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Autore: nymeria214    31/03/2017    2 recensioni
[Tarjei/Henrik]
Lo dicevano tutti che loro due sembravano troppo reali, che chiunque li guardasse non riuscisse a distinguere la finzione dalla realtà, che i baci che si scambiavano, le carezze, gli sguardi, i sentimenti non si possono fingere in quel modo, che non potevano essere di scena.
Avevano tutti ragione.
[titolo tratto da FOOLS - Troye Sivan]
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My bedsheets smell like you

 

Guardare Tarjei dormire era come avere a disposizione il tesoro più prezioso del mondo e avere paura di toccarlo, di rovinarlo, di romperlo.

I suoi capelli sparsi sul cuscino come fili d’oro che brillano anche al buio, le ombre sulle sue guance create dalle lunghe ciglia come petali di un fiore di cristallo, i nei sulla pelle bianca come indicazioni su cui posare i baci più delicati. Durante il sonno il suo corpo si era raggomitolato su se stesso, facendolo sembrare piccolo e fragile, esattamente come lo vedeva Henrik: sin dal primo momento non aveva fatto altro che desiderare di poterlo proteggere, ma adesso aveva paura che anche lui gli avrebbe fatto del male, e non avrebbe potuto sopportarlo.

Rimase a guardarlo fino a quando il sole non fu scomparso dietro i palazzi di Oslo, trattenendo il respiro ad ogni suo sospiro e sorridendo ad ogni piccola smorfia, quasi tremando nel scostargli i capelli dalla fronte ed evitando di toccarlo in qualsiasi altro modo, non sapendo se ne aveva il permesso o meno. Molto dopo che la luce del sole aveva abbandonato la stanza e l’erba aveva smesso di fare effetto, lasciando spazio alla fame chimica che ne conseguiva, si era alzato il più lentamente possibile per evitare di svegliarlo, gli aveva posato una coperta addosso ed era uscito dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.

Il frigo era vuoto e il suo stomaco si esibì in un gemito di protesta. Quando avrebbe imparato a fare la spesa prima di ritrovarsi senza cibo? Afferrò il telefono per ordinare del cibo da asporto, ma il sangue gli si rigelò nelle vene.

Chiamate perse (5) da Mamma

Pregò che a rispondergli fosse la segreteria telefonica.

Henrik!”

Ovviamente.

“Ma-

“Si può sapere che fine avevi fatto?!”

“Lasciami spiega-

“Dovevi essere a casa due ore fa!”

Cazzo, il compleanno di suo zio. Lanciò un’occhiata all’orologio del microonde: le 22.

“Spero che tu abbia una spiegazione valida!”

Henrik si passò una mano fra i capelli e sul viso, guardandosi attorno come se la risposta fosse scritta sui muri. ‘Mi sono fatto con il mio nuovo partner e sono rimasto tre ore a guardarlo dormire come un maniaco’? Assolutamente no.

“Io … ehm … mi sono addormentato?”

La linea rimase mortalmente silenziosa per qualche secondo, dandogli il tempo di allontanare il telefono dall’orecchio in tempo per non rompersi un timpano a causa delle urla di sua madre. La sfuriata durò un paio di minuti, durante il quale Henrik fissava il telefono poggiato a debita distanza sul tavolo, camuffando le risate coprendosi la bocca con una mano. Alla fine, le urla cessarono e ancora titubante riavvicinò il cellulare all’orecchio.

“Mamma?”

“Non hai ascoltato nulla, non è così?”

Merda.

“Risposta sincera o risposta accomodante?”

Il sospiro di sua madre gli fece intendere che aveva ufficialmente finito, e che magari l’ironia era anche riuscita ad addolcire la pillola.

“Ho detto a tuo zio che avevi la febbre, domani chiamalo e chiedigli scusa. Intesi?”

“Sì, mamma.”

“Bene. Ora mi dici il vero motivo o devo tirarti fuori le parole di bocca?”

“… come hai fatto?”

“Conosco i miei polli.”

Questa volta si lasciò scappare un risata, valutando ciò che sarebbe stato meglio dirle e cosa no.

“Ho invitato Tarjei a cena.”

Silenzio.

“Mamma smettila, percepisco il tuo sorrisetto sornione da qui. Volevo conoscerlo meglio prima di iniziare le riprese, non è come pensi.”

“Io non penso niente.”

“Tu pensi anche troppo.”

“Portalo al ristorante uno di questi giorni, così mangerà qualcosa di meglio di una pizza surgelata.”

“Non abbiamo mangiato una pizza surgelata, io so cucinare benissimo.”

“Venite di mercoledì, c’è meno gente. Ciao tesoro, e ricordati di fare la spesa!”

Prima che avesse il tempo di dirle che era un po’ tardi per quello ormai, sua madre aveva chiuso la chiamata. Alzò gli occhi al cielo, pronto a mandare un messaggio di scuse a suo zio, quando sentì il rumore di una porta che si apriva, e pochi attimi dopo Tarjei apparve sulla soglia della cucina, capelli arruffati e una mano a stropicciarsi un occhio.

“Buongiorno.”

“Buonasera semmai.”

Tarjei gli rispose con un’alzata di spalle e gli si avvicinò con passo incerto fino a posare la fronte contro la sua spalla. Henrik sorrise: dopo ciò che si erano detti quello stesso pomeriggio, la fiducia che avevano dimostrato l’uno nei confronti dell’altro, sapeva che avevano raggiunto il passo successivo e un livello totalmente nuovo di confidenza, e non poteva fare a meno di sentirsi più rilassato e anche compiaciuto, ora che poteva essere sé stesso appieno con Tarjei.

“Sto morendo di fame.”

“Effetti collaterali, baby boy.”

Tarjei alzò il viso e gli sorrise, le guance che si tingevano di un rosso adorabile, per poi posare il mento sulla sua spalla e rivolgere lo sguardo al telefono su cui aveva già iniziato a cercare una pizzeria che facesse consegne a domicilio a quell’ora della sera.

“Pizza?”

“Sì, ti prego.”

-

Doveva essere la pizza più buona che avessero mai mangiato, o forse erano semplicemente troppo affamati. In ogni caso, i cartoni furono presto puliti fino all’ultima briciola, un film su Netflix fatto partire e con un po’ di fortuna riuscirono anche a trovare una vaschetta di gelato nel refrigeratore.

Henrik distolse lo sguardo dallo schermo per posarlo su Tarjei e incontrare i suoi occhi che già lo osservavano. Il ragazzo arrossì ed abbassò il viso: era almeno la terza volta che lo beccava da quando era iniziato il film e avevano abbandonato la vaschetta semivuota sul tavolino di fronte al divano. Henrik sorrise, sentendo l’ormai familiare sensazione di calore fargli venire la pelle d’oca, e gli sollevò il viso con una mano, pulendogli l’angolo delle labbra sporco di gelato al pistacchio e facendolo sorridere.

“Mia madre vuole che ti porti a cena al ristorante mercoledì.”

“Uh?”

Henrik annuì, abbassando il volume della tv ormai dimenticata.

“Credo che voglia sottoporti ad un interrogatorio e rimpinzarti di cibo. Ha questa malsana idea che io non sappia cucinare.”

“Per quanto ne so potrebbe avere ragione.”

“Si può sapere da che parte stai?”

“Da quella di chi cucina del cibo apposta per me e non ordina da asporto.”

“Non mi sembrava ti stessi lamentando mentre leccavi le briciole, e poi ti ho dato il gelato.”

Privo di argomentazioni, Tarjei alzò gli occhi al cielo e gli diede una spinta, facendolo ridere. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, mordendosi l’interno della guancia. Henrik corrugò le sopracciglia e gli sfiorò una guancia per invitarlo a parlare.

“Sarebbe strano se … venisse anche mia madre?”

Henrik sorrise, già immaginando quanto esilarante si sarebbe rivelata la serata nel mettere due mamme una accanto all’altra, e stava per rispondere che no, non c’era nessun problema, quando Tarjei riprese a parlare.

“L’ho sentita prima, quando mi sono svegliato c’era qualcosa come un migliaio di chiamate perse, e quando le ho detto dov’ero e perché non ero tornato a casa ha immediatamente smesso di urlarmi contro” sorrise al pensiero, tornando a guardarlo, “credo che ti adori senza averti mai nemmeno incontrato. Fatto sta che voleva che ti invitassi a cena-

“-mercoledì.”

Tarjei annuì e si sorrisero.

“Non è affatto strano, Tarjei. Anzi, penso che preoccuparsi di conoscere i colleghi di suo figlio faccia di lei una madre fantastica. Se poi suo figlio è ancora un bambino …”

Henrik rise, schivando il cuscino che Tarjei aveva puntato direttamente contro il suo viso.

Più tardi quella notte, dopo che ebbero deciso di comune accordo che nessuno dei due avrebbe dormito sul divano (“Ti ho detto che tu sei l’ospite, non posso farti dormire sul divano.” “E io ti ho detto che sei troppo alto per dormirci, non ci stai nemmeno raggomitolato là sopra.”) e il respiro di Tarjei si era fatto pesante, Henrik si addormentò con il sorriso al pensiero che le lenzuola non avrebbero avuto solo il suo odore.

Nei giorni successivi pensò che non aveva mai dormito così bene, quando il calore di Tarjei accanto a lui mancava, ma il fantasma del suo profumo impregnava l’intera stanza.

-

Il sorriso che sua madre aveva indossato insieme al suo vestito preferito quella sera lo inquietava.

“Mamma.”

Martha distolse brevemente gli occhi dalla strada e gli lanciò uno sguardo curioso.

“Promettimi che non mi metterai in imbarazzo.”

“Ti ho mai messo in imbarazzo?”

“Mamma.”

“Tarjei.”

Il ragazzo sbuffò, appoggiando la fronte contro il vetro freddo del finestrino: non era nervoso, o ansioso, alla fine non sarebbe potuto accadere nulla di tragico, ma il solo pensiero che sua madre potesse sfoderare le sue storie peggiori di quando era bambino e si rifiutava di tagliarsi i capelli lo faceva rabbrividire.

“Non devi essere preoccupato.”

“Non sono preoccupato.”

“Beneamata testardaggine.”

Si lasciò scappare una risata e si riaggiustò sul sedile.

“L’ho presa da papà.”

“Oh sì, io non c’entro assolutamente nulla, né con quello né con i capelli biondi e gli occhi verdi.”

“No, ma è tuo tutto ciò che ho di buono.”

Sorrise quando sua madre lo guardò dolcemente e gli accarezzò il viso, e seppe che non lo avrebbe messo in imbarazzo, che non avrebbe mai permesso che il suo bambino si sentisse a disagio.

Dieci minuti dopo, entrarono nell’Ett Bord: entrare nel ristorante dava la stessa sensazione di tornare a casa dopo una giornata di lavoro estenuante e trovare la cena già pronta e qualcuno con cui parlare. Il grande tavolo era vuoto, ad eccezione di una coppia di giovani che si tenevano la mano sopra la tovaglia e un gruppo di quattro persone che chiacchieravano amabilmente fra loro, e in pochi secondi i camerieri li sorrisero e li indicarono dove appendere i cappotti. Mentre era di spalle sentì sua madre chiamare il suo nome con aria sognate, e una mano gli sfiorò la vita; sorrise nel riconoscere a chi apparteneva.

Henrik gli posò un bacio sulla guancia, solleticandogli la tempia con il solito capello fuoriposto alla ‘blonde Elvis’, e accogliendolo con un sorriso dopo averlo fatto voltare. Tarjei sentì di stare per sciogliersi: indossava una camicia, le maniche arrotolate ai gomiti e un orologio al polso sinistro, e sembrava più grande e bello di come lo aveva mai visto. Sembrava, era un uomo.

“Ehi.”

“Ehi.”

Arrossì quando Henrik lo guardò da capo a piedi, sentendosi ridicolo nel suo tentativo di indossare qualcosa di meglio che i suoi soliti vestiti tutt’altro che coordinati, ma Henrik gli fece un occhiolino (ci provò almeno) e poi rivolse l’attenzione e un sorriso a sua madre, offrendole la mano e baciando il dorso della sua quando lei la strinse.

“Piacere di conoscerla, io sono Henrik.”

Martha sbatté un paio di volte le ciglia prima di rispondere che il piacere era totalmente suo, e Tarjei si chiese se il ragazzo si stufasse mai di avere sempre lo stesso effetto sulle persone. In quell’istante una donna dai capelli biondi si avvicinò a loro, e Tarjei fu certo che fosse la mamma di Henrik: stesso sorriso, e come scoprì poco dopo, stessi modi gentili e accoglienti.

Il cibo era il più buono che avesse mangiato nell’ultimo periodo, Siv la donna più simpatica di sempre e in poco tempo lei e Martha avevano iniziato a comportarsi come se si conoscessero da anni. Nel notare quanto andassero d’accordo, Tarjei si sporse verso Henrik, che seduto di fronte a lui le osservava sorridendo.

“Anche a te sembra di essere il terzo incomodo?”

Henrik distolse lo sguardo dalle due donne e rise alle sue parole, avvicinandosi a sua volta.

“Sì, ancora un po’ e si scambieranno i braccialetti dell’amicizia fatti a maglia.”

Risero entrambi, attirando gli sguardi eloquenti di entrambe. Immediatamente, il soggetto principale dell’intera conversazione divennero loro due, e cioè il motivo principale per cui si trovavano lì in origine: parlarono dell’audizione, del talento di Tarjei nelle precedenti stagioni, della decisione di Henrik di presentarsi alle audizioni nonostante il limite d’età, e Tarjei non poté fare a meno di arrossire quando sottolinearono in quanto poco tempo lui ed Henrik avessero stretto amicizia. Fra le due, Martha era quella più curiosa di conoscere … tutto, letteralmente.

“Allora Henrik, Julie ti ha già sottoposto al suo temuto interrogatorio?”

“Oh sì, tre secondi sotto il suo sguardo indagatore e sono crollato, credo di non aver mai scoperto le mie carte tanto velocemente con nessuno.”

Henrik gli lanciò un’occhiata, completa di un’alzata di sopracciglia, e Tarjei nascose un sorrisetto abbassando il viso: con nessuno tranne lui, ma l’avrebbero tenuto per loro, come il ricordo di quel pomeriggio dal sapore di un sogno.

“Cosa dobbiamo aspettarci da Even, quindi?”

“Extra.”

Extra?”

Martha lo guardò divertita e confusa e Siv scoppiò a ridere, tirando fuori il cellulare.

“Oh Martha, mio figlio è la persona più eccentrica che avrai mai il piacere di incontrare, non mi stupirebbe se il suo personaggio fosse ancora più imprevedibile e plateale di come le produttrici lo avevano immaginato.”

Mentre parlava, le aveva posato il telefono di fronte, e lo sguardo confuso di sua madre si riempì di tenerezza, e l’attimo dopo Tarjei si ritrovò a sorridere come un ebete all’immagine più adorabile che avesse mai visto: Henrik da bambino, viso sporco dalla punta del naso in giù, con un vestito e un paio di scarpe rosse, rigorosamente da bambina.

“Mamma!”

Tarjei rimase senza parole: Henrik era arrossito. Aveva gli zigomi rossi e un sorriso imbarazzato, una mano a sorreggergli la testa e coprire il viso contemporaneamente. Quando incontrò il suo sguardo, arrossì ancora di più.

“Non ci posso credere.”

“Non una parola Tarjei!”

“Tu sei arrossito. Non ci posso credere.”

Henrik roteò gli occhi e gli sfilò il telefono di mano.

“Tu lo fai costantemente, non mi sembra che io ne abbia mai fatto un dramma.”

“Perché tu ti diverti a farmi arrossire!”

 Il ragazzo alzò un angolo della bocca e, intuendo le sue intenzioni, Tarjei spalancò gli occhi.

“Hai ragione, soprattutto quando ti chiamo ba-

Tarjei si alzò di scatto e gli coprì la bocca con una mano, sentendo le sue labbra distendersi in un sorriso sotto il suo palmo. Siv e Martha li guardarono allibite, per poi scoppiare in una fragorosa risata, e anche le sue guance diventarono color porpora.

Alla fine della cena, quando gli altri clienti se n’erano già andati e l’orario di chiusura era arrivato, Tarjei abbracciò Henrik, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e sorridendo quando il ragazzo lo strinse a sé, quasi avvolgendolo con il suo corpo.

“Quando ero piccolo, non volevo che mi tagliassero i capelli e li portavo lunghi, come le bambine della mia classe.”

Henrik sorrise fra i suoi capelli, e le braccia attorno alla sua vita lo strinsero di più.

   
 
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