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Autore: Amantide    01/04/2017    4 recensioni
Due buste identiche, in due appartamenti diversi, indirizzate a due persone con qualcosa in comune.
Sherlock sapeva che il suo incontro con John Watson aveva finito per cambiare in modo irreversibile la sua vita, ma non pensava che sarebbe mai arrivato a tanto. Era bastato uno sguardo, una firma, e tutto era cambiato di nuovo.
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Dal testo:
"In piedi al suo fianco, con indosso uno dei suoi maglioni più belli, c’era John Watson; tangibile e reale come il vuoto che era stato in grado di lasciare nella sua vita. Gli aveva bloccato il polso e lo fissava con sguardo languido senza dire una parola."
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[Sherlolly] [Parentlock]
Genere: Commedia, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2- SOPRAVVIVENZA
 

Molly era appena scesa dal taxi che l’aveva accompagnata in Baker Street e ora si trovava nell’angusto ingresso dell’appartamento con quattro valige al seguito, ovvero il doppio dei bagagli che Sherlock le aveva consentito di portare con sé.
“Hai quattro valige” osservò il detective accigliato guardando Molly salire le scale a fatica trascinandosi dietro il più grande dei trolley senza muovere un solo passo per aiutarla.
“Complimenti” esalò Molly giunta con immensa fatica in cima all’ultimo gradino, “nonostante l’età avanzi, noto con piacere che la tua vista funziona ancora perfettamente.”
“Mi riferivo al fatto che te ne avevo concesse due” precisò Sherlock gelido mentre Molly scendeva nuovamente le scale per recuperare la seconda valigia.
“Sherlock, vivrò qui! Hai idea di quante cose servano ad una donna?”
“È proprio perché lo so che ti avevo imposto un tetto massimo di due valige!” Replicò Sherlock rientrando in salotto imbronciato, la vestaglia che ondeggiava al seguito.
Molly sbuffò alzando gli occhi al cielo e proprio in quel momento la signora Hudson fece la sua comparsa dandole il benvenuto mentre si trovava ferma a metà della scalinata a riprendere fiato con il trolley numero due al suo fianco.
“Molly cara non si affatichi, non sta bene che una signora porti da sola i suoi bagagli quando c’è un uomo in casa.”
“Non si preoccupi signora Hudson, ce la faccio anche da sola…” si affrettò a dire Molly pur di non riferirle che Sherlock aveva già assistito alla scena e si era rifiutato di aiutarla.
“Potete finirla con tutto questo baccano?” gracchiò Sherlock tornando sul pianerottolo, questa volta con il violino in mano. “Sto cercando di comporre musica di un certo livello e il vostro ciarlare influisce negativamente sulla mia creatività”
“La musica può aspettare, qui c’è una fanciulla che ha bisogno di aiuto con le valige!” Tuonò la signora Hudson in risposta alle parole del detective.
“Sì, lo vedo; signora Hudson, le sarei molto grato se volesse dare una mano a Molly a farle sparire dalla mia vista! Le mostri la camera di sopra.” Tagliò corto Sherlock pronto a rientrare in salotto per dedicarsi alla sua musica.
“Sherlock Holmes! Questa è casa mia e mi sento in dovere di ricordarle che qui vigono le regole della cavalleria, ora posi immediatamente quel violino e venga ad aiutare Molly, o giuro che non avrà più nessuno strumento con cui comporre musica di nessun livello!” Sbottò la piccola donna lasciando di stucco Molly che mai l’aveva vista imporsi in modo tanto deciso ed efficace.
Ci fu uno scambio di sguardi tra Sherlock e la signora Hudson che durò per qualche secondo a cui Molly assistette in silenzio; Sherlock fu il primo ad interrompere il contatto visivo e sembrò decidere che la minaccia dell’anziana donna era reale perché con aria mesta e sconfitta posò il suo amato violino e andò incontro a Molly per aiutarla senza proferire parola.
“Bravo giovanotto!” Disse la signora Hudson con ritrovato entusiasmo osservando Sherlock portare le valige al piano di sopra con la stessa grinta di un bambino spedito in castigo. “Ha visto?” aggiunse poi rivolta a Molly, “ci vuole solo un po’ di polso… in fin dei conti gli uomini sono tutti uguali.”
Le due si scambiarono un’occhiata d’intesa e poi ridacchiarono a bassa voce per evitare di alterare ulteriormente l’umore di Sherlock; in quel momento Molly capì che la signora Hudson sarebbe stata una preziosa alleata nella dura lotta per la sopravvivenza in Baker Street.
 
Erano passati dodici giorni da quando Molly si era stabilita nell’appartamento di Sherlock e lui non sembrava ancora essersi abituato completamente alla sua presenza perché ogni mattina, quando s’incrociavano in cucina, trasaliva come se si stupisse di vederla lì per poi passare il resto della giornata ad ignorare ogni tentativo di conversazione che prevedesse l’imminente arrivo di Rosie come argomento principale. Sembrava essere completamente estraneo ai fatti e Molly cominciava a domandarsi se il suo comportamento sarebbe cambiato una volta che la piccola sarebbe stata a tutti gli effetti residente in Baker Street.
Quei giorni furono frenetici, intensi, e soprattutto fitti d’impegni, non c’era da stupirsi che entrambi fossero un po’ scombussolati. C’erano state una miriade di scartoffie da firmare e infiniti documenti da compilare, per non parlare delle noiosissime sedute dallo psicologo, prima di coppia e poi individuali. A Sherlock era venuto un colpo quando aveva saputo che avrebbe dovuto sottoporsi a quella tortura una volta al mese e aveva fatto del suo meglio per mascherare tutto il suo disaccordo. La psicologa aveva già stilato un calendario di appuntamenti e Molly gli aveva regalato un’agenda con tutti le date già segnate affinché non le dimenticasse.
“Molly…” esordì Sherlock rigirandosi il piccolo oggetto tra le mani, sforzandosi di essere cortese, “io ho un palazzo mentale… e tu mi regali un’agenda? Fai sul serio?”
Contrariamente a quanto si aspettava, Molly non se la prese, anzi, con sua grande sorpresa gli rispose a tono: “Sì, perché nel tuo palazzo mentale conservi solo ciò che ritieni importante, ed io ti conosco abbastanza bene da sapere che degli appuntamenti con una psicologa non rientrano tra le tue priorità, quindi senza un’agenda o qualcuno che te lo ricordi quegli appuntamenti finirebbero nel dimenticatoio. Ho ragione o torto?”
Sherlock fissò Molly quasi ammirato, forse Baker Street stava avendo un influenza positiva su di lei, senz’altro più di quanto si aspettasse.
Fece a Molly uno dei suoi sorrisi più forzati e poi ripose la piccola agenda nella tasca interna del cappotto. Non bastava che Molly e presto anche Rosi si trasferissero nel suo appartamento, no, adesso gli toccava anche avere un’agenda. Maledetto John Watson.
 
Sherlock era in piedi davanti al caminetto che fissava Rosie con apprensione. Era giunta in Baker Street da soli venti minuti e lui era già sul punto di rispedirla al mittente. Aveva pianto durante tutto il viaggio in macchina ed era riuscita a vomitare sul tappeto del salotto prima ancora che lui avesse il tempo di togliersi il cappotto e Sherlock aveva come la sensazione che non sarebbe stata la sola e unica volta che avrebbe assistito ad una scena di quel tipo.
“Se solo la tua guida fosse stata un po’ meno sportiva e le strade di Londra prevedessero meno curve a gomito, non sarebbe successo” disse Molly in difesa della bambina prima ancora che Sherlock potesse comunicarle tutto il suo disappunto per quanto era appena accaduto.
“Io avevo proposto il taxi” le ricordò Sherlock asciutto.
Molly lo apostrofò con un’occhiataccia e poi mise Rosi seduta sulla poltrona di John un attimo prima che la signora Hudson entrasse in casa per darle il benvenuto.
“È bello avere un altro Watson in Baker Street” disse la donna accarezzando la piccola che, nonostante avesse lo stomaco sottosopra e fosse circondata da estranei, trovò ugualmente la forza di sorriderle.
“Ah si?” fece Sherlock senza staccare gli occhi dalla bambina, “lo faccia presente al tappeto, se non altro John non ci avrebbe vomitato sopra…”
Qualcosa, in mezzo al petto, nel punto esatto in cui la gente era solita localizzare il cuore, emise un gemito sommesso e Sherlock chiuse gli occhi per un secondo nel tentativo d’ignorarlo.
La Signora Hudson gli dedicò uno sguardo carico di compassione; Rosi era in Baker Street solo da pochi minuti eppure era già riuscita a fargli nominare John, cosa che sembrava averlo lasciato un po’ scosso.
Per fortuna a riscuotere Sherlock da quel torpore insito di tristezza e malinconia fu Molly che con una semplice frase attirò l’attenzione del detective: “Sherlock, abbiamo un problema” dichiarò scendendo le scale che conducevano al piano di sopra.
“E bello grosso anche…” convenne il detective completamente ipnotizzato dalla bambina e sempre più scioccato dalla sua presenza, “quanto peserà? Nove chili?” ipotizzò Sherlock che, da quando avevano prelevato Rosie all’istituto, non si era ancora azzardato a prenderla in braccio e ci teneva a posticipare quel momento il più a lungo possibile.
“Sherlock!” esclamò Molly visibilmente provata da quella prima ora di convivenza in Baker Street, “non parlavo di Rosie!”
“Oh” esalò il detective rendendosi conto di aver appena fatto un’enorme gaffe.
“Nella camera di sopra il lettino di Rosie non ci sta” spiegò la patologa attraversando la cucina e spalancando la porta della camera di Sherlock. “Proviamo a vedere se ci sta in camera tua…”
Sherlock s’irrigidì improvvisamente e raggiunse Molly a grandi falcate, lasciando Rosie in compagnia della signora Hudson. Era già assurdo che Rosie fosse nel suo appartamento, non le avrebbe certo concesso di invadere anche camera sua, questo era poco ma sicuro.
“Non la trovo una buona idea” dichiarò con tutta la diplomazia di cui era capace appena mise piede nella stanza.
“Vedi altre soluzioni forse?”
“Oh si, in effetti ci sono almeno altre undici possibilità ugualmente valide.” Ridacchiò Sherlock pronto ad elencarle tutte pur di non ritrovarsi la piccola Watson in camera.
Molly scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo: “Ok, elencami solo quelle che non contemplano Rosie nel forno, nel caminetto, nell’appartamento della signora Hudson, appesa al soffitto con un complicato e certamente ingegnoso sistema di corde e carrucole, per favore.”
“Ok” fece Sherlock dopo una lieve esitazione dovuta a tutte le deduzioni, sorprendentemente esatte, della patologa, “bene, in questo caso sono rimaste solo quattro possibilità…”
“Sherlock!” Esclamò Molly.
“Hai dimenticato il pianerottolo!” Replicò lui che come sempre ci teneva ad avere l’ultima parola.
“Non metterò Rosie a dormire sul pianerottolo!” Dichiarò Molly fermamente convinta delle sue parole.
“Il pianerottolo?” gracchiò la voce inorridita della signora Hudson dal salotto, “Sherlock, ma che sciocchezze va dicendo?”
“Signora Hudson le ricordo che c’è un pavimento da pulire, se proprio non ha niente da fare!” gli gridò lui di rimando sempre più convinto che la sua padrona di casa si fingesse sorda solo quando le faceva comodo.
“Non sono la sua governante!” Gli ricordò lei con tono un po’ scocciato.
“E adesso dove stai andando?” sbottò Sherlock seguendo Molly con lo sguardo.
“Di sopra, a prendere il lettino di Rosi”
“Non voglio Rosi in camera mia” ribadì Sherlock destabilizzato da tutto il trambusto che da qualche ora regnava in casa sua.
“Sherlock è tutto ok” lo rassicurò Molly ferma in mezzo alla cucina, “dormirò io con Rosie, tu puoi trasferirti in camera di John” e con quelle parole sparì su per le scale.
Sherlock rimase pietrificato in mezzo alla cucina, un groppo in gola e l’espressione incredula. Da quando John era morto non era più nemmeno riuscito a mettere piede in quella camera, figuriamoci andarci a dormire.
 
La mattina seguente il risveglio di Sherlock fu traumatico. Aveva dormito raggomitolato sul divano perché Molly e Rosie si erano appropriate di camera sua e lui si rifiutava categoricamente di trasferirsi in quella di John, anche se Molly non era al corrente di questo dettaglio e lui ci teneva particolarmente che non lo venisse a sapere. Il risultato era un fastidioso formicolio al braccio sinistro, una serie di fitte dolorose alla zona lobare che lo obbligavano a camminare come la signora Hudson quando si lamentava della sua anca e un torcicollo di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Ma dopotutto Rosi era in Baker Street da un solo giorno, e Sherlock aveva come la sensazione che il peggio dovesse ancora venire.
“Cucù” disse la signora Hudson facendo capolino dalla porta del salotto per poi introdursi con passo felpato nell’appartamento. Sherlock si voltò a guardarla con aria assonnata e poi si collegò al suo sito web nella speranza d’incappare in un cliente che avesse un caso, se non interessante almeno degno di nota, da sottoporgli. Tutto pur di distrarsi da quanto stava scombussolando la sua vita.
“Le ho portato la colazione per riprendersi da questa prima nottata da genitore… immagino che ne avrà bisogno.” Fece sapere l’anziana donna notando le occhiaie marcate del suo inquilino.
“Lei non sa quanto” rispose Sherlock osservando con interesse il vassoio della colazione che la signora Hudson stava posando a fatica in mezzo alle cianfrusaglie che ingombravano il tavolino del salotto.
“Molly e la piccola dormono ancora?” chiese la donna da sopra la sua spalla destra.
“Brillante deduzione signora Hudson!” disse Sherlock borioso richiudendo il portatile con malcelata delusione. Dov’erano tutti i criminali di Londra quando lui aveva bisogno di loro? Gli serviva urgentemente un caso o presto sarebbe dovuto ricorrere ad altri sistemi per combattere la noia.
“Suvvia Sherlock, capisco che per lei sia difficile, ma dovrebbe impegnarsi un po’ di più in questa cosa…” fece sapere la donna guardandolo con aria di rimprovero.
Sherlock fece una smorfia che esprimeva tutto il suo disappunto, poi non riuscì a trattenersi e rispose. “Signora Hudson, non ho più una camera da letto, il bagno profuma di lavanda e trabocca di creme, trucchi e detergenti di ogni tipo, non posso più conservare frattaglie umane in frigorifero, tenere stupefacenti nella dispensa e sparare al muro quando mi annoio. Mi dica? Sono forse finito all’inferno? Perché è così che me lo immagino.”
“Oh per l’amor del cielo, non sia sciocco!” Lo redarguì la donna.
“Ah dimenticavo, ho anche un’agenda e devo andare dalla psicologa regolarmente!” Aggiunse in tono sarcastico mostrandole il piccolo libricino.
“La smetta di vedere solo i lati negativi di questa faccenda… guardi Molly! Lei è al settimo cielo per l’arrivo di Rosie!” Gli fece notare la donna con le mani giunte e gli occhi trasognati.
“Signora Hudson, è evidente che i motivi che hanno spinto me e Molly ad imbatterci in questa…” Sherlock stava per dire disgrazia ma si morse la lingua e si affrettò a correggersi, “in questo imprevisto sono molto diversi…”
“E con questo cosa vorrebbe dire?” domandò l’anziana donna stranita.
“Che io non devo fare i conti con il mio orologio biologico, è evidente.” Dichiarò Sherlock freddo e cinico.
“Questa dichiarazione è forse frutto di una delle sue deduzioni?” domandò la donna incrociando le braccia al petto scrutandolo in attesa di una risposta esauriente.
“Ovviamente” confermò lui servendosi una tazza di tè. “Molly ha trentasei anni e nonostante i molteplici e diversificati tentatavi cui ho tristemente assistito in questi anni, non si è rivelata in grado di portare avanti una relazione con un uomo per più di sei mesi, figuriamoci trovarne uno con cui fare un figlio. Non è stupida e per giunta è un medico, quindi sa bene che le sue possibilità di trovare un uomo con cui procreare vanno scemando più passa il tempo. Superati i trentacinque, la menopausa diventa l’incubo di ogni donna sola. Desidera un figlio…”
“Sherlock” intervenne la signora Hudson con voce flebile.
“…e la cosa non mi sorprende, dopotutto la maggior parte delle donne della sua età lo desidera, ma le sue chance di diventare madre sono più basse della media…”
“Sherlock” fece di nuovo la signora Hudson tentando di azzittirlo.
“Scarse a dire il vero” proseguì lui ignorando gli avvertimenti della donna, “non c’è da stupirsi che abbia accolto Rosie con così tanto entusiasmo… per lei potrebbe essere l’unica possibilità di avere un figlio. Per quel che ne sappiamo potrebbe anche essere sterile… è un sospetto più che legittimo, ovviamente potrei averne la certezza se solo mi fossi preso la briga di indagare a fondo, ma non vedo perché avrei dovuto farlo…”
“Forse perché non sono fatti tuoi?” disse la voce affranta e delusa di Molly dalla cucina. Sherlock si voltò appena in tempo per vederla arrivare, poi fu così rapida e veloce che la sua mano lo colpì prima ancora che lui la vedesse muoversi e un’istante dopo lo colpì con così tanta rabbia che la tazza gli sfuggì di mano e andò in frantumi sul pavimento. Sherlock rimase fermo immobile per qualche secondo, osservando il tappeto ai suoi piedi impregnarsi di tè, la guancia sinistra che bruciava e pulsava terribilmente. Non era certo la prima volta che Molly lo prendeva a schiaffi, e non era nemmeno la prima volta che lo faceva davanti a qualcun altro, ma doveva ammettere a sé stesso che tutti gli schiaffi che Molly gli aveva riservato in quegli anni, se li era sempre meritati, probabilmente questo più di tutti gli altri.
“Questo è da parte del mio orologio biologico!” aggiunse con gli occhi che traboccavano lacrime nell’esatto momento in cui il pianto di Rosie si levava dalla camera. Molly gli voltò le spalle e andò dalla bambina senza aggiungere altro mentre la Signora Hudson rimase ferma ad osservare Sherlock in piedi accanto alla finestra intento a massaggiarsi la mascella ancora intontito dallo schiaffo. Scosse lievemente il capo e poi disse: “Sarà anche un detective brillante… ma ogni tanto è proprio una carogna insensibile!” E così dicendo tornò verso il suo appartamento solo dopo aver aggiunto un “vada a scusarsi” sul ciglio della porta. Sherlock ignorò il consiglio della sua padrona di casa e si gettò sul divano sperando che Rosie si decidesse a tacere; pochi suoni erano più irritanti del pianto di un bambino, anche se si trattava del bambino del tuo migliore amico.
L’unica nota positiva di tutta questa faccenda era che da quando Rosie era arrivata in Baker Street, il fantasma di John non si era ancora palesato e Sherlock era combattuto circa il fatto che quella fosse una liberazione o una condanna.
Era ormai una settimana che Sherlock dormiva sul divano e il suo corpo sembrava essere giunto al limite di sopportazione. Non riusciva a dormire oltre le sei e mezza del mattino, sempre se Rosie non scoppiava a piangere prima, costringendolo ad alzarsi fingendo di lavorare al microscopio pur di non rivelare a Molly che non si era mai trasferito in camera di John. Fu così che una mattina si svegliò all’alba e, incapace di riprendere sonno, imbracciò il suo violino e cominciò a comporre musica cercando ispirazione fuori dalla finestra. La luce era tenue e la nebbia notturna andava diradandosi, ciononostante la vista che gli si palesava davanti era magnifica e lui s’incantò ad osservare i passanti di Baker Street perché era una di quelle cose che lo aiutava a pensare. C’era una coppia di anziani con un cane, un’insegnante di scuola elementare, un bibliotecario e un fattorino. Improvvisamente nella sua testa sentì la voce di John: “Come sai che è un bibliotecario? Anzi no, non lo voglio sapere, non vedi l’ora di metterti in mostra, questa volta non ci casco!”
Sul volto di Sherlock comparve un sorriso triste e istintivamente si voltò a guardare la poltrona di John come se si aspettasse di trovarlo seduto lì a bere tè e leggere il giornale. Apportò un paio di correzioni allo spartito che aveva davanti, poi imbracciò nuovamente lo strumento e riprese a stuzzicarne le corde con l’archetto da dove aveva lasciato.
“Sherlock!” Esclamò Molly all’improvviso facendogli sbagliare l’ultima nota e obbligandolo a voltarsi di scatto. “Non ti sei accorto che Rosie sta piangendo?” domandò sbigottita.
Sherlock abbassò il violino e roteò gli occhi. “No” disse stringendosi nelle spalle, “è da quando è arrivata qui che non fa altro che piangere…”
“Stava dormendo” esalò Molly, “e tu e il tuo violino l’avete svegliata, ecco perché piange!”
“È bene che impari ad apprezzare la buona musica fin da subito”
“È bene che dorma! Ora va di là e falla dormire, visto che sei tu che l’hai svegliata!” Sbottò Molly lasciandosi cadere sulla poltrona di John, visibilmente provata dall’insolenza di Sherlock.
“Non posso” replicò il detective in cerca di una scusa valida, “sto lavorando ad un caso!”
“No, stai suonando il violino perché ti annoi, ora vai di là da Rosie!”
“Io non suono il violino quando mi annoio, lo faccio perché mi aiuta a pensare!”
“Va di là da Rosie ho detto!”
Sherlock boccheggiò per qualche secondo poi agitando l’archetto dichiarò: “Ok, forse non abbiamo definito bene i ruoli in questa… cosa.”
“Ecco, sì, devo dire che sono proprio curiosa di conoscere il tuo!” Sputò fuori Molly nera di rabbia mentre il pianto di Rosie non accennava a diminuire.
“Perché hai messo quella firma?” Domandò al culmine della disperazione.
“Io…” balbettò Sherlock colto alla sprovvista da quella domanda cui sperava di non dover mai rispondere.
“Dimmi perché!” Strillò Molly sovrastando le urla della bambina. “Ci sarà pure un motivo, pensavi sarebbe stato gioco, o peggio un esperimento?”
“Il mio motivo non ha importanza” dichiarò Sherlock asciutto.
“E invece ha importanza perché mi aiuterebbe a capire cosa ti ha spinto ad imbatterti in una cosa simile…”
“Ho detto che non ha importanza” gridò Sherlock più aggressivo e furioso di quanto avrebbe voluto.
Molly sussultò spaventata e arretrò di qualche passo intimorita dalla reazione di Sherlock, poi trovò la forza di parlare, anche se la sua voce era un sussurro e le usciva a fatica. “Rosie è qui da una settimana e tu non l’hai ancora presa in braccio… nemmeno una volta” gli fece notare con voce rotta mentre una lacrima le rigava la guancia, “non le dai da mangiare e non hai nessuna intenzione di occuparti di lei, per te è solo un’ospite sgradito… ed io con lei.”
“Molly…” tentò Sherlock messo al muro da quelle parole tanto dirette e crudeli.
“E sai qual è la cosa peggiore?” Ci fu uno scambio di sguardi ma Sherlock non rispose e fu Molly a parlare per lui, “che non posso nemmeno dirti che ce ne andiamo perché c’è una pila di documenti firmati da entrambi che m’impedisce di farlo. Non pensavo che l’avrei mai detto ma crescere Rosie da sola sarebbe stato più facile che farlo con te…”


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo! Ci ho messo un po' a pubblicarlo perchè, sebbene avessi le idee abbastanza chiare circa quello che sarebbe successo in questo secondo capitolo, ogni volta che lo rileggevo trovavo sempre qualche cosa da aggiungere/modificare. Spero che l'attesa valga il capitolo e mi auguro che continuerete a seguire la storia. Ne aprofitto per ringrazie tutti quelli che hanno aggiunto la mia FF alle loro liste e un ulteriore grazie alle persone che si sono prese la briga di commentare. Spero che abbiate voglia di farlo anche questa volta perchè questa storia è una vera e propria scommessa e io ho assolutamente bisogno dei vostri feedback! A presto e grazie ancora a tutti voi! :-)
  
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