. Che nemmeno tirarmelo fuori mi faceva
sentire leggera, così che alla fine ho dovuto urlare.
Non con la lingua, ma con
la mano.
Non con i suoni, ma con
l’inchiostro.
E ho dovuto intrappolare
quell’urlo su un foglio di carta, senza che m’importasse del come e del quando.
Senza che m’importasse e basta, solo perché uscisse e non continuasse ad
uccidermi da dentro.
Mi mangiavo il dolore per
nasconderlo a quegli occhi [i miei, forse] sciolti e stanchi; a quegli occhi [i
tuoi] chiusi anche se aperti. Ciechi.
Non mi volevi vedere e non
mi facevo vedere.
Non ti volevo parlare e non
volevi che ti parlassi.
Allora tessevamo parole di
musica e le soffiavamo via; le perdevo e non mi rimaneva nulla da stringere tra
le mani, che non fossero unghie scheggiate o rimorsi
liquidi.
Per questo sono ancora qui. Per questo non me l’ha detto
nessuno.
Perché abbracciandoti io
sento solo odio.
Perché attraverso i miei
occhi si vede solo buio.