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Autore: _Sherazade_    31/03/2017    0 recensioni
22 prompt per altrettante storie dedicate alla stagione più fredda dell'anno: l'inverno.
Storie sentimentali, introspettive, storie di delusioni o di lieti fine.
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Questa raccolta partecipa a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Genere: Soprannaturale,
Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Het
Categoria: Storie originali - Soprannaturale
Rating: Verde

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Inverno
Prompt:
Montagna
 

Il mostro della Foresta


 
"Quel che temiamo più di ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente."
-Theodor W. Adorno -


Approfittando della settimana di ferie, Alicia e Frank avevano pensato che sarebbe stato bello fare una bella gita in montagna tutti insieme.
“Prendiamo una villetta in affitto: in questo paese, anche se ci sono degli ottimi impianti sciistici, i prezzi sono davvero abbordabili”, aveva detto lei. “È da tanto che non andiamo in vacanza tutti insieme, ed è un miracolo che finalmente, abbiamo tutti delle ferie nella stessa settimana”. Alicia sapeva essere molto convincente. Io e Rigel ci scambiammo un'occhiata dubbiosi se cedere o meno, ma non appena ci mostrarono la foto di quello chalet, me ne innamorai e, presa dall'entusiasmo, accettai.
Prenotammo subito, e la sera prima della partenza non riuscii a dormire per la felicità.


Quando arrivammo nel piccolo paese di montagna, rimanemmo tutti a bocca aperta: c'era neve ovunque, nell'aria si sentiva un buon profumo di fresco, le cime delle montagne che ci circondavano splendevano sotto al sole, e il piccolo chalet sembrava essere uscito da una di quelle riviste di vacanze molto costose.
Era una favola, e io non vedevo l'ora di lasciare giù le nostre cose e di andare subito in pista per sciare.
Avremmo dovuto anche fare la spesa, ma decidemmo di spostare quell'incombenza al giorno successivo: la sera saremmo andati a festeggiare fuori in una pizzeria locale che godeva di ottima fama. Da casa ci eravamo portati da bere e qualcosa da sgranocchiare, per questo potevamo andare subito a divertirci.
Passammo delle ore davvero piacevoli, e anche la cena fu assolutamente deliziosa. Quando toccai il letto, quella sera, crollai quasi immediatamente.
Feci però dei sogni strani che mi inquietarono: vidi una strana creatura che mi seguiva per il bosco, grugnendo e lanciando grida che parevano quasi umane. Mi svegliai di soprassalto e con la tachicardia. Per un momento, mi parve quasi di veder riflesso nello specchio davanti al nostro letto, la stessa bestia dei miei incubi. Lo spavento fu tale che lanciai un grido disperato svegliando sia il mio fidanzato, che Alicia e Frank, che dormivano nella stanza accanto.
“Non ti sarai lasciata condizionare dalla storia di quel vecchio?” mi chiese Frank sghignazzando.


Eravamo proprio appena usciti dalla pizzeria quando incontrammo nella piazza il vecchio Hans. Era un pittoresco signore che viveva ai confini del bosco, e si dicevano strane cose sul suo conto.
Alcuni sostenevano addirittura che Hans fosse il fantasma del padre di una ragazza di nome Regina, sparita tragicamente molti secoli prima.
“Lasciate quella casa finché siete in tempo!” gridò lui indicandoci e sbraitando con tutta la forza di cui era capace.
Rimanemmo un po' sconcertati, ma cercammo di ignorarlo.
“La bestia non è ancora sazia!” continuò il vecchio. “Scappate lontani, o non tornerete mai più a casa!”. Io e Alicia ci guardammo negli occhi, un po' spaventate da quelle parole e dall'enfasi mostrata dall'anziano signore.
“Non lasciatevi intimorire”, ci disse uno dei camerieri della pizzeria che, sentendo il vocione di Hans, era uscito per controllare la situazione. Il ragazzo si avvicinò al vecchio, parlottarono un po' e Hans se ne andò. Io e Alici tirammo un sospiro di sollievo nel vedere il vecchio che si allontanava senza fare storie. “Lo so che è un po' strano, ma non è un cattivo soggetto. Non avete nulla da temere”.
Mossi dalla curiosità, Frank e Rigel, gli chiesero i spiegarci il perché del comportamento dell'anziano signore, e così scoprimmo la leggenda locale della bella Regina e del mostro della foresta.


Regina era la bella figlia del capo villaggio. Era una ragazza dolce e gentile con tutti. Generosa e volenterosa: era sempre disposta a dare una mano a chiunque si fosse trovato in difficoltà.
La sua era una vita felice, fino a che non venne scelta come nuova sposa della bestia.
Da anni, nel folto della foresta, viveva una creatura vorace e maligna che da tempo attaccava il bestiame dei poveri contadini.
Un giorno, però, mentre la belva si stava godendo la sua ultima preda, vide Regina passeggiare nel bosco con un'amica in cerca di funghi.
Non aggredì le due ragazze, ma si recò al villaggio proponendo una tregua: la ragazza in cambio della pace. La bestia promise di non attaccare più nessuna mucca, capra o gallina.
Il padre di Regina si rifiutò di cedergli la ragazza, ma i suoi concittadini erano stanchi dei continui furti ad opera della bestia.
“E se un giorno dovesse pretendere altre ragazze?” chiese allora uno dei contadini.
“Se avrò lei, nessuna delle vostre figlie dovrà temermi”. Ci volle una lunga riunione, ma alla fine, con il cuore spezzato, il vecchio padre di Regina, acconsentì per il bene comune di concedere la mano della sua amatissima figlia.
Regina, seppur spaventata, andò incontro al suo sposo, salutò il suo amato babbo in lacrime e si lasciò per sempre il suo amato villaggio alle spalle, ignara di cosa le sarebbe capitato.


Ma il padre di Regina non poteva sopportare il grave torto subito, e riuscì a convincere i suoi compaesani e ribellarsi e a salvare la ragazza che, di certo, stava soffrendo per il loro egoismo.
Armati di quel poco che potevano usare contro l'orribile bestia, gli abitanti del villaggio di montagna si recarono verso la dimora della bestia. Erano pronti ad abbattere la porta, ma questa era già aperta al loro arrivo.
“Regina!” chiamò allora il padre di lei, ma non udirono risposta o lamenti provenire né dal piano inferiore della grande dimora, né dal piano superiore.
Gli uomini, cominciarono a preoccuparsi quando ad un tratto sentirono un lamento, e le pareti cominciarono a grondare di sangue.
Spaventati, gli abitanti lasciarono la villa, sentendo però l'eco delle grida disperate di Regina.
“Perché mi avete fatto questo?” la voce spezzata dalle lacrime.
Il padre, sentendo la voce della figlia, si voltò, ma non vide la sua adorata bambina, ma solo il suo spirito evanescente sulla soglia della casa.
“Cosa abbiamo fatto?” si chiese lui accasciandosi a terra.


La leggenda diceva che dopo quell'episodio, nessuno ebbe più il coraggio di avvicinarsi alla casa infestata per molto tempo, e che il padre di Regina, sparì dal villaggio, tormentato dal rimorso per ciò che aveva permesso agli altri di fare. Della bestia nessuno ne seppe più nulla, ma qualcuno diceva che quell'essere aveva placato la sua fame e che non si sarebbe più fatto vedere per molto, molto tempo.
La villa rimase disabitata fino a che, una cinquantina d'anni prima, una ditta non buttò giù l'antica dimora per erigere lo splendido chalet, quello in cui noi alloggiavamo.




Lì per lì, rimanemmo un po' sconcertati, ma poi, sia Frank che Rigel, ci rassicurarono, e tornammo a casa. Prima di addormentarmi, non ci stavo neanche pensando, ma qualcosa era scattato nella mia testa.
“Coraggio. Ricordati ciò che ci ha detto il ragazzo della pizzeria: sono solo leggende. A volte sei troppo credulona e impressionabile”.
“Forse hai ragione, Rigel. Non devo più pensarci”. Cercai di sorridere, ma già sapevo che non avrei più chiuso occhio.
“Prova a dormire”, mi disse Alicia alzandosi dal nostro letto e avanzando verso la porta, “Domani ci aspettano altri divertimenti” mi fece l'occhiolino e richiuse la porta. Non vedevo l'ora di gustare quella buona cioccolata che preparavano al rifugio, ma mi sentivo ancora frastornata.
Rigel fu molto carino con me, e rimanemmo a parlare per un po', lui mi abbracciò e si addormentò attaccato a me, promettendomi che mi avrebbe protetta da qualunque mostro.
Sorrisi per la sua meravigliosa dolcezza, ma non riuscii comunque a riaddormentarmi.
Solo quando si levò il sole, potei finalmente tirare un sospiro di sollievo, ma ero così stanca che, anche se mi ero alzata, lavata e vestita, non appena toccai il divano in salotto, mi addormentai di botto.


Quando mi risvegliai, scoprii con orrore di essere rimasta sola nello chalet. Trovai però un biglietto che mi avevano lasciato Rigel e Alicia: “Dormivi così bene che non abbiamo avuto il cuore di svegliarti. Non dopo questa terribile nottata. Siamo scesi al paese per fare scorte, non preoccuparti che torniamo presto.
Baci”.


Avrei voluto non preoccuparmi, ma non appena mi stiracchiai, notai subito che avevo qualcosa di strano addosso: qualcuno mi aveva fatto indossare un antico abito da sposa.
“Questa non è certo opera di Rigel o di Alicia. Nemmeno Frank lo farebbe...”, pensai fra me e me.
“Sei tornata, finalmente!” una voce profonda e terrificante da dietro le mie spalle mi riportò a quella realtà.
Mi voltai di scatto, nonostante la paura, ma dietro di me non c’era niente, non c'era nessuno.
“Brutta cosa la suggestione!” dissi a voce alta, sospirando per il sollievo.
“Ti ho dovuta aspettare a lungo, e ora non scapperai più!” disse ancora quella voce, era ancora più potente e riecheggiava per tutta la stanza. Mi alzai di scatto, portandomi la mano sul cuore, come se potessi difendermi da quel qualcosa che mi stava facendo davvero provare una paura che mai, prima di allora, avevo provato.
“Chi è là? Frank, se sei tu non è divertente! Ragazzi, lo scherzo è bello quando dura poco!”
Nessuno rispose.
Avevo paura che il cuore potesse uscire fuori dal mio petto, per quando erano forti i suoi battiti.
Mi guardai attorno e notai il coltello che Alicia doveva aver usato per spalmare burro e marmellata sul pane. Non era affilato, ma avrei comunque potuto difendermi da chiunque avesse deciso di farmi del male. Lo afferrai e lo tenni dritto di fronte a me, guardandomi nervosamente intorno cercando di capire da dove provenisse la voce che mi aveva terrorizzata.


Indietreggiai guardandomi continuamente intorno, cercando di raggiungere al più presto la porta di ingresso ma una mano mi si posò sulla spalla, ed io sussultai. Tremante, vi buttai lo sguardo: un ammasso di peli e delle unghie lunghe, anzi no, degli artigli affilati che mi avevano bloccato ogni possibile movimento. Per un istante sperai che fosse finta quella orrenda mano, ma capii che era dannatamente reale.
“Non scapperai stavolta.”
Sentii un fiotto di aria calda corrermi giù per il collo: era il suo respiro.
Avrei anche potuto farmela addosso, non m'importava. Mi sentivo mancare: ero spacciata.
Non mi voltai, non volevo vederlo, perché probabilmente, dalla paura non sarei più riuscita a scappare.
Corsi verso la porta d’ingresso e cercai , inutilmente, di aprirla. Per quanta forza ci mettessi, non si muoveva di un solo millimetro.
“Dannazione, stupida porta. Non voglio restare qui!”cercai di buttarla giù, ma era del tutto inutile. Sentii il suo passo pesante che mi stava per raggiungere, così tentai la fuga attraverso le finestre.
“E che cazzo! Apriti, dannatissima finestra!” ma sembravo destinata a non lasciare quel maledetto chalet.
Mi guardai attorno: sentivo il respiro della creatura, ma non la vedevo, così, decisi di correre al piano superiore, e di buttarmi poi dalla finestra: la neve avrebbe attutito la caduta.
Preferivo una frattura a quella belva. Corsi decisa verso la rampa, ma dopo pochi passi fatti su per le scale, sentii le sue mani irsute afferrarmi le caviglie e trascinarmi verso il basso.
Lanciai un grido disperato, ma la cosa non turbò l'essere che infestava la casa. Mi voltai e lo vidi: rimasi così traumatizzata che non riuscii ad emettere più alcun suono.
Una bestia alta più di due metri, ricoperta di un folto pelo scuro, e il volto di un lupo famelico. Dalla bocca piena di denti aguzzi, pendeva un rivolo di calda bava che mi cadde sulla gamba.


Non appena i nostri occhi si incontrarono, lui lanciò un potente ululato, così forte e assordante che le finestre si ruppero, e i vetri si sparpagliarono un po’ ovunque; alcuni di questi piccoli frammenti arrivarono fino a noi e mi ferirono.
Sentimmo un rumore provenire da fuori, e questo giocò a mio favore. La belva sparì, probabilmente voleva controllare chi fosse arrivato, o non poteva farsi vedere da altri. A me non importava perché fosse sparita, mi importava solo del fatto che quella era la mia occasione per fuggire.
Presi quel poco coraggio che avevo, e cercai di fuggire verso una delle stanze, sperando di poter lasciare finalmente lo chalet.
“Non puoi scappare” Sghignazzò lui con quella voce che mi faceva accapponare la pelle.
Raggiunsi la camera da letto, e mi chiusi la porta alle spalle. La chiave era inserita nella toppa, ma sapevo che non sarebbe bastato a fermarlo, così spostai più mobili possibili per sbarrare l’ingresso e guadagnare così del tempo.
Ho paura” pensai terrorizzata mentre sentivo i suoi passi pesanti sempre più vicini. “Cosa posso fare?”
Mi guardai attorno, e mi vidi riflessa nello specchio. Ma non ero io, era Regina.
Vidi la giovane ragazza in lacrime di fronte a me, e capii che mi trovavo nella sua stanza. Tutto attorno a me era diverso, e venni come trascinata nella villa che si ergeva in quel luogo fino a cinquant'anni prima. Mi trovavo nella vecchia villa della belva, e quello, pensai voltandomi verso il letto matrimoniale, era il loro talamo nuziale.
“Povera Regina, che destino orribile…” dissi ad alta voce, tremante al pensiero di ciò che la povera fanciulla aveva dovuto subire.
“Lo stesso destino che capiterà a te!” mi rispose lui, materializzatosi nella stanza. Urlai e chiusi gli occhi. Sentii qualcosa di caldo all’altezza dei reni, come un liquido viscoso che si espandeva, e io mi sentii scivolare in uno strano sonno…


“Abigail, Abigail svegliati!” urlò Rigel scuotendomi.
“No! Il mostro, scappate!” urlai tenendo gli occhi chiusi.
“Abigail, calmati, era solo un incubo. Dai apri gli occhi.” mi feci coraggio e li aprii. Era tutto normale, Rigel, Alicia e Frank erano lì, davanti a me con un'espressione spaventata. Io ero ancora sdraiata sul divano, e i miei vestiti erano quelli di sempre.
“Ma… Io… C’era il mostro e mi…”. Gli altri mi guardarono perplessi.
“Vi prego, riportatemi a casa. Non voglio rimanere qui un minuto di più!” urlai in preda all’isteria.
“Ma, Abigail... era solo un incubo...” cercò di tranquillizzarmi Alicia, dicendomi che era tutto passato e che non era accaduto nulla, ma io sapevo che non era così.
Sentivo la caviglia che mi faceva male, e avevo notato un graffio proprio là dove la bestia mi aveva afferrata quando avevo cercato di scappare usando le scale, trascinandomi con forza verso il piano inferiore.
Rigel mi guardò, e capì che avevo davvero bisogno di tornare a casa. Mi sorrise e mi chiese di accompagnarlo in camera per fare le valigie.
Lui non disse nient'altro perché sapeva che non ero in grado di parlare di ciò che mi stava realmente turbando, mi baciò sulla fronte, e mi rassicurò, dicendomi che mi avrebbe portata al mio ristorante cinese preferito, non appena fossimo tornati a casa.
“Sei sicura di non volerci ripensare?” mi chiese Alicia.
“Sì, scusatemi, ma non riesco proprio a rimanere in questo chalet”. Sapevo che avrebbero pensato che ero strana, ma non potevo descrivergli a parole tutto quello che era successo. Aveva dell'incredibile, e lo sapevo, e le loro parole non avrebbero potuto tranquillizzarmi in alcun modo.
Ci salutammo sull'uscio, e sentii un caldo soffio sul collo, mi voltai verso lo specchio e notai la mano della belva sulla mia spalla.
“Allora Abi, andiamo?” chiese Rigel, prendendomi la mano.
“Sì, torniamo a casa”, mi voltai e sorrisi sollevata dopo aver visto sparire l'ombra del mostro.
Mentre raggiungevamo l'auto, intravidi fra i pini l'ombra dell'uomo del villaggio, Hans.
Mi guardò e sorrise, sparendo proprio come aveva fatto il mostro qualche istante prima.
“Abigail...?”
“Arrivo!”


Non seppi mai tutta la verità di quella villa e dei suoi strani ospiti, ma ero certa di una cosa: non ci sarei mai più tornata.





 
  
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