My bedsheets
smell like you
Guardare Tarjei
dormire era come avere a disposizione il tesoro più prezioso
del mondo e avere
paura di toccarlo, di rovinarlo, di romperlo.
I suoi capelli
sparsi sul cuscino come fili d’oro che brillano anche al
buio, le ombre sulle
sue guance create dalle lunghe ciglia come petali di un fiore di
cristallo, i
nei sulla pelle bianca come indicazioni su cui posare i baci
più delicati.
Durante il sonno il suo corpo si era raggomitolato su se stesso,
facendolo
sembrare piccolo e fragile, esattamente come lo vedeva Henrik: sin dal
primo
momento non aveva fatto altro che desiderare di poterlo proteggere, ma
adesso
aveva paura che anche lui gli avrebbe fatto del male, e non avrebbe
potuto
sopportarlo.
Rimase a
guardarlo fino a quando il sole non fu scomparso dietro i palazzi di
Oslo,
trattenendo il respiro ad ogni suo sospiro e sorridendo ad ogni piccola
smorfia, quasi tremando nel scostargli i capelli dalla fronte ed
evitando di
toccarlo in qualsiasi altro modo, non sapendo se ne aveva il permesso o
meno. Molto
dopo che la luce del sole aveva abbandonato la stanza e
l’erba aveva smesso di
fare effetto, lasciando spazio alla fame chimica che ne conseguiva, si
era
alzato il più lentamente possibile per evitare di
svegliarlo, gli aveva posato
una coperta addosso ed era uscito dalla camera chiudendosi la porta
alle
spalle.
Il frigo era vuoto
e il suo stomaco si esibì in un gemito di protesta. Quando
avrebbe imparato a
fare la spesa prima di ritrovarsi senza cibo? Afferrò il
telefono per ordinare
del cibo da asporto, ma il sangue gli si rigelò nelle vene.
Chiamate
perse (5) da Mamma
Pregò che
a
rispondergli fosse la segreteria telefonica.
“Henrik!”
Ovviamente.
“Ma-
“Si
può sapere
che fine avevi fatto?!”
“Lasciami
spiega-
“Dovevi
essere a
casa due ore fa!”
Cazzo, il
compleanno di suo zio. Lanciò un’occhiata
all’orologio del microonde: le 22.
“Spero che
tu
abbia una spiegazione valida!”
Henrik si
passò
una mano fra i capelli e sul viso, guardandosi attorno come se la
risposta
fosse scritta sui muri. ‘Mi sono fatto con il mio nuovo
partner e sono rimasto
tre ore a guardarlo dormire come un maniaco’? Assolutamente
no.
“Io
… ehm … mi
sono addormentato?”
La linea rimase
mortalmente silenziosa per qualche secondo, dandogli il tempo di
allontanare il
telefono dall’orecchio in tempo per non rompersi un timpano a
causa delle urla
di sua madre. La sfuriata durò un paio di minuti, durante il
quale Henrik
fissava il telefono poggiato a debita distanza sul tavolo, camuffando
le risate
coprendosi la bocca con una mano. Alla fine, le urla cessarono e ancora
titubante riavvicinò il cellulare all’orecchio.
“Mamma?”
“Non hai
ascoltato nulla, non è così?”
Merda.
“Risposta
sincera o risposta accomodante?”
Il sospiro di
sua madre gli fece intendere che aveva ufficialmente finito, e che
magari
l’ironia era anche riuscita ad addolcire la pillola.
“Ho detto
a tuo
zio che avevi la febbre, domani chiamalo e chiedigli scusa.
Intesi?”
“Sì,
mamma.”
“Bene. Ora
mi
dici il vero motivo o devo tirarti fuori le parole di bocca?”
“…
come hai
fatto?”
“Conosco i
miei
polli.”
Questa volta si
lasciò scappare un risata, valutando ciò che
sarebbe stato meglio dirle e cosa
no.
“Ho
invitato
Tarjei a cena.”
Silenzio.
“Mamma
smettila,
percepisco il tuo sorrisetto sornione da qui. Volevo conoscerlo meglio
prima di
iniziare le riprese, non è come pensi.”
“Io non
penso
niente.”
“Tu pensi
anche troppo.”
“Portalo
al
ristorante uno di questi giorni, così mangerà
qualcosa di meglio di una pizza
surgelata.”
“Non
abbiamo
mangiato una pizza surgelata, io so cucinare benissimo.”
“Venite di
mercoledì, c’è meno gente. Ciao tesoro,
e ricordati di fare la spesa!”
Prima che avesse
il tempo di dirle che era un po’ tardi per quello ormai, sua
madre aveva chiuso
la chiamata. Alzò gli occhi al cielo, pronto a mandare un
messaggio di scuse a
suo zio, quando sentì il rumore di una porta che si apriva,
e pochi attimi dopo
Tarjei apparve sulla soglia della cucina, capelli arruffati e una mano
a
stropicciarsi un occhio.
“Buongiorno.”
“Buonasera
semmai.”
Tarjei gli
rispose con un’alzata di spalle e gli si avvicinò
con passo incerto fino a
posare la fronte contro la sua spalla. Henrik sorrise: dopo
ciò che si erano
detti quello stesso pomeriggio, la fiducia che avevano dimostrato
l’uno nei
confronti dell’altro, sapeva che avevano raggiunto il passo
successivo e un
livello totalmente nuovo di confidenza, e non poteva fare a meno di
sentirsi
più rilassato e anche compiaciuto, ora che poteva essere
sé stesso appieno con
Tarjei.
“Sto
morendo di
fame.”
“Effetti
collaterali, baby boy.”
Tarjei
alzò il
viso e gli sorrise, le guance che si tingevano di un rosso adorabile,
per poi posare
il mento sulla sua spalla e rivolgere lo sguardo al telefono su cui
aveva già
iniziato a cercare una pizzeria che facesse consegne a domicilio a
quell’ora
della sera.
“Pizza?”
“Sì,
ti prego.”
-
Doveva essere la
pizza più buona che avessero mai mangiato, o forse erano
semplicemente troppo
affamati. In ogni caso, i cartoni furono presto puliti fino
all’ultima briciola,
un film su Netflix fatto partire e con un po’ di fortuna
riuscirono anche a
trovare una vaschetta di gelato nel refrigeratore.
Henrik distolse
lo sguardo dallo schermo per posarlo su Tarjei e incontrare i suoi
occhi che
già lo osservavano. Il ragazzo arrossì ed
abbassò il viso: era almeno la terza
volta che lo beccava da quando era iniziato il film e avevano
abbandonato la
vaschetta semivuota sul tavolino di fronte al divano. Henrik sorrise,
sentendo
l’ormai familiare sensazione di calore fargli venire la pelle
d’oca, e gli
sollevò il viso con una mano, pulendogli l’angolo
delle labbra sporco di gelato
al pistacchio e facendolo sorridere.
“Mia madre
vuole
che ti porti a cena al ristorante mercoledì.”
“Uh?”
Henrik
annuì,
abbassando il volume della tv ormai dimenticata.
“Credo che
voglia sottoporti ad un interrogatorio e rimpinzarti di cibo. Ha questa
malsana
idea che io non sappia cucinare.”
“Per
quanto ne
so potrebbe avere ragione.”
“Si
può sapere
da che parte stai?”
“Da quella
di
chi cucina del cibo apposta per me e non ordina da asporto.”
“Non mi
sembrava
ti stessi lamentando mentre leccavi le briciole, e poi ti ho dato il
gelato.”
Privo di
argomentazioni, Tarjei alzò gli occhi al cielo e gli diede
una spinta,
facendolo ridere. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la
richiuse subito dopo,
mordendosi l’interno della guancia. Henrik corrugò
le sopracciglia e gli sfiorò
una guancia per invitarlo a parlare.
“Sarebbe
strano
se … venisse anche mia madre?”
Henrik sorrise,
già immaginando quanto esilarante si sarebbe rivelata la
serata nel mettere due
mamme una accanto all’altra, e stava per rispondere che no,
non c’era nessun
problema, quando Tarjei riprese a parlare.
“L’ho
sentita
prima, quando mi sono svegliato c’era qualcosa come un
migliaio di chiamate
perse, e quando le ho detto dov’ero e perché non
ero tornato a casa ha
immediatamente smesso di urlarmi contro” sorrise al pensiero,
tornando a guardarlo,
“credo che ti adori senza averti mai nemmeno incontrato.
Fatto sta che voleva
che ti invitassi a cena-
“-mercoledì.”
Tarjei
annuì e
si sorrisero.
“Non
è affatto
strano, Tarjei. Anzi, penso che preoccuparsi di conoscere i colleghi di
suo
figlio faccia di lei una madre fantastica. Se poi suo figlio
è ancora un
bambino …”
Henrik rise,
schivando il cuscino che Tarjei aveva puntato direttamente contro il
suo viso.
Più tardi
quella
notte, dopo che ebbero deciso di comune accordo che nessuno dei due
avrebbe
dormito sul divano (“Ti ho detto che tu sei
l’ospite, non posso farti dormire
sul divano.” “E io ti ho detto che sei troppo alto
per dormirci, non ci stai
nemmeno raggomitolato là sopra.”) e il respiro di
Tarjei si era fatto pesante,
Henrik si addormentò con il sorriso al pensiero che le
lenzuola non avrebbero
avuto solo il suo odore.
Nei giorni
successivi pensò che non aveva mai dormito così
bene, quando il calore di
Tarjei accanto a lui mancava, ma il fantasma del suo profumo impregnava
l’intera stanza.
-
Il sorriso che
sua madre aveva indossato insieme al suo vestito preferito quella sera
lo
inquietava.
“Mamma.”
Martha distolse
brevemente gli occhi dalla strada e gli lanciò uno sguardo
curioso.
“Promettimi
che
non mi metterai in imbarazzo.”
“Ti ho mai
messo
in imbarazzo?”
“Mamma.”
“Tarjei.”
Il ragazzo
sbuffò, appoggiando la fronte contro il vetro freddo del
finestrino: non era
nervoso, o ansioso, alla fine non sarebbe potuto accadere nulla di
tragico, ma
il solo pensiero che sua madre potesse sfoderare le sue storie peggiori
di
quando era bambino e si rifiutava di tagliarsi i capelli lo faceva
rabbrividire.
“Non devi
essere
preoccupato.”
“Non sono
preoccupato.”
“Beneamata
testardaggine.”
Si lasciò
scappare una risata e si riaggiustò sul sedile.
“L’ho
presa da
papà.”
“Oh
sì, io non
c’entro assolutamente nulla, né con quello
né con i capelli biondi e gli occhi
verdi.”
“No, ma
è tuo
tutto ciò che ho di buono.”
Sorrise quando
sua madre lo guardò dolcemente e gli accarezzò il
viso, e seppe che non lo
avrebbe messo in imbarazzo, che non avrebbe mai permesso che il suo
bambino si
sentisse a disagio.
Dieci minuti
dopo, entrarono nell’Ett Bord: entrare nel ristorante dava la
stessa sensazione
di tornare a casa dopo una giornata di lavoro estenuante e trovare la
cena già
pronta e qualcuno con cui parlare. Il grande tavolo era vuoto, ad
eccezione di
una coppia di giovani che si tenevano la mano sopra la tovaglia e un
gruppo di
quattro persone che chiacchieravano amabilmente fra loro, e in pochi
secondi i
camerieri li sorrisero e li indicarono dove appendere i cappotti.
Mentre era di
spalle sentì sua madre chiamare il suo nome con aria
sognate, e una mano gli
sfiorò la vita; sorrise nel riconoscere a chi apparteneva.
Henrik gli
posò
un bacio sulla guancia, solleticandogli la tempia con il solito capello
fuoriposto alla ‘blonde Elvis’, e accogliendolo con
un sorriso dopo averlo
fatto voltare. Tarjei sentì di stare per sciogliersi:
indossava una camicia, le
maniche arrotolate ai gomiti e un orologio al polso sinistro, e
sembrava più
grande e bello di come lo aveva mai visto. Sembrava, era un uomo.
“Ehi.”
“Ehi.”
Arrossì
quando
Henrik lo guardò da capo a piedi, sentendosi ridicolo nel
suo tentativo di
indossare qualcosa di meglio che i suoi soliti vestiti
tutt’altro che coordinati,
ma Henrik gli fece un occhiolino (ci provò almeno) e poi
rivolse l’attenzione e
un sorriso a sua madre, offrendole la mano e baciando il dorso della
sua quando
lei la strinse.
“Piacere
di
conoscerla, io sono Henrik.”
Martha
sbatté un
paio di volte le ciglia prima di rispondere che il piacere era
totalmente suo,
e Tarjei si chiese se il ragazzo si stufasse mai di avere sempre lo
stesso
effetto sulle persone. In quell’istante una donna dai capelli
biondi si
avvicinò a loro, e Tarjei fu certo che fosse la mamma di
Henrik: stesso
sorriso, e come scoprì poco dopo, stessi modi gentili e
accoglienti.
Il cibo era il
più buono che avesse mangiato nell’ultimo periodo,
Siv la donna più simpatica
di sempre e in poco tempo lei e Martha avevano iniziato a comportarsi
come se
si conoscessero da anni. Nel notare quanto andassero
d’accordo, Tarjei si
sporse verso Henrik, che seduto di fronte a lui le osservava sorridendo.
“Anche a
te
sembra di essere il terzo incomodo?”
Henrik distolse
lo sguardo dalle due donne e rise alle sue parole, avvicinandosi a sua
volta.
“Sì,
ancora un
po’ e si scambieranno i braccialetti dell’amicizia
fatti a maglia.”
Risero entrambi,
attirando gli sguardi eloquenti di entrambe. Immediatamente, il
soggetto
principale dell’intera conversazione divennero loro due, e
cioè il motivo
principale per cui si trovavano lì in origine: parlarono
dell’audizione, del
talento di Tarjei nelle precedenti stagioni, della decisione di Henrik
di
presentarsi alle audizioni nonostante il limite
d’età, e Tarjei non poté fare a
meno di arrossire quando sottolinearono in quanto poco tempo lui ed
Henrik
avessero stretto amicizia. Fra le
due, Martha era quella più curiosa di conoscere …
tutto, letteralmente.
“Allora
Henrik,
Julie ti ha già sottoposto al suo temuto
interrogatorio?”
“Oh
sì, tre
secondi sotto il suo sguardo indagatore e sono crollato, credo di non
aver mai
scoperto le mie carte tanto velocemente con nessuno.”
Henrik gli
lanciò un’occhiata, completa di
un’alzata di sopracciglia, e Tarjei nascose un
sorrisetto abbassando il viso: con nessuno tranne lui, ma
l’avrebbero tenuto
per loro, come il ricordo di quel pomeriggio dal sapore di un sogno.
“Cosa
dobbiamo
aspettarci da Even, quindi?”
“Extra.”
“Extra?”
Martha lo
guardò
divertita e confusa e Siv scoppiò a ridere, tirando fuori il
cellulare.
“Oh
Martha, mio
figlio è la persona più eccentrica che avrai mai
il piacere di incontrare, non
mi stupirebbe se il suo personaggio fosse ancora più
imprevedibile e plateale
di come le produttrici lo avevano immaginato.”
Mentre parlava,
le aveva posato il telefono di fronte, e lo sguardo confuso di sua
madre si
riempì di tenerezza, e l’attimo dopo Tarjei si
ritrovò a sorridere come un
ebete all’immagine più adorabile che avesse mai
visto: Henrik da bambino, viso
sporco dalla punta del naso in giù, con un vestito e un paio
di scarpe rosse,
rigorosamente da bambina.
“Mamma!”
Tarjei rimase
senza parole: Henrik era arrossito. Aveva gli zigomi rossi e un sorriso
imbarazzato, una mano a sorreggergli la testa e coprire il viso
contemporaneamente.
Quando incontrò il suo sguardo, arrossì ancora di
più.
“Non ci
posso
credere.”
“Non una
parola
Tarjei!”
“Tu sei
arrossito. Non ci posso credere.”
Henrik
roteò gli
occhi e gli sfilò il telefono di mano.
“Tu lo fai
costantemente, non mi sembra che io ne abbia mai fatto un
dramma.”
“Perché
tu ti
diverti a farmi arrossire!”
Il
ragazzo alzò un angolo della bocca e,
intuendo le sue intenzioni, Tarjei spalancò gli occhi.
“Hai
ragione,
soprattutto quando ti chiamo ba-
Tarjei si
alzò
di scatto e gli coprì la bocca con una mano, sentendo le sue
labbra distendersi
in un sorriso sotto il suo palmo. Siv e Martha li guardarono allibite,
per poi
scoppiare in una fragorosa risata, e anche le sue guance diventarono
color
porpora.
Alla fine della
cena, quando gli altri clienti se n’erano già
andati e l’orario di chiusura era
arrivato, Tarjei abbracciò Henrik, nascondendo il viso
nell’incavo del suo
collo e sorridendo quando il ragazzo lo strinse a sé, quasi
avvolgendolo con il
suo corpo.
“Quando
ero
piccolo, non volevo che mi tagliassero i capelli e li portavo lunghi,
come le
bambine della mia classe.”
Henrik sorrise
fra i suoi capelli, e le braccia attorno alla sua vita lo strinsero di
più.