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Autore: Sole Walker    01/04/2017    1 recensioni
Francesca Evans ha 16 anni e vive a New York quando si ritrova catapultata in una realtà nuova. Il suo mondo viene stravolto in un' età già delicata di per sé... Lei non avrebbe mai potuto immaginare di essere una semidea, non ha nessuno che puó aiutarla e così lo scopre da sola di colpo.
É fuori per ben quattro anni dalla regola dei riconoscimenti promessa alla fine della guerra dei titani dagli dei su richiesta di Percy Jackson... e la cosa suona molto strana e richia di scatenare un grave litigio sull' olimpo che dovrà essere fermato prima che degeneri... ma forse Francesca non é una semidea qualunque...
PS: siate buoni è la mia prima storia... Recensiteee!!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gli Dèi, Mostri, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sole mi guardò a bocca aperta e io ero stupita quanto lui, non avevo parole. In quei ricordi mi ero già resa conto di quanto mio padre fosse una persona altruista, disposta a donare tutto, ma non credevo che si sarebbe spinto a tanto. Non riuscimmo a dire una sola parola fino a quando la casa avvolta nell’oscurità non fu colata totalmente a terra nella pozza d'acqua grigia che, dopo averci sommerso, si ritirò lasciando sentire ai nostri visi l'aria fresca. Traballanti atterrammo su un liscio pavimento di mattonelle bianche, mi fermai di colpo appoggiando i palmi delle mani su una superficie liscia lasciando uno spazio di pochi centimetri tra il mio naso e il vetro sporco di una grande finestra
-Dove siamo?- chiese Sole confuso allargando le braccia per stabilizzarsi -Non credo di esserci mai stato, me lo ricorderei- disse lanciando un'occhiata malevola alle sbarre scrostate all’esterno della finestra che si estendeva per tutto il corridoio, fuori si vedeva un cortile deserto. Un pallone abbandonato giaceva in un angolo in mezzo alle erbacce e per tutto il prato erano sparsi rifiuti abbandonati, mi voltai dall'altra parte e osservai il muro scrostato, grossi pezzi di intonaco giacevano a terra in mille pezzi e gli spazi vuoti lasciavano vedere i mattoni rossi.
-È uguale a com'è ora- sospirai sfiorando il muro polveroso, lui mi guardò -benvenuto alla Family of Orphans!- gli dissi allargando le braccia con un sorriso ironico -Orfanotrofio cinque stelle per bambini di tutte le nazionalità-
-Tu hai vissuto qui?- mi guardava incredulo -Ma questo posto cade a pezzi- disse toccando la parete scrostata -in che anno siamo?-
Stavo per rispondere che non lo sapevo quando una voce mi fece voltare, guardai la bambina venire verso di noi saltando da una piastrella bianca all'altra. I suoi capelli castano chiaro splendevano di sfumature rosse e verdi cadendo sui grandi occhi marroni ad ogni saltello, mi abbassai esterrefatta guardandola canticchiare a testa bassa
-Five little monkeys jumping on the bed
One fell off and bumper his head
Mama called the doctor and the doctor said
”No more monkeys jumping on the bed!”
Four little monkeys…-
Continuò a cantare superandomi e saltando per qualche ragione il numero tre, era così strano vedermi in quel posto dall’esterno. Guardai Sole e lo sorpresi a canticchiare a bassa voce la canzoncina senza distogliere gli occhi dalla bambina, mi guardò e gli sorrisi divertita. Lui sbuffò spostandosi verso la finestra, fuori il cielo era diventato nuvoloso, la giornata stava per cambiare.
***
Saltellava da una piastrella all'altra canticchiando qualcosa ogni tanto si voltava incerta verso la porta, ma non aveva ancora notato i suoi occhi che la spiavano dall’entrata socchiusa. Non doveva nascondersi, ormai nell’edificio lo conoscevano tutti come “l’uomo che ogni tanto viene a far giocare i bambini”, poteva sembrare un po’ inquietante e sinceramente lo preoccupava il fatto che facessero entrare le persone così facilmente. Però gli piaceva guardarla giocare, poter stare con lei e immaginare di poterle dire chi era veramente. Invece, se tutto fosse andato come previsto quella sarebbe stata l'ultima volta in cui si sarebbero visti, voleva imprimersi la sua immagine nella mente per essere sicuro di ricordarla.
-Signor Teddy che cosa ci fai dietro alla porta?- abbassò lo sguardo e vide la bambina che, aggrappata ai suoi jeans, lo guardava incuriosita, era bastato un attimo di distrazione per perderla di vista. Guardò i suoi grandi occhi marroni, erano così diversi dai suoi che a volte si chiedeva se fosse davvero sua figlia, ma non assomigliavano nemmeno a quelli della madre e questo lo consolava.
-Francy! Mi hai beccato, volevo farti uno scherzo- disse ridendo e si chinò per prenderla in braccio,cominciò a girare su sé stesso facendola ridere, la bambina gli si aggrappò al collo e con un grosso sorriso gli chiese -Giochi con me?-
Paul fece un sorriso triste si abbassó di nuovo e la appoggiò a terra, poi si inginocchiò sulle mattonelle bianche e prese le piccole mani della bambina tra le sue -Mi piacerebbe tantissimo giocare con te, ma oggi ho davvero poco tempo- disse guardandola negli occhi con la voce carica di tristezza, la bambina alzò le spalle e disse -Allora torni domani!-
Paul rise spingendo la testa all'indietro -Non questa volta Francy- le accarezzò una guancia -Vedi, devo fare una cosa importante e probabilmente starò via molto, moltissimo tempo- spostò lo sguardo dai suoi occhi non riuscendo a sostenere lo sguardo allegro della bambina.
-Ci rivedremo però?- chiese lei preoccupata.
-Tutti si rivedono prima o poi- rispose Paul, la bambina ovviamente non capì ma lo prese per un “sì”.
-Ma tornerai per il mio compleanno?- gli domandò facendo un gran sorriso.
-No non credo- sospirò e la bambina lo guardò perplessa -Ma me l'avevi promesso!-
-Lo so, davvero mi dispiace- disse lui mordendosi il labbro, era nervoso e cercando di rimediare si frugò in tasca alla ricerca del pacchetto -Però ti ho portato questo- la bambina si illuminò alla vista della piccola scatola ricoperta di carta d'oro, la afferrò e con fatica lo scartò. Un piccolo ciondolo d’oro cadde a terra, Paul lo raccolse e delicatamente slacciò la collanina dal collo della bambina -La porterai sempre con te e sarà come avermi accanto- disse riallacciandola -quando avrai paura io sarò lì- la guardò intensamente, gli occhi della bambina non si staccavano dai suoi e dopo un attimo di silenzio lei parlò -Me lo prometti?-
Paul non se lo aspettava, credeva semplicemente che avrebbe accettato il regalo senza fare domande, ma doveva immaginarselo: era una bambina straordinariamente intelligente per la sua età. La guardò orgoglioso e disse -Te lo prometto- la bambina si avvicinò e gli mise le piccole braccia attorno a collo abbracciandolo, Paul chiuse gli occhi per un attimo e cercò la forza per alzarsi e andare via per sempre. Con un sospiro allontanò la bambina, le diede un bacio sulla testa e si alzò in piedi. Fece per andarsene, aveva già percorso il corridoio fino alla porta, sentiva gli occhi della bambina sulla propria schiena ma non aveva il coraggio di voltarsi.
-Ti voglio bene papá- si fermò con la mano sulla maniglia e voltando la testa la guardò negli occhi -Cos’hai detto?- chiese, era quasi sicuro di aver sentito male. Ma la bambina lo guardò sicura, aveva gli occhi leggermente lucidi e teneva la mano destra stretta attorno alla collana -Ti voglio bene papà- ripeté, Paul pensò che non era possibile, abbassò gli occhi sul pavimento pensieroso e scosso. Lei non poteva sapere che lui era davvero suo padre, non poteva ricordarlo, aveva aspettato due anni prima di cedere e andarla a trovare per la prima volta. Ma l'affetto che le aveva dato negli ultimi anni non glielo aveva dato nessun altro. Era sempre stato lì ad aiutarla e lei l'aveva scelto -Ti voglio bene papa!- gridò la bambina mentre delle lacrime iniziavano a bagnarle le guance rosa. Paul si risvegliò bruscamente dai suoi pensieri, aveva la vista offuscata e temeva di scoppiare a piangere, alzò lo sguardo e guardandola negli occhi prese un bel respiro -Anche io tesoro mio- la sua voce tremava, aprì la porta e senza guardarsi indietro uscì, attraversò i corridoi di corsa e scese le scale con le lacrime che gli scendevano lungo il viso. Si muoveva agilmente evitando le figure perplesse degli insegnati fermi nei corridoi, aveva solo 24 anni e aveva preso decisioni molto più importanti nella sua vita di quelle prese da quelli che lo guardavano male giudicandolo per i singhiozzi che cercava di reprimere. Uscì dalla scuola saltando gli ultimi due gradini trovandosi sotto la pioggia battente, si tirò il cappuccio sulla testa e si strinse nel giubbino nero. Superò il cancello in ferro battuto iniziando a correre a perdifiato sul sentiero che portava all’autostrada; il momento decisivo ormai era arrivato, mancava solo una persona da avvisare e non sapeva se ne avrebbe trovato il coraggio.
***
Ero sconvolta, avevo totalmente dimenticato quell'uomo, solo qualche immagine confusa di un uomo che rispondeva al bizzarro nome “Teddy” aveva popolato i miei ricordi fino a quel momento. Credevo che mio padre mi avesse abbandonato per proteggersi e solo ora scoprivo che mi era sempre stato vicino, fino a quando aveva potuto, sacrificando tutto per me, anzi per noi. Non potevo essere arrabbiata con lui.
Sole mi guardava in silenzio per non interrompere i miei pensieri, quando l'acqua fu alle nostre ginocchia puntò lo sguardo avanti e chiuse gli occhi con una smorfia, era come se sapesse cosa ci aspettava. I nostri corpi rimasero sospesi in quel mare argentato mano nella mano fino a quando sotto di noi non iniziarono a delinearsi le pareti di una casa, un attimo dopo i piedi toccarono terra. Misi le mani avanti e mi trovai appoggiata a un bellissimo tavolo di legno lucido in una grande sala da pranzo, davanti a me un bambino biondo di sei o sette anni disegnava con dei gessetti colorati una piccola casa in mezzo ad un bosco. Dei passi ci fecero voltare, una vecchia signora entrò nella stanza, aveva i lunghi capelli grigi raccolti in uno chignon alto molto elegante, una gonna lunga fin sotto il ginocchio e una camicetta lilla le coprivano il corpo magro e slanciato, le scarpe erano perfettamente abbinate ai gioielli e alla borsa che lasciò cadere sonoramente sul tavolo. Guardando la casa si capiva subito che la proprietaria era quella donna, era elegante, pulita, semplice e un po’ anni ’40, come lei. Il bambino alzò lo sguardo e le sorrise -Ciao zia Kaitlyn! Guarda- disse alzando il disegno per farlo vedere alla zia -sto disegnando la mia vecchia casa-
-Ma che bel disegno!- disse lei e sul suo viso magro spuntò un sorriso, andò dal nipotino e gli diede un bacio sulla testa osservando il disegno da vicino, i corpi stilizzati e ancora incompleti di quattro persone erano stati disegnati tra le confuse linee verdi, che dovevano essere alberi, e la casa in legno molto simile al castello della Disney -Dov'è tua madre?- chiese spettinando ulteriormente i capelli già arruffati del bambino -In camera- rispose lui con un’alzata di spalle, poi tornò a colorare. Gli occhi grigi della donna esprimevano tutta la sua disapprovazione -Mi chiedo cosa faccia tutti i giorni alla stessa ora chiusa in quella stanza- borbottò, poi si chinò sul bambino e dolcemente gli chiese -Ti va se questa sera ordiniamo una bella pizza? Würstel e patatine per tutti, come piace a te!- il bambino annuì vistosamente -Perfetto!- disse lei e dopo avergli dato un bacio uscì dalla stanza. La seguimmo arrivando nel largo corridoio in fondo al quale c'era una lunga rampa di scale che saliva al piano di sopra, la donna lanciò un'occhiata veloce in quella direzione e poi si allontanò per telefonare. 
-Vieni- mi disse Sole e mi guidò fino in cima alle scale -questa è la sua stanza- ci fermammo davanti ad una porta chiusa di legno chiaro. Sembrava pietrificato e potevo capire il perché, stava per succedere qualcosa di importante e per la prima volta avrebbe visto con i suoi occhi la verità che aveva sempre cercato. Appoggiai la mia mano sul suo braccio e gli sorrisi, girò il viso verso di me, era chiaramente spaventato da ciò che avrebbe potuto vedere entrando in quella stanza, in realtà non era poi così tanto diverso dal bambino che stava disegnando al piano di sotto. Ma io in quel momento ero lì per lui, non l’avrei lasciato solo. Portai la mia mano sopra la maniglia e dopo un bel respiro aprii la porta.
***
Claire era sdraiata sul letto a guardare il soffitto da più di un'ora, aveva già deciso di non scendere per cena, per sicurezza, e aspettare ancora. Iniziava davvero a preoccuparsi, non aveva ricevuto nessuna chiamata il giorno prima e nemmeno quello prima ancora, sospirò e chiudendo gli occhi immaginò il viso sorridente di Paul e la sua voce che la chiamava -Claire- le sembrava quasi di sentirla davvero -Claire svegliati!-
Balzò a sedere sul letto e si guardò intorno, ed eccolo lì alla destra del letto, un messaggio iride.
-Paul!- gridò e si avvicinò così tanto al viso dell’uomo da farlo indietreggiare istintivamente -Avevi promesso di mandarmi un messaggio ogni giorno- era furiosa.
-Mi dispiace, ho avuto una lunga settimana- rispose lui, il suo sguardo stanco la fece calmare, anche nei momenti più difficili non l’aveva mai visto così abbattuto, il suo primo pensiero era sempre stato sorridere per lei e cercare di farla ridere. C'era qualcosa che doveva dirle ma non trovava il coraggio, era evidente -Paul, cosa sta succedendo?- chiese guardandolo negli occhi, lui sospirò ma non abbassò lo sguardo -Devo dirti una cosa importante, ma non so davvero da dove cominciare…- Claire attese in silenzio non riuscendo ad immaginare cosa volesse dirle -Questo sarà l'ultimo messaggio iride che riceverai da me- disse lui tutto d'un fiato.
Claire non riusciva a capire -Beh non è un problema- disse con un sorriso incerto -puoi mandarmi una lettera ogni tanto-
-Senti...- tentò di spiegarle.
-Oppure puoi venire a farmi visita, zia Kaitlyn sarebbe felice di conoscerti-
-Ma...- tentò lui, ma lei non voleva lasciarlo parlare, aveva paura di sapere la verità.
-Tranquillo lei sa cosa siamo, non le ho spiegato proprio tutto… ma sa chi sei quindi non sarà un problema se...-
-Claire!- gridò lui zittendola -Ho poco tempo per spiegarti- disse passandosi la mano sul viso stanco -Non potevo continuare a nascondermi a Northampton, non è più sicuro. Ormai sono ovunque- spiegò guardandola -e non posso continuare a farvi visita, né a te né a Francy. È troppo pericoloso, loro mi usano per trovarvi, ho rischiato molto l'ultima volta e non voglio che vi accada qualcosa quindi...- si bloccò e abbassò lo sguardo per poi guardarsi attorno visibilmente agitato -Stanno venendo da me Claire, questa sarà l'ultima volta che ci vedremo. Mi dispiace tantissimo-
Qualcosa nel suo cuore si ruppe, Claire si portò una mano tremante alla bocca e bisbigliò -No... ti prego Paul, torna a casa- ma lui scosse la testa, la guardò negli occhi e alzò una mano nella sua direzione come per accarezzarle il viso, poi sorrise debolmente e disse con voce tremante -Tu e i bambini siete stati l’unica cosa bella della mia vita, valeva la pena di fare tutta questa fatica anche solo per passare questi anni con voi. Vi voglio bene- un rumore alle sue spalle lo fece voltare e Claire scorse alcuni dettagli del posto illuminato da pochi lampioni, poi lui tornò a guardarla -Devo andare, addio Claire-

-No!- gridò lei senza curarsi che le persone al piano di sotto potessero allarmarsi -PAUL!- lacrime di rabbia e disperazione iniziarono a scorrerle lungo il viso, l’uomo la guardò bene per un'ultima volta, imprimendosi la sua immagine nella mente, poi le rivolse un sorriso triste -Ti prego non lo fare- bisbigliò lei tra i singhiozzi, ma Paul prese un bel respirò e si voltò, il messaggio Iride si dissolse in un attimo.
Non poteva essere vero, lui era il suo migliore amico e non l'aveva mai lasciata sola. Non aveva mai immaginato che le cose potessero andare così, ed era tutta colpa sua. Lei si era fatta fregare da un dio di cui non conosceva nemmeno il nome, lei era rimasta incinta, lei li aveva portati in quella casa permettendogli di seguirla e lasciare il Campo Mezzosangue. Certo anche lui aveva contributo cadendo nella trappola che Demetra aveva preparato per il suo folle piano, ma anche quello in fondo era colpa sua: avrebbe dovuto mostrare di più quanto teneva a lui, parlargli della strana sensazione che aveva riguardo a quello che le raccontava e della preoccupante somiglianza che c’era tra la situazione che stava vivendo con quella ragazza sconosciuta e quello che era capitato a lei più di un anno prima.
Improvvisamente un pensiero cominciò a farsi strada nella testa di Claire. Non poteva permettere che morisse da solo, combattendo per lei. Si alzò dal letto e aprì l'armadio, prese la spada,la sua fodera e il pugnale, poi uscì dalla stanza senza guardarsi alle spalle. Corse giù dalle scale con il cuore a mille, aveva già una mano sulla maniglia quando una vocina la fermò -Mamma dove vai?- si voltò lentamente e vide suo figlio correrle incontro con un disegno stretto in una mano lo guardò negli occhi e cercando di non piangere disse -C'è un amico che ha bisogno di me, torno subito amore mio- tentò un sorriso ma non riuscì a fingere davanti a quei occhi arancioni, all'improvviso la zia Kaitlyn uscì dalla cucina e si fermò in corridoio. La guardò, il suo sguardo era freddo e accusatorio, Claire la guardò chiedendole aiuto. Passò qualche istante e l'anziana donna abbassò gli occhi e avvicinandosi mise le mani ossute sulle spalle di Sole.
-È per te mamma- disse il bambino porgendole il disegno colorato -siamo noi tutti insieme- Claire si abbassò fino a trovarsi all'altezza del figlio di sette anni, prese il disegno tra le mani e lo guardò distrattamente, la sua testa era piena di pensieri. Guardò la piccola casa marrone vicino agli alberi e le venne l’assurda idea che il bambino potesse ricordarsi di quegli anni, poi il suo sguardo cadde sulle persone che si tenevano per mano: un uomo dai capelli neri, una donna bionda e due bambini. Non ebbe più dubbi, con le lacrime agli occhi prese il disegno, lo infilò nella tasca interna della giacca leggera, all’altezza del cuore, poi mise le mani sulle braccia del bambino stringendole forte -Ti voglio bene Sole. Non dimenticarlo mai, ok?- disse scuotendolo un poco, poi asciugandosi le lacrime aggiunse -Scusami. Per tutto, è tutta colpa mia- spinse leggermente il bambino mandandolo contro le gambe della zia che prontamente gli infilò le dita nelle piccole spalle, Claire si alzò di scatto e aprì la porta.
***
Fu un attimo, fino a quel momento avevamo sempre assistito alla scena in silenzio, senza partecipare, ma Sole non ce la fece più, e senza le mani della zia sulle spalle che l’avevano trattenuto quando era bambino, il ragazzo scattò in avanti. Tentò di afferrare la figura della madre mentre il bambino dietro di lui gridava e tentava di divincolarsi dalla presa di Kaitlyn che con lo sguardo basso stringeva i denti tentando di non mostrare emozioni, ma nessuno di loro poteva vede Sole, e le sue mani attraversarono il corpo di Claire. Si trovò all'esterno della casa e io lo raggiunsi subito tentando di farlo ragionare -Sole fermati. Questo è solo un ricordo, non puoi cambiare le cose!- ma lui non mi stava ascoltando, si guardava le mani con un misto di disperazione e stupore, poi si voltò e guardò la madre, che senza saperlo lo stava guardando dritto negli occhi. Claire si guardò indietro un' ultima volta, la grande casa illuminata non le sarebbe sicuramente mancata perché i momenti più belli li aveva vissuti in una piccola casetta di legno a Northampton e l'uomo che si stava per sacrificare per lei era colui che li aveva resi così speciali. Ma di sicuro non si sarebbe mai perdonata di aver lasciato solo suo figlio. Sole si mise le mani sulle orecchie, abbassò lo sguardo e chiudendo gli occhi gridò -BASTA! Non voglio sentire... smettila!- per la prima volta capii cosa voleva dirci mio padre quando ci spiegò che non sarebbe stato bello: vivere i ricordi di Paul e quelli di Claire uno dopo l’altro, e con essi sentire anche le loro emozioni e i loro pensieri. Era difficile sopportarlo senza poter intervenire. Il rumore della porta che si chiudeva fece alzare lo sguardo a Sole, si sentirono le grida e il rumore che il bambino, liberatosi delle mani della zia, stava facendo battendo i pugni sulla porta e urlando a sua madre di tornare indietro. Claire attraversò il giardino correndo fino alla strada e senza esitare lanciò in aria la moneta d'oro e sussurrò le parole in greco antico che negli ultimi anni aveva usato spesso, la figura del taxi si fermò davanti a lei, le tre vecchie abbassarono il finestrino. Quella al volante la guardò con l'unico occhio che avevano -La sua ultima corsa signorina Walker?- Claire salì e una volta dentro la guardò sconsolata -Vorrei risponderle "no" ma so bene che sarebbe un' illusione- le tre annuirono con aria solenne e lei, con il cuore in gola, aggiunse -Port Morris, più in fretta che potete-
Il taxi sfrecciò via ad altissima velocità e Sole corse in avanti in un ultimo disperato tentativo di cambiare le cose. Mi guardai attorno, i lampioni sembravano sciogliersi e lentamente anche la casa della signora Kaitlyn colava a terra, l'acqua mi arrivava alle caviglie -Sole!- gridai e lui si voltò verso di me -la mano, dobbiamo andare avanti- lanciò un'ultima occhiata al vicolo illuminato che andava sparendo e quando l'acqua era ormai alle nostre ginocchia iniziò a farsi strada verso di me. Intrecciò le dita della sua mano con le mie e guardò l'acqua sommergerle e salire lungo i suoi fianchi.
-Mi dispiace che tu abbia dovuto riviverlo- dissi, aveva un'espressione distrutta. Il mondo le era crollato addosso una seconda volta portandogli via sua madre.
-Perché l'ha fatto?- disse dopo un attimo di silenzio -Tuo padre non voleva questo-
Rimasi in silenzio per un po’, poi con lo sguardo dritto davanti a me bisbigliai -Nessuno lo voleva- e l'acqua ci trascinò via.
ANGOLO AUTRICE:
Da da dannn... finale tragico me ne rendo conto, ma non avete ancora visto il prossimo :') vi amo <3 
Avete visto quanto è tenera Francy?! E che dire, Paul ha dovuto prendere una decisione difficile, e da quel momento in poi nemmeno la vita di Sole sarà più stessa. 
Cosa ne pensate del capitolo? Fatemelo sapere nelle vostre recensioni. Vi aspetto :)
Sole Walker
   
 
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