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Autore: Windter    07/06/2009    3 recensioni
[Natsuki x Shizuru]
Attenzione: presenza di Shoujo-Ai, di linguaggio poco edificante e di tematiche adulte.
Kuga Natsuki. Un animo solitario tormentato dalla sete di vendetta, dopo più dieci anni vissuti nel rancore. La caccia del lupo non può, non deve avere fine sino a quando l'ultimo dei nemici non sarà ormai polvere.
Nella desolazione della morte, fra la danza degli scheletri e dei fantasmi del passato, come potrebbe mai la volontà scrostare via il dolore e ammorbidire le ferite, insanabili, del cuore?
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Natsuki Kuga, Shizuru Fujino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Untitled

[ Rosso Come Il Sangue - Natsuki x Shizuru ]


V

Missione Notturna








Luci distanti.
Spazi vuoti, silenzio
Incolmabile



Sfrecciai nella notte dando fuoco alle strade, quasi deserte. Veloce, più veloce, attraversai la città con l'urgenza di chi ha la Morte stessa alle calcagna.

Quando guido non riesco mai a pensare a niente. Mi svuoto dei pensieri e divento un tutt'uno con la mia moto. Il corpo si perde in movimenti automatici e perfetti, la mente vola via con il vento.
Quella volta, no. Tesa, in allarme per qualsiasi movimento, non riuscii a seminare quella sensazione di disagio che mi rimbombava nel petto, insieme all'ebbrezza dell'alta velocità.
Quando rallentai lungo la strada tortuosa che conduceva a Villa Fujino, per poi fermarmi, avevo lo stomaco stretto in un nodo.

Mi tolsi il casco. L'aria era calda e secca, e un silenzio quasi irreale abbracciava il buio. Il cielo, nella sua infinita vastità, si apriva su di me come un baratro nero punteggiato di stelle.
Ignorai lo spettacolo delle luci della città dietro di me, sfavillanti nel buio della valle, molto più in giù. Da quella parte, lo sapevo, in mezzo alla notte splendeva la luna. E non avrei resistito alla tentazione di guardarla, se solo mi fossi voltata.
Dalla distanza, il binocolo mi mostrò che non c'era traccia di automobili vicino alla villa. Poteva essere un segno positivo, così come negativo. Alcune luci al piano superiore erano ancora accese, e l'intera collina sembrava sprofondata nella più solenne tranquillità.
Decisi ugualmente di prendere le mie precauzioni. Non potevo sapere come avrebbero colpito: forse tutto quel silenzio era segno che ero arrivata troppo tardi. Dovevo sbrigarmi. Così dopo aver occultato la moto strisciai attraverso la boscaglia, evitando la strada principale per raggiungere la villa.

La cancellata si stagliava, alta e solida, frapponendosi tra me e il pericolo. La conoscevo già; l'avevo vista una volta quando l'allora Rappresentante di Classe della 3°A, una ragazza diligente e molto popolare, era stata incaricata dal Concilio Studentesco di parlare amichevolmente con Kuga-la-teppista-del-primo-anno-delle-medie e di convincerla a ritornare a lezione. Non so se si fossero messi in testa che lei ed io parlassimo in particolar modo, o se magari pensassero che sarei rimasta impressionata dallo stile di vita della Fujino; fattostà che la sua garanzia che se fossi rientrata sarei stata lasciata in pace dai professori, a patto che stessi buona e non spingessi nessun altro studente a non frequentare le lezioni, mi diede abbastanza motivazione per decidere di sorbirmi anche quella scocciatura. Tanto non avevo il benché minimo interesse in tutti gli altri; da quell'accordo ci avrei solo guadagnato un bel po' di pace in più.

Allora non avevo posto particolare attenzione alla cancellata, e mi maledissi per questo. Ma, dopotutto, perché farlo quando pensavo che non avrei mai più rimesso piede in quel luogo?
Mentre mi sforzavo inutilmente di ricordare se ci fosse qualche punto più semplice da scavalcare, visto che era imperativo evitare di irrompere dall'ingresso principale, ad un tratto casualmente mi ritrovai a fissare un albero con un tronco alto e robusto, e un ramo proteso verso l'interno.
Non credevo ai miei occhi.
D'un tratto seppi come sarei entrata.

Mi calai all'interno del giardino, confondendomi nel buio. L'ultima volta non avevo visto cani, e mi augurai che non ne avessero presi nel frattempo. Esplorai l'ambiente con lo sguardo, individuando la via più sicura a fianco di basse siepi che conducevano verso un capanno, e da lì alla villa.
Era passato quasi un anno da quando avevo messo piede in quel luogo, ma ricordavo ancora piuttosto bene quel che avevo visto. Muovendomi in penombra con passo leggero mi appostai di fianco alla porta che mi avrebbe consentito di entrare e trattenni il respiro, ascoltando a lungo i rumori della casa. Fin lì era andato tutto bene. Il problema adesso era: come trovare la stanza di Shizuru?
Secondo i miei calcoli la sua camera doveva essere al piano di sopra: ne ero quasi sicura. E ricordavo con certezza quasi matematica di aver visto una scala di fronte alla sala dove lei mi aveva accolto, e dove avevamo preso il the. Se solo fossi riuscita a raggiungerla, pur non seguendo lo stesso tragitto che avevamo compiuto insieme, già metà del piano avrebbe avuto successo.
L'assenza di uomini appostati mi rinfrancava: forse non era troppo tardi per agire. Aprii la porta cercando di non fare rumore e, con tutti i sensi tesi a cercare di carpire qualsiasi presenza, mi inoltrai all'interno.

Intorno a me era buio pesto. Aspettai svariati minuti finché gli occhi non si furono abituati alle tenebre, e il risultato fu che riuscii a malapena a distinguere i contorni degli oggetti più vicini a me. Imprecai mentalmente contro chiunque avesse deciso, in quella casa, che la notte porte e finestre dovessero essere sbarrate, e muovendomi a tentoni cercai di orientarmi verso il mio obiettivo. Non potevo permettermi di accendere luci, ma dalla posizione e dall'odore agrodolce dell'aria stimai che dovevo essere nelle prossimità della cucina.
Il tempo rallentò, e mi sembrò che passassero decine di minuti prima che le mani mi rivelassero la presenza di fusuma. Con il cuore che mi rimbombava violentemente nel petto feci scorrere l'anta millimetro dopo millimetro, aprendomi un ulteriore varco verso l'interno. Il silenzio era assordante, e avanzai con l'intima certezza che chiunque si fosse avvicinato mi avrebbe potuta sentire.
Mi agitavo sempre più, passo dopo passo, al pensiero di starmi infiltrando in un territorio che probabilmente era già caduto in mano al nemico. Se mi avessero scoperta probabilmente mi avrebbero ammazzata senza pensarci due volte. Non potevo permettermi nessun errore.
Percorsi un corridoio che sembrò lunghissimo e che piegava leggermente a sinistra, e se prima avevo un'idea di quale fosse la mia posizione rispetto all'edificio, quando giunsi al termine del mio cammino non ne fui più molto sicura. Il buio si fece ancora più fitto, sembrava che l'intera casa fosse addormentata quando all'improvviso esplose un rumore di passi, proveniente dall'alto. Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Era tremendamente vicino.

La persona che stava camminando scese rapidamente e con sicurezza una scala nel buio più totale. Dovevo nascondermi! Mi guardai intorno frettolosamente, non si vedeva niente. Maledii tutto il maledicibile ed arretrai in fretta, agitando le mani di fianco a me nel cercare un tavolo, un divano, qualsiasi cosa.
In questo ebbero più successo i miei piedi. Inciampai su qualcosa e caddi rovinosamente a terra, senza riuscire a trattenere un grido.

- "CHI E' LA'!", mi colse una voce femminile, accusatoria.
Ero fregata. Annaspai, tirandomi in piedi il più velocemente possibile, e scalciai via ciò in cui ero inciampata, qualcosa di legno che ricadde più in là. Il trambusto crebbe, movimenti, quella persona gridò di nuovo. Mi slanciai verso quella che pensavo essere la direzione da cui ero venuta, ma qualcuno accese la luce, accecandomi. Mi bloccai; era finita.
Con un ringhio mi voltai, pronta a reagire a qualsiasi attacco fisico. Ormai nulla aveva più senso, ma avrei venduto cara la pelle.

- "NON MI AVRETE, MALEDETTI!", gridai preparandomi all'attacco.
Ogni mia fibra tesa e vibrante, pronta allo sforzo. Avrei ucciso, pur di non morire. E finalmente vidi il mio avversario.

Una donna giovanile mi fissava con gli occhi sgranati, un vassoio tra le mani.

La fissai, inebetita. Mi guardò di rimando.

- "Ho domandato chi è là!" ripté quella, con minor impeto ma uguale decisione.
Stringeva il vassoio convulsamente, tanto che le nocche sbiancavano nella presa. Doveva essere spaventata, ma si ergeva ugualmente a fronteggiarmi, forse rassicurata dal fatto di avermi riconosciuta come una ragazzina, e non un ladro.

- "K-Kuga Natsuki..." mormorai, sommersa da un'ondata di imbarazzo improvviso ed incapace di reagire. Che figura imperdonabile avevo fatto!
Non riuscii a reggere il suo sguardo e spostai gli occhi al suolo, notando che ai miei piedi un enorme tappeto era tutto sottosopra, e più in là giaceva a terra una sedia.

- "Ah, capisco".
Sentii la sua voce accendersi di un tono di malizia, e questo mi stupì.
- "Anche stavolta una questione di vita o di morte?".

La riconobbi all'improvviso, e con sorpresa la fissai. Avevo pensato fosse molto più vecchia, la donna con cui avevo parlato al telefono tempo prima.
- "Miharu-san, io...".
Mi bloccai, senza riuscire a dire altro. Avrei voluto sprofondare.

- "Io credo che lei dovrebbe allontanarsi da questo luogo se non ha niente di urgente da fare qui, Kuga-san. Mi spiacerebbe dover chiamare la polizia per una cosa del genere", fece lei con assoluta compostezza, recuperando la sua consueta rigidità. Il suo tono serio e compunto mi diede la risposta che cercavo: non era ancora successo niente. E questo pensiero rinnovò in me l'urgenza di parlare con Shizuru.

- "No! Devo parlare assolutamente con Shizuru! Io..."
Un lampo attraversò il suo sguardo, e mi resi conto che avevo chiamato Shizuru solo per nome. Combattei il dilagare dell'imbarazzo, sotto la severa analisi di quella donna, e con la forza di un gigante continuai a parlare.

- "Io... è una questione di vita o di morte!"


Il silenzio piombò fra noi. Non potevo pensare di aver detto una cosa così cretina, subito dopo la sua battuta, ma avevo davvero l'esigenza di parlare con Shizuru, subito.
Miharu-san mi squadrò senza fretta, seriamente, come se riflettendo sulle mie parole, facendomi sentire tremendamente fuoriluogo.

- "Io credo che lei dovrebbe allontanarsi da questo luogo, Kuga-san. Shizuru-sama sta dormendo, e a quest'ora non c'è questione che possa riguardarla. Domattina, se lo vorrà ancora, potrà parlare con lei", disse calcando lentamente le parole, guardandomi fisso negli occhi e facendomi capire che la decisione era definitiva. Per quella sera non avrei avuto altre possibilità.

Feci un rapido calcolo. Ormai era notte, e se quegli uomini avessero voluto avrebbero potuto colpire molto prima. In più, se mi avessero seguita avrebbero pensato che Shizuru fosse ormai consapevole del rischio, per cui difficilmente sarebbero intervenuti da quel momento in poi. Oltre a ciò, non sarei in alcun modo riuscita a convincere quel diavolo con il vassoio in mano che mi fissava, odiosamente sicura di sè, chiedendomi di uscire. Ora che sapeva di me era inutile anche solo tentare di rientrare e di raggiungere Shizuru di nascosto - contando anche il fatto che non sapevo precisamente dove fosse. Per cui... l'unica soluzione rimasta era effettivamente quella.
Con un sospiro, annuii.

- "Sì".
Mi arresi, costringendomi ad inchinarmi in direzione di Miharu-san. Avrei preferito morire impiccata piuttosto che portarle rispetto, ma quella sera non era il caso di creare altro casino.
Si inchinò a sua volta in mia direzione, con un sorriso freddo.
- "Lieta che Kuga-san abbia saggiamente deciso di ripensare ai suoi intenti. L'accompagno all'uscita", mormorò.

Ci avviammo lungo le quiete sale della villa, in un tragitto tortuoso che di ambiente in ambiente mi condusse fino all'esterno. Miharu-san aprì i cancelli per me, e attese che fossi uscita prima di richiuderli alle mie spalle.

- "Oyasuminasai, Kuga-san", mormorò asetticamente salutandomi con un inchino composto.
- "Oyasuminasai, Miharu-san", risposi inchinandomi a mia volta senza troppa convinzione.
La seguii con lo sguardo mentre rientrava, senza più voltarsi, e quando sparì sospirai profondamente. Per quella notte, avevo fallito.
Mi voltai, scendendo senza fretta il sentiero. Non aveva più senso nascondermi, ormai; tanto valeva far finta di aver compiuto il mio piano.

I grilli frinivano tra le fronde. I rami contorti degli alberi si tendevano verso l'oscurità del cielo, rischiarati dalla luna. La città, impassibile e solitaria, allungava i suoi tentacoli di luce nella valle sotto di me, offrendo rifugio agli schiavi della sua vita notturna.
Laggiù, da qualche parte, c'era anche il posto dove avrei dormito quella notte. E anche tutte quelle successive. C'era la mia vita, laggiù. Spasmodica e inquinata come quelle strade, indifferente e solitaria come me, che da sola fissavo il mio mondo con un crescente, travalicante, pietoso distacco.
Com'era distante ogni cosa, dalla cima silenziosa di quella collina. Com'era piccolo e inutile, la notte, quel che sembrava enorme e importante sotto la luce del sole.
E com'era lontana Natsuki, quella Natsuki che ogni giorno si alzava e combatteva contro sè stessa, ruggendo contro il mondo intero.
Piccola, stupida, patetica perdente.

Raggiunsi la mia moto e infilando il casco salii in sella.
Con il cuore pesante partii senza indugi, lasciandomi alle spalle la villa, la collina e Shizuru, che dormiva e nel suo sonno sereno non sapeva nulla di me. Il giorno seguente, forse, avrei visto le cose da un'altra prospettiva.
Forse.

Accelerai, sfrecciando nel vento, e la mia testa finalmente si svuotò dei pensieri.







Note, a cura dell'Autore:

Entro qualche giorno verrà pubblicato il capitolo successivo, intimamente connesso a questo.



Oyasuminasai. "Buonanotte".

Fusuma. Porte a pannelli, scorrevoli, da interno.




  
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