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Autore: Heyale    13/04/2017    2 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Swimming tale cap.7

SWIMMING TALE
CAPITOLO SETTE
“Sogno di una notte di Battaglia Navale”


Picchio nervosamente le dita sulla mia coscia, il piede non smette di battere e credo di essere rimasto senza unghie da mordicchiare.
Sapete qual è la cosa divertente?
Dopo due settimane di allenamento non-stop in vista delle provinciali oggi doveva essere il venerdì libero prima del sabato che stiamo aspettando da un mese. Mi ero già accuratamente preparato tutto il mio programma, a partire dalla colazione con Masha&Orso per arrivare poi a quando mi sarei coricato a letto, finalmente libero dopo quasi un mese. Esatto: questa sera Kyle torna a New York e lì resterà per tre giorni, dandomi finalmente un attimo di respiro. Fino a mezz'ora fa, credetemi, era la giornata più bella della mia vita.
Poi, be', è successo qualcosa che mi ha fatto pensare “dove posso aver sbagliato nella mia vita?”.
Erano appena le dieci, io ero stravaccato sul divano, Kyle era di fianco a me e stavamo parlando delle gare che dovrà svolgere una volta tornato dalla Grande Mela quando il mio cellulare - che ricordo essere tenuto insieme con lo scotch - ha preso a squillare con la sua mitica suoneria a detta di Kyle “più gay non esiste” e allo schermo è apparso un numero che purtroppo conosco fin troppo bene.
Andrew College, Segreteria
Così ho risposto credendo si trattasse dei documenti da ultimare per le provinciali, ero in pace col mondo ed ero convinto che niente potesse rovinare la mia giornata relax in vista delle gare di domani.
Poi ho sentito lo sbuffo del rettore Muller e delle voci di sottofondo, capendo che se si fosse trattato di questioni inerenti alla piscina sarebbe stata la signora Swan, la mia bidella e compagna preferita di caffè dai tempi della seconda superiore, a chiamarmi.
Kyle mi teneva guardato strano, il caso vuole che ieri l'abbia tenuto a nuotare fino alle dieci e mezza per fare un ultimo potenziamento e che quindi stamattina fosse alquanto stanco, ma nemmeno lui pensava che sarei andato via di testa in quel modo dopo aver saputo che Xavier era in presidenza e che, dato che nessuno dei suoi genitori aveva risposto, aveva fatto il mio nome come tutore improvvisato. Ricordo di aver sfiorato il lancio triplo carpiato del mio cellulare fuori dalla finestra, seguito poi dalla mia performance da pattinatore su ghiaccio aereo che sarebbe atterrato spappolandosi le gambe. Sì, ero al limite sotto ogni limite che io possa avere.
Kyle non voleva nemmeno che andassi, ma poi ha miracolosamente capito che non potevo rifiutarmi dal momento che erano coinvolti Xavier, i suoi genitori, i guai che aveva combinato e quindi inevitabilmente tutta la squadra di nuoto e le provinciali. Se uno dei componenti sgarra, tutti pagano: questa è sempre stata la regola e questo è sempre stato il mio terrore. Se mezz'ora fa ero tranquillo e stavo finalmente bene con il mio equilibrio psicofisico, be': no. Sono tornato. Non preoccupatevi.
Ho perfino dovuto lasciare il volante del mio catorcio rosso a Kyle dopo che, non appena arrivati allo stop della via del mio tugurio, ho rischiato di investire la signora Stanley per l'adrenalina che avevo addosso; così mi sono beccato una serie di insulti e Kyle si è proposto per guidare.
Insomma, era solo oggi.
Non ci siamo fermati nemmeno di sabato e di domenica, abbiamo continuato ad allenarci fino allo sfinimento e queste ventiquattro ore volevo passarle in santa pace, uscire solo per accompagnare Kyle all'aeroporto e tornare poi sotto le coperte.
Ma no!
“Xavier McAdams ha fatto il tuo nome, Fenwick, devi venire a fare le veci di suo tutore.”
Maledetto il giorno che sono entrato all'Andrew College. Insomma, potevo andare in accademia militare o a lavorare nel ranch di mio nonno nel North Carolina, perché non ho scelto la vita da cowboy? Mi ci sarei anche visto col lazo, a gridare “yhaa!” dietro ai cavalli e a galoppare al tramonto.
Perché non sto galoppando al tramonto?
Io voglio tramontare al galoppo.
Che cazzo sto dicendo?
Socchiudo gli occhi, appoggio la testa al muro dietro di me e sospiro: devo solo aspettare che si decidano a chiamarmi dentro e potrò capire cosa diamine è successo. So che Kyle è in piscina e questo mi tranquillizza, ha detto di dover parlare con la sua squadra perciò sono quasi del tutto sicuro che non farà irruzione in questa anticamera dell'ufficio del rettore armato e con un'incredibile voglia di farmi sprofondare nell'imbarazzo: non sarebbe la prima volta considerando quando, una settimana fa, stavo parlando con la signora Swan, è entrato di corsa gridando “qualcuno ha visto quell'Anguilla del cazzo?” e poi, vedendomi lì, ha detto di essere arrivato alla segreteria per puro caso.
Non c'è più religione, tutto è alla rinfusa e mancava solo Xavier in presidenza alla vigilia delle provinciali nella lista di “ciò che non dovrebbe mai succedere ma che succede perché mi chiamo Himeragi Fenwick (Fenneck secondo il mio campanello) e abbiamo già detto tutto”.
– Fenwick! – La porta viene spalancata da dentro, il rettore si presenta sull'uscio e mi fa cenno di entrare. Non ha idea dello spavento che mi sono preso con questa sua uscita ma per un momento farò finta di avere una dignità ed entrerò nell'ufficio come una persona normale, sospirando prima di varcare la soglia.
Davanti a me ritrovo quindi Muller seduto sulla sua sedia girevole, alla sua destra il professor Schneider e davanti alla cattedra, di spalle, Xavier che non osa però girarsi verso di me. La trinità dell'Andrew College: da qui non se ne esce.
Markus Schneider è stato la mia spina nel fianco per tutti i quattro anni di superiori: laureato in chimica e in fisica ma insegnante di ginnastica - per questo quindi sempre adirato col mondo intero, cinquantatré anni, un amore sconfinato per la squadra di atletica di cui lui è il coordinatore e un odio viscerale per i nuotatori. Ricordo che ad ogni battuta sbagliata di pallavolo che facevo lui mi correva dietro mentre io scappavo urlandomi che si vedeva che nuotavo perché ero un incapace che non sapeva nemmeno prendere in mano una palla - e sapesse quanto si sbagliava...
Ad ogni modo, non mi sorprende vederlo qui dentro e non mi sorprenderebbe nemmeno sentire che tutto questo casino è partito da lui, ma sebbene i miei istinti da mamma chioccia verso Xavier potrebbero prevalere devo sempre fare appello al mio buonsenso e costringermi a comportarmi come un ragazzo maturo dal momento che io sono qui in veste di istruttore e di tutore ma non di avvocato difensore: qualsiasi cosa questo lunatico ragazzo rosso abbia fatto, devo obbligarmi a rimanerne il più fuori possibile.
– Fenwick. – Schneider mi fissa con un sorrisetto fastidioso, incrociando le mani paffute. – Ci rivediamo dopo un po', eh?
– Guardi che lavoro qui. – gli faccio presente, indicando col pollice la finestra da cui si riesce ad intravedere la piscina. – Da quattro mesi.
– Ah sì? Be', non mi interesso particolarmente della squadra di nuoto.
Guardo di sottecchi Muller, lui scuote la testa e sospira, negandomi il suo appoggio in questa faida. Sto pregando interiormente che tutto questo non si ritorca contro di me e le provinciali, quella sottospecie di vecchio bionico sa come mettermi i bastoni tra le ruote - e dico sul serio, durante una lezione di pattinaggio a rotelle ha “accidentalmente” fatto finire il manico della scopa nella mia traiettoria.
– Comunque, – cambio argomento, andandomi a sedere sulla sedia accanto a quella su cui giace Xavier, inerme come mai l'ho visto prima. Tiene lo sguardo basso nascosto dal cappuccio e non mi permette di vedere nemmeno un centimetro del suo viso, riconosco solo qualche ciuffo rosso che sfugge dal mio cappello che ha ancora in testa ma del resto è tabula rasa. – Cos'è successo?
Schneider si infila gli stessi occhiali da vista che ha dai tempi della mia prima superiore, appoggia le mani sulla cattedra e, dopo aver guardato male Xavier, guarda me: – Oggi ho sopportato il signor McAdams per l'ultima volta nella mia lezione.
– Be' – mi schiarisco la voce, accavallando le gambe con un sorriso che renderebbe Kyle fiero di me. – L'ha detto un bel po' di volte anche a me e ad Adair, signore.
– Tu e Adair andavate a nascondervi in spogliatoio per delle mezzore ma almeno non facevate risse tutte le volte.
Ops. Mi sa di essere vagamente preso in causa ma ad ogni modo sgrano gli occhi: risse? Che storia sarebbe questa?
– Scusi? – domando, guardando Muller che però nega di nuovo senza farsi vedere, lasciandomi in balia dello pseudo insegnante di educazione fisica.
– Risse. – ripete quindi, serafico nel suo essere un emerito bastardo credendo forse che io sia duro d'orecchi quando l'unica cosa dura potrebbe essere il mio pugno che si schianta contro il suo naso informe (so che avete pensato male, ammettetelo). – E non solo. Il signor McAdams era già stato avvisato più volte ma durante l'ultimo collegio docenti abbiamo stabilito che gli avremmo dato solo un'altra possibilità; ebbene oggi è stata quindi bruciata. Non lo accetterò più nelle mie ore di lezione.
Mi siedo meglio sulla sedia, sentendomi colpevole come se fossi io ad essere nei guai. Vorrei girarmi verso Xavier e dirgli di dire di no, di dire che si sono inventati tutto quanto e di smentire tutte le accuse ma il fatto che se ne stia fermo immobile senza emettere un fiato non può che aggravare i miei dubbi su di lui.
– E' da quando è iniziato quest'anno che va avanti così. – continua l'uomo davanti a me che se andasse in pensione farebbe un favore anche alla signora Swan. – La media dei suoi voti rasenta la D per grazia divina, non presenta mai i compiti a lui assegnati e ha falsificato più volte la firma dei suoi genitori, sta a casa tre giorni alla settimana e entra solo per i vostri allenamenti, si comporta male con i professori e durante la mia ora è sempre il principale colpevole delle risse negli spogliatoi maschili. Tra l'altro non ha voluto nemmeno essere medicato questa mattina, quindi è anche irrispettoso verso le infermiere e verso chi, come me, si preoccupa per lui.
– Ora, – lo interrompo, sentendo tutti i miei nervi saltare uno dopo l'altro. – La cazzata del “mi preoccupo per lui” non regge, quindi eviti di dirla. Poi sono il primo a dire che tutto ciò è sbagliato, ma conosco il ragazzo e so che non farebbe del male a nessuno se non provocato.
– Sì, in effetti... – Finalmente Muller interviene, picchierellando le dita sull'enorme cattedra. – Anche se Fenwick non si è espresso nel più educato dei modi devi dire i fatti come stanno, Markus. Non è solo colpa di Xavier.
Schneider si schiarisce la voce, imbarazzato: – Okay, certo, anche tre ragazzi della squadra di atletica sono coinvolti.
Alzo entrambe le sopracciglia, incrociando le braccia anche se so che Muller me ne dirà di cotte e di crude per questo mio comportamento: – Atletica, eh? Mi sembrava strano.
Mi sto giocando il posto di lavoro, ne sono sicuro: tra poco mi ritroverò a vagare di ponte in ponte per trovare riparo a causa della mia lingua lunga.
– Stai insinuando qualcosa, Fenwick?
– Nulla. – alzo le mani all'aria, alzandomi dalla sedia. – Io non insinuo, signore. Io lo so per certo. Quindi ora, se non le dispiace, ritiro il verbale in segreteria che lei avrà sicuramente già stilato e firmato e porto via il ragazzo.
Schneider mi fissa indignato, diventando rosso come un pomodoro come quando si arrabbiava fino all'anno scorso: – E tu dovresti essere il tutore? Che insolente! Sappi che le vostre preziose gare sono molto a rischio per le bravate di questo individuo, io lo metterei bene in riga!
Questo individuo, – lo correggo, afferrando Xavier per un polso per farlo alzare. – Ha un nome e un cognome. Decidere il suo castigo è di mia competenza, quindi la prego di starne fuori e di limitarsi a riportare i fatti senza omettere dettagli che le potrebbero stare scomodi.
– Non ti conviene metterti contro di me, Fenwick. – ringhia come se stesse per caricare contro di me, offeso nel suo fragile ego.
In tutta risposta io fingo un inchino per salutare sia lui che il rettore, strattonando leggermente Xavier per tenermelo stretto e per intimargli di seguirmi.
Non mi interessa se ho iniziato una guerra, sono anche pronto a portarla avanti se Xavier è in mezzo a tutto ciò: non mi importa di cosa mi potrebbe succedere, voglio solo chiarire questa situazione e capire il motivo delle sue azioni e della sua omissione di tutto ciò. Mi sono sempre sentito in dovere di dirgli tutto quanto, possibile che per lui fosse solo un optional? Mi sento arrabbiato, quasi ferito, chi c'è veramente sotto questo viso? Chi è Xavier?


Aspetto di aver raggiunto gli spogliatoi anche per una sola parola, essendo mattina non c'è nessuno per cui non c'è nemmeno bisogno di parlare piano e sono sicuro che la Nyst sia occupata ad allenarsi per le gare della settimana prossima per ascoltare un rimprovero da mamma chioccia al suo piccolo pulcino bugiardo.
Chiudo la porta, arrivo di fronte a Xavier e gli abbasso di scatto il cappuccio, togliendogli anche il cappello. I suoi occhi sono quasi socchiusi, guardano il pavimento senza alcuna espressione ma il viso non è ridotto bene: ha un piccolo taglio sul labbro e dall'angolo del sopracciglio destro scorre un rivolo di sangue che per fortuna si ferma sulla guancia. Perché proprio oggi? Perché proprio lui?
Io lo sapevo, l'ho sempre saputo: dovevo andare nel North Carolina e allevare una mucca pezzata di nome Mrs. Hiddleton. Saremmo stati solo io e lei nel ranch, il fieno e il mondo in pace con me e con se stesso.
Ma no. Io mi chiamo Himeragi Fenwick, non sono stato destinato ad un'esistenza tranquilla. Se non mi ammazzerà prima Kyle sono sicuro che morirò a causa di Xavier.
– Mi vuoi spiegare che cazzo sta succedendo? – sbotto, lanciando il mio cappello sulla panchina insieme al verbale che non ho ancora voluto leggere. – Voglio sentirlo da te, avanti.
Per qualche secondo non parla, non alza gli occhi e sembra in trance. Sto per chiamarlo di nuovo, ma mi precede e si passa la mano sul sangue per cercare di pulirsi il viso: – Non serve che mi fai da mamma. Riportami solo dalla mia, dalle il verbale e chi s'è visto. Scusa per il disturbo.
– Ah no, non te la caverai solo così. – lo rimprovero, guardandolo negli occhi celesti che portano i postumi di un'infinita stanchezza. – Chi pensi che sia io, eh? Il tuo migliore amico? Sono il tuo istruttore, Xavier, e con tutto ciò che non hai mai detto hai messo a repentaglio anche le gare e le vostre possibilità per essere convocati in una delle squadre più importanti. Te ne rendi conto, vero? Sai cos'hai fatto?
– Piantala Anguilla, sono cazzi miei. Me la vedrò con chi di competenza.
Okay Hime: respira. Puoi gestire questa situazione senza agitarti troppo, devi solo pensare a cosa dire e giocare bene le tue carte, del resto è semplicemente Xavier davanti a te e sai come prenderlo.
– Allora mettila così, visto che non pensi che io sia “di competenza”. – Incrocio le mani al petto, fissando il suo viso contrito con un'espressione che sicuramente gli farà male. – Io sono quello che può decidere di non farti più mettere piede in piscina. Posso anche decidere di farti allenare ma di non farti competere, di farti retrocedere nelle riserve e di restare sulle panchine a guardare la squadra che si allena a causa delle tue azioni da irresponsabile. Mi ritieni di competenza, ora?
Xavier abbassa gli occhi, riducendo le mani ad un pugno stretto attorno alla stoffa dei suoi pantaloni. Detesto essere cattivo, specialmente poi verso di lui, ma mi rendo conto da solo che qui non posso essere il solito imbecille che lascia passare tutto e che vive secondo la filosofia del “se non mi faccio coinvolgere, non succederà nulla”. Ormai ci sono dentro, devo fare fede al mio ruolo di istruttore ma anche di amico di Xavier, devo fargli capire il suo errore e devo capire soprattutto il perché delle sue azioni.
North Carolina, North Carolina, North Carolina...
– Non dicevo questo, accidenti a te. – borbotta, facendomi sbiancare non appena riconosco che la sua voce è palesemente provata dal pianto. – Dicevo che sono i miei genitori di competenza per farmi la paternale, dirmi quanto io sia un idiota e ricordarmi quando non gliene freghi nulla di me. Non tu. Ma ora sì, se ti fa star meglio riconosco che sei di competenza anche per questo.
Deglutisco, che cosa ho appena fatto?
Non doveva finire così, perché sono io quello nei guai adesso?
Insomma, dovevo rimproverare Xavier ma non arrivare a farlo piangere. Ho solo fatto ciò a cui avrebbero pensato di fare i suoi genitori una volta riportato a casa, ma non voglio che lui mi veda nello stesso modo in cui vede sua madre e suo padre, non intendo vederlo spaventato se i suoi occhi dovessero cadere sui miei. Nonostante tutto ciò che è successo, nonostante il rapporto tra me e lui, a causa delle mie parole ha persino paura a mostrarmi il suo viso e per questo piange silenziosamente, trattiene i singhiozzi e mi lascia solo vedere il movimento irregolare delle sue spalle che provano a tentoni di prendere fiato.
Respiro, devo calmarmi o non finisce bene: ho davanti un ragazzo di sedici anni che sta piangendo a causa mia quando non so nemmeno la sua versione dei fatti. Bravo Himeragi, guarda, sei un ottimo tutore, istruttore e sarai un ottimo padre nei giorni futuri - be', padre è da vedere a dirla tutta... Per motivi tecnici più che altro. Mi sa che Kyle ha ragione quando mi dice che non esiste una singola situazione che io sappia gestire bene senza impanicarmi o combinare casini; io giuro che provo con tutto me stesso a migliorare ma più tento e più le cose vanno a rotoli. Se non ci credete, vi basta osservare un minuto qualsiasi della mia insulsa vita e constaterete che io ho combinato qualcosa, che io sono in panico e che io sto cercando modi per evadere quali fughe random dalla finestra, tunnel sotterranei o fingere di svenire.
Non ce la posso fare.
Allungo così la mano in tasca per cercare un fazzoletto, l'unico che trovo è ovviamente usato e dato che non sono molto dell'idea di pulire il viso di Xavier con il mio grazioso muco lascio perdere il fazzoletto e appoggio l'indice e il medio sotto il suo mento per farmi un'idea della situazione, lui oppone resistenza ma alla fine lascia andare seguendo il movimento della mia mano. Oh no. Le lacrime scorrono ininterrottamente anche se non emette alcun genere di rumore e i suoi occhi fanno perfino fatica a restare aperti, a questo punto mi chiedo se le sue guance siano così rosse per la situazione in generale o per il momento di umiliazione e di imbarazzo che sta subendo.
– Mi dispiace. – mi scuso infine, iniziando a pulirgli le guance con entrambe le mani. – Non volevo farti stare male, mi sono lasciato prendere dal nervoso.
– Sei un idiota, Himeragi. – mormora lasciandosi finalmente andare ad una serie di singhiozzi che farebbe invidia al più capriccioso dei neonati, facendomi inevitabilmente sorridere. – Ma non per quello che hai detto. Per ciò che stai facendo ora.
– Lo so... Insomma, ci sono tanti germi nel sangue e andrebbero disinfettate prima le ferite, per non parlare del...
– Non capisci un cazzo.
Giusto: non ha tutti i torti, ma non capisco perché proprio ora questa constatazione. Non mi sento male abbastanza per averlo ridotto così? Devo anche sentirmi dire che non capisco niente?
Vedo che tutti qua si preoccupano di come io, per una volta, possa sentirmi. Grazie ragazzi, vi adoro tutti dal primo all'ultimo.
– Ti chiedo scusa. – concludo, passando per l'ultima volta entrambi i pollici sulle sue guance finalmente pulite. – Ma devi comunque dirmi cos'è successo, va bene?
Xavier annuisce, abbracciandomi poi di slancio rischiando di farci piombare entrambi a terra. Questa poi! Di solito fa fatica a farsi bussare sulla spalla per essere chiamato e oggi mi abbraccia pure, che sia l'effetto di tutto ciò che è successo? Non nascondo che a volte ho paura che lui mi possa scambiare per una figura paterna essendo più grande di lui e comunque abbastanza presente nella sua vita ma poi realizzo che mi faccio semplicemente troppi problemi e che lui ha ormai sedici anni ed è perfettamente in grado di distinguere la figura dei suoi genitori da quella di un amico - sempre che così si possa definire il suo istruttore, taxi e tutore improvvisato.
Che ci posso fare, di sicuro Xavier non è facile da gestire ma so che questo sarà probabilmente il primo e ultimo abbraccio che mi darà di sua spontanea volontà perciò ne approfitto e lo stringo anch'io: circondo la sua vita con un braccio e con l'altra mano gli accarezzo i capelli finalmente liberi dal cappuccio e dal cappello, pensando che sia una scena a dir poco stomachevole ma in fondo carina. Di certo io non sono una persona che ama troppo le effusioni in generale - per non parlare di quelle inopportune di Kyle, ma penso che a volte vadano semplicemente accettate nei momenti che le richiedono.
Kyle però no, ovviamente. Lui va allontanato con o senza violenza in qualsiasi circostanza, poi va chiamata la protezione civile e va allontanato, vivo o morto.
Gli voglio bene, dai.
– E' solo un modo per ringraziarti. – borbotta improvvisamente Xavier, parlando contro la mia felpa. – Non farti strane idee.
– Tranquillo, – Di nuovo, come se fosse d'obbligo, passo la mano tra i suoi ciuffi rossi. Quando ho già vissuto una scena simile? – Mi hai appena detto che non capisco un cazzo, che strane idee dovrei farmi?
– Be', dovresti essere abituato a sentirtelo dire da Percy. Lo dice praticamente a tutti.
– Percy è un conto, tu sei un altro.
– Sei bravo a parlare, Anguilla, lo sai? – Nel dire questo si allontana da me, lasciandomi con uno strano vuoto addosso ma con un sorriso da parte sua che riesce a schiarire la sua espressione cupa. – Abbindoli per bene la gente.
– Non è una mia intenzione, ad ogni modo. – mi difendo, pensando a come Kyle non si sia mai preoccupato di questo nonostante mi conosca molto meglio rispetto a Xavier. Per quanto mi riguarda non cerco di abbindolare proprio nessuno, ciò che dico forse non lo esprimo in modo chiaro ma dire una cosa per un'altra è stata una cosa che ho sempre cercato di evitare (tranne quando ho detto ai miei genitori che Kyle era morto, ovviamente).
– Sarà. – conclude, alzando le spalle per poi recuperare il cappello sulla panchina. – Tieni. Grazie.
– Puoi tenertelo, se vuoi. – gli sorrido, spettinandogli i capelli dopo aver preso il verbale. – A patto che tu mi prometta che mi dirai sempre tutto, da oggi in poi. Riguardo ogni cosa.
Lui fa un ghigno divertito, stringe il cappello tra le mani e lo rimette poi in testa: – Be', magari proprio tutto no.
– Cosa vorrebbe dire?
– Insomma! – sbotta, dandomi le spalle e cominciando ad andare verso la porta. – Devo anche dirti quante volte alla settimana io mi ma...
Gli do una spinta sulla schiena, tappandomi le orecchie prima di sentire il resto: – No! Non lo voglio sapere!
Lui mi guarda di sottecchi, alzando le spalle anche se vedo chiaramente che sta trattenendo una risata: – Mi mantengo in allenamento, ovviamente. Maniaco.
– So cosa stavi per dire. – lo riprendo, tirando un sospiro di sollievo per il pericolo schivato. – Il maniaco sei tu.
– Travisi sempre tutto, Anguilla. Non stavo dicendo proprio nulla di scandaloso.
– Sei un tipo interessante, Xavier. Lo sai? – Usciamo finalmente da questo dannato spogliatoio, ritrovandoci nell'atrio principale dove non gira ancora una mosca.
– Siamo in due, anche perché... – si blocca, restano però con un piede a mezz'aria e lo sguardo puntato all'uscita della piscina.
Ha visto un fantasma?
Cerco di capire cosa ci sia di tanto speciale e quando realizzo non so se classificare questa scena come “divertente” o come “ai ripari”.
Una ragazza dalla frangetta bionda se ne sta di fronte a noi con un plico di fogli in mano e un sorriso che non promette granché bene. C'è qualcos'altro che deve succedere oggi prima che io vada del tutto via di testa?
– Himeragi! Xavier! – esclama, correndoci incontro a braccia aperte come se fossimo una specie di ancora di salvezza. Come reagirà Xavier? Mi devo preoccupare?
– Shion. – Incredibilmente, signori e signore, lui sorride e ricambia il suo abbraccio prima che possa coinvolgere anche me. – E' un po' che non ci si vede.
E tenta pure di fare conversazione! Non potrei essere più felice. Sto per piangere.
– Chissà chi è sparito. – borbotta lei, colpendolo con una frecciatina che provoca una sua smorfia. Ad ogni modo non si scoraggia e, allontanandosi da Xavier, si rivolge poi verso di me. – E' bello vedere anche te, Himeragi.
– Sono passate solo due settimane. – le faccio presente cercando di non sembrare troppo puntiglioso. – Non dovresti avere lezione?
Lei scuote la testa, allungandomi il plico di fogli: – Non sono andata a scuola dato che oggi è la vigilia delle provinciali e dovevo darti i documenti per la mia iscrizione prima delle gare. Riesci a firmarli entro oggi?
Certo che riesco, ma nessuno qui sa che il mio programma era poltrire in divano ascoltando le cazzate di Kyle e alzandomi solo per mangiare e per accompagnarlo in aeroporto. Chi mai si dovrebbe preoccupare per me? Quale assurdo motivo ci sarebbe dietro il mio giorno di riposo? Pft! L'antica leggenda del giorno di riposo non esiste per Himeragi Fenwick. Nemmeno quella di un'esistenza tranquilla, comunque. Giusto per ricordarlo.
– Non c'è problema. – acconsento alla fine. – Voi due potreste fare due chiacchiere mentre metto a posto tutto quanto. Penso ci vorrà un po' di tempo dato che devo tornare dal rettore, quindi prendetevela comoda. – Infine guardo Xavier, sorridendogli appena. – Ti riporto a casa quando abbiamo finito, okay?
Lui annuisce, facendo poi cenno a Shion di allontanarsi per lasciarmi tranquillo. Penso che non ce la caveremo prima di pranzo.


Guardo l'orologio: 13.32
Lo sapevo, oggi è partito come una brutta giornata e finirà sicuramente come tale. Ha iniziato a piovere mezz'ora fa, non ho un ombrello e sono ovviamente senza felpa col cappuccio. Tra l'altro mi sono beccato una buona lavata di capo da Muller dato il mio comportamento tenuto con Schneider ma c'è anche da dire che sono riuscito a convincerlo a non dare punizioni a Xavier che riguardassero la piscina, in modo da concedere anche a lui l'opportunità di gareggiare e di continuare ad allenarsi. Un'ora fa poi Kyle mi ha mandato un messaggio dicendomi che si era stancato di aspettarmi e, approfittando del fatto che gli avessi lasciato le chiavi della macchina, se n'è tornato a casa dicendomi di prendere il bus col mio a sua detta “amato” Xavier – con annessa emoticon col dito medio su Whatsapp.
Torno così nell'atrio della piscina, trovando solo Shion ad aspettarmi a gambe incrociate sulla panchina di fronte al bancone deserto. Voglio o non voglio sapere dov'è andato quell'altro?
Non voglio.
– Shion. – la chiamo alla fine, porgendole i fogli. – Sarai dei nostri non appena la tua piscina chiuderà. Benvenuta.
La ragazza sorride allegramente, stringendo i fogli al petto: – Grazie mille, mi hai salvato la vita.
– Non la metterei così sul drastico. – la rassicuro, facendole segno di uscire. – Xavier?
So che ho detto di non voler sapere dove si trova, ma per motivi pratici mi sa che lo devo sapere. Tra Kyle che se ne ritorna a casa per chissà quale infondato motivo e Xavier che pianta in asso la sua ex ragazza direi che oggi abbiamo avuto un bell'exploit di colpi di testa - più o meno quelli che mi vorrei dare io con un martello.
– L'ha chiamato sua madre dicendo che aveva appena parlato col vostro professore di ginnastica e che doveva tornare a casa subito. – spiega lei abbassando il tono della voce, facendo una smorfia dispiaciuta. – Lui non voleva andarsene, ma mi ha detto di dirti che ti spiegherà tutto ciò che è successo oggi domani alle gare.
Socchiudo gli occhi per un secondo, maledicendo Kyle per essersene andato via con la macchina. Se avesse avuto solo un minimo di pazienza avrei potuto accompagnare Xavier a casa sua e spiegare ciò che era successo ai suoi genitori, non ho idea di come affronteranno la cosa ma comincio ad essere seriamente preoccupato.
– Lo sai anche tu, eh? – mi domanda Shion mantenendo basso il tono della voce, aprendo il suo ombrello. – Xavier mi ha detto di averti parlato della sua famiglia. Dice anche che sei l'unico su cui può far fiducia e per questo si è esposto, sinceramente non pensavo che avessi avuto questo genere di impatto su di lui. Pensavo “sì, Xavier lo sopporta come fa con molte persone” ma mi sbagliavo, c'è dell'altro.
Annuisco, tenendo l'ombrello di Shion per coprirci dalla pioggia battente che scende da fin troppo tempo per una giornata che doveva essere bella e tranquilla: – Non so dirti di preciso cosa lui pensi di me, ma sono sicuro che non si limiti al “ti sopporto”.
Shion sorride, restando però in silenzio. Se devo dire la verità non capisco le persone, a volte penso di riuscirci ma più vado avanti più mi rendo conto che conoscerle davvero è tutto un altro paio di maniche da quello che credo di fare ora. Sono legato ad una prima idea che ho di loro e penso che sia ciò che saranno per sempre, ma forse dovrei cominciare a vivere con i piedi un po' più a terra e vivere un po' meglio le persone attorno a me per poter finalmente dire di capire ciò che sentono e ciò che provano - e sì, Kyle incluso, così poi non mi ritrovo con lui che cerca di baciarmi e io che non so come reagire. Meglio prevenire che curare, no?
– Ad ogni modo, non vedo l'ora di sfidarvi, domani. – ridacchia lei per sdrammatizzare, dandomi una pacca sulla spalla che mi fa scuotere l'ombrello e quindi bagnare ancora di più. Bene, grazie Camille. Ora sì che sto meglio!
– Già. Sarà un amore. – borbotto asciugandomi il viso con la manica del giubbotto. – Immagino che ci divertiremo. Ci saranno anche i ragazzi della Nyst con noi, magari li conoscerai dato che staranno nella nostra piscina per qualche mese ancora.
– La Nyst? – Improvvisamente i suoi occhi verdi prendono l'insolita forma di due cuori (sono ancora sotto l'influenza manga di quella scellerata di mia madre, lo so), mentre con le mani si aggrappa al mio braccio. – Nessuno me l'aveva detto! Io amo quei ragazzi!
Ah. Lei li ama.
Buono a sapersi.
– Ah sì? – Caduta libera dalle nuvole senza paracadute gente, ammirate la maestria. – Sono bravi, sì.
Avrei un aggettivo per ognuno di loro - per Adair anche centotré - e me ne esco con “bravi”. Ma quanto talento ho nel non mostrare che realmente so di cosa si sta parlando?
Uh, mi sa che Xavier non aveva tutti i torti. Forse riesco davvero ad abbindolare la gente se voglio.
– Non so quanto tu te ne possa interessare, ma... – Mi guarda di nuovo con quegli occhioni a cuore, diventando possibilmente più rossa. – Il culo di Adair!
– Eh. Il culo di Adair. – ripeto, tossicchiando per non farle notare il mio disappunto a riguardo. Non ci voglio nemmeno pensare al suo didietro in questo momento. Quattro anni fa ero giovane e con gli ormoni a mille, ora se ci penso... Oh Buddha.
– E' fantastico! – continua Shion, imperterrita nel suo volermi tirare fuori di bocca ciò che le sto tenendo nascosto dalla prima volta che ci siamo visti. – Insomma, immagino tu l'abbia guardato nuotare a dorso e quando fa le virate... Gesù! Mi chiedo chi gliele abbia insegnate, sono perfette e mettono in risalto pure le sue natiche!
Portatemi via, vi prego. Quanto manca alla dannatissima fermata dell'autobus?
Sono troppo vecchio per sentir parlare delle natiche del mio ex ragazzo che tra l'altro sono stato io ad aiutare ad essere in risalto nelle virate - che all'inizio riusciva a malapena ad accennare. Mi sa di aver creato un mostro se una ragazza di sedici anni ne parla in questo modo.
– Eh già, è proprio bravo! – me ne esco, raggiungendo finalmente la banchina anche se mi sa che il prossimo autobus sarà tra una decina di minuti. Ti prego Signore, fa che questa tua sprovveduta figliola non accenni più al fisico statuario di Kyle Adair.
– Vuoi sapere una cosa? – Ecco, si prepara al colpo di grazia. Abbassa la voce, mi guarda con quegli occhietti maledetti e ghigna. – Per me è bravo a letto, quello lì.
Questa è Sparta.
– Lo è. – confermo, sospirando sapendo di togliermi un peso dallo stomaco.
Ad ogni modo ho fatto talmente tanti coming out che la reazione di una ragazza non mi spaventa nemmeno così tanto... Alla peggio farà un manga, no?
– Lo pensi anche tu, vero?
Shion, capisci meno di me a volte.
– Io, ehm... – Io ci ho provato a dirglielo. Poi lei non l'ha capito ma io ho fatto del mio meglio. – … Non è che lo pensi, è che...
– Ammettilo, diventeresti gay per uno come lui! – Mi dà una pacca sulla spalla, ridendo tra sé e sé. Sì, è proprio divertente vedere come nessuno mi prenda mai sul serio: è la condanna del mio nome. – Insomma, tutti pensano che sia bravo a letto...
– Shion. – la chiamo, fermo nel mio essere impanicato. Forse non c'è nemmeno bisogno di stare qui a dirglielo ma voglio evitare equivoci futuri dato che sarà presto una dei nostri. – Io lo so. Okay? Lo. So.
Il suoi occhi si fanno sempre più grandi mentre lei allontana le palpebre per lo stupore, portando lentamente le mani davanti alla bocca spalancata. Bomba lanciata, reazione tra tre, due, uno...
– Non ci credo. – mormora, sbattendo velocemente le palpebre. Proprio ora la pioggia sembra smettere, lasciando spazio al più imbarazzante dei silenzi. Succede sempre così, nemmeno a farlo apposta. – Ma... L'altra volta stavi chiamando la tua ragazza...
– Era Kyle, in realtà. – le spiego, scandendo più che posso le parole per evitare fraintendimenti strani oltre a quelli che si creeranno sicuramente data la situazione già abbastanza drasticamente divertente. – Scusa se non te l'ho detto prima.
– No, non è un problema, è solo che... Kyle Adair, insomma. Sembra irraggiungibile e tu ce l'hai a portata di mano.
– Ce l'avevo. – la correggo, sorridendole appena. – Ci siamo lasciati quando è andato alla Nyst e ora conviviamo per una serie di sfortunate coincidenze.
La biondina scuote la testa, indignata: – E le chiami “sfortunate”? Io pagherei per avere quel ragazzo sotto il mio tetto!
– Non lo conosci. E' piuttosto terrificante convivere con lui, in realtà. Non fa mai il bucato, si dimentica sempre di accendere la lavastoviglie, lascia accesi i termi tutto il giorno e da un momento all'altro ti dice che se ne deve andare a New York per un trasloco col suo ex... – Okay, forse mi sono fatto prendere un po' la mano. Troppo risentimento, Hime. Sei un omuncolo pieno di rancore. – Ma tutto sommato non l'abbiamo deciso noi, è stata colpa di un idiota che ha sbagliato a prenotare il numero di stanze al college.
Shion continua a guardarmi esterrefatta, stringe le mani al bordo del suo giubbotto e si morde il labbro inferiore, come se fosse imbarazzata: – Io... Mi dispiace di aver detto quelle cose, prima. Se l'avessi saputo me le sarei anche risparmiate. Scusami.
Scoppio a ridere, cos'è improvvisamente quella faccetta così contrita? Le do una leggera gomitata, scuotendo la testa: – Sta' tranquilla, in ogni caso non c'è nulla di importante tra me e lui, ora. Solo... – Solo degli allenamenti oltre l'orario, solo dei comportamenti tendenzialmente da coppietta da film anni cinquanta che si alternano a momenti di guerra e solo una richiesta da parte sua di innamorarmi di nuovo di lui. Solo questo. – …Niente, lascia perdere. Lo conoscerai.
Il suo bus si ferma davanti alla fermata, lei si alza ridacchiando e mi fa un cenno con la mano: – Tranquillo, non te lo ruberò. Ci vediamo domani!


– Kyle? Sono a casa! – Sbatto la porta dietro di me, constatando che sono le tre passate. Sì, di sicuro una giornata rilassante e senza problemi.
Kyle arriva davanti a me senza maglietta e con lo spazzolino tra i denti, credendo forse che fuori ci siano trenta gradi e che ci troviamo in California: – Okaeri. E' giusto? Chi se ne frega. Piuttosto, che cazzo hai fatto fino ad adesso?
– Hai fatto tutto da solo. – gli faccio presente, buttando alla rinfusa borsa e giubbotto bagnato. Ormai il tugurio è abituato a tutto, direi che posso metterlo alla prova anche col fuoco. – Uno, è giusto. Due, ho dovuto prendere il bus perché una determinata persona non poteva aspettarmi e se l'è filata con la mia macchina.
– Era ora di pranzo!
– Dimmi quanto me ne importa! – ribatto, togliendogli dalla bocca lo spazzolino dato che sta continuando ad imbiancare il pavimento col dentifricio. E neve fu. – Ho dovuto lasciar andare Xavier a casa da solo dato che non avevo la macchina.
Kyle sospira, si dirige verso il bagno per sciacquarsi la bocca e torna di nuovo alla carica: – Ha sedici anni, direi che può cavarsela da solo!
– Dovevo parlare con i suoi genitori, lo so anch'io che sa prendere il bus. – Nel dire questo mi avvicino al frigo, raccattando qualcosa da mangiare che probabilmente sta lì da due o tre mesi. – Tu non muori di certo se per un giorno ritardi il pranzo di due ore.
– Non è questo il punto, Himeragi, è che tu sei ossessionato da quel ragazzino.
– Ancora questa storia? Pensavo avessi capito da solo che è un'emerita stronzata.
– Mi dai le prove per pensare di avere ragione praticamente ogni giorno!
Rivolgo gli occhi al cielo, non so nemmeno più come gestire tutta quest'assurda situazione e Kyle non sembra volermi aiutare. Oggi non doveva succedere niente di tutto ciò che è realmente accaduto, c'è davvero il bisogno di farmi impazzire ancora di più rispetto alla norma?
– Pensa quello che vuoi. – concludo, lasciando sul bancone la scatoletta di tonno mezza aperta (stavo mangiando un mio simile, mi sento un po' cannibale). – Chiamami quando è ora di andare via.
Lo lascio lì in cucina con probabilmente ancora una barca di stupide argomentazioni da esporre, chiudo la porta della mia camera dietro di me e mi butto a capofitto sul letto, rischiando ovviamente di sbattere la testa contro la testiera in legno. Se fosse successo penso che il prete della chiesa di Detroit avrebbe fatto meglio a scrivere il mio nome nella lista di chi non può categoricamente entrare più lì dentro, ho molta fantasia quando si tratta di imprecazioni.
– Himeragi?
Ma no.
Ma perché?
– Lasciami dormire, Kyle. – borbotto, affondando la testa nel cuscino prima di sentire il materasso abbassarsi e successivamente il corpo di Kyle accanto al mio. Ma chi glielo fa fare di essere così maledettamente inopportuno? Insomma, è come se facesse di tutto per farmi arrabbiare ma poi non sopportasse il suo errore e venisse ad implorare per il perdono. E' un controsenso con le gambe questo ragazzo, credetemi.
– Sono solo preoccupato per te. – mormora piano, facendomi rabbrividire per la vicinanza. Da quanto non c'era quest'atmosfera tra di noi?
Ogni sera ci addormentiamo tranquilli senza particolari imbarazzi, perciò mi chiedo perché ora il suo corpo mi sembra più caldo del normale e sento il cuore battere quasi a darmi fastidio. Una volta l'avrei considerato normale ma ora è solo talmente strano da farmi sentire inadeguato in un modo che non ricordavo più, quel genere di inadeguatezza che fa male ma che può essere gestita fino a diventare abituale.
– Non devi. – concludo, costatando che se mi sposto di un solo altro centimetro finisco con la faccia a terra e non è il caso. – Ho diciotto anni, non sono un cucciolo smarrito. Mi accorgo anch'io se c'è qualcosa che non va in me e ti assicuro che al momento è tutto normale.
– Già, già... – Ignorando tutte le regole che abbiamo appassionatamente scritto, il mio aguzzino lascia andare la testa sul mio petto, respirando talmente forte da permettermi di sentire il suo battito cardiaco attraverso il collo appoggiato per forza di cose sul mio bicipite. – A volte mi confondo con qualche anno fa, tutto qui. Facciamo un riposino?
Ecco, adesso anche come i pensionati. Il riposino!
Come se non avessi più forze alle tre e dieci del pomeriggio. Ora, okay tutto, ma ho comunque una dignità e sono ancora abbastanza giovane per resistere ad una brutta giornata senza cedere alla tentazione del mio adorato letto con un non altrettanto adorato ragazzo affianco a me.
– Va bene.
'Fanculo la dignità.
Ho sonno.


Ricordo molto bene la prima volta che io e Kyle facemmo l'amore: entrambi con le uniche esperienze preliminari fatte nell'anno e qualche mese di relazione, senza la più pallida idea delle leggi della fisica che intercorrevano in uno rapporto tra due uomini e senza la minima intenzione di arrivare così lontano partendo da “ieri ho visto un porno ma non mi è successo niente finché non ho pensato a te, Anguilla”. Il romanticismo, gente, cosa ne sanno Romeo e Giulietta? Pft! Dilettanti.
In men che non si dica ci eravamo ritrovati senza vestiti, col fiato corto a causa della situazione e dei ventisette gradi in casa di Kyle a causa di un guasto dei condizionatori, col cuore fuori dal petto e con le mani che per la prima volta potevano dare sfogo a tutto ciò che avevano pensato di fare. Avevo paura, tremavo come una foglia e so per certo che anche Kyle si sentiva come me, solo che a differenza mia riusciva a mascherarlo con egregia maestria.
L'unico problema di Kyle era il tatto. Lui non l'ha mai avuto, come non ha mai avuto la discrezione o per lo meno il buonsenso. Se pensate che la grandiosa prima volta sia imbarazzante, dovevate provarla con Kyle Adair.
– Che cazzo devo fare, ora?
– Kyle...
– Oh, ci sono! Devo infilare l'indice e...
– Piano, idiota! Mi fai male!
– E ora? Wow, certo che è caldo qui dentro.
– Ma la vuoi piantare? Sei fastidioso.
– Anguilla, stai tremando.
– Ti giuro che esco da quella porta.
– Sembra che tu sia pronto. Provo ad entrare.
– Non mi serve la telecronaca, Kyle, puoi anche evitare di dire ogni cosa che ti passa per la testa.
Penso che la parte peggiore, dopo il dolore della sua non-proprio-dolce spinta iniziale, sia stata la descrizione del rapporto nella sua interezza, senza una sola pausa. Sembrerà assurdo, ma è stata proprio quella tortura a darmi la prova che anche Kyle era nervoso quanto me. Pregavo costantemente quel mostro di stare un po' zitto e di fare sul serio dato che mancava poco che iniziasse ad elencarmi perfino la lista dei suoi parenti che avevano mangiato il pudding a Natale, e dopo diverse prove per “dimmi se ti fa più male a pancia in su o in giù” siamo finalmente riusciti a trovare il nostro ritmo e a lasciare l'ultima parte senza nessun suono se non i nostri rispettivi lamenti, finendo tutto quanto senza particolari problemi. Ovviamente, quelli li sentii io la mattina dopo.
Quando mi svegliai non ero messo come mi ero addormentato, Kyle non era accanto a me ma sentivo l'acqua della doccia scrollare e la paura che mi avesse lasciato solo mi passò immediatamente. In quanto a me ero rannicchiato in posizione fetale, completamente nudo e coperto solo dal lenzuolo nelle parti critiche anche se essere senza vestiti era l'ultimo dei miei problemi considerando il dolore che sentivo propagarsi in tutto il corpo non appena provavo a cambiare posizione. Continuavo a stringere i denti per non farmi sentire da Kyle, ma finivo per trattenere singhiozzi troppo rumorosi che si sarebbero sentiti anche dai parenti che mangiavano il pudding a Natale, perciò non mi meravigliai quando lui rientrò in camera e si fiondò su di me, preoccupato, sedendosi sul bordo del letto dove le mie ginocchia e le mie mani erano appena sull'orlo. Come ben sapete nessuno di noi amava le smancerie perciò quel momento costò caro ad entrambi, ma lui non disse nient'altro per non so quanto tempo e si occupò solo di accarezzarmi costantemente i capelli lasciando scivolare la mano di tanto in tanto più in basso, percorrendo il mio fianco e fermandosi all'anca, tornando poi di nuovo sui capelli. Ora riesco a capire il déja-vu del mio gesto verso Xavier, questa mattina: l'ho vissuto io in prima persona con Kyle, non proprio la stessa situazione ma entrambi in lacrime ed entrambi confortati nella stessa maniera. E' strano come certe cose che all'epoca succedevano a me ora sia ciò a far succedere a Xavier come se lui fosse un ragazzo che, come me anni fa, abbia bisogno di essere guidato e protetto. Inoltre ricordo che stavo morendo di imbarazzo, Kyle mi stava vedendo in condizioni pietose, piangente per il dolore e inerme, ma fu grazie al suo gesto continuativo che riuscii ad addormentarmi di nuovo e a svegliarmi quindi qualche ora dopo vestito, meno acciaccato e sotto le coperte. Non gliel'ho mai chiesto ma sono sicuro che non volesse dimenticarsi il tubetto della pomata antidolorifica sul comodino, odiava essere visto per i suoi lati teneri e quella confezione era la prova che oltre ad avermi vestito e messo al caldo - anche se stavamo già morendo assiderati a causa dei condizionatori guasti - aveva anche cercato di medicarmi.
– Ti reggi? – mi chiese quando riaprii gli occhi per la seconda volta, trovandolo nella stessa posizione in cui l'avevo lasciato anche se dopo capii che non rimase sempre lì.
– Ehi, ho quasi quindici anni, non sono un bambino. – borbottai per risanare il mio orgoglio, mettendomi seduto a fatica. Avevo già concesso al mio aguzzino un'occasione di vedermi nella peggiore delle condizioni, mi promisi che non l'avrei più fatto e che dovevo cercare di resistere al dolore per non sembrare proprio un inetto - anche se era chiaro che fosse così.
Kyle mi guardò sorpreso, si alzò dal letto e incrociò le braccia: – A che ora sei nato?
– Eh? – lo fissai stranito, che genere di domanda era? – Alle... sette di mattina, credo o giù di lì. Perché?
– Allora hai già quindici anni, Anguilla. – Con un sorriso Kyle si chinò su di me e mi baciò, mettendomi tra le mani un pacchetto. – Buon compleanno.
Era il dodici luglio. Due mesi dopo Kyle sarebbe partito per New York e sarebbe iniziato il mio calvario, ma nonostante quello il mio quindicesimo compleanno è il migliore di tutti i diciotto dodici luglio vissuti finora.


Aeroporto: luogo di partenze, di addii, di ritorni e di emozioni taciute.
Anche luogo di imprecazioni contro i ritardi degli aerei e contro Himeragi Fenwick che “che cazzo mi pesti i piedi con la valigia, Anguilla?”.
Detroit-New York, volo delle diciannove e trenta posticipato di trenta minuti.
– A saperlo potevamo dormire ancora un po'. – si lamenta per l'ennesima volta Kyle, facendo avanti e indietro davanti a me. Credo abbia formato un solco a forza di ripercorrere i suoi passi.
– Abbiamo dormito due ore e mezza, Kyle. Vuoi fare le ragnatele in quel letto?
– Sei sempre simpatico nei momenti meno opportuni, Anguilla. – borbotta dando l'ennesima occhiata al tabellone delle partenze. Ciò che mi sorprende è che mi sarei aspettato tutta la squadra a salutare il suo capitano, ma non c'è nemmeno l'ombra degli altri tre titolari: siamo solo io e lui, il suo volo e l'hangar attorno a noi.
A dirla tutta, non avevo pensato che tornando qui con lui sarebbero risaliti alla mente tanti di quei ricordi da farmi girare la testa: perché sì, io c'ero quando Kyle prese il volo di sola andata per New York. Io ero lì in mezzo ai pochi amici che avevano voluto salutarlo, seduto in un angolino ad aspettare che se ne andasse una volta per tutte. Lui sapeva che ero presente, mi aveva salutato prima dell'arrivo di tutti gli altri e mi aveva pregato di tornare a casa prima della partenza del suo volo, ma non ce la feci a lasciarlo andare e rimasi finché non fu lui a lasciare andare me. Sapendo che sta tornando a New York per rivedere il suo ex ragazzo e per ultimare il trasloco non mi rende di certo felice, sono arrivato al punto di pensare che forse forse preferirei che rimanesse a rendere la mia vita impossibile piuttosto che doverlo vedere tornare dal suo ex.
– Se continui a fissare quella piastrella non prenderà vita. – Schiocca le dita davanti al mio viso, facendomi rinsanire. Stavo veramente fissando la piastrella? Non pensavo di essere così cliché. – A che pensi?
– Niente di che. – mento, distogliendo lo sguardo dal suo.
Ci manca solo che gli dica di stare attento col suo ex e di non fare niente che possa disturbare la mia psiche, ma dal momento che attualmente non siamo legati in alcun modo non vedo il motivo per cui dovrei essere io a mettergli dei paletti.
– Che bugiardo. – ridacchia lui, dandomi un buffetto sulla nuca. – Dai, sputa il rospo. Hai ancora venti minuti.
– Niente, ti ho detto. Stavo solo aspettando che la piastrella prendesse vita e costruisse un impero, tutto qui. Un grande impero con tutte le piastrelle del mondo, mettendo poi i mattoni come luogotenenti e le tegole come ministri dell'economia, e poi...
– Pensavi alla mia partenza.
Annuisco, dovendo trattenere una risata per la mia immonda stupidità: – In parole povere sì.
– Mh. Modo originale di esprimerlo. – Kyle mi guarda di sottecchi, sedendosi poi vicino a me e smettendo - grazie al cielo - di farmi ansia con il suo avanti-indietro, avanti-indietro, avanti-indietro... Non ho bisogno di altra ansia, okay? Io. Non. Ne. Ho. Bisogno. – Quanto è passato? Tre anni?
– Due e mezzo.
– Due e mezzo! – esclama, battendo le mani sulle ginocchia stile meeting politico. – Wow, è un bel po' di tempo. Ad essere sincero anche io mi sento strano ad essere di nuovo qui con te... Come se stesse accadendo tutto quanto una seconda volta.
– Fatto sta che non è così, no? – Devo sdrammatizzare o altrimenti qui finisce in un piagnisteo isterico. – Insomma, stai solo tornando a mettere a posto i mobili della nuova casa col tuo ex ragazzo. Sarà uno spasso.
– Hime... – Campanello di allarme: sono poche le volte in cui mi chiama così e in occasioni del genere non posso fare a meno che pensare ad una serie di disastrose conseguenze che il mio soprannome potrebbe causare. Tsunami? Terremoti? Eruzioni vulcaniche? – Non preoccuparti, okay? Mi ricordo di ciò che ho detto due settimane fa e le mie idee non sono cambiate. Landon non interferirà.
Eh, fa presto a parlare. Insomma, so anche io cosa significhi avere il proprio ex che gira in mutande per casa e so le cattive intenzioni che potrebbero passare per la testa in quel dannato momento. A pensarci bene, io e Landon potremmo diventare amici. Sento del feeling.
– Puoi fare quello che vuoi, in realtà. Non ti ho detto nulla a riguardo.
– Lo so, ma ti conosco abbastanza bene e certi tuoi comportamenti riesco ancora a capirli, mister cerco-di-fingere-che-nulla-sia-un-problema. Ti posso chiamare anche alla mattina, al pomeriggio e alla sera se ti fa stare meglio.
– Kyle. – Mi alzo dalla sedia, accucciandomi di fronte a lui e appoggiando poi i gomiti sulle sue ginocchia. – Non siamo una stramaledetta di coppia di sposini. Chiaro? Chiamami solo quando arrivi e quando stai per tornare. E per le emergenze. Stop.
– Poi ti manco.
– No, tranquillo. Non corri il rischio. – gli sorrido sornione, ma nel momento in cui lui ricambia la smorfia sento che sta per affondarmi col colpo di grazia.
– Se è così allora non sperare che le piastrelle prendano vita, Anguilla.
Avete presente Battaglia Navale?
Tu posizioni con tutto il tuo amore le tue barchette nelle posizioni più astruse, incroci tra caselle e pensi coordinate che non verrebbero mai in mente, ti sudi la vittoria ma sei sicuro di averla in tasca. Sette turni dopo, l'avversario ha già affondato ogni tua barca e con esse anche il tuo orgoglio, la dignità e il senso civico dal momento che vorresti rincorrerlo con un'accetta da boscaiolo. Arrugginita.
Ecco: Kyle Adair è una costante partita a Battaglia Navale.
Le mie coordinate più impensabili vengono subito smascherate e con estrema facilità Kyle sembra farlo sembrare il suo gioco preferito. Ne va di mezzo anche il mio temperamento, è colpa sua se sono nervoso giorno e notte.
– Dovresti andare all'imbarco. – taglio corto, alzandomi per sgranchirmi le gambe. Non ci sto a farmi prendere in giro ulteriormente: accompagno l'aguzzino al metal detector e poi taglio la corda, non ha senso fare i drammatici. Devo solo pensare alle sue parole di due settimane fa, al fatto che sia ancora in qualche modo innamorato di me e al fatto che il trasloco con Landon non lo scalfisca più di tanto. Tra tre giorni ritornerà, no? Non se ne va per tre anni, di nuovo. Sono solo settantadue ore.
– Divertiti alle gare di domani. – Mi sorride fermandosi proprio davanti all'imbarco con il suo borsone a terra. – Tienimi aggiornato sui risultati.
– Non resta che incrociare le dita. – Mimo il gesto, stringendomi poi nelle spalle. – Tu divertiti con Landon. Salutamelo.
– Come no, gli dico che il ragazzo per cui l'ho lasciato gli manda un caloroso saluto. Molto credibile.
– Nessuno ti ha obbligato a mollarlo e io sono solo cortese.
– Tu sei sadico, Himeragi. Non sei cortese. Sa-di-co.
Lo spingo leggermente, facendogli una smorfia. Okay, sono una persona alquanto sadica e lo ammetto, ma non lo ammetterò mai di fronte a lui. Nossignore.
– La tua forza da chiwawa stitico mi stupisce ogni volta, Anguilla. – Come al solito si ritrova ad affondare una delle mie navi, smettendo di ridere solo nel momento in cui si avvicina a me in una maniera che sa perfettamente che io non gradisco in pubblico.
Levati.
Sciò.
Pussa via.
– Ci vediamo tra tre giorni, va bene? – Afferra delicatamente la stanghetta destra dei miei occhiali, portandoli sulla testa a tenere fermi i ciuffi e rendendomi difficile mettere a fuoco il sesso del tizio al metal detector. O è una tizia...? – Fa' il bravo e non tradirmi con Xavier.
– Se ti dovessi tradire lo farei con qualcuno di più vicino a te, giusto per farti rosicare. Tipo Nico.
– Nico non esce con Iris?
– Nico esce con Iris. Bum! Triangolo.
– Ma ci sono anch'io dentro.
– Quadrato?
Kyle sbuffa, portandosi la mano che non regge i miei occhiali alla tempia: – Certo che ne dici di cazzate.
– Hai cinque minuti, genio.
– Giusto, il tempo passa con te che non fai altro che sparare stronzate random. Grazie per l'intrattenimento. – Di nuovo, si avvicina a me e questa volta fa la sua mossa, baciandomi sulla fronte ora libera dall'ingombro degli occhiali. – E grazie per tutto il resto. Ci vediamo tra settantadue ore, Anguilla.
Non ci siamo.
Colpito e affondato.
Stupido Kyle Adair.





#HeyHiHello
Allora, eccoci qui con un nuovo capitolo. Come sempre ringrazio chi ha aggiunto la storia nelle varie categorie e spero di non deludervi :*
Per concludere vi lascio con uno spoiler dal prossimo capitolo!

– Sei assurdo. – continua, tenendo sostenuto il tono della voce. – Vuoi che ti stia distante, sei confuso o che cazzo ne so e poi vieni a dirmi che sei geloso?
Gelosia.
– Io non...
Gelosia... Cos'è? L'ho mai provata?
– Himeragi.
– Cosa, adesso?
– Sei geloso?

A presto Pesciolini!
Ale xx
  
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