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Autore: martinablu    04/04/2017    2 recensioni
"A cosa sei disposto a rinunciare Spock di Vulcano per riavere il tuo T’hy’la?" fu la domanda.
"A tutto" fu la risposta.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

“Mi raccomando. Per i prossimi due giorni è fuori servizio. La prenda come una vacanza e si dedichi ai suoi hobbies… se ne ha”
McCoy accompagnò Spock  sino alla porta dell’infermeria, nello sguardo una leggera preoccupazione.
Il vulcaniano aveva cercato di mantenere un contegno calmo, mentre era sotto il controllo del medico. Non voleva destare sospetti e certo non poteva permettersi che la sua sanità mentale fosse considerata in pericolo. Aveva bisogno di tempo per razionalizzare l’accaduto e decidere la linea di azione.
“Molto bene, dottore, mi atterrò alle sue indicazioni” fece con aria neutra.
“Beh… Uhura sarà lieta di poter trascorrere un po’ di tempo con il suo ragazzo” ridacchiò McCoy mentre tornava verso il suo ufficio.
Uhura.
La donna era stata una presenza costante al suo fianco nei due giorni che il vulcaniano aveva passato in infermeria.
Spock si era sentito imbarazzato  per i tentativi di avvicinamento, per fortuna comunque tenuti a freno dal fatto che erano in infermeria, e ora il fatto che doveva passare due giorni da solo nella sua cabina, lo preoccupava.
Probabilmente  Uhura avrebbe tentato un approccio intimo, e lui non  si sentiva assolutamente in grado di corrispondere.
Anche se Jim, in questo universo, non era il suo T’hy’la, Spock era ancora legato al capitano esattamente come prima.
Jim Era il suo T’hy’la e  quel legame, una volta contratto, portava i vulcaniani alla assoluta monogamia sino alla morte di uno dei due, e  alla pratica impossibilità di provare sentimenti o sensanzioni, anche sessuali, per altri.
Con Uhura, Spock aveva condiviso una relazione piacevole, che però non era mai sfociata neppure nella prospettiva di un legame. Le loro menti erano incompatibili, ma Spock all’epoca era convinto che non avrebbe mai trovato un compagno o una compagna adatti a lui, per cui si era accontentato di quello che la bella umana poteva offrirgli.
 Stima, reciproca comprensione, affetto e, perché no, “consolazione sessuale”, ma nulla di quel sentimento abbagliante e totalizzante che poi aveva condiviso con Jim.
E ora sentiva il desiderio di Jim nella sua mente e non poterlo soddisfare gli  provocava enorme dolore.
Certo non lancinante come quello che aveva provato quando aveva sentito il suo compagno morire, ma comunque la sofferenza era sempre lì, sorda e costante. Sofferenza che aumentava in modo esponenziale quando il capitano era in sua presenza.
Durante le due visite che Jm gli aveva fatto in infermeria Spock si era aggrappato al letto per resistere alla tentazione di abbracciarlo, baciarlo e soprattutto fondersi con lui.
Il desiderio bruciante era contrastato dalle immagini di Jim, immobile pallido e freddo, steso nella bara pronto per essere lanciato nello spazio.
No, Spock non poteva  permettersi neppure di correre il rischio che la cosa si ripetesse. Stavolta sarebbe davvero morto  anche lui all’istante per il dolore.
Doveva proteggere la cosa più preziosa che aveva, anche a costo di provare quella sofferenza per tutta la vita.
Perso nei suoi pensieri, neppure si accorse di essere arrivato,  muovendosi quasi in modo automatico, alla sua cabina.
Sulla porta c’era Uhura che l’aspettava con aria felice.
“Spock, sei qui. Stavo per venire in infermeria per vedere se McCoy ti aveva sequestrato per un altro giorno” fece la donna sorridendo.
“Sono in perfetta salute, anche se il dottore mi ha impedito il servizio attivo per le prossime quarantotto ore” rispose, rigido, Spock.
“Bene. Gli devo un wiskey per permettermi di passare un po’ di tempo con te…”
“Non credo che la valutazione medica del dottor McCoy includesse anche questa considerazione”
Uhura rise, facendo oscillare la lunga coda di capelli neri.
“No credo proprio di no. Che ne dici di pranzare insieme? Ho un po’ di tempo prima di iniziare il mio turno”
Spock si limitò ad annuire e a seguire la  giovane verso il turboascensore.
 
La sala mensa era poco affollata, vista l’ora.
Spock e Uhura si avvicinarono con i loro vassoi al replicatore, quando nella sala risuonò una risata squillante.
Spock si voltò a guardare:  ad un tavolo laterale  erano seduti McCoy, con Christine Chapel a fianco e di fronte a loro, Jim  con accanto Carol Marcus.
La giovane scienziata rideva rilassata, guardando estasiata Jim che, con evidenza, stava raccontando qualcosa di molto divertente.
Spock si costrinse a rimanere calmo.
Un’altra variabile non prevista di questo universo.
Carol Marcus non era sbarcata dopo il primo anno della missione quinquennale, delusa dal fatto che Jim non corrispondeva al suo interesse per lui.
Era ancora sulla nave e con evidenza ancora interessata sentimentalmente al capitano.
Un’altra risata  richiamò l’attenzione di Spock, mentre aspettava che il replicatore gli fornisse la zuppa ploomek che aveva ordinato.
Stavolta la donna ridendo aveva appoggiato la testa sulla spalla di Jim e lui distrattamente le aveva passato un braccio intorno alle spalle.
Il dolore bruciante della gelosia scosse Spock sino al profondo della sua anima.
Con un ringhio strinse talmente forte il vassoio in metallo che lo spezzò in due.
“Spock ma che…” disse Uhura fissandolo sgomenta.
Il rumore del vassoio che si spezzava in due aveva attirato l’attenzione anche dei quattro al tavolo, che ora fissavano da lontano, immobili.
Spock quasi avvampò allo sguardo indagatore di McCoy, fermo su di lui.
“Perdonami Nyota, non sono in grado di cenare con te. Temo di aver sopravvalutato le mie forze. Permettimi di ritirami nella mia cabina” balbettò mentre usciva di corsa dalla sala.
McCoy e Uhura fecero per seguirlo, ma vennero prontamente bloccati dal capitano.
“Fermi. Vado io. Se ci fosse bisogno ti chiamo, Bones” disse, seguendo il suo primo ufficiale nel corridoio.
 
La cabina di Spock era sostanzialmente identica a quella dell’altro universo.
Stessa disposizione dei mobili, stessi oggetti, pochissimi, che l’adornavano.
Ma mancava ovviamente il pugnale che il padre gli aveva regalato per la cerimonia di legame.
E soprattutto mancava la scacchiera, con cui lui e Jim  giocavano ogni sera.
Il loro avvicinamento era iniziato così, con le partite di scacchi.
Spock, anche se vulcaniano per metà, era come tutto il suo popolo un campione di scacchi, l’unico gioco terrestre apprezzato su Vulcano in quanto basato sulla logica.
Quando Jim l’aveva sfidato per la prima volta Spock era rimasto perplesso per l’audacia con cui un umano pensava di poter superare un vulcaniano in quel gioco.
Sino a che non aveva perso la prima partita.
Jim aveva una strategia assolutamente illogica, priva di ogni schema, eppure efficacissima.
Un minuto prima sembrava sull’orlo di perdere la partita in disfatta completa, ed il minuto dopo il capitano sorrideva soddisfatto dichiarando “scacco matto”.
Solo allora Spock aveva iniziato a comprendere l’acutissima intelligenza dell’umano che aveva davanti e la complessità affascinante della sua mente.
Notte dopo notte, parlando del più e del meno, Spock aveva iniziato a capire la profondità dell’animo di James Tiberius Kirk, la bontà d’animo e l’altruismo che nascondeva sotto la parvenza di ragazzino arrogante.
Alla luce  soffusa aveva iniziato a studiare la bellezza abbagliante del giovane capitano, i tratti delicati del viso, gli occhi di una tonalità di blu difficile da descrivere, le mani eleganti eppure forti con cui stingeva i pezzi prima di muoverli, il corpo atletico e muscoloso.
Notte dopo notte, gioco dopo gioco, Spock aveva capito che Jim ormai era qualcosa di più di un semplice amico o del capitano per cui provava stima e rispetto.
Entrando nella sua cabina, pur sconvolto da quanto era successo in sala mensa, Spock si chiese dove fosse finita, accorgendosi subito della sua assenza.
Sino a che non la ritrovò, seminascosta in uno scaffale, i pezzi riposti con cura e con evidenza non utilizzati da tempo.
Un’altra divergenza, un altro pezzo mancante in quest’universo che testimoniava ancora una volta come Jim non fosse suo.
Spock prese la scacchiera e la poggiò sul tavolo, fissandola intensamente.
Non aveva alcun diritto di essere geloso di Jim in quest’universo. Lui non era il suo T’hy’la e non lo sarebbe mai stato.
Il pensiero gli rubò di nuovo il fiato e quasi non si accorse che il campanello della sua cabina suonava a distesa.
“Spock, sono io mi faccia entrare”
Spock cercò di riprendere il controllo di se stesso e aprì la prta della sua cabina.
L’atletica figura di Jim fece capolino.
“Signor Spock, tutto bene?” chiese incerto.
“Sì certo capitano, sto bene” rispose Spock ,distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri magnetici che lo fissavano preoccupati.
“Posso entrare…” fece Jim con un mezo sorriso.
“Certo, perdoni la scortesia” rispose il vulcaniano, facendosi da parte.
Il capitano entrò e si guardò un po’ intorno. Con evidenza, in quest’universo non era stato molte volte in quella cabina.
“Signor Spock… Spock,  lei sa che se c’è qualche problema può parlarne con me in qualsiasi momento…”
“Magari potessi Ashayam…” pensò Spock.
“Certo, ne sono consapevole” si costrinse invece a rispodnere.
“Vorrei davvero che lei mi considerasse un amico, dopo quello che abbiamo passato insieme, mi ha salvato la vita  tante volte…”
“Tu sei molto più che un amico, sei il mio unico amore, la mia vita, il mio tutto” pensò Spock, mentre Jim continuava a parlare con fervore.
“Insomma… se sta attraversando un momento difficile, se ha qualche problema… vorrei davvero che me ne parlasse” continuò Jim.
“Se intende riferirsi ai miei recenti scoppi di emotività… non deve pensare che in alcun modo siano rapportabili a qualcosa che  riguarda l’Enterprise. E le posso assicurare che farò di tutto affinchè non si ripetano più”
“Non sono i suoi ‘scoppi di emotività’ che mi preoccupano Spock. E’ quello che le sta succedendo… possiamo affrontare tutto, basta parlarne”
“Non posso parlare Ashayam, non posso. Non posso rivederti  di nuovo immobile in quella bara…” pensò.
“Apprezzo l’offerta capitano, ma le assicuro che non c’è nulla di cui parlare. Le mie condizioni fisiche non sono ottimali, per questo non ho un perfetto controllo della mia persona. Le assicuro che una corretta meditazione può porre rimedio a questa situazione” disse invece il vulcaniano
Jim lo fissò per un lungo momento.
“Spock… la conosco da molto tempo. Abbastanza per dire che c’è qualcosa che mi sta nascondendo. E credevo che i vulcaniani non mentissero”  fece poi il giovane biondo.
Posso mentire, ferire o uccidere. Posso fare tutto per tenerti al sicuro Ashayam. Tutto, pur di salvarti e non  essere di nuovo  causa della tua morte” pensò Spock.
“Non c’è nulla che non posso gestire, capitano. Le assicuro che al termine dei due giorni di congedo sarò perfettamente funzionale”
Jim sospirò.
“Va bene, ma l’offerta resta valida. Ora la lascio riposare” disse rassegnato.
Mentre si voltava per andare via sorrise brevemente alla vista della scacchiera sul tavolo.
“Gioca a scacchi?” chiese.
“Sì certo” la risposta era uscita dalla bocca di Spock prima che se ne rendesse conto.
“Anche io. Strano che in tutti questi anni non mai l’abbia saputo. Le piacerebbe giocare qualche partita?” chiese di nuovo il capitano.
“Certo, sarebbe piacevole”
Spock aveva accettato di istinto, troppo ansioso di riavere almeno una briciola del rapporto con Jim.
Appena il capitano fu uscito però sentì una strana sensazione allo stomaco, come di pericolo incombente.
Sapeva che  aveva commesso un errore, ma la prospettiva di poter condividere  qualcosa del passato con Jim riuscì a calmarlo.
E per la prima  volta da un mese Spock riuscì a dormire per l’intera notte.


Grazie sempre a tutti. E mi raccomando lasciate qualche pensiero...
Martina
   
 
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