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Autore: Zero    14/04/2005    14 recensioni
Quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro (F. W. Nietzsche)
N.B. Sconsigliato ai poco profondi
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parla l’abisso

Parla l’abisso. Nessuno ricorda la mia nascita. Anche io l’ho dimenticata. Da quando ci sono stati uomini, questi mi hanno adocchiato timorosi, con sguardi sfuggenti, tenendosi lontani. Facevano come se non ci fossi, giravano al largo.

“Non esiste” – dicevano. Inventavano favole su di me, favole che si insinuavano nei sogni e li precipitavano nel vuoto infinito.

Ma chi crederebbe ad una favola? Le favole si scrivono per non crederci più.

E io stavo lì. Ero l’incontro di due eternità, prima e dopo di me. Io stesso ero un’eternità. E dunque stavo lì, come avevo sempre fatto. Le mie profondità senza fine le nascondevo dietro a una piccola fenditura nel mezzo di un prato. Gli animali, sentendo l’aria che proveniva da me, si allontanavano. Nessun uomo era mai arrivato vicino a me. Sapevano che non erano all’altezza. Non immaginavano nemmeno quale altezza ci volesse per far sì che io non sprofondassi in loro!

Quanto erano bassi quei mortali! Le loro profondità erano pozzanghere. Le loro cime erano dune di sabbia. Come può una botte contenere l’oceano?

E dunque, si tenevano lontani. In ciò erano saggi. La loro saggezza era nella paura.

Però non si davano pace. Per quanto fossero stagni, intuivano l’abisso. E allora si rifugiavano. Dietro muri di pietra e di parole, si stordivano con ammassi di cose. Ah, stolti! Riempire un abisso di cose!

Ogni tanto però, i presagi di sciagure li possedevano, e dunque portavano uno di loro dinnanzi a me. Come se sapessi cosa farmene di loro! Terrorizzato, egli si dimenava, stringeva gli occhi, non voleva guardare. Infine glieli aprivano e io li guardavo. Ed essi vedevano se stessi. Non ne ho visto uno che non abbia perso la testa.

 

Io non ho tempo. Ma per gli umani di tempo ne passò molto. Infine, un giorno, vidi arrivare un giovane verso di me. Era da solo. Si avvicinò a me, e guardò. Puntò il suo sguardo in fondo, come nessuno aveva mai fatto. Io lo guardai… E mi sorpresi. Per la prima volta in tutta l’eternità mi sorpresi. Mi tuffavo nello sguardo del ragazzo, eppure non lo trovavo. Andavo sempre più giù ma non lo vedevo. Anche egli lo stava cercando. Il suo sguardo sondava l’immenso, si spingeva sempre più giù, in regioni che nessuno aveva mai conosciuto.

Io rovesciavo caverne, doline e baratri in lui. Egli rovesciava in me le sue immensità.

“Cosa cerchi?” gli dissi

“Quello che cerchi anche tu.”

“Non lo troverai. Non esiste.”

“Io credo di sì”

 

E siamo ancora lì. A cercarlo a vicenda.

Il fondo.

  
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