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Autore: arangirl    13/04/2017    2 recensioni
Fan fiction partecipante al contest History!AU del gruppo CLEXA/ELYCIA/LEXARK Gruppo di SUPPORTO italiano
Pur di ricevere un'istruzione e diventare guaritrice, Clarke ha rinunciato al suo titolo nobiliare ed è entrata in convento, prendendo i voti. Pensava di essere pronta ad iniziare una nuova vita, ma nulla avrebbe potuto prepararla ad essere rapita dai vichinghi, pronti a tutto pur di salvare il loro Jarl, gravemente ferito. Catapultata in una cultura completamente diversa dalla sua, divisa tra curiosità e timore, Clarke si troverà presto affascinata da questo misterioso popolo e dal loro altrettanto misterioso Comandante.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Clarke”


 
Clarke si svegliò di soprassalto, notando con estremo disappunto che si trovava ancora sulla nave vichinga; no, non era stato solo un brutto sogno. Aveva passato la giornata precedente a vomitare, scossa dal mal di mare; la cosa sembrava aver fatto morire dal ridere tutti i suoi compagni d’imbarcazione, ed era sfinita.
 


La sua stanchezza però lasciò posto allo stupore quando vide chi le stava parlando: Lexa. Dopo aver dormito ininterrottamente per quasi un giorno, ora sembrava lucida e riposata mentre la guardava dalla brandina che Anya aveva fatto costruire ai suoi uomini prima di partire, ogni segno della febbre svanito.
 


“Sai, per un po’ la mia mente ha pensato che fossi una valchiria, venuta a prendermi per portarmi nel Valhalla…” Clarke arrossì involontariamente e le sorrise “Sono contenta che tu sia reale.” Rimasero a fissarsi per qualche secondo, finché Lexa non sembrò accorgersi del luogo in cui si trovavano “Siamo in mare?”
 


“Si… siamo partiti ieri.” Clarke stava cercando di non pensarci troppo, onde evitare un’altra ondata di vomito “E come mai sei ancora qui? Non sei tornata al tuo villaggio?” Lexa sembrava onestamente preoccupata, e Clarke scoppiò a ridere “Ci sarei tornata se il tuo cane da guardia non mi avesse rapita.”
 


Il viso di Lexa si aprì in un’espressione stupita “Anya!” La donna, seduta poco distante da loro, si alzò immediatamente nel sentire la voce di Lexa “Lexa, era ora che ti svegliassi…” Nonostante il tono canzonatorio, Clarke notò sollievo e gioia negli occhi di Anya “Clarke mi ha detto che l’hai costretta a seguirci…” Anya lanciò un’occhiataccia a Clarke prima di rispondere “Eri ancora incosciente… Era la cosa migliore che potessi fare.”
 


Lexa cominciò a parlare nella loro lingua madre e Anya le rispose in modo sempre più seccato; aldilà dei loro ruoli, sembrava esserci un rapporto profondo tra le due donne, che permetteva ad Anya di rivolgersi a Lexa come se non fosse il suo comandante. Dopo qualche altro scambio di battute tra le due, Anya se ne andò irritata e Lexa si lasciò andare sulla branda, evidentemente sfinita da quel minimo sforzo.
 


“Sai… Anya è mia cugina.” Clarke la guardò sorpresa “Mio padre e sua madre erano fratelli, suo padre era un mercante di seta, proveniente da un paese dell’est così sperduto che nessuno ne conosceva il nome, sparito ancora prima di sapere che si stava lasciando un figlio alle spalle. Siamo cresciute insieme, come sorelle.”
 


“E’ per quello che ti parla come se non fossi il suo… Jarl?” Lexa rise “Si dice Jarrrrl.” Accentuò l’erre e a Clarke venne da ridere, stava veramente prendendo lezioni di vichingo da un signore della guerra? Era incredibile come in una situazione in cui si sarebbe dovuta sentire spaventata, in pericolo, riuscisse a sentirsi così a suo agio. “E sì, è anche per questo… Ma più che altro perché abbiamo sempre combattuto fianco a fianco… E’ una donna impetuosa, ma leale.”
 


“Lei sarebbe impetuosa? Ho sentito dire che ti sei presentata di fronte a Re Wallace con la freccia ancora conficcata nella spalla.” Clarke osservò leggermente compiaciuta il vago rossore che apparve sulle guance di Lexa “Chi combatte più di chiunque altro dovrebbe riconoscere il valore della pace. Io lo so bene, non potevo rischiare…”
 


“Scommetto che devi aver fatto una gran bella impressione sul vecchio Re Wallace” Clarke se lo ricordava vagamente da uno dei suoi viaggi alla corte con sua madre e il suo patrigno, era un uomo anziano e tranquillo, ma dallo sguardo malizioso di chi ne aveva viste, e fatte, tante. Clarke si ricordava soprattutto di suo figlio, il principe Cage, che aveva cercato di convincerla ad accompagnarlo nelle sue stanze più volte, nonostante lei all’epoca avesse appena quattordici anni.
 


“L’hai conosciuto?” L’espressione di Lexa sembrava più sorpresa che curiosa e Clarke annuì “Non sarai per caso una principessa?” Il tono della donna era scherzoso, ma il suo sorriso vacillò nel vedere l’espressione di Clarke “Sono una duchessa… O almeno, lo sarei dovuta diventare.” Il viso di Lexa diventò improvvisamente cupo “Anya!” esclamò di nuovo, e la donna le raggiunse in un attimo, un’espressione infastidita in volto.
 


“Poco meno di un giorno dopo aver stretto una fragile alleanza con un potente nemico, rientriamo nel suo territorio, allarmiamo la gente di uno dei suoi villaggi e rapiamo una delle loro nobili? Come ti è saltato in mente?” Lo sguardo di Anya si fece più allarmato mentre passava da Lexa a Clarke “Lei non è una nobile… E’ una suora, l’ho trovata in un convento.”
 


“Sono la figliastra del Duca Kane, che sovraintende la parte orientale del Wessex per conto del re. E sono anche una suora, quella parte è vera.” Clarke guardò Lexa reagire con curiosità a quelle parole “E perché mai una duchessa dovrebbe voler diventare una suora?”
Anya pronunciò qualcosa nella loro lingua e Clarke vide Lexa arrossire mentre distoglieva gli occhi da lei “Cos’hai detto?” Anya la guardò con un sorriso sornione “Ho detto allo Jarl che le suore non possono fare sesso… Non è vero?” Clarke si sforzò di non arrossire a sua volta senza troppi risultati, e si limitò ad annuire.
 


“Sei stata obbligata?” La voce di Lexa era gentile, e Clarke dovette ricordarsi per l’ennesima volta in pochi minuti che stava parlando con quella che era a tutti gli effetti il comandante di un’orda di barbari, un popolo che le era stato insegnato a temere ed odiare, non un’amica. “No. Ho scelto di entrare in convento per poter studiare.” Clarke non aveva riflettuto molto all’epoca su cosa potesse significare la sua scelta per la sua vita sentimentale, non che ne avesse mai avuta una aldilà degli spasimanti che si presentavano al suo patrigno per chiederle la mano. Lei gli aveva sempre respinti tutti, non provando alcun desiderio per loro, per non parlare di sentimenti.
 


“Quindi per gli inglesi non è possibile fare sesso e studiare nello stesso momento?” “Anya…” “Cosa? Sono curiosa!” Lexa le lanciò uno sguardo di fuoco e la donna lo prese come un giusto segnale per andarsene di nuovo, ma Lexa la fermò con un gesto della mano “Speriamo di non dover affrontare un esercito inglese arrivato per riprendersi la loro duchessa… in quel caso sarai tu a doverli fermare, Anya.”
 


Anya si allontanò sbuffando e Clarke, nonostante stesse cercando di concentrarsi sulla vastità del mare attorno a lei, riuscì a sentire lo sguardo penetrante di Lexa su di sé.  C’era qualcosa di lei che l’attirava, una specie di aura che la circondava, rendendola diversa da tutte le altre persone che Clarke aveva incontrato nella sua vita. All’apparenza sembrava calma e ponderata, ma Clarke aveva notato più volte la tempesta di emozioni che si nascondevano nei suoi occhi, e lei ne era intrigata.
 


Cercò di scacciare quel pensiero, ammirando l’ambiente intorno a lei, così nuovo e vasto. Il mare era calmo attorno a loro, avvolgendo qualsiasi cosa che l’occhio di Clarke riuscisse a sfiorare. Non era mai stata su un’imbarcazione così a lungo, mai si era avventurata così lontano da non riuscire più a scorgere la terraferma. Il vento soffiava leggero gonfiando la vela azzurra come il cielo sopra di lei, e poco distante da loro poteva vedere le vele delle altre imbarcazioni che le seguivano leggere sull’acqua.
 


“Sei stata molto coraggiosa a fare quello che hai fatto.” Clarke la guardò senza capire, e Lexa piegò le labbra in un accenno di sorriso “Hai rinunciato alla tua posizione sociale per qualcosa che ami… Non è da tutti… deve essere difficile per una donna come te vivere secondo le loro regole.”
 


Clarke la guardò leggermente sorpresa “Sembri saperne molto sulle nostre regole… e la nostra lingua. Posso chiederti come mai?” Lexa si alzò leggermente allora, cercando di appoggiarsi allo scuro legno della nave “E’ merito di una donna in realtà. Il suo nome è Indra. Molti anni fa fu catturata dai francesi durante le guerre contro i mori per il controllo della Spagna, quando era ancora una ragazza, dopo che la sua tribù nomade fu completamente distrutta. Fu venduta a un nobile inglese, che la portò a Londra, dove passò metà della sua vita… Quando noi vichinghi cominciammo a compiere scorrerie in Inghilterra, fu catturata di nuovo e venduta come schiava nel mio villaggio, dove mio padre la comprò.” Clarke ascoltava rapita la storia di Lexa, non riuscendo nemmeno a immaginare come doveva essere stato per Indra avere una vita del genere.
 


“Tuo padre era uno Jarl?” Lexa scosse la testa “Mio padre era un contadino. Ma sapeva riconoscere il valore delle persone, e non trattò mai Indra come un oggetto. Capì subito che era una donna piena di risorse, così le disse di insegnarmi la lingua inglese, pensando che mi sarebbe tornata utile nel momento in cui fossimo andati a coltivare le terre inglesi, come il vecchio Jarl aveva promesso. Per questo motivo so la tua lingua Clarke, e Anya come me, e molti altri dei miei uomini… Ho voluto che la imparassero; conoscere il tuo nemico è il primo passo verso la vittoria.”
 


“Ma ora hai stretto una pace con il nostro re… perché?” Lexa fissò a lungo l’orizzonte prima di risponderle “Abbiamo combattuto per anni contro la tua gente, abbiamo distrutto villaggi, rubato i vostri tesori, arricchito il nostro villaggio… Ma io voglio di più per la mia gente. Mio padre mi ha insegnato a riconoscere una terra fertile quando ci cammino sopra, e la vostra terra… è qualcosa che noi possiamo solo sognarci. Voglio che la mia gente possa prosperare, anche nel vostro territorio. I miei generali credevano che il modo migliore di conquistare i territori fosse quello di combattere…”
 


“Ma tu hai stretto un’alleanza con Wallace, promettendogli la fine degli assalti in cambio di un territorio in cui stabilirvi.” Lexa annuì, compiaciuta nel vedere che la mente di Clarke lavorava alla stessa velocità della sua “Esattamente. Wallace ha acconsentito alle mie richieste, e molto presto saremo pronti a trasferire alcune delle nostre comunità.”
 


Clarke rimase in silenzio a lungo, la mente in balia di mille pensieri riguardo quello che Lexa le aveva appena raccontato;  alla fine, cercando di spezzare il silenzio tra di loro, fece la domanda che le ronzava in testa dal momento in cui Lexa aveva parlato, anche se temeva di conoscerne già la risposta, trapelata involontariamente dagli occhi luminosi di Lexa “Cos’è successo al vecchio Jarl?”
 


La ragazza di fronte a lei alzò lo sguardo per fissarlo nel suo con tanta intensità che per un attimo Clarke non riuscì a prendere fiato “L’ho ucciso.”
 


La nave ondeggiò più forte sotto di loro, e Clarke sentì la nausea assalirla nuovamente: sarebbe stato un lungo viaggio.
 
 
*
 


Lexa guardò Clarke dormire a lungo quella notte, quando la ragazza era finalmente riuscita a prendere sonno nonostante i movimenti violenti delle onde attorno a loro. Non era un caso che l’avesse scambiata per una valchiria durante i suoi deliri febbricitanti, i biondi capelli lunghi e i grandi occhi azzurri le ricordavano le descrizioni delle nobili guerriere vichinghe di cui suo padre amava raccontare quando era ancora una bambina.
Il suo viso era sereno nel sonno, anche se Lexa notò con interesse che ogni tanto il corpo della ragazza era scosso da tremiti, come se stesse sognando. Clarke doveva essere più giovane di Lexa di qualche anno, una ragazza più che una donna, eppure Lexa aveva avuto modo di notare quanto fosse matura, con uno spirito forte che raramente aveva trovato, anche tra la sua gente.
 


 Avevano parlato poco dopo la confessione di Lexa, come se sentendole raccontare della sua ascesa al potere Clarke si fosse ricordata di dove, e in compagnia di chi, si trovava. Lexa era rimasta sorpresa quando Clarke le aveva rivolto la parola di nuovo, dicendole che era il momento di cambiarle nuovamente le bende della ferita. Clarke era stata metodica e meticolosa nella procedura, cercando di non far male a Lexa più del necessario, ma più che per il dolore, Lexa era preoccupata per il modo in cui il suo corpo reagiva al tocco della ragazza. Erano anni che Lexa non aveva contatti del genere con qualcuno, e nonostante la sua mente sapesse quanto era inopportuno, il suo corpo traditore non le impediva di sentire un brivido ogni volta che la sua pelle e quella di Clarke si sfioravano.
 


“Dovresti dormire invece di fantasticare sulla nostra piccola suora…” Lexa sobbalzò nel sentire la voce della cugina, distogliendo lo sguardo da Clarke per incontrare l’espressione divertita di Anya “Anche se devo ammettere che è carina, per essere un’inglese…”
 


Lexa alzò le spalle, fingendo indifferenza, cambiando argomento “Non mi hai ancora detto perché siamo ripartiti in fretta e furia… Avevamo pianificato di restare in Inghilterra almeno un’altra settimana.” L’espressione di Anya si fece seria, e Lexa capì che doveva essere successo qualcosa di grave “Stavo aspettando il momento giusto per dirtelo. La notte in cui Clarke ti ha curata… E’ arrivato un messaggero da Polis, portando cattive notizie.”
 


Lexa chiuse gli occhi, inspirando profondamente “E’ Nia, vero?”
 


Anya annuì “Suo figlio Roan e i suoi uomini hanno conquistato la città e ammazzato tutti gli uomini che avevamo lasciato a proteggerla. Nia è arrivata qualche giorno dopo, dichiarandosi il nuovo Jarl… Gustus è riuscito a fuggire con alcuni uomini e ha mandato un messaggero ad avvisarci, ma la situazione è grave… Dobbiamo riprenderci la città prima che organizzino delle difese efficaci.”
 


Lexa annuì, incapace di parlare, la rabbia che le chiudeva la gola “Raven?” Anya scosse la testa, l’espressione preoccupata “Il messaggero di Gustus ha detto che non l’hanno più vista dall’attacco.” Lexa alzò il braccio è appoggiò la mano su quella della cugina, stringendola brevemente “Ci riprenderemo Polis Anya… Nia non la passerà liscia, non questa volta.”
 


Anya annuì “Spero solo che il vento continui a favorirci. Non abbiamo un minuto da perdere.”
 
 
*


Ci misero quasi una settimana ad arrivare in vista del villaggio di Lexa e, per quanto Clarke avrebbe voluto, non riuscì a mantenere il silenzio quasi tombale che si era imposta più a lungo del giorno successivo alla sua discussione con Lexa, quando la curiosità ebbe la meglio su di lei e cominciò a fare domande su qualsiasi cosa le venisse in mente.
 


Una parte di lei faceva fatica a conciliare l’idea che si era fatta di Lexa, quella di una persona calma e ponderata, con quella di una guerriera assetata di sangue. Eppure sapeva che per essere arrivata così in alto, le mani di Lexa non potevano che essersi macchiate di sangue. E per quanto gli uomini di Lexa fossero stati gentili con lei durante la sua permanenza sulla nave, sapeva benissimo di cosa potevano essere capaci. Aveva sentito le storie della distruzione e dei massacri che avevano perpetrato per anni sulla sua terra, e non poteva permettersi di abbassare la guardia, per nessun motivo.
 


Nonostante questi pensieri risuonassero sempre chiari nella sua mente, non essendosi mai trovata in una situazione simile, Clarke lasciò che la sua curiosità avesse la meglio sul timore che provava verso questa gente, e visto che Lexa sembrava disposta a dissipare ogni suo dubbio, ne approfittò.
 


Mai in vita sua aveva immaginato quale profonda e ricca cultura potesse nascondersi dietro quel popolo che lei e la sua gente chiamava semplicemente barbari e, restando seduta su quella nave in un punto indefinito del mare, diretta verso chissà dove, comprese che forse non tutte le voci che aveva sentito riguardo ai vichinghi erano vere.
 


Ascoltò incantata mentre Lexa e occasionalmente Anya, anche se fingeva di non interessarsi a lei, le raccontava di Odino e di suo figlio Thor, e di come la sua ira facesse tremare la terra con lampi e tuoni, degli inganni di Loki, di Freya e del suo carro trainato da gatti delle nevi (a questo Clarke aveva riso, questa religione sembrava molto più bizzarra della sua), delle fanciulle dello scudo, di come combattevano al pari degli uomini, come Lexa e Anya, di Yule e delle celebrazioni rituali con cui ogni primavera benedivano il raccolto.
 


C’era qualcosa di molto simile alle vecchie leggende che popolavano la sua terra, secoli prima che il cristianesimo arrivasse anche lì, in un luogo così lontano dalla Terra Santa, leggende che Clarke aveva sentito sussurrate nelle fredde notti d’inverno dalle vecchie che lavoravano nelle cucine. C’era un’aura di magia, parola allora impronunciabile nel suo villaggio, che adornava tutto quello che Lexa le raccontava, che adornava Lexa stessa. C’era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi modi di fare, che la rendevano più simile a una degli eroi delle sue storie che a una semplice donna.
 


Ogni giorno Clarke le puliva la ferita, che lentamente stava guarendo, e con il passare dei giorni Clarke si rendeva conto di desiderare che quel momento arrivasse, solo per poterla toccare ancora. Certo, non era la prima volta che trovava attraente una donna, anche se non l’aveva mai confidato a nessuno, aveva sentito di persone finite al rogo per molto meno, ne era consapevole; ma con Lexa era diverso. Non sapeva nulla di lei, tranne che era una guerriera, un astuto comandante, ma tutto questo, e il timore che Clarke avrebbe dovuto provare, veniva mitigato dalla calma espressione negli occhi di Lexa, dalla sua voce gentile, dal leggero tremore della sua pelle ogni volta che Clarke la toccava.
 


“L’inverno sta arrivando” Lexa guardò le scogliere di roccia scura stagliarsi di fronte a loro, alte e imponenti come Clarke non ne aveva mai viste mentre le imbarcazioni si dirigevano verso il fiordo che, Lexa le aveva confermato poco prima, ospitava il suo villaggio.
 


Guardò Lexa, senza capire bene cosa intendesse. Lexa osservò la sua espressione dubbiosa per un secondo prima di riprendere a parlare “Gli inverni qui da noi non sono gentili come in Inghilterra. Dobbiamo riprendere la città prima che il gelo si abbatta su di noi, altrimenti rischio di perdere tutti i miei uomini.”
 


Clarke provò un brivido freddo al pensiero di quello che gli aspettava una volta sbarcati; Lexa non le aveva detto molto, solo che avrebbero dovuto combattere per riprendersi il suo villaggio che era stato occupato da un altro clan. “Questa Nia… la conosci?” Clarke chiese più che altro per curiosità, ma si rese conto di aver fatto un errore quando vide l’espressione negli occhi di Lexa, puro e semplice odio.
 


“Abbiamo una lunga storia alle spalle.  Suo marito… suo marito era lo Jarl di cui ti ho parlato.” Clarke annuì, ricordando perfettamente la conversazione che avevano avuto qualche giorno prima.
 


“Loro… loro non vedevano di buon occhio mio padre, e le voci che spargeva nel villaggio. Si era lamentato più volte delle tasse che la loro famiglia esigeva per organizzare una spedizione in Inghilterra, senza però fare nulla. C’era qualcosa di losco nel loro modo di gestire gli affari, commerciavano in schiavi, cosa che mio padre non trovava giusta, facevano sparire denaro e mercanzie, per motivi ignoti, e lui cercò di opporsi. Come risposta a tutto ciò la famiglia di Nia trovò giusto bruciare la mia fattoria, con la mia famiglia dentro.”
 


Lexa tenne gli occhi fissi sul mare davanti a loro per tutto il tempo, ma a Clarke non sfuggì il tremore nella sua voce “Io, Indra e Anya ci siamo salvate perché in quel momento eravamo a nord a combattere contro un clan rivale. Quando sono tornata della mia casa non era rimasta che cenere… Ho seppellito le ossa dei miei cari e sono andata a sfidare lo Jarl a duello. Era forte… ma non forte come il mio desidero di vendetta. Lo uccisi e il titolo divenne mio.”
 


Lexa si girò in quel momento, guardando Clarke negli occhi “Non ho mai desiderato essere più di quello che ero… Ma non ho avuto scelta.” Clarke riusciva a capire molto bene cosa provava Lexa in quel momento, la consapevolezza di dover prendere scelte disperate pur di raggiungere i propri obiettivi “Perché non hai ucciso Nia allora?”
 


Lexa scosse la testa, come se si fosse posta quella domanda più e più volte “Lei non sembrava essere coinvolta nei piani del marito, non a quel tempo almeno… Mi dissero poi che era stata lei stessa a ordinare la morte dei miei genitori. Ma a quel tempo mi supplicò di risparmiare lei e suo figlio e… per quanto tu possa credermi una selvaggia Clarke, non provo nessuna gioia nell’uccidere, anche quando si rivela necessario.”
 


Clarke distolse lo sguardo, imbarazzata “Non l’ho mai detto.” “Anya mi ha detto che ci consideri barbari… Posso capirlo dopo il modo in cui sei stata strappata dalla tua casa. Mi dispiace molto per ciò che ti è accaduto… Noi siamo vichinghi, e le nostre leggi ci dicono di prendere ciò che vogliamo.”
 


“E tu pensi che sia giusto?” la nota di disappunto nella sua voce non passò inosservata a Lexa, che però rimase impassibile “Non è importante. E’ il nostro modo di vivere.”  “Quindi ora manderai i tuoi uomini a morire in battaglia solo perché questo è il vostro modo di vivere? Hai stretto un accordo di pace con Wallace per non sacrificare vite inutilmente, ma ora sei disposta a farlo nella tua casa? Contro uomini che appartengono alla vostra stessa comunità? Non può esserci una soluzione migliore?”
 


Clarke aveva parlato impulsivamente, senza riflettere troppo sulle sue parole, e sperò di non aver tirato troppo la corda, ma Lexa si limitò a fissarla a lungo, come se stesse ponderando attentamente quello che le aveva detto; incapace di sostenere ancora il suo sguardo, Clarke abbassò gli occhi. “Non questa volta Clarke. Nia ha bruciato la mia casa, le persone che amavo, si è presa il mio trono. Il sangue esige altro sangue.”
 


Quella frase rimase impressa nella mente di Clarke, così come l’espressione minacciosa degli occhi di Lexa mentre la pronunciava. Avrebbe voluto ribattere, dire qualcosa, ma nulla avrebbe potuto fare cambiare idea a Lexa in quel momento. La donna si girò a fissare la spiaggia a cui si stavano avvicinando velocemente, e la sua espressione cambiò nel vedere la figura solitaria che faceva ampi gesti con le braccia nella loro direzione  “E’ Gustus, uno dei miei generali… Lui saprà dirci di più sui piani di Nia.”






Note: Ciao a tutti, eccoci con il secondo capitolo! Per prima cosa volevo ringraziarvi per la super risposta al primo, mi ha fatto davvero molto piacere ricevere le vostre recensioni e i vostri consigli, spero che anche questo vi sia piaciuto perché nonostante non ci sia molta azione, vengono trattati argomenti fondamentali per la trama! Volevo fare un ringraziamento particolare alle mie coinquiline, che nonostante non abbiano mai visto The 100 o letto una fanfiction, hanno insistito per sentirmi leggere la storia, volendo capire cosa faccio tutto il giorno invece di studiare... (ho riso per tutto il pomeriggio: Ma quindi Clarke è una donna?, Leila... Leica... Lexa, Ah ma sono lesbiche?, Oddio, Clarke Kent e Lexa Luthor! Ah... la serie non è quella su Supergirl?, Potresti scrivere una fanfiction sui nostri professiori...).
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!
  
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