SWIMMING TALE
CAPITOLO SETTE
“Sogno di una notte di
Battaglia Navale”
Picchio nervosamente le dita
sulla mia coscia, il piede non smette di battere e credo di essere
rimasto senza unghie da mordicchiare.
Sapete qual è la cosa
divertente?
Dopo due settimane di allenamento non-stop in vista
delle provinciali oggi doveva essere il venerdì libero prima del
sabato che stiamo aspettando da un mese. Mi ero già accuratamente
preparato tutto il mio programma, a partire dalla colazione con
Masha&Orso per arrivare poi a quando mi sarei coricato a letto,
finalmente libero dopo quasi un mese. Esatto: questa sera Kyle torna
a New York e lì resterà per tre giorni, dandomi finalmente un
attimo di respiro. Fino a mezz'ora fa, credetemi, era la giornata più
bella della mia vita.
Poi, be', è successo qualcosa che mi ha
fatto pensare “dove posso aver sbagliato nella mia vita?”.
Erano
appena le dieci, io ero stravaccato sul divano, Kyle era di fianco a
me e stavamo parlando delle gare che dovrà svolgere una volta
tornato dalla Grande Mela quando il mio cellulare - che ricordo
essere tenuto insieme con lo scotch - ha preso a squillare con la sua
mitica suoneria a detta di Kyle “più gay non esiste” e allo
schermo è apparso un numero che purtroppo conosco fin troppo
bene.
Andrew College, Segreteria
Così ho risposto
credendo si trattasse dei documenti da ultimare per le provinciali,
ero in pace col mondo ed ero convinto che niente potesse rovinare la
mia giornata relax in vista delle gare di domani.
Poi ho sentito
lo sbuffo del rettore Muller e delle voci di sottofondo, capendo che
se si fosse trattato di questioni inerenti alla piscina sarebbe stata
la signora Swan, la mia bidella e compagna preferita di caffè dai
tempi della seconda superiore, a chiamarmi.
Kyle mi teneva
guardato strano, il caso vuole che ieri l'abbia tenuto a nuotare fino
alle dieci e mezza per fare un ultimo potenziamento e che quindi
stamattina fosse alquanto stanco, ma nemmeno lui pensava che sarei
andato via di testa in quel modo dopo aver saputo che Xavier era in
presidenza e che, dato che nessuno dei suoi genitori aveva risposto,
aveva fatto il mio nome come tutore improvvisato. Ricordo di aver
sfiorato il lancio triplo carpiato del mio cellulare fuori dalla
finestra, seguito poi dalla mia performance da pattinatore su
ghiaccio aereo che sarebbe atterrato spappolandosi le gambe. Sì, ero
al limite sotto ogni limite che io possa avere.
Kyle non voleva
nemmeno che andassi, ma poi ha miracolosamente capito che non potevo
rifiutarmi dal momento che erano coinvolti Xavier, i suoi genitori, i
guai che aveva combinato e quindi inevitabilmente tutta la squadra di
nuoto e le provinciali. Se uno dei componenti sgarra, tutti pagano:
questa è sempre stata la regola e questo è sempre stato il mio
terrore. Se mezz'ora fa ero tranquillo e stavo finalmente bene con il
mio equilibrio psicofisico, be': no. Sono tornato. Non preoccupatevi.
Ho perfino dovuto lasciare il volante del mio catorcio rosso a
Kyle dopo che, non appena arrivati allo stop della via del mio
tugurio, ho rischiato di investire la signora Stanley per
l'adrenalina che avevo addosso; così mi sono beccato una serie di
insulti e Kyle si è proposto per guidare.
Insomma, era solo
oggi.
Non ci siamo fermati nemmeno di sabato e di domenica,
abbiamo continuato ad allenarci fino allo sfinimento e queste
ventiquattro ore volevo passarle in santa pace, uscire solo per
accompagnare Kyle all'aeroporto e tornare poi sotto le coperte.
Ma
no!
“Xavier McAdams ha fatto il tuo nome, Fenwick, devi venire
a fare le veci di suo tutore.”
Maledetto il giorno che sono
entrato all'Andrew College. Insomma, potevo andare in accademia
militare o a lavorare nel ranch di mio nonno nel North Carolina,
perché non ho scelto la vita da cowboy? Mi ci sarei anche visto col
lazo, a gridare “yhaa!” dietro ai cavalli e a galoppare al
tramonto.
Perché non sto galoppando al tramonto?
Io voglio
tramontare al galoppo.
Che cazzo sto dicendo?
Socchiudo gli
occhi, appoggio la testa al muro dietro di me e sospiro: devo solo
aspettare che si decidano a chiamarmi dentro e potrò capire cosa
diamine è successo. So che Kyle è in piscina e questo mi
tranquillizza, ha detto di dover parlare con la sua squadra perciò
sono quasi del tutto sicuro che non farà irruzione in questa
anticamera dell'ufficio del rettore armato e con un'incredibile
voglia di farmi sprofondare nell'imbarazzo: non sarebbe la prima
volta considerando quando, una settimana fa, stavo parlando con la
signora Swan, è entrato di corsa gridando “qualcuno ha visto
quell'Anguilla del cazzo?” e poi, vedendomi lì, ha detto di essere
arrivato alla segreteria per puro caso.
Non c'è più
religione, tutto è alla rinfusa e mancava solo Xavier in presidenza
alla vigilia delle provinciali nella lista di “ciò che non
dovrebbe mai succedere ma che succede perché mi chiamo Himeragi
Fenwick (Fenneck secondo il mio campanello) e abbiamo già detto
tutto”.
– Fenwick! – La porta viene spalancata da dentro,
il rettore si presenta sull'uscio e mi fa cenno di entrare. Non ha
idea dello spavento che mi sono preso con questa sua uscita ma per un
momento farò finta di avere una dignità ed entrerò nell'ufficio
come una persona normale, sospirando prima di varcare la soglia.
Davanti a me ritrovo quindi Muller seduto sulla sua sedia
girevole, alla sua destra il professor Schneider e davanti alla
cattedra, di spalle, Xavier che non osa però girarsi verso di me. La
trinità dell'Andrew College: da qui non se ne esce.
Markus
Schneider è stato la mia spina nel fianco per tutti i quattro anni
di superiori: laureato in chimica e in fisica ma insegnante di
ginnastica - per questo quindi sempre adirato col mondo intero,
cinquantatré anni, un amore sconfinato per la squadra di atletica di
cui lui è il coordinatore e un odio viscerale per i nuotatori.
Ricordo che ad ogni battuta sbagliata di pallavolo che facevo lui mi
correva dietro mentre io scappavo urlandomi che si vedeva che nuotavo
perché ero un incapace che non sapeva nemmeno prendere in mano una
palla - e sapesse quanto si sbagliava...
Ad ogni modo, non mi
sorprende vederlo qui dentro e non mi sorprenderebbe nemmeno sentire
che tutto questo casino è partito da lui, ma sebbene i miei istinti
da mamma chioccia verso Xavier potrebbero prevalere devo sempre fare
appello al mio buonsenso e costringermi a comportarmi come un ragazzo
maturo dal momento che io sono qui in veste di istruttore e di tutore
ma non di avvocato difensore: qualsiasi cosa questo lunatico ragazzo
rosso abbia fatto, devo obbligarmi a rimanerne il più fuori
possibile.
– Fenwick. – Schneider mi fissa con un sorrisetto
fastidioso, incrociando le mani paffute. – Ci rivediamo dopo un
po', eh?
– Guardi che lavoro qui. – gli faccio presente,
indicando col pollice la finestra da cui si riesce ad intravedere la
piscina. – Da quattro mesi.
– Ah sì? Be', non mi interesso
particolarmente della squadra di nuoto.
Guardo di sottecchi
Muller, lui scuote la testa e sospira, negandomi il suo appoggio in
questa faida. Sto pregando interiormente che tutto questo non si
ritorca contro di me e le provinciali, quella sottospecie di vecchio
bionico sa come mettermi i bastoni tra le ruote - e dico sul serio,
durante una lezione di pattinaggio a rotelle ha “accidentalmente”
fatto finire il manico della scopa nella mia traiettoria.
–
Comunque, – cambio argomento, andandomi a sedere sulla sedia
accanto a quella su cui giace Xavier, inerme come mai l'ho visto
prima. Tiene lo sguardo basso nascosto dal cappuccio e non mi
permette di vedere nemmeno un centimetro del suo viso, riconosco solo
qualche ciuffo rosso che sfugge dal mio cappello che ha ancora in
testa ma del resto è tabula rasa. – Cos'è successo?
Schneider
si infila gli stessi occhiali da vista che ha dai tempi della mia
prima superiore, appoggia le mani sulla cattedra e, dopo aver
guardato male Xavier, guarda me: – Oggi ho sopportato il signor
McAdams per l'ultima volta nella mia lezione.
– Be' – mi
schiarisco la voce, accavallando le gambe con un sorriso che
renderebbe Kyle fiero di me. – L'ha detto un bel po' di volte anche
a me e ad Adair, signore.
– Tu e Adair andavate a nascondervi
in spogliatoio per delle mezzore ma almeno non facevate risse tutte
le volte.
Ops. Mi sa di essere vagamente preso in causa ma ad
ogni modo sgrano gli occhi: risse? Che storia sarebbe
questa?
– Scusi? – domando, guardando Muller che però nega di
nuovo senza farsi vedere, lasciandomi in balia dello pseudo
insegnante di educazione fisica.
– Risse. – ripete quindi,
serafico nel suo essere un emerito bastardo credendo forse che io sia
duro d'orecchi quando l'unica cosa dura potrebbe essere il mio pugno
che si schianta contro il suo naso informe (so che avete pensato
male, ammettetelo). – E non solo. Il signor McAdams era già stato
avvisato più volte ma durante l'ultimo collegio docenti abbiamo
stabilito che gli avremmo dato solo un'altra possibilità; ebbene
oggi è stata quindi bruciata. Non lo accetterò più nelle mie ore
di lezione.
Mi siedo meglio sulla sedia, sentendomi colpevole
come se fossi io ad essere nei guai. Vorrei girarmi verso Xavier e
dirgli di dire di no, di dire che si sono inventati tutto quanto e di
smentire tutte le accuse ma il fatto che se ne stia fermo immobile
senza emettere un fiato non può che aggravare i miei dubbi su di
lui.
– E' da quando è iniziato quest'anno che va avanti così.
– continua l'uomo davanti a me che se andasse in pensione farebbe
un favore anche alla signora Swan. – La media dei suoi voti rasenta
la D per grazia divina, non presenta mai i compiti a lui assegnati e
ha falsificato più volte la firma dei suoi genitori, sta a casa tre
giorni alla settimana e entra solo per i vostri allenamenti, si
comporta male con i professori e durante la mia ora è sempre il
principale colpevole delle risse negli spogliatoi maschili. Tra
l'altro non ha voluto nemmeno essere medicato questa mattina, quindi
è anche irrispettoso verso le infermiere e verso chi, come me, si
preoccupa per lui.
– Ora, – lo interrompo, sentendo tutti i
miei nervi saltare uno dopo l'altro. – La cazzata del “mi
preoccupo per lui” non regge, quindi eviti di dirla. Poi sono il
primo a dire che tutto ciò è sbagliato, ma conosco il ragazzo e so
che non farebbe del male a nessuno se non provocato.
– Sì, in
effetti... – Finalmente Muller interviene, picchierellando le dita
sull'enorme cattedra. – Anche se Fenwick non si è espresso nel più
educato dei modi devi dire i fatti come stanno, Markus. Non è
solo colpa di Xavier.
Schneider si schiarisce la voce,
imbarazzato: – Okay, certo, anche tre ragazzi della squadra di
atletica sono coinvolti.
Alzo entrambe le sopracciglia,
incrociando le braccia anche se so che Muller me ne dirà di cotte e
di crude per questo mio comportamento: – Atletica, eh? Mi sembrava
strano.
Mi sto giocando il posto di lavoro, ne sono sicuro: tra
poco mi ritroverò a vagare di ponte in ponte per trovare riparo a
causa della mia lingua lunga.
– Stai insinuando qualcosa,
Fenwick?
– Nulla. – alzo le mani all'aria, alzandomi dalla
sedia. – Io non insinuo, signore. Io lo so per certo. Quindi
ora, se non le dispiace, ritiro il verbale in segreteria che lei avrà
sicuramente già stilato e firmato e porto via il ragazzo.
Schneider
mi fissa indignato, diventando rosso come un pomodoro come quando si
arrabbiava fino all'anno scorso: – E tu dovresti essere il tutore?
Che insolente! Sappi che le vostre preziose gare sono molto a rischio
per le bravate di questo individuo, io lo metterei bene in riga!
–
Questo individuo, – lo correggo, afferrando Xavier per un
polso per farlo alzare. – Ha un nome e un cognome. Decidere il suo
castigo è di mia competenza, quindi la prego di starne fuori e di
limitarsi a riportare i fatti senza omettere dettagli che le
potrebbero stare scomodi.
– Non ti conviene metterti contro di
me, Fenwick. – ringhia come se stesse per caricare contro di me,
offeso nel suo fragile ego.
In tutta risposta io fingo un inchino
per salutare sia lui che il rettore, strattonando leggermente Xavier
per tenermelo stretto e per intimargli di seguirmi.
Non mi
interessa se ho iniziato una guerra, sono anche pronto a portarla
avanti se Xavier è in mezzo a tutto ciò: non mi importa di cosa mi
potrebbe succedere, voglio solo chiarire questa situazione e capire
il motivo delle sue azioni e della sua omissione di tutto ciò. Mi
sono sempre sentito in dovere di dirgli tutto quanto, possibile che
per lui fosse solo un optional? Mi sento arrabbiato, quasi ferito,
chi c'è veramente sotto questo viso? Chi è Xavier?
Aspetto
di aver raggiunto gli spogliatoi anche per una sola parola, essendo
mattina non c'è nessuno per cui non c'è nemmeno bisogno di parlare
piano e sono sicuro che la Nyst sia occupata ad allenarsi per le gare
della settimana prossima per ascoltare un rimprovero da mamma
chioccia al suo piccolo pulcino bugiardo.
Chiudo la porta, arrivo
di fronte a Xavier e gli abbasso di scatto il cappuccio, togliendogli
anche il cappello. I suoi occhi sono quasi socchiusi, guardano il
pavimento senza alcuna espressione ma il viso non è ridotto bene: ha
un piccolo taglio sul labbro e dall'angolo del sopracciglio destro
scorre un rivolo di sangue che per fortuna si ferma sulla guancia.
Perché proprio oggi? Perché proprio lui?
Io lo sapevo, l'ho
sempre saputo: dovevo andare nel North Carolina e allevare una mucca
pezzata di nome Mrs. Hiddleton. Saremmo stati solo io e lei nel
ranch, il fieno e il mondo in pace con me e con se stesso.
Ma no.
Io mi chiamo Himeragi Fenwick, non sono stato destinato ad
un'esistenza tranquilla. Se non mi ammazzerà prima Kyle sono sicuro
che morirò a causa di Xavier.
– Mi vuoi spiegare che cazzo sta
succedendo? – sbotto, lanciando il mio cappello sulla panchina
insieme al verbale che non ho ancora voluto leggere. – Voglio
sentirlo da te, avanti.
Per qualche secondo non parla, non alza
gli occhi e sembra in trance. Sto per chiamarlo di nuovo, ma mi
precede e si passa la mano sul sangue per cercare di pulirsi il viso:
– Non serve che mi fai da mamma. Riportami solo dalla mia, dalle il
verbale e chi s'è visto. Scusa per il disturbo.
– Ah
no, non te la caverai solo così. – lo rimprovero, guardandolo
negli occhi celesti che portano i postumi di un'infinita stanchezza.
– Chi pensi che sia io, eh? Il tuo migliore amico? Sono il tuo
istruttore, Xavier, e con tutto ciò che non hai mai detto hai messo
a repentaglio anche le gare e le vostre possibilità per essere
convocati in una delle squadre più importanti. Te ne rendi conto,
vero? Sai cos'hai fatto?
– Piantala Anguilla, sono cazzi miei.
Me la vedrò con chi di competenza.
Okay Hime: respira. Puoi
gestire questa situazione senza agitarti troppo, devi solo pensare a
cosa dire e giocare bene le tue carte, del resto è semplicemente
Xavier davanti a te e sai come prenderlo.
– Allora mettila
così, visto che non pensi che io sia “di competenza”. –
Incrocio le mani al petto, fissando il suo viso contrito con
un'espressione che sicuramente gli farà male. – Io sono
quello che può decidere di non farti più mettere piede in piscina.
Posso anche decidere di farti allenare ma di non farti competere, di
farti retrocedere nelle riserve e di restare sulle panchine a
guardare la squadra che si allena a causa delle tue azioni da
irresponsabile. Mi ritieni di competenza, ora?
Xavier abbassa gli
occhi, riducendo le mani ad un pugno stretto attorno alla stoffa dei
suoi pantaloni. Detesto essere cattivo, specialmente poi verso di
lui, ma mi rendo conto da solo che qui non posso essere il solito
imbecille che lascia passare tutto e che vive secondo la filosofia
del “se non mi faccio coinvolgere, non succederà nulla”. Ormai
ci sono dentro, devo fare fede al mio ruolo di istruttore ma anche di
amico di Xavier, devo fargli capire il suo errore e devo capire
soprattutto il perché delle sue azioni.
North Carolina, North
Carolina, North Carolina...
– Non dicevo questo, accidenti a te.
– borbotta, facendomi sbiancare non appena riconosco che la sua
voce è palesemente provata dal pianto. – Dicevo che sono i miei
genitori di competenza per farmi la paternale, dirmi quanto io sia un
idiota e ricordarmi quando non gliene freghi nulla di me. Non tu. Ma
ora sì, se ti fa star meglio riconosco che sei di competenza anche
per questo.
Deglutisco, che cosa ho appena fatto?
Non doveva
finire così, perché sono io quello nei guai adesso?
Insomma, dovevo rimproverare Xavier ma non arrivare a farlo
piangere. Ho solo fatto ciò a cui avrebbero pensato di fare i suoi
genitori una volta riportato a casa, ma non voglio che lui mi veda
nello stesso modo in cui vede sua madre e suo padre, non intendo
vederlo spaventato se i suoi occhi dovessero cadere sui miei.
Nonostante tutto ciò che è successo, nonostante il rapporto tra me
e lui, a causa delle mie parole ha persino paura a mostrarmi il suo
viso e per questo piange silenziosamente, trattiene i singhiozzi e mi
lascia solo vedere il movimento irregolare delle sue spalle che
provano a tentoni di prendere fiato.
Respiro, devo calmarmi o non
finisce bene: ho davanti un ragazzo di sedici anni che sta piangendo
a causa mia quando non so nemmeno la sua versione dei fatti. Bravo
Himeragi, guarda, sei un ottimo tutore, istruttore e sarai un ottimo
padre nei giorni futuri - be', padre è da vedere a dirla tutta...
Per motivi tecnici più che altro. Mi sa che Kyle ha ragione quando
mi dice che non esiste una singola situazione che io sappia gestire
bene senza impanicarmi o combinare casini; io giuro che provo con
tutto me stesso a migliorare ma più tento e più le cose vanno a
rotoli. Se non ci credete, vi basta osservare un minuto qualsiasi
della mia insulsa vita e constaterete che io ho combinato
qualcosa, che io sono in panico e che io sto cercando
modi per evadere quali fughe random dalla finestra, tunnel
sotterranei o fingere di svenire.
Non ce la posso fare.
Allungo
così la mano in tasca per cercare un fazzoletto, l'unico che trovo è
ovviamente usato e dato che non sono molto dell'idea di pulire il
viso di Xavier con il mio grazioso muco lascio perdere il fazzoletto
e appoggio l'indice e il medio sotto il suo mento per farmi un'idea
della situazione, lui oppone resistenza ma alla fine lascia andare
seguendo il movimento della mia mano. Oh no. Le lacrime scorrono
ininterrottamente anche se non emette alcun genere di rumore e i suoi
occhi fanno perfino fatica a restare aperti, a questo punto mi chiedo
se le sue guance siano così rosse per la situazione in generale o
per il momento di umiliazione e di imbarazzo che sta subendo.
–
Mi dispiace. – mi scuso infine, iniziando a pulirgli le guance con
entrambe le mani. – Non volevo farti stare male, mi sono lasciato
prendere dal nervoso.
– Sei un idiota, Himeragi. – mormora
lasciandosi finalmente andare ad una serie di singhiozzi che farebbe
invidia al più capriccioso dei neonati, facendomi inevitabilmente
sorridere. – Ma non per quello che hai detto. Per ciò che stai
facendo ora.
– Lo so... Insomma, ci sono tanti germi nel sangue
e andrebbero disinfettate prima le ferite, per non parlare del...
–
Non capisci un cazzo.
Giusto: non ha tutti i torti, ma non
capisco perché proprio ora questa constatazione. Non mi sento
male abbastanza per averlo ridotto così? Devo anche sentirmi dire
che non capisco niente?
Vedo che tutti qua si preoccupano di come
io, per una volta, possa sentirmi. Grazie ragazzi, vi adoro tutti dal
primo all'ultimo.
– Ti chiedo scusa. – concludo, passando per
l'ultima volta entrambi i pollici sulle sue guance finalmente pulite.
– Ma devi comunque dirmi cos'è successo, va bene?
Xavier
annuisce, abbracciandomi poi di slancio rischiando di farci piombare
entrambi a terra. Questa poi! Di solito fa fatica a farsi bussare
sulla spalla per essere chiamato e oggi mi abbraccia pure, che sia
l'effetto di tutto ciò che è successo? Non nascondo che a volte ho
paura che lui mi possa scambiare per una figura paterna essendo più
grande di lui e comunque abbastanza presente nella sua vita ma poi
realizzo che mi faccio semplicemente troppi problemi e che lui ha
ormai sedici anni ed è perfettamente in grado di distinguere la
figura dei suoi genitori da quella di un amico - sempre che così si
possa definire il suo istruttore, taxi e tutore improvvisato.
Che
ci posso fare, di sicuro Xavier non è facile da gestire ma so che
questo sarà probabilmente il primo e ultimo abbraccio che mi darà
di sua spontanea volontà perciò ne approfitto e lo stringo anch'io:
circondo la sua vita con un braccio e con l'altra mano gli accarezzo
i capelli finalmente liberi dal cappuccio e dal cappello, pensando
che sia una scena a dir poco stomachevole ma in fondo carina. Di
certo io non sono una persona che ama troppo le effusioni in generale
- per non parlare di quelle inopportune di Kyle, ma penso che a volte
vadano semplicemente accettate nei momenti che le richiedono.
Kyle
però no, ovviamente. Lui va allontanato con o senza violenza in
qualsiasi circostanza, poi va chiamata la protezione civile e va
allontanato, vivo o morto.
Gli voglio bene, dai.
– E' solo
un modo per ringraziarti. – borbotta improvvisamente Xavier,
parlando contro la mia felpa. – Non farti strane idee.
–
Tranquillo, – Di nuovo, come se fosse d'obbligo, passo la mano tra
i suoi ciuffi rossi. Quando ho già vissuto una scena simile? – Mi
hai appena detto che non capisco un cazzo, che strane idee dovrei
farmi?
– Be', dovresti essere abituato a sentirtelo dire da
Percy. Lo dice praticamente a tutti.
– Percy è un conto, tu
sei un altro.
– Sei bravo a parlare, Anguilla, lo sai? – Nel
dire questo si allontana da me, lasciandomi con uno strano vuoto
addosso ma con un sorriso da parte sua che riesce a schiarire la sua
espressione cupa. – Abbindoli per bene la gente.
– Non è una
mia intenzione, ad ogni modo. – mi difendo, pensando a come Kyle
non si sia mai preoccupato di questo nonostante mi conosca molto
meglio rispetto a Xavier. Per quanto mi riguarda non cerco di
abbindolare proprio nessuno, ciò che dico forse non lo esprimo in
modo chiaro ma dire una cosa per un'altra è stata una cosa che ho
sempre cercato di evitare (tranne quando ho detto ai miei genitori
che Kyle era morto, ovviamente).
– Sarà. – conclude, alzando
le spalle per poi recuperare il cappello sulla panchina. – Tieni.
Grazie.
– Puoi tenertelo, se vuoi. – gli sorrido,
spettinandogli i capelli dopo aver preso il verbale. – A patto che
tu mi prometta che mi dirai sempre tutto, da oggi in poi. Riguardo
ogni cosa.
Lui fa un ghigno divertito, stringe il cappello tra le
mani e lo rimette poi in testa: – Be', magari proprio tutto no.
–
Cosa vorrebbe dire?
– Insomma! – sbotta, dandomi le spalle e
cominciando ad andare verso la porta. – Devo anche dirti quante
volte alla settimana io mi ma...
Gli do una spinta sulla schiena,
tappandomi le orecchie prima di sentire il resto: – No! Non lo
voglio sapere!
Lui mi guarda di sottecchi, alzando le spalle anche
se vedo chiaramente che sta trattenendo una risata: – Mi mantengo
in allenamento, ovviamente. Maniaco.
– So cosa stavi per
dire. – lo riprendo, tirando un sospiro di sollievo per il pericolo
schivato. – Il maniaco sei tu.
– Travisi sempre tutto,
Anguilla. Non stavo dicendo proprio nulla di scandaloso.
– Sei
un tipo interessante, Xavier. Lo sai? – Usciamo finalmente da
questo dannato spogliatoio, ritrovandoci nell'atrio principale dove
non gira ancora una mosca.
– Siamo in due, anche perché... –
si blocca, restano però con un piede a mezz'aria e lo sguardo
puntato all'uscita della piscina.
Ha visto un fantasma?
Cerco
di capire cosa ci sia di tanto speciale e quando realizzo non so se
classificare questa scena come “divertente” o come “ai ripari”.
Una ragazza dalla frangetta bionda se ne sta di fronte a noi con
un plico di fogli in mano e un sorriso che non promette granché
bene. C'è qualcos'altro che deve succedere oggi prima che io vada
del tutto via di testa?
– Himeragi! Xavier! – esclama,
correndoci incontro a braccia aperte come se fossimo una specie di
ancora di salvezza. Come reagirà Xavier? Mi devo preoccupare?
–
Shion. – Incredibilmente, signori e signore, lui sorride e ricambia
il suo abbraccio prima che possa coinvolgere anche me. – E' un po'
che non ci si vede.
E tenta pure di fare conversazione! Non
potrei essere più felice. Sto per piangere.
– Chissà chi è
sparito. – borbotta lei, colpendolo con una frecciatina che provoca
una sua smorfia. Ad ogni modo non si scoraggia e, allontanandosi da
Xavier, si rivolge poi verso di me. – E' bello vedere anche te,
Himeragi.
– Sono passate solo due settimane. – le faccio
presente cercando di non sembrare troppo puntiglioso. – Non
dovresti avere lezione?
Lei scuote la testa, allungandomi il
plico di fogli: – Non sono andata a scuola dato che oggi è la
vigilia delle provinciali e dovevo darti i documenti per la mia
iscrizione prima delle gare. Riesci a firmarli entro oggi?
Certo
che riesco, ma nessuno qui sa che il mio programma era poltrire in
divano ascoltando le cazzate di Kyle e alzandomi solo per mangiare e
per accompagnarlo in aeroporto. Chi mai si dovrebbe preoccupare per
me? Quale assurdo motivo ci sarebbe dietro il mio giorno di riposo?
Pft! L'antica leggenda del giorno di riposo non esiste per Himeragi
Fenwick. Nemmeno quella di un'esistenza tranquilla, comunque. Giusto
per ricordarlo.
– Non c'è problema. – acconsento alla fine.
– Voi due potreste fare due chiacchiere mentre metto a posto tutto
quanto. Penso ci vorrà un po' di tempo dato che devo tornare dal
rettore, quindi prendetevela comoda. – Infine guardo Xavier,
sorridendogli appena. – Ti riporto a casa quando abbiamo finito,
okay?
Lui annuisce, facendo poi cenno a Shion di allontanarsi per
lasciarmi tranquillo. Penso che non ce la caveremo prima di pranzo.
Guardo l'orologio: 13.32
Lo sapevo, oggi è partito
come una brutta giornata e finirà sicuramente come tale. Ha iniziato
a piovere mezz'ora fa, non ho un ombrello e sono ovviamente senza
felpa col cappuccio. Tra l'altro mi sono beccato una buona lavata di
capo da Muller dato il mio comportamento tenuto con Schneider ma c'è
anche da dire che sono riuscito a convincerlo a non dare punizioni a
Xavier che riguardassero la piscina, in modo da concedere anche a lui
l'opportunità di gareggiare e di continuare ad allenarsi. Un'ora fa
poi Kyle mi ha mandato un messaggio dicendomi che si era stancato di
aspettarmi e, approfittando del fatto che gli avessi lasciato le
chiavi della macchina, se n'è tornato a casa dicendomi di prendere
il bus col mio a sua detta “amato” Xavier – con annessa
emoticon col dito medio su Whatsapp.
Torno così nell'atrio della
piscina, trovando solo Shion ad aspettarmi a gambe incrociate sulla
panchina di fronte al bancone deserto. Voglio o non voglio sapere
dov'è andato quell'altro?
Non voglio.
– Shion. – la
chiamo alla fine, porgendole i fogli. – Sarai dei nostri non appena
la tua piscina chiuderà. Benvenuta.
La ragazza sorride
allegramente, stringendo i fogli al petto: – Grazie mille, mi hai
salvato la vita.
– Non la metterei così sul drastico. – la
rassicuro, facendole segno di uscire. – Xavier?
So che ho detto
di non voler sapere dove si trova, ma per motivi pratici mi sa che lo
devo sapere. Tra Kyle che se ne ritorna a casa per chissà quale
infondato motivo e Xavier che pianta in asso la sua ex ragazza direi
che oggi abbiamo avuto un bell'exploit di colpi di testa - più o
meno quelli che mi vorrei dare io con un martello.
– L'ha
chiamato sua madre dicendo che aveva appena parlato col vostro
professore di ginnastica e che doveva tornare a casa subito. –
spiega lei abbassando il tono della voce, facendo una smorfia
dispiaciuta. – Lui non voleva andarsene, ma mi ha detto di dirti
che ti spiegherà tutto ciò che è successo oggi domani alle gare.
Socchiudo gli occhi per un secondo, maledicendo Kyle per
essersene andato via con la macchina. Se avesse avuto solo un minimo
di pazienza avrei potuto accompagnare Xavier a casa sua e spiegare
ciò che era successo ai suoi genitori, non ho idea di come
affronteranno la cosa ma comincio ad essere seriamente preoccupato.
– Lo sai anche tu, eh? – mi domanda Shion mantenendo basso il
tono della voce, aprendo il suo ombrello. – Xavier mi ha detto di
averti parlato della sua famiglia. Dice anche che sei l'unico su cui
può far fiducia e per questo si è esposto, sinceramente non pensavo
che avessi avuto questo genere di impatto su di lui. Pensavo “sì,
Xavier lo sopporta come fa con molte persone” ma mi sbagliavo, c'è
dell'altro.
Annuisco, tenendo l'ombrello di Shion per coprirci
dalla pioggia battente che scende da fin troppo tempo per una
giornata che doveva essere bella e tranquilla: – Non so dirti di
preciso cosa lui pensi di me, ma sono sicuro che non si limiti al “ti
sopporto”.
Shion sorride, restando però in silenzio. Se devo
dire la verità non capisco le persone, a volte penso di riuscirci ma
più vado avanti più mi rendo conto che conoscerle davvero è tutto
un altro paio di maniche da quello che credo di fare ora. Sono legato
ad una prima idea che ho di loro e penso che sia ciò che saranno per
sempre, ma forse dovrei cominciare a vivere con i piedi un po' più a
terra e vivere un po' meglio le persone attorno a me per poter
finalmente dire di capire ciò che sentono e ciò che provano - e sì,
Kyle incluso, così poi non mi ritrovo con lui che cerca di baciarmi
e io che non so come reagire. Meglio prevenire che curare, no?
–
Ad ogni modo, non vedo l'ora di sfidarvi, domani. – ridacchia lei
per sdrammatizzare, dandomi una pacca sulla spalla che mi fa scuotere
l'ombrello e quindi bagnare ancora di più. Bene, grazie Camille. Ora
sì che sto meglio!
– Già. Sarà un amore. – borbotto
asciugandomi il viso con la manica del giubbotto. – Immagino che ci
divertiremo. Ci saranno anche i ragazzi della Nyst con noi, magari li
conoscerai dato che staranno nella nostra piscina per qualche mese
ancora.
– La Nyst? – Improvvisamente i suoi occhi verdi
prendono l'insolita forma di due cuori (sono ancora sotto l'influenza
manga di quella scellerata di mia madre, lo so), mentre con le mani
si aggrappa al mio braccio. – Nessuno me l'aveva detto! Io amo quei
ragazzi!
Ah. Lei li ama.
Buono a sapersi.
– Ah
sì? – Caduta libera dalle nuvole senza paracadute gente, ammirate
la maestria. – Sono bravi, sì.
Avrei un aggettivo per ognuno
di loro - per Adair anche centotré - e me ne esco con “bravi”.
Ma quanto talento ho nel non mostrare che realmente so di cosa si sta
parlando?
Uh, mi sa che Xavier non aveva tutti i torti. Forse
riesco davvero ad abbindolare la gente se voglio.
– Non so
quanto tu te ne possa interessare, ma... – Mi guarda di nuovo con
quegli occhioni a cuore, diventando possibilmente più rossa. – Il
culo di Adair!
– Eh. Il culo di Adair. – ripeto, tossicchiando
per non farle notare il mio disappunto a riguardo. Non ci voglio
nemmeno pensare al suo didietro in questo momento. Quattro anni fa
ero giovane e con gli ormoni a mille, ora se ci penso... Oh Buddha.
– E' fantastico! – continua Shion, imperterrita nel suo
volermi tirare fuori di bocca ciò che le sto tenendo nascosto dalla
prima volta che ci siamo visti. – Insomma, immagino tu l'abbia
guardato nuotare a dorso e quando fa le virate... Gesù! Mi chiedo
chi gliele abbia insegnate, sono perfette e mettono in risalto pure
le sue natiche!
Portatemi via, vi prego. Quanto manca alla
dannatissima fermata dell'autobus?
Sono troppo vecchio per sentir
parlare delle natiche del mio ex ragazzo che tra l'altro sono stato
io ad aiutare ad essere in risalto nelle virate - che all'inizio
riusciva a malapena ad accennare. Mi sa di aver creato un mostro se
una ragazza di sedici anni ne parla in questo modo.
– Eh già,
è proprio bravo! – me ne esco, raggiungendo finalmente la banchina
anche se mi sa che il prossimo autobus sarà tra una decina di
minuti. Ti prego Signore, fa che questa tua sprovveduta figliola non
accenni più al fisico statuario di Kyle Adair.
– Vuoi sapere
una cosa? – Ecco, si prepara al colpo di grazia. Abbassa la voce,
mi guarda con quegli occhietti maledetti e ghigna. – Per me è
bravo a letto, quello lì.
Questa è Sparta.
– Lo è.
– confermo, sospirando sapendo di togliermi un peso dallo stomaco.
Ad ogni modo ho fatto talmente tanti coming out che la reazione
di una ragazza non mi spaventa nemmeno così tanto... Alla peggio
farà un manga, no?
– Lo pensi anche tu, vero?
Shion,
capisci meno di me a volte.
– Io, ehm... – Io ci ho provato a
dirglielo. Poi lei non l'ha capito ma io ho fatto del mio meglio. –
… Non è che lo pensi, è che...
– Ammettilo, diventeresti gay
per uno come lui! – Mi dà una pacca sulla spalla, ridendo tra sé
e sé. Sì, è proprio divertente vedere come nessuno mi prenda mai
sul serio: è la condanna del mio nome. – Insomma, tutti pensano
che sia bravo a letto...
– Shion. – la chiamo, fermo nel mio
essere impanicato. Forse non c'è nemmeno bisogno di stare qui a
dirglielo ma voglio evitare equivoci futuri dato che sarà presto una
dei nostri. – Io lo so. Okay? Lo. So.
Il suoi occhi si
fanno sempre più grandi mentre lei allontana le palpebre per lo
stupore, portando lentamente le mani davanti alla bocca spalancata.
Bomba lanciata, reazione tra tre, due, uno...
– Non ci credo. –
mormora, sbattendo velocemente le palpebre. Proprio ora la pioggia
sembra smettere, lasciando spazio al più imbarazzante dei silenzi.
Succede sempre così, nemmeno a farlo apposta. – Ma... L'altra
volta stavi chiamando la tua ragazza...
– Era Kyle, in realtà.
– le spiego, scandendo più che posso le parole per evitare
fraintendimenti strani oltre a quelli che si creeranno sicuramente
data la situazione già abbastanza drasticamente divertente. –
Scusa se non te l'ho detto prima.
– No, non è un problema, è
solo che... Kyle Adair, insomma. Sembra irraggiungibile e tu ce l'hai
a portata di mano.
– Ce l'avevo. – la correggo,
sorridendole appena. – Ci siamo lasciati quando è andato alla Nyst
e ora conviviamo per una serie di sfortunate coincidenze.
La
biondina scuote la testa, indignata: – E le chiami “sfortunate”?
Io pagherei per avere quel ragazzo sotto il mio tetto!
– Non lo
conosci. E' piuttosto terrificante convivere con lui, in realtà. Non
fa mai il bucato, si dimentica sempre di accendere la lavastoviglie,
lascia accesi i termi tutto il giorno e da un momento all'altro ti
dice che se ne deve andare a New York per un trasloco col suo ex... –
Okay, forse mi sono fatto prendere un po' la mano. Troppo
risentimento, Hime. Sei un omuncolo pieno di rancore. – Ma tutto
sommato non l'abbiamo deciso noi, è stata colpa di un idiota che ha
sbagliato a prenotare il numero di stanze al college.
Shion
continua a guardarmi esterrefatta, stringe le mani al bordo del suo
giubbotto e si morde il labbro inferiore, come se fosse imbarazzata:
– Io... Mi dispiace di aver detto quelle cose, prima. Se l'avessi
saputo me le sarei anche risparmiate. Scusami.
Scoppio a ridere,
cos'è improvvisamente quella faccetta così contrita? Le do una
leggera gomitata, scuotendo la testa: – Sta' tranquilla, in ogni
caso non c'è nulla di importante tra me e lui, ora. Solo... – Solo
degli allenamenti oltre l'orario, solo dei comportamenti
tendenzialmente da coppietta da film anni cinquanta che si alternano
a momenti di guerra e solo una richiesta da parte sua di innamorarmi
di nuovo di lui. Solo questo. – …Niente, lascia perdere. Lo
conoscerai.
Il suo bus si ferma davanti alla fermata, lei si alza
ridacchiando e mi fa un cenno con la mano: – Tranquillo, non te lo
ruberò. Ci vediamo domani!
– Kyle? Sono a casa! –
Sbatto la porta dietro di me, constatando che sono le tre passate.
Sì, di sicuro una giornata rilassante e senza problemi.
Kyle
arriva davanti a me senza maglietta e con lo spazzolino tra i denti,
credendo forse che fuori ci siano trenta gradi e che ci troviamo in
California: – Okaeri. E' giusto? Chi se ne frega. Piuttosto,
che cazzo hai fatto fino ad adesso?
– Hai fatto tutto da solo. –
gli faccio presente, buttando alla rinfusa borsa e giubbotto bagnato.
Ormai il tugurio è abituato a tutto, direi che posso metterlo alla
prova anche col fuoco. – Uno, è giusto. Due, ho dovuto prendere il
bus perché una determinata persona non poteva aspettarmi e se l'è
filata con la mia macchina.
– Era ora di pranzo!
– Dimmi
quanto me ne importa! – ribatto, togliendogli dalla bocca lo
spazzolino dato che sta continuando ad imbiancare il pavimento col
dentifricio. E neve fu. – Ho dovuto lasciar andare Xavier a casa da
solo dato che non avevo la macchina.
Kyle sospira, si dirige
verso il bagno per sciacquarsi la bocca e torna di nuovo alla carica:
– Ha sedici anni, direi che può cavarsela da solo!
– Dovevo
parlare con i suoi genitori, lo so anch'io che sa prendere il bus. –
Nel dire questo mi avvicino al frigo, raccattando qualcosa da
mangiare che probabilmente sta lì da due o tre mesi. – Tu non
muori di certo se per un giorno ritardi il pranzo di due ore.
–
Non è questo il punto, Himeragi, è che tu sei ossessionato da quel
ragazzino.
– Ancora questa storia? Pensavo avessi capito da solo
che è un'emerita stronzata.
– Mi dai le prove per pensare di
avere ragione praticamente ogni giorno!
Rivolgo gli occhi al
cielo, non so nemmeno più come gestire tutta quest'assurda
situazione e Kyle non sembra volermi aiutare. Oggi non doveva
succedere niente di tutto ciò che è realmente accaduto, c'è
davvero il bisogno di farmi impazzire ancora di più rispetto alla
norma?
– Pensa quello che vuoi. – concludo, lasciando sul
bancone la scatoletta di tonno mezza aperta (stavo mangiando un mio
simile, mi sento un po' cannibale). – Chiamami quando è ora di
andare via.
Lo lascio lì in cucina con probabilmente ancora una
barca di stupide argomentazioni da esporre, chiudo la porta della mia
camera dietro di me e mi butto a capofitto sul letto, rischiando
ovviamente di sbattere la testa contro la testiera in legno. Se fosse
successo penso che il prete della chiesa di Detroit avrebbe fatto
meglio a scrivere il mio nome nella lista di chi non può
categoricamente entrare più lì dentro, ho molta fantasia quando si
tratta di imprecazioni.
– Himeragi?
Ma no.
Ma perché?
–
Lasciami dormire, Kyle. – borbotto, affondando la testa nel cuscino
prima di sentire il materasso abbassarsi e successivamente il corpo
di Kyle accanto al mio. Ma chi glielo fa fare di essere così
maledettamente inopportuno? Insomma, è come se facesse di tutto per
farmi arrabbiare ma poi non sopportasse il suo errore e venisse ad
implorare per il perdono. E' un controsenso con le gambe questo
ragazzo, credetemi.
– Sono solo preoccupato per te. – mormora
piano, facendomi rabbrividire per la vicinanza. Da quanto non c'era
quest'atmosfera tra di noi?
Ogni sera ci addormentiamo tranquilli
senza particolari imbarazzi, perciò mi chiedo perché ora il suo
corpo mi sembra più caldo del normale e sento il cuore battere quasi
a darmi fastidio. Una volta l'avrei considerato normale ma ora è
solo talmente strano da farmi sentire inadeguato in un modo che non
ricordavo più, quel genere di inadeguatezza che fa male ma che può
essere gestita fino a diventare abituale.
– Non devi. –
concludo, costatando che se mi sposto di un solo altro centimetro
finisco con la faccia a terra e non è il caso. – Ho diciotto anni,
non sono un cucciolo smarrito. Mi accorgo anch'io se c'è qualcosa
che non va in me e ti assicuro che al momento è tutto normale.
–
Già, già... – Ignorando tutte le regole che abbiamo
appassionatamente scritto, il mio aguzzino lascia andare la testa sul
mio petto, respirando talmente forte da permettermi di sentire il suo
battito cardiaco attraverso il collo appoggiato per forza di cose sul
mio bicipite. – A volte mi confondo con qualche anno fa, tutto qui.
Facciamo un riposino?
Ecco, adesso anche come i pensionati. Il
riposino!
Come se non avessi più forze alle tre e dieci del
pomeriggio. Ora, okay tutto, ma ho comunque una dignità e sono
ancora abbastanza giovane per resistere ad una brutta giornata senza
cedere alla tentazione del mio adorato letto con un non altrettanto
adorato ragazzo affianco a me.
– Va bene.
'Fanculo la
dignità.
Ho sonno.
Ricordo molto bene la prima volta
che io e Kyle facemmo l'amore: entrambi con le uniche esperienze
preliminari fatte nell'anno e qualche mese di relazione, senza la più
pallida idea delle leggi della fisica che intercorrevano in uno
rapporto tra due uomini e senza la minima intenzione di arrivare così
lontano partendo da “ieri ho visto un porno ma non mi è successo
niente finché non ho pensato a te, Anguilla”. Il romanticismo,
gente, cosa ne sanno Romeo e Giulietta? Pft! Dilettanti.
In men
che non si dica ci eravamo ritrovati senza vestiti, col fiato corto a
causa della situazione e dei ventisette gradi in casa di Kyle a causa
di un guasto dei condizionatori, col cuore fuori dal petto e con le
mani che per la prima volta potevano dare sfogo a tutto ciò che
avevano pensato di fare. Avevo paura, tremavo come una foglia e so
per certo che anche Kyle si sentiva come me, solo che a differenza
mia riusciva a mascherarlo con egregia maestria.
L'unico problema
di Kyle era il tatto. Lui non l'ha mai avuto, come non ha mai
avuto la discrezione o per lo meno il buonsenso. Se pensate che la
grandiosa prima volta sia imbarazzante, dovevate provarla con Kyle
Adair.
– Che cazzo devo fare, ora?
– Kyle...
– Oh,
ci sono! Devo infilare l'indice e...
– Piano, idiota! Mi fai
male!
– E ora? Wow, certo che è caldo qui dentro.
– Ma la
vuoi piantare? Sei fastidioso.
– Anguilla, stai tremando.
–
Ti giuro che esco da quella porta.
– Sembra che tu sia pronto.
Provo ad entrare.
– Non mi serve la telecronaca, Kyle, puoi
anche evitare di dire ogni cosa che ti passa per la testa.
Penso
che la parte peggiore, dopo il dolore della sua non-proprio-dolce
spinta iniziale, sia stata la descrizione del rapporto nella sua
interezza, senza una sola pausa. Sembrerà assurdo, ma è stata
proprio quella tortura a darmi la prova che anche Kyle era nervoso
quanto me. Pregavo costantemente quel mostro di stare un po' zitto e
di fare sul serio dato che mancava poco che iniziasse ad elencarmi
perfino la lista dei suoi parenti che avevano mangiato il pudding a
Natale, e dopo diverse prove per “dimmi se ti fa più male a pancia
in su o in giù” siamo finalmente riusciti a trovare il nostro
ritmo e a lasciare l'ultima parte senza nessun suono se non i nostri
rispettivi lamenti, finendo tutto quanto senza particolari problemi.
Ovviamente, quelli li sentii io la mattina dopo.
Quando mi
svegliai non ero messo come mi ero addormentato, Kyle non era accanto
a me ma sentivo l'acqua della doccia scrollare e la paura che mi
avesse lasciato solo mi passò immediatamente. In quanto a me ero
rannicchiato in posizione fetale, completamente nudo e coperto solo
dal lenzuolo nelle parti critiche anche se essere senza vestiti era
l'ultimo dei miei problemi considerando il dolore che sentivo
propagarsi in tutto il corpo non appena provavo a cambiare posizione.
Continuavo a stringere i denti per non farmi sentire da Kyle, ma
finivo per trattenere singhiozzi troppo rumorosi che si sarebbero
sentiti anche dai parenti che mangiavano il pudding a Natale, perciò
non mi meravigliai quando lui rientrò in camera e si fiondò su di
me, preoccupato, sedendosi sul bordo del letto dove le mie ginocchia
e le mie mani erano appena sull'orlo. Come ben sapete nessuno di noi
amava le smancerie perciò quel momento costò caro ad entrambi, ma
lui non disse nient'altro per non so quanto tempo e si occupò solo
di accarezzarmi costantemente i capelli lasciando scivolare la mano
di tanto in tanto più in basso, percorrendo il mio fianco e
fermandosi all'anca, tornando poi di nuovo sui capelli. Ora riesco a
capire il déja-vu del mio gesto verso Xavier, questa mattina: l'ho
vissuto io in prima persona con Kyle, non proprio la stessa
situazione ma entrambi in lacrime ed entrambi confortati nella stessa
maniera. E' strano come certe cose che all'epoca succedevano a me ora
sia ciò a far succedere a Xavier come se lui fosse un ragazzo che,
come me anni fa, abbia bisogno di essere guidato e protetto. Inoltre
ricordo che stavo morendo di imbarazzo, Kyle mi stava vedendo in
condizioni pietose, piangente per il dolore e inerme, ma fu grazie al
suo gesto continuativo che riuscii ad addormentarmi di nuovo e a
svegliarmi quindi qualche ora dopo vestito, meno acciaccato e sotto
le coperte. Non gliel'ho mai chiesto ma sono sicuro che non volesse
dimenticarsi il tubetto della pomata antidolorifica sul comodino,
odiava essere visto per i suoi lati teneri e quella confezione era la
prova che oltre ad avermi vestito e messo al caldo - anche se stavamo
già morendo assiderati a causa dei condizionatori guasti - aveva
anche cercato di medicarmi.
– Ti reggi? – mi chiese quando
riaprii gli occhi per la seconda volta, trovandolo nella stessa
posizione in cui l'avevo lasciato anche se dopo capii che non rimase
sempre lì.
– Ehi, ho quasi quindici anni, non sono un bambino.
– borbottai per risanare il mio orgoglio, mettendomi seduto a
fatica. Avevo già concesso al mio aguzzino un'occasione di vedermi
nella peggiore delle condizioni, mi promisi che non l'avrei più
fatto e che dovevo cercare di resistere al dolore per non sembrare
proprio un inetto - anche se era chiaro che fosse così.
Kyle mi
guardò sorpreso, si alzò dal letto e incrociò le braccia: – A
che ora sei nato?
– Eh? – lo fissai stranito, che genere di
domanda era? – Alle... sette di mattina, credo o giù di lì.
Perché?
– Allora hai già quindici anni, Anguilla. – Con un
sorriso Kyle si chinò su di me e mi baciò, mettendomi tra le mani
un pacchetto. – Buon compleanno.
Era il dodici luglio. Due mesi
dopo Kyle sarebbe partito per New York e sarebbe iniziato il mio
calvario, ma nonostante quello il mio quindicesimo compleanno è il
migliore di tutti i diciotto dodici luglio vissuti finora.
Aeroporto: luogo di partenze, di addii, di ritorni e di
emozioni taciute.
Anche luogo di imprecazioni contro i ritardi
degli aerei e contro Himeragi Fenwick che “che cazzo mi pesti i
piedi con la valigia, Anguilla?”.
Detroit-New York, volo delle
diciannove e trenta posticipato di trenta minuti.
– A saperlo
potevamo dormire ancora un po'. – si lamenta per l'ennesima volta
Kyle, facendo avanti e indietro davanti a me. Credo abbia formato un
solco a forza di ripercorrere i suoi passi.
– Abbiamo dormito
due ore e mezza, Kyle. Vuoi fare le ragnatele in quel letto?
–
Sei sempre simpatico nei momenti meno opportuni, Anguilla. –
borbotta dando l'ennesima occhiata al tabellone delle partenze. Ciò
che mi sorprende è che mi sarei aspettato tutta la squadra a
salutare il suo capitano, ma non c'è nemmeno l'ombra degli altri tre
titolari: siamo solo io e lui, il suo volo e l'hangar attorno a noi.
A dirla tutta, non avevo pensato che tornando qui con lui
sarebbero risaliti alla mente tanti di quei ricordi da farmi girare
la testa: perché sì, io c'ero quando Kyle prese il volo di sola
andata per New York. Io ero lì in mezzo ai pochi amici che avevano
voluto salutarlo, seduto in un angolino ad aspettare che se ne
andasse una volta per tutte. Lui sapeva che ero presente, mi aveva
salutato prima dell'arrivo di tutti gli altri e mi aveva pregato di
tornare a casa prima della partenza del suo volo, ma non ce la feci a
lasciarlo andare e rimasi finché non fu lui a lasciare andare me.
Sapendo che sta tornando a New York per rivedere il suo ex ragazzo e
per ultimare il trasloco non mi rende di certo felice, sono arrivato
al punto di pensare che forse forse preferirei che rimanesse a
rendere la mia vita impossibile piuttosto che doverlo vedere tornare
dal suo ex.
– Se continui a fissare quella piastrella non
prenderà vita. – Schiocca le dita davanti al mio viso, facendomi
rinsanire. Stavo veramente fissando la piastrella? Non pensavo di
essere così cliché. – A che pensi?
– Niente di che. –
mento, distogliendo lo sguardo dal suo.
Ci manca solo che gli
dica di stare attento col suo ex e di non fare niente che possa
disturbare la mia psiche, ma dal momento che attualmente non siamo
legati in alcun modo non vedo il motivo per cui dovrei essere io a
mettergli dei paletti.
– Che bugiardo. – ridacchia lui,
dandomi un buffetto sulla nuca. – Dai, sputa il rospo. Hai ancora
venti minuti.
– Niente, ti ho detto. Stavo solo aspettando che
la piastrella prendesse vita e costruisse un impero, tutto qui. Un
grande impero con tutte le piastrelle del mondo, mettendo poi i
mattoni come luogotenenti e le tegole come ministri dell'economia, e
poi...
– Pensavi alla mia partenza.
Annuisco, dovendo
trattenere una risata per la mia immonda stupidità: – In parole
povere sì.
– Mh. Modo originale di esprimerlo. – Kyle mi
guarda di sottecchi, sedendosi poi vicino a me e smettendo - grazie
al cielo - di farmi ansia con il suo avanti-indietro,
avanti-indietro, avanti-indietro... Non ho bisogno di altra ansia,
okay? Io. Non. Ne. Ho. Bisogno. – Quanto è passato? Tre anni?
–
Due e mezzo.
– Due e mezzo! – esclama, battendo le mani sulle
ginocchia stile meeting politico. – Wow, è un bel po' di tempo. Ad
essere sincero anche io mi sento strano ad essere di nuovo qui con
te... Come se stesse accadendo tutto quanto una seconda volta.
–
Fatto sta che non è così, no? – Devo sdrammatizzare o altrimenti
qui finisce in un piagnisteo isterico. – Insomma, stai solo
tornando a mettere a posto i mobili della nuova casa col tuo ex
ragazzo. Sarà uno spasso.
– Hime... – Campanello di allarme:
sono poche le volte in cui mi chiama così e in occasioni del genere
non posso fare a meno che pensare ad una serie di disastrose
conseguenze che il mio soprannome potrebbe causare. Tsunami?
Terremoti? Eruzioni vulcaniche? – Non preoccuparti, okay? Mi
ricordo di ciò che ho detto due settimane fa e le mie idee non sono
cambiate. Landon non interferirà.
Eh, fa presto a parlare.
Insomma, so anche io cosa significhi avere il proprio ex che gira in
mutande per casa e so le cattive intenzioni che potrebbero passare
per la testa in quel dannato momento. A pensarci bene, io e Landon
potremmo diventare amici. Sento del feeling.
– Puoi fare quello che
vuoi, in realtà. Non ti ho detto nulla a riguardo.
– Lo so, ma
ti conosco abbastanza bene e certi tuoi comportamenti riesco ancora a
capirli, mister cerco-di-fingere-che-nulla-sia-un-problema. Ti posso
chiamare anche alla mattina, al pomeriggio e alla sera se ti fa stare
meglio.
– Kyle. – Mi alzo dalla sedia, accucciandomi di fronte
a lui e appoggiando poi i gomiti sulle sue ginocchia. – Non siamo
una stramaledetta di coppia di sposini. Chiaro? Chiamami solo quando
arrivi e quando stai per tornare. E per le emergenze. Stop.
–
Poi ti manco.
– No, tranquillo. Non corri il rischio. – gli
sorrido sornione, ma nel momento in cui lui ricambia la smorfia sento
che sta per affondarmi col colpo di grazia.
– Se è così
allora non sperare che le piastrelle prendano vita, Anguilla.
Avete
presente Battaglia Navale?
Tu posizioni con tutto il tuo amore le
tue barchette nelle posizioni più astruse, incroci tra caselle e
pensi coordinate che non verrebbero mai in mente, ti sudi la vittoria
ma sei sicuro di averla in tasca. Sette turni dopo, l'avversario ha
già affondato ogni tua barca e con esse anche il tuo orgoglio, la
dignità e il senso civico dal momento che vorresti rincorrerlo con
un'accetta da boscaiolo. Arrugginita.
Ecco: Kyle Adair è una
costante partita a Battaglia Navale.
Le mie coordinate più
impensabili vengono subito smascherate e con estrema facilità Kyle
sembra farlo sembrare il suo gioco preferito. Ne va di mezzo anche il
mio temperamento, è colpa sua se sono nervoso giorno e notte.
–
Dovresti andare all'imbarco. – taglio corto, alzandomi per
sgranchirmi le gambe. Non ci sto a farmi prendere in giro
ulteriormente: accompagno l'aguzzino al metal detector e poi taglio
la corda, non ha senso fare i drammatici. Devo solo pensare alle sue
parole di due settimane fa, al fatto che sia ancora in qualche modo
innamorato di me e al fatto che il trasloco con Landon non lo
scalfisca più di tanto. Tra tre giorni ritornerà, no? Non se ne va
per tre anni, di nuovo. Sono solo settantadue ore.
– Divertiti
alle gare di domani. – Mi sorride fermandosi proprio davanti
all'imbarco con il suo borsone a terra. – Tienimi aggiornato sui
risultati.
– Non resta che incrociare le dita. – Mimo il
gesto, stringendomi poi nelle spalle. – Tu divertiti con Landon.
Salutamelo.
– Come no, gli dico che il ragazzo per cui l'ho
lasciato gli manda un caloroso saluto. Molto credibile.
–
Nessuno ti ha obbligato a mollarlo e io sono solo cortese.
– Tu
sei sadico, Himeragi. Non sei cortese. Sa-di-co.
Lo spingo
leggermente, facendogli una smorfia. Okay, sono una persona alquanto
sadica e lo ammetto, ma non lo ammetterò mai di fronte a lui.
Nossignore.
– La tua forza da chiwawa stitico mi stupisce ogni
volta, Anguilla. – Come al solito si ritrova ad affondare una delle
mie navi, smettendo di ridere solo nel momento in cui si avvicina a
me in una maniera che sa perfettamente che io non gradisco in
pubblico.
Levati.
Sciò.
Pussa via.
– Ci
vediamo tra tre giorni, va bene? – Afferra delicatamente la
stanghetta destra dei miei occhiali, portandoli sulla testa a tenere
fermi i ciuffi e rendendomi difficile mettere a fuoco il sesso del
tizio al metal detector. O è una tizia...? – Fa' il bravo e non
tradirmi con Xavier.
– Se ti dovessi tradire lo farei con
qualcuno di più vicino a te, giusto per farti rosicare. Tipo Nico.
–
Nico non esce con Iris?
– Nico esce con Iris. Bum!
Triangolo.
– Ma ci sono anch'io dentro.
– Quadrato?
Kyle
sbuffa, portandosi la mano che non regge i miei occhiali alla tempia:
– Certo che ne dici di cazzate.
– Hai cinque minuti, genio.
– Giusto, il tempo passa con te che non fai altro che sparare
stronzate random. Grazie per l'intrattenimento. – Di nuovo, si
avvicina a me e questa volta fa la sua mossa, baciandomi sulla fronte
ora libera dall'ingombro degli occhiali. – E grazie per tutto il
resto. Ci vediamo tra settantadue ore, Anguilla.
Non ci siamo.
Colpito e affondato.
Stupido
Kyle Adair.
#HeyHiHello
Allora, eccoci qui con un nuovo capitolo. Come sempre ringrazio chi ha
aggiunto la storia nelle varie categorie e spero di non deludervi :*
Per concludere vi lascio con uno spoiler dal prossimo capitolo!
Gelosia.
– Io non...
Gelosia... Cos'è? L'ho mai provata?
– Himeragi.
– Cosa, adesso?
– Sei geloso?
Ale xx