Had
my first kiss on a Friday night
Tarjei lo
guardava ad occhi sgranati, poi guardava la chiave che aveva sul palmo
della
mano e poi di nuovo lui. Le sue guance raggiunsero una sfumatura di
rosso totalmente
nuova e lo zaino che aveva su una spalla si accasciò sul
pavimento con un tonfo,
che entrambi ignorarono.
Tarjei portava
ordine, e luce, e calore, ed Henrik non ne aveva mai abbastanza.
Mai abbastanza
delle sue risate che riempivano le stanze.
Mai abbastanza
del sarcasmo con cui lo rimproverava del suo disordine cronico, per poi
convincerlo a pulire l’appartamento da cima a fondo insieme a
lui, operazione
che si concludeva quotidianamente con lui che gli faceva il solletico
sul
divano appena spolverato, così forte da farlo piangere per
le risate.
Mai abbastanza dei
suoi piedi freddi che gli facevano venire i brividi durante la notte e
delle
coperte che gli venivano costantemente rubate.
Mai abbastanza
dei post-it sotto la tazza ogni mattina quando usciva presto per andare
a
scuola e voleva comunque salutarlo con più che un bacio
sulla guancia mentre
ancora dormiva.
Mai abbastanza
di vederlo girare per casa con una delle sue magliette che gli andavano
grandi
ma che continuava a mettere perché ‘hanno un buon
odore’.
Mai abbastanza
delle notti passate a preoccuparsi se dormisse o meno perché
tornava a casa (a volte, Henrik si
ricordava che
quella non era casa sua e si bloccava, come se si fosse appena
ricordato di
essere uscito con il fornello acceso e tutto sarebbe potuto saltare in
aria da
un momento all’altro) per stare con Martha e non poteva
accarezzargli i capelli
finché non si addormentava.
Mai abbastanza.
Mai, mai, mai.
Quella chiave
voleva dire sempre.
“E’
la copia
della mia chiave, sai, nel caso la perdessi. Ora è
tua.”
Tarjei era
ancora sulla soglia della porta, i vestiti che prima lo avevano tenuto
al caldo
nel tragitto da scuola che ora sembravano soffocarlo, e non riusciva a
parlare.
Il suo cervello viaggiava
così veloce
che nemmeno riusciva ad afferrare i pensieri che gli passavano nella
mente, le
parole che avrebbe voluto dire erano confuse e mai appropriate e
credeva di
star per svenire. Henrik sorrise.
“Mentre ti
aspettavo ho pensato ‘e che succede se perdi
l’originale e rimani chiuso fuori?’,
e dopo mi sono detto che non rimarrei chiuso fuori, perché
ci saresti tu dall’altra
parte ad aprirmi la porta.”
Tarjei socchiuse
la bocca e lasciò andare un sospiro spezzato, come se fosse
sul punto di
piangere, ed Henrik si allarmò immediatamente, sentendo il
battito del suo
cuore aumentare drasticamente, ed iniziò a farfugliare in
fretta frasi
sconnesse cercando in fretta una soluzione. Vederlo piangere era
l’ultima cosa
che desiderava, in assoluto.
“Non devi
prenderla se non vuoi, è solo che pensavo che sarebbe stato
più comodo per te,
come quando la settimana scorsa sei stato ad aspettarmi sui gradini qui
fuori
per un’ora e quando sono arrivato avevi le dita delle mani
blu per il freddo.
Cioè, se avessi avuto la chiave non sarebbe successo
… è che io non voglio che
le tue dita diventino blu per il freddo, mai. Non è che se
la prendi devi
improvvisamente trasferirti qui ventiquattrore su ventiquattro, non ti
costringerei mai a farti fare una cosa del genere anche
perché per quanto
Martha possa adorarmi non credo la prenderebbe bene se le rubassi il
suo bambi-
Mentre parlava,
Tarjei aveva buttato il cappello e la sciarpa a terra, poi il cappotto
ed
infine anche la chiave, e gli aveva circondato il collo con le braccia
ed
Henrik si era dimenticato come si parla. La voce di Tarjei era sicura,
e
straordinariamente felice.
“Non
voglio che
le mie dita diventino blu mentre ti aspetto, voglio guardare fuori
dalla
finestra, vederti arrivare, e aprirti la porta prima che tu possa
tirare fuori
la chiave.”
-
I dubbi
arrivarono la prima volta che incontrò Mathias, esattamente
tre settimane e
mezzo dalla ‘quarta notte’ e una da quando gli
aveva dato la chiave.
Stava facendo i
compiti di inglese, ridacchiando nel sentire Henrik canticchiare sotto
la
doccia, quando si era presentato alla porta un ragazzino dai capelli
biondissimi e un cipiglio furbo che conosceva molto bene.
“Ciao! Io
sono
Mathias.”
Nello stringere
la mano di Mathias, che sembrava fin troppo sveglio rispetto ai suoi
coetanei,
Tarjei non poté fare a meno che sentirsi nel bel mezzo di un
esame. Era il
fratello di Henrik che aveva di fronte, e indossava i pantaloni del
pigiama e
una maglietta bianca di suo fratello maggiore. Che cavolo avrebbe
pensato di
lui?
Stop.
Primo dubbio.
Perché si
stava
preoccupando di cosa avrebbe pensato di lui il fratello di un suo amico?
“Tu devi
essere
Tarjei, Henrik parla sempre di te. Cioè, in
realtà non parla d’altro.”
Sorrise al
pensiero, guadagnandosi uno sguardo entusiasta da Mathias.
“Sei
davvero
adorabile come dice.”
La
capacità di
farlo arrossire doveva essere di famiglia.
“Grazie.”
“Già,
dice
sempre così, ‘il mio adorabile
…’”
Mathias si
bloccò, aggrottando le sopracciglia e inclinando la testa di
lato.
“Tu sei il
suo
ragazzo, giusto?”
Tarjei
deglutì a
fatica, tossendo leggermente a causa della gola che si era
improvvisamente prosciugata.
“N-no, non
sono
il suo ragazzo …”
“Oh,”
Mathias ci
pensò su qualche secondo, “cosa sei tu,
allora?”
Cos’era
lui per Henrik?
Più
cercava una
risposta a quella domanda, più il suo cervell0 sembrava
andare in tilt.
La risposta era
‘un
amico’. Vero?
Ma gli amici
dormono abbracciati nello stesso letto?
Gli amici
sentono un vuoto al centro del petto quando l’altro non
c’è?
Gli amici aspettano
per tutto il giorno il momento in cui saranno di nuovo insieme?
Gli amici si
parlano, si accarezzano, si comportano come fanno loro?
La risposta era
no. Ma allora loro cos’erano?
Mathias lo
guardava con il suo sguardo furbo e le sopracciglia alzate, e Tarjei si
sentì
come se riuscisse a leggere i suoi pensieri. Provò
l’impulso di chiedergli se
almeno lui ci capisse qualcosa.
“Tarjei?”
Henrik apparve
alle sue spalle, i capelli bagnati che gocciolavano, bagnandogli la
maglietta e
facendo risplendere il suo collo e la parte delle clavicole non coperte
dalla
stoffa. Il ragazzo si aprì in un enorme sorriso alla vista
del suo fratellino e
lo abbracciò per poi circondare la vita di Tarjei con un
braccio e muoverlo
cosicché Mathias potesse entrare.
Il suo tocco gli
bruciava la pelle e Tarjei si ritrovò a guardarlo in estasi,
i brividi che gli
scuotevano il corpo mentre continuava a ripetersi la stessa domanda.
Cos’erano
loro? Henrik ricambiò con lo sguardo dolce che Tarjei
realizzò solo in quel
momento essere riservato soltanto a lui, e gli baciò la
fronte.
Mathias rimase
per cena e Tarjei trovò la sua compagnia tanto piacevole
quanto quella di Siv,
ma non riuscì comunque a godersela appieno, troppo perso nei
suoi pensieri.
Mathias disse che era stato un piacere, e quando si fu chiuso la porta
alle
spalle, Henrik gli prese il viso fra le mani.
“Ehi baby,
va
tutto bene?”
Tarjei
sentì che
quella parola, concepita come una presa in giro, aveva assunto un altro
significato da molto tempo ormai, e nell’accorgersene le
gambe gli tremarono, e
dovette aggrapparsi alla maglietta di Henrik per essere certo di non
cadere in
ginocchio. Si sentiva sopraffatto, dai dubbi,
dall’incertezza, dai se e dai ma,
dal ragazzo di fronte a lui, che lo teneva insieme quando cadeva in
pezzi, che in
quel momento sentiva essere l’unica cosa e tutto
ciò che aveva.
Henrik lo guardava
con un espressione preoccupata e gli accarezzava le guance con i
pollici. Si
ricordò che gli era stata posta una domanda, e
l’ultima cosa che voleva era
essere la causa delle sue preoccupazioni. Incapace di rispondere a
parole annuì,
lasciò andare la stoffa che aveva fra le mani e gli circondo
la vita con le
braccia, posando il viso sul suo petto, venendo cullato dai gentili
battiti del
suo cuore.
“Letto?”
Annuì di
nuovo,
consapevole che quella notte non avrebbe chiuso occhio.
-
La mattina dopo,
scrisse sul post-it per Henrik che sarebbe stato via tutto il
pomeriggio. Nel
tragitto verso la scuola, chiamò l’unica persona
che avrebbe potuto aiutarlo,
almeno in parte.
“Pronto?”
“Lisa,
sono io.”
Non che David
non fosse bravo a dare consigli, ma gli serviva un intervento femminile.
“Ehi Tar!
Tutto
okay?”
“Sei
libera oggi
pomeriggio dopo scuola?”
“A tua
completa
disposizione. Come mai? Cioè, non che mi dispiaccia passare
del tempo supplementare
con il mio migliore amico, ovviamente.”
Tarjei
accennò
una risata.
“Ovviamente.
Ne
parliamo più tardi, ti passo a prendere a scuola.
Okay?”
“Okay
buddy, a
più tardi!”
“A
più tardi
Lis.”
Alle quattro del
pomeriggio erano di fronte ad una tazza di caffè e delle
questioni in sospeso.
“Tar sono
dieci
minuti che ti fisso mentre tu fissi il caffè, mi dici che
succede?”
Tarjei
pensò che
gli avevano chiesto più volte ‘che
succede’ nell’ultimo mese che in tutta la
sua vita. Sospirò e si passò una mano fra i
capelli, per poi alzare lo sguardo
ed incontrare gli occhi confusi e pieni di domande della sua amica.
“Sono
confuso.”
“Okay.”
“Non so
cosa
siamo.”
“Okay
… cosa
siete chi?”
“Io ed
Henrik.”
Lisa si morse il
labbro inferiore e prese un sorso dal suo bicchiere.
“Cosa
pensi di
essere per lui?”
Tarjei
sbatté un
paio di volte le palpebre.
“Un amico
…
credo.”
Lisa alzò
un
sopracciglio e lo guardò come se avesse appena detto la
cavolata più grande del
secolo.
“Tu pensi
che
Henrik ti reputi un amico.”
“Me lo
stai
chiedendo?”
“Sto
cercando di
farti capire quanto sia grande la puttanata che hai detto.”
Alzò gli
occhi al
cielo, arrossendo lievemente.
“Ecco un
paio di
punti che ti guideranno nella comprensione del perché
ciò che hai detto è una
cazzata.”
Lisa si
aggiustò
i capelli dietro le orecchie e si mise ad elencare sulle dita.
“Ha
portato te e
Martha a cena con la sua famiglia.”
“Non era
quello
il senso della cena.”
“Non
interrompere. Ti guarda come se fossi un’opera
d’arte, si illumina ogni volta
che ti vede, non è tranquillo finché non
è sicuro che tu stia bene, ti ha dato
le fottutissime chiavi di casa sua! Anche io sono tua amica, anche
David lo è,
ma noi non ci comportiamo così con te.”
Tarjei rimase in
silenzio per qualche secondo, e Lisa si morse il labbro inferiore, per
poi
allungare una mano sul tavolo e stringere la sua.
“Dovresti
parlarne con lui.”
“E cosa
gli
direi? Cosa farei se non dovesse …”
Lasciò la
frase
in sospeso e Lisa gli strinse la mano, costringendolo a guardarla.
“Ricambiare.
Ricambiare, Tarjei. Sai che Henrik ti piace, non
c’è bisogno che gli altri lo
sappiano se non vuoi, ma sii sincero con te stesso.”
Mi piace Henrik.
Si
aspettò che
quella verità lo avrebbe colpito come un pugno in pieno
viso, ma semplicemente
si insinuò dolcemente al suo interno e prese posto nel vuoto
al centro del suo
petto. Sorrise.
“Cosa
farei se
non dovesse ricambiare?”
“Ricambierà,”
la
sua sicurezza lo lasciò interdetto per un attimo,
“per le ragioni che ti ho detto
e per altre mille che conoscete solo voi, ricambierà.
Ricambia già adesso. Ha
sempre ricambiato.”
Lisa gli sorrise
e gli strinse ancora una volta la mano, per poi fare una lunga sorsata
e
riacquistare la sua aria entusiasta.
“Ora,
parliamo
di domani.”
Eh, domani. Tarjei nascose il
rossore dietro il
bicchiere.
“Metti
giù quel
caffè e guardami. Domani si gira la scena della piscina, sai
cosa vuol dire
vero?”
Eccome se lo
sapeva, non aveva pensato ad altro dall’audizione di Henrik.
Ne aveva avuto un
assaggio la settimana precedente, quando avevano girato la scena della
festa e
si era sentito bruciare di desiderio mentre si scambiavano sguardi da
una parte
all’altra della stanza, e quando Henrik si era avvicinato
tanto che aveva
sentito le sue ciglia sfiorargli le guance, finché non lo
aveva visto
allontanarsi di botto e, nonostante sapesse perfettamente che sarebbe
successo,
nella sua mente aveva bestemmiato in quarantadue lingue diverse.
La voce gli
uscì
in un sussurro.
“So cosa
vuol
dire.”
“Andrà
bene
Tarjei, e pensa che da domani diventerai uno dei ragazzi più
invidiati in
Norvegia e, se la serie diventa famosa come credo, di mezzo
mondo.”
Tarjei non seppe
dire il perché, ma quelle avevano tutta l’aria di
essere delle parole
profetiche.
-
Sentivano i
battiti del loro cuore come esplosioni dall’esterno, la pelle
d’oca a causa
dell’acqua congelata tirarli la pelle, la pressione di avere
una telecamera a
qualche metro da loro, la vista offuscata dall’acqua, ma
riuscivano a vedersi,
e sentirono di star annegando nelle loro stesse emozioni.
Sott’acqua
Henrik sembrava risplendere di luce propria come il giovane dio
qual’era, e
Tarjei non era mai stato tanto angelico.
Mentre le loro
labbra si avvicinavano sempre di più, si ripeterono che
stava per accadere sul serio,
che non era uno dei loro numerosi sogni, che stavolta non gli avrebbe
interrotti nessuno.
E tutto il mondo
parve esplodere alla loro collisione.
E le migliaia di
farfalle che abitavano i loro stomaci presero il volo.
E milioni di
brividi attraversarono i loro corpi e gli scossero le membra e il
sangue venne
sostituito da miliardi di scintille e l’acqua
sembrò prendere fuoco e il vuoto fu
colmato.
E quando
finì,
fecero in modo che ricominciasse il prima possibile e si aggrapparono a
capelli
e vestiti fradici e desiderarono di non dover mai lasciare la presa.
E quando si
arrampicarono fuori dalla finestra e si distesero sul prato, ansanti e
incapaci
di frenare i tremiti e le risate causate dall’emozioni che
sentivano essere più
grandi di loro, ringraziarono le stelle che li osservavano da lontano,
fiere
che i loro atomi fossero stati capaci di creare qualcosa di tanto
perfetto.