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Autore: _Nix    02/04/2017    2 recensioni
Fury avvicina la bocca al colletto del suo cappotto di pelle: «Fatelo entrare» ordina poi.
Fare entrare chi, di preciso?
Neanche cinque secondi dopo la porta della stanza in cui si sta svolgendo questa "felice rimpatriata" si apre e fa la sua comparsa la causa della mia rovina.
I capelli biondicci sono fissati con un po' di gel, gli occhi azzurri si spostano prima su Fury e subito dopo su di me mentre un accenno di sorriso si va a formare sulla pelle chiara del volto, accompagnato da due fossette.
Le spalle larghe e il petto muscoloso sono fasciati da una maglietta bianca e su di esso poggiando due braccia incrociate che farebbero invidia a chiunque.
Sulla medesima maglia, infine, una catenina in metallo pende dal suo collo e termina con un piastrina di riconoscimento simile a quella dei Marines.
Ah, io l'ho sempre detto che Captain America è un gran figo.
«Capitano, le presento Regan Sanners. Regan, lui è Steve Rogers. -ci presenta Fury e io sarei tentata di dirgli che so bene chi è il ragazzo davanti a me ma- Sarai affidata a lui e con lui sconterai la punizione che ti verrà affidata».
Punizione? E che sono una bambina?
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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2
 
 
L’appartamento di Steve Rogers, al terzo piano di una palazzina nel Lower East Side di Manhattan, è molto più diverso da come me lo ero immaginato.
Una volta aperta la porta d’ingresso mi sarei aspettata di trovarmi di fronte ad un piccolo museo personale dedicato alle vicende storiche ed eroiche del grande Captain America: cuscini rivestiti con federe patriottiche, manichini dei vari costumi di Captain America, quadri contenenti foto ingiallite e vecchi articoli di giornale, e bandiere americane svolazzanti sul balcone.
E invece, una volta essere entrata nel bilocale del ragazzo mi sorprendo della sua semplicità ed essenzialità.
Davanti a me si presenta una triplice visuale, alla mia sinistra addossato alla parete c’è un divano a tre piazze e davanti ad esso un mobiletto sul quale è poggiata la televisione.
Alla mia destra invece, la prima cosa che noto è il tavolo da pranzo in vetro circondato da sei sedie e, dietro ad esso, l’area cottura.
Davanti a me, infine, intravedo dalla porta aperta quella che deve essere la stanza da letto di Steve.
«Carino» commento piano, muovendo alcuni passi dentro il salotto.
«Sì, è piuttosto accogliente -concorda Rogers mentre lascia cadere le chiavi di casa dentro un recipiente sulla mensola accanto alla porta- Allora, immagino tu sia stanca» continua poi, avvicinandosi al divano e piegandosi sulle ginocchia, per poi infilare una mano sotto il mobile.
Con un rapido movimento questo si apre, fino a diventare una sorta letto.
«Dormirò qui?» chiedo, indicandolo.
Non che non mi vada bene, al contrario!
Un letto così spazioso me lo sogno la notte, nella mia condizione.
«Non.. Non va bene?» mi chiede Steve, puntandomi addosso lo sguardo e grattandosi la testa con le mani, confuso.
Spalanco gli occhi e balbetto un «No! No, affatto, è perfetto! Perfetto, sì» di cui mi pento non appena vedo sul volto del ragazzo nascere un sorriso furbo.
«Vado a preparare qualcosa da bere –annuncia poi, avviandosi verso la cucina- Thè o caffè?» mi chiede, mentre apre l’anta della credenza.
«Oh, ehm, thé, grazie. Non riesco a dormire se bevo il caffè a quest’ora» spiego gesticolando leggermente per poi sedermi sul divano-letto e darmi una manata sulla fronte sussurrando uno «Scema».
Steve annuisce, mettendo l’acqua a scaldare e prendendo due tazze bianche, per poi appoggiarle sul ripiano della cucina.
Si avvicina al tavolo e sposta due sedie, invitandomi poi ad avvicinarmi e sedermi su una di quelle.
Annuisco e mi alzo, dirigendomi verso di lui; nel tragitto che ci separa mi sento più osservata di un quadro ad una mostra e tutto ciò mi destabilizza parecchio.
Mi siedo, unendo le mani tra le gambe e stringendole tra le cosce, in imbarazzo.
In imbarazzo? Io sono in imbarazzo? Tutto ciò non ha senso.
Non sono mai stata in imbarazzo, neanche quando al liceo ero costretta ad uscire con una mia amica ed il ragazzo –facendo ovviamente da terzo incomodo- o quando, puntualmente, i due finivano per pomiciare tutta la serata.
Steve mi raggiuge poco dopo stringendo tra le mani due tazze fumanti di thè, per poi poggiarne una davanti a me sul tavolo mentre mi si siede accanto, dicendo un: «Ecco a te», accompagnato da un sorriso che riuscirebbe a far sciogliere perfino Nick Fury in persona.
Chiudo la mano intorno al manico della tazza e la porto alla bocca, prendendo un sorso del liquido chiaro e battendo piano il piede a terra, in attesa che accada qualcosa.
Volto leggermente lo sguardo su Steve trovandolo nella mia stessa situazione.
Magnifico. Davvero magnifico.
«Sembra che non riusciamo a rompere il ghiaccio eh? –mi dice, ridacchiando leggermente- Eppure dovrei essere un esperto» conclude, schiarendosi poi la voce.
Aggrotto le sopracciglia mentre un sorriso involontario si apre sulle mie labbra: «Cos’era, una battuta?» ridacchio poi, allontanando la tazza dalla bocca e poggiandola nuovamente sul tavolo.
Steve mi imita, grattandosi piano la testa e sorridendo divertito.
E’ una cosa che fa spesso, grattarsi la testa. Specialmente quando si trova in situazioni di imbarazzo –lieve o forte che sia- o di confusione. Il Capitano è stressato e anche parecchio, sembra. Studiare psicologia alla fine è servito a qualcosa.
«Già, pessima vero? –mi sorride lasciando cadere il braccio sulla coscia, stringendosi poi piano il ginocchio- Non sono mai stato bravo, con le battute».
«Oh, allora siamo fortunati –affermo con sicurezza, mettendomi dritta sulla sedia- Le battute sono una mia specialità» concludo, sorridendo appena.
«Si, ho notato durante il colloquio con Fury» ridacchia, scuotendo appena la testa e afferrando nuovamente la tazza, per poi portarsela alla bocca.
Lo imito, prendo un sorso di thè e appoggia la tazza sulle cosce, stringendola con entrambe le mani: «Deve essere dura» dico, spinta da una non so quale forza, o curiosità che sia, interiore puntando lo sguardo su di lui.
«Cosa?» mi domanda, leggermente perplesso.
«Tutto questo. Vivere in mondo che... non è più il tuo».
Steve mi guarda e sorride appena, per poi abbassare la testa: «Quando ero congelato il mondo era in guerra, mi sveglio e tutti dicono che abbiamo vinto ma non che cosa abbiamo perso –dice, restando con lo sguardo piantato sulle sue mani, unite davanti alla ginocchia su cui poggiano le braccia- E’ abbastanza sconvolgente, sì» ammette poi, tornando con lo sguardo su di me.
Annuisco, prendendo l’ultimo sorso di thé e poggiando poi la tazza sul tavolo: «Io, ehm, credo che andrò a dormire» gli dico, facendo strusciare le mani sulle cosce ancora fasciate dalla tuta in kevlar attillata.
Steve annuisce, blaterando un «Certo, certo» per poi afferrare entrambe le tazze ed infilarle nel lavandino.
«Allora, mh, buonanotte» dico, in quella che sembra più una domanda che un’affermazione.
Il Capitano borbotta un «buonanotte» di rimando, grattandosi la testa e sorridendo imbarazzato, per poi darmi di spalle e allontanarsi verso la sua camera da letto.
Lo squadro, partendo dalle spalle larghe percorrendo poi la schiena muscolosa, fino a fermarmi con lo sguardo sul suo fondoschiena.
E’ più forte di me, non posso farci niente. Anche perché, siamo obbiettivi, il suo è oggettivamente un gran bel sedere.
Sorrido furba, slacciandomi la tuta per infilarmi il pigiama e mettermi sotto le coperte.
Oh sì, mi è andata proprio bene.
 
La mia schiena sbatte violentemente a terra, seppur l’impatto sia stato attutito dal materassino blu posto sotto di me.
Mugugno dolorante, aprendo le braccia sul materassino e chiudendo gli occhi, stanca.
Questa notte avrò dormito sì e no tre ore, probabilmente neanche tutte di fila; questa mattina, invece, mi sono svegliata ad un orario improponibile per chiunque (specialmente per una come me che è abituata a dormire almeno otto ore al giorno), grazie ad un assordante assolo di Tom DeLonge.
Direttamente dalla playlist personalizzata di Steve Rogers, signori!
In effetti, non è stato uno dei miei risvegli migliori.
«Regan».
Mi rendo conto di essermi appisolata sul materassino blu quando la voce del sopracitato mi fa aprire gli occhi, lasciandomi alla vista del volto del Capitano che mi fissa, dall’alto del suo metro e novanta, accanto a me.
Se tutti i risvegli fossero così, potrei anche pensare di svegliarmi tutti i giorni ad un orario improponibile.
«Ti senti bene?» mi chiede, piegando una gamba e poggiando il ginocchio a terra, accanto al mio fianco, per poi chinarsi col busto leggermente verso di me.
«S..sì» balbetto, piantando i gomiti per terra, alzando il busto e sorridendo leggermente, per poi ripetere un fermo e convinto «Sì».
Steve annuisce, si alza e mi tende una mano, per aiutarmi ad alzarmi; cosa in cui forse mette un po’ troppa forza, visto che mi ritrovo praticamente catapultata addosso al suo petto.
Tutto questo è imbarazzante, anche se in altre situazioni lo avrei etichettato in un modo…diverso.
«Bene –afferma dopo essersi schiarito la voce, allontanandosi leggermente- Riprendiamo» annuncia poi, flettendo leggermente le gambe e portando i pugni chiusi a coprirsi le tempie.
Oh, Dio. No, basta!
Ruoto gli occhi, sbuffando per poi assumere la stessa posizione del ragazzo seppur svogliatamente.
Il Capitano carica un colpo, indirizzandolo verso di me ma essendo più veloce riesco ad evitarlo, per poi imitare il ragazzo con la sua prima mossa.
Anche la mia però viene facilmente neutralizzata quando il braccio di Steve incontra il mio, bloccandolo quando il mio pugno è a pochi centimetri dal suo volto.
Con una rapida mossa, la sua mano afferra il mio polso, portandolo dietro la mia schiena mentre l’altra mi afferra il braccio e lo stringe alla vita.
Provo a muovermi e liberarmi, invano data la maggiore forza che ha il ragazzo su di me quindi finisco ben presto per arrendermi, con uno sbuffo stanco.
«Sei troppo impulsiva -afferma Steve, lasciandomi andare- Hai troppa fretta di finire ciò che hai iniziato, non ragioni!».
Incrocio le braccia al petto e mi stampo un sorriso smielato sulle labbra: «Sai, Cap, non è la prima volta che me lo dicono» affermo, muovendo alcuni passi verso di lui.
«Motivazione –afferma poi, poggiando le mani sui fianchi- Ti manca la motivazione», conclude infine.
Motivazione.
Sarei motivata se il mio istruttore avesse una ciambella al cioccolato in mano o una borsa di Chanel appesa al collo da strappargli!
Anche se, ora che guardo meglio Steve mentre si piega per uscire dal ring, mi rendo conto che potrei pure accontentarmi di strappargli la maglietta beige di dosso.
No, concentrati.
Steve mi fa segno di raggiungerlo accanto al sacco da boxe, ha le braccia incrociate al petto e lo sguardo serio.
Sbuffo, per poi scendere dal ring e avvicinarmi al ragazzo.
«Per oggi abbiamo finito, vai a farti la doccia» mi dice, puntando gli occhi azzurri nei miei.
Annuisco, chiudendo appena gli occhi e sospirando, per poi dare le spalle a Captain America e iniziare a camminare.
«Regan! –mi fermo, quando sento il Capitano che mi chiama, girandomi e stringendo le labbra- Se il tuo allenamento è condizionato da ciò che pensi dello S.H.I.E.L.D, e di Fury, forse dovremmo parlarne.» dice, avvicinandosi.
Alzo un sopracciglio, non capendo dove vuole arrivare; Steve prende un respiro profondo e «Fury mi ha parlato di tuo padre. –afferma, abbassando di poco lo sguardo- Mi dispiace per quello che è successo, ma non puoi sprecare un’opportunità come questa sol..».
Lo interrompo, stringendo gli occhi e aprendo di poco la bocca: «Sprecare un’opportunità?! –sbotto, avvicinandomi ancora di più- Quale opportunità, Steve?» domandò retorica, per poi riprendere a parlare quando lui cerca di rispondermi: «Non tutti hanno come unico obbiettivo nella vita il diventare un soldato perfetto, come te! Alcune persone hanno altre ambizioni e, sinceramente, per quanto riguarda mio padre, chi sei tu per dirmi che “dovremmo parlarne”? Te lo dirò brevemente: non sono cose che ti riguardano quindi, Capitan Pietà, cerca di farti gli affari tuoi!» sbotto, prima di andarmene definitivamente.
Solo mentre me ne vado mi rendo conto di aver fatto una scenata e di essermi comportata da bambina, ma ogni volta che qualcuno tira fuori la questione “Padre-S.H.I.E.L.D-Fury”, non riesco a trattenermi.
Nonostante il tempo passato, la ferita è ancora aperta.
E continua a sanguinare.
   
 
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