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Autore: meryl watase    14/04/2017    14 recensioni
Seconda classificata al Contest Raccontami una favola indetto da supersara sul forum di Efp
Mi sono ispirata al film Disney La Sirenetta
Dal testo:
Mi erano quasi addosso.
Dominai il panico e mi concentrai sulla fuga. Le braccia fendevano il mare freddo, mentre i muscoli della parte inferiore del corpo assecondavano ogni movimento.
Ignorando il bruciore dei polmoni, tenni giù la testa. Non potevo permettermi di sprecare tempo per inspirare.
Guadagnai terreno, andavo veloce, ma non abbastanza da distanziare un'imbarcazione.
Mi sollevai per prendere slancio e cercare di andare più in profondità, dove non potevano seguirmi, quando un oggetto - lungo, affilato e metallico - mi colpì alla spalla sinistra. Il dolore mi fece rallentare e persi preziosi secondi a sfilare la lama, tanto da non poter sfuggire alla rete che i miei inseguitori mi avevano lanciato contro.
Tentai di liberarmi dal groviglio di funi, ma fu tutto inutile. Avevo perso il mio coltello e senza di esso non sarei mai riuscito a districarmi...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pain, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tobi | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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DE PROFUNDIS MARIS

Mi erano quasi addosso.
Dominai il panico e mi concentrai sulla fuga. Le braccia fendevano il mare freddo, mentre i muscoli della parte inferiore del corpo assecondavano ogni movimento.
Ignorando il bruciore dei polmoni, tenni giù la testa. Non potevo permettermi di sprecare tempo per inspirare.
Guadagnai terreno, andavo veloce, ma non abbastanza da distanziare un'imbarcazione.
Mi sollevai per prendere slancio e cercare di andare più in profondità, dove non potevano seguirmi, quando un oggetto - lungo, affilato e metallico - mi colpì alla spalla sinistra. Il dolore mi fece rallentare e persi preziosi secondi a sfilare la lama, tanto da non poter sfuggire alla rete che i miei inseguitori mi avevano lanciato contro.
Tentai di liberarmi dal groviglio di funi, ma fu tutto inutile. Avevo perso il mio coltello e senza di esso non sarei mai riuscito a districarmi.
Avrei potuto continuare a lottare, fino a farmi uccidere, come il mio istinto di guerriero mi intimava, ma questo non avrebbe tenuto al sicuro il mio popolo. Vivo o morto, la mia cattura avrebbe dimostrato la nostra esistenza. Quindi tentai di conservare le energie, mentre quelli mi tiravano a bordo.
Mantenni un'espressione fredda, vuota, mentre quei bastardi fissavano la luce del sole che riverberava sul mio corpo, sbigottiti e sorpresi. Li odiavo. E odiavo anche me stesso per essere stato tanto curioso da avvicinarmi agli umani.

🌊 § 🐚 § 🌊

Scesi l'ultimo scalino, arrivando alla stiva, curiosa di scoprire cosa avessero catturato quella volta.
Avevo ascoltato di nascosto una conversazione tra il capitano Tobi -uno strano individuo che adorava indossare maschere arancioni - e il primo ufficiale Pain, a proposito di una scoperta eccezionale che li avrebbe resi ricchi come nessuno e del fatto che era proibito a chiunque l'ingresso laggiù, dove campeggiava una grande vasca profonda cinque metri, attraversata da una piattaforma sopraelevata.
Sono una biologa marina, reclutata poco prima che l'Akatsuki, la nave oceanografica sulla quale mi trovavo, partisse per un viaggio alla scoperta di nuove creature marine.
Peccato che dopo due mesi di incessanti ricerche e di catture, nulla di insolito fosse finito tra le loro reti. Inoltre, a mio discapito, avevo capito troppo tardi quanto fossero sadici e privi di qualsivoglia morale i miei colleghi.
Provavo compassione per gli animali marini che venivano presi e imprigionati: delfini, orche, squali, foche, tartarughe, piovre... Studiati, seviziati e poi sezionati. L'ultimo che avevano catturato, un cucciolo di lontra, si era rifiutato di mangiare in cattività ed era morto ancor prima di essere studiato.
Avevo provato in tutti i modi a convincerli a rilasciare quei poveri esseri indifesi, ma era stato tutto inutile, avevo persino minacciato di denunciarli alle autorità, ma l'unica cosa che avevo ottenuto era stato essere privata di ogni mezzo di comunicazione, schiaffeggiata e rinchiusa nella mia camera. Ormai ero costretta a collaborare con loro, non stentavo a credere che avrebbero potuto uccidermi e poi gettare il mio cadavere in mare, in balia degli animali, se non avessi eseguito i loro ordini.
Una volta finiti tra le loro grinfie, solo la morte poteva liberarti.
Arrivata, rivolsi lo sguardo verso la vasca, cercando invano di scorgere il nuovo inquilino. La creatura aveva intorbidato l'acqua, nuotando vorticosamente, tanto che riuscivo a fatica a scorgere la sua coda dorata.

Non è un delfino, visto il colore. E nemmeno una foca. Forse uno squalo.

Sussultai di paura quando notai un uomo nella vasca che nuotava con l'animale.
I capelli scuri fluttuavano nell'acqua, creando una dolce cornice al volto dai lineamenti nobili, sinuosi, che gli conferivano un'aria eterea, delicata, smentita dalla muscolatura robusta del busto e dagli occhi scuri, impenetrabili, ipnotizzanti e duri.
"Che fai? Sei pazzo! È pericoloso stare in una vasca con un animale!" urlai verso di lui, attraversando la piattaforma per scorgerlo meglio ed aiutarlo a risalire.
Lui continuò ad osservarmi, perplesso. Chi era quell'incosciente?
L'uomo fece scivolare una mano verso il basso e seguii inconsciamente il movimento, osservando il suo torace muscoloso, lo stomaco piatto e i fianchi snelli. A quel punto vidi la guaina dorata che dai fianchi partiva ed arrivava fino ai piedi, finendo in una... Coda?
Le gambe mi cedettero per la sorpresa e si ritrovai a fissare ad occhi sgranati quello che avevo di fronte.
Era un tritone. Metà pesce, metà uomo.

Non può essere!

Eppure i miei occhi non m'ingannavano. Rimasi immobile, sconvolta, mentre lui emerse in superficie, si avvicinò al bordo e... dimenando la coda fece traboccare l'acqua, lanciandola contro di me e bagnandomi tutta.
Il getto gelido mi riscosse dallo stato di paralisi, portandomi a scappare di corsa dalla stiva, incurante dei vestiti umidi e della scarpe ormai zuppe.

🌊 § 🐚 § 🌊

Mai e poi mai avrei potuto immaginare di scorgere una cosa del genere.
Avevo ancora impressi nella mente i lineamenti e il corpo di quel tritone, mentre, sdraiata sul letto della mia cabina, contemplavo il tramonto attraverso l'oblò.
Ero spaventata e anche eccitata da quanto successo. Un mix di sentimenti contrastanti.
Certo, intraprendendo quel viaggio avevo sperato di scoprire una nuova specie, di studiare esemplari di animali marini rari, ma questo andava oltre ogni mia più sfrenata immaginazione. La mia vita in tutti quegli anni era stata ordinaria: famiglia medio-borghese, studi portati a termine brillantemente, un paio di ex-fidanzati con cui avevo mantenuto i contatti. Ma questo! Questo cambiava l'intera concezione del mondo che avevo avuto fino ad allora. Mi si era aperto dinanzi agli occhi un nuovo universo che ero ansiosa di scoprire.
La curiosità. La spinta primaria di ogni mia scelta e decisione.
Né Pain né Tobi avevano richiesto la mia presenza, evidentemente non volevano darmi la possibilità di farmi un nome per questa scoperta oppure... non si fidavano di me. Non potevo certo dargli torto visto quanto mi ero scontrata strenuamente con loro per liberare gli animali via via catturati. E lui... il tritone... sembrava così umano. Chissà se capiva la lingua umana, se parlava, se gli avevano dato del cibo, come si sentiva a stare in gabbia.

Come me?

In fondo anch'io ero prigioniera, seppur in minor modo rispetto a lui.
Inoltre, prima di scappare dalla stiva, avevo notato che aveva una brutta ferita sanguinante su una spalla.
Non potevo certo starmene a poltrire sapendo che quell'essere era ferito, quindi, col calar della notte, ne avrei approfittato per andare di nuovo là. Attirata non sapevo più se dalla sola curiosità o da qualcos'altro. Stava di fatto che non volevo attendere oltre per vederlo di nuovo.
Nel frattempo mi sarei procurata dei medicinali. In fondo non doveva essere difficile quanto procurarsi la copia della chiave della stiva, come avevo fatto la settimana precedente.

🌊 § 🐚 § 🌊

Non appena fui certa che il marinaio di ronda quella sera avesse ispezionato la zona, mi affrettai a sgusciare tra le ombre e ad entrare di nuovo nella stiva, illuminata da una serie di faretti al neon.
Lì per lì non riuscii a vederlo. L'acqua era stranamente calma.
Poi lo scorsi, gli avambracci erano posati sulla piattaforma, la testa su di essi, il volto nascosto nell'incavo del gomito e la metà umana del corpo fuori dall'acqua.
Si era addormentato? Era privo di sensi o era... morto?
Lui non si mosse nemmeno quando salii anch'io sulla passerella e mi accostai pian piano a lui, sospirando sollevata, quando alzò il viso per studiarmi.
Per una frazione di secondo, prima che la maschera inespressiva che mi aveva mostrato nel pomeriggio, calasse sul suo volto, fui quasi sicura di scorgere dolore in quegli occhi scuri.
Rimasi immobile, distante cinque metri, intimorita ed intimidita dal suo fisico imponente e dal suo sguardo poco rassicurante. Temevo mi avrebbe trascinata a fondo nella vasca, affogandomi. Quanto era umano? E quanto era pesce? Sapeva parlare?
"Stai tranquillo. Non sono qui per farti del male" gli dissi, con tono dolce, cercando di rassicurarlo.
Lui non si mosse, ma continuò a guardarmi. Prendendolo come un segno di incoraggiamento, mi feci più vicina.
"Voglio solo curarti la ferita. Deve farti molto male."
Stava indubbiamente soffrendo. Aveva ombre scure sotto gli occhi, il viso contratto ed emaciato ed anche se i suoi occhi erano vivi ed attenti, le palpebre sembravano pesanti.
Facendomi coraggio, mi avvicinai, fino a toccargli un braccio con le dita.
Un tremito lo scosse, ma non nuotò via, ed io... ero euforica! Stavo accarezzando una creatura mitica che nessuno supponeva esistesse davvero.
Gli accarezzai la pelle, scorrendo delicatamente sul bicipite del tritone, strabiliata che non si ribellasse a quel contatto.
"Sei davvero bello" mi lasciai sfuggire a mezza voce.
Lui si irrigidì, guardandomi sbalordito, come se avesse capito quello che gli avevo detto. Poi distolse lo sguardo tornando freddo ed algido.
"Sei caldo... Forse troppo" dissi, allungando una mano fino alla sua fronte per misurargli la temperatura.
"Scotti! Hai la febbre!" esclamai, ritraendo la mano.
Guardando da vicino la ferita alla spalla, notai quanto fosse gonfia ed infiammata, anche se non sanguinava, anzi sembrava in via di cicatrizzazione.
"È piuttosto brutta, ma in via di guarigione. E se prenderai queste medicine starai subito meglio" dissi, tirando fuori - dalla borsa che mi ero portata dietro -, antibiotici, aspirina e una crema antisettica. Era evidente che la febbre fosse dovuta ad un'infezione.
Presi uno dei flaconi e lo mostrai al tritone.
"Questa è un'aspirina" dissi, lasciandomi scivolare in palmo una compressa "As.Pi.Ri.Na. Devi inghiottirla" aggiunsi, mettendola in bocca e fingendo di mandarla giù.
L'uomo-pesce non sembrò molto convinto, ma io mi feci avanti, afferrando un'altra pastiglia e invitandolo a prenderla. Lui indugiò, poi allungò la testa. Trattenni il fiato, sentendo il suo respiro solleticarmi il palmo, poi gridai, allontanandomi quando lui mi mordicchiò le dita.
Con una improvvisa manata lui fece cadere tutto in acqua, rendendo vani i miei sforzi per rubare dei farmaci.
"Maledizione!" imprecai, il morso non mi aveva fatto male, ma mi aveva spaventata.
Ed ora le pillole erano inservibili.
"Sei davvero un osso duro!" gli dissi.
Mi riavvicinai, ripresi la borsa, frugandovi dentro e cercai i suoi occhi, ma lui non fissava le mie mani, ma le mie gambe e i miei piedi. Evidentemente non gli sembravo pericolosa fisicamente.

Ecco! Adesso!

Approfittando della sua distrazione, gli conficcai l'ago della siringa - che avevo nascosto nella borsa - direttamente nel braccio, spingendo lo stantuffo fino alla fine.

Lì per lì lui sembrò non capire, poi sgranò gli occhi e ringhiò, cercando di afferrarmi i polsi, mentre io riuscii a sgusciare via a distanza di sicurezza.
"Ho dovuto. È solo un'iniezione, per farti stare meglio" gli spiegai, cercando di riprendere fiato.
Lui non sembrò per niente convinto e si lasciò cadere in acqua, allontanandosi fino all'altro capo della vasca.
Certa di aver compiuto una buona azione, mi allontanai di corsa, cercando di non farmi scoprire da nessuno.

🌊 § 🐚 § 🌊

Mi ha toccato!

La osservai andarsene, attraverso la lente distorcente dell'acqua e poi mi issai di nuovo sulla piattaforma, salendo anche con la coda.
Avevo cercato di non far trapelare nulla, ma sotto la mia pelle e sotto le mie squame, infuriava una tempesta.
Non avevo mai permesso a nessun umano di toccarmi. Nemmeno gli idioti che mi avevano catturato lo avevano fatto, se non attraverso un telo mentre mi trasportavano in questa prigione acquatica.
Ero arrabbiato. Con loro per avermi imprigionato. Con me stesso per aver ceduto alla curiosità di esplorare la superficie terrestre in un punto che mi avevano proibito più volte di visitare.
Nei miei venticinque anni di vita, avevo fatto del mio essere un bastian contrario la mia caratteristica principale.
Da quando, compiuti quindic'anni - età nella quale ad ogni tritone era consentito salire in superficie -, sono salito per la prima volta in superficie, incontrando con lo sguardo l'azzurro del cielo e osservando gli uccelli che volavano liberi in cielo, l'esplorazione degli antri terrestri era diventata la mia fissazione.
Non potevo muovermi oltre un certo limite, ovviamente, ma avevo visitato qualunque posto fosse raggiungibile dalla mia coda.
A diciotto anni ero fuggito di casa, seguendo Orochimaru, un tritone assetato di conoscenza quanto me, ma una volta scoperto della sua predilezione per la dissezione di ogni essere vivente, al solo scopo di studio, lo avevo affrontato in duello, battendolo e intimandogli di non avvicinarsi mai più a me o alla mia famiglia.
Ero tornato a casa il tempo di beccarmi qualche sberla da mio padre Fugaku, incaricato della sicurezza del nostro regno sottomarino, un abbraccio da mia madre e un colpetto sulla fronte da mio fratello Itachi, oltre ad una delle sue frasi piene di verità: "le alghe del tuo vicino ti sembrano più verdi sai**, ma la tua casa resteranno le persone che ti vogliono bene."
Ovviamente non avevo resistito a lungo alla tentazione di viaggiare ancora, quindi periodicamente li avvertivo che non sarei tornato a casa per qualche tempo.
Mi sento uno stupido per essermi addormentato su uno scoglio, rendendomi tanto esposto ai pericoli, ma ero di ritorno da uno spiacevole incontro con uno squalo bianco che mi aveva lasciato stanco e privo di armi - il mio coltello d'osso giaceva ora in fondo all'oceano.
Avevo sempre provato molta curiosità verso gli umani, per questo spesso mi fermavo nei pontili, a tarda sera, fingendo di essere un bagnante normale e ascoltando i loro discorsi. Imparando le lingue.
Li trovavo interessanti, pur sapendo quanto potessero essere pericolosi.
Eppure quella ragazza mi era sembrata così innocua, sentivo ancora la freschezza e la consistenza della sua mano sulla mia pelle, e il suo profumo, così diverso ed esotico rispetto a quelli cui ero abituato. Sono rimasto per qualche istante abbagliato da lei.
Mentre mi toccava la fronte per sincerarsi delle mie condizioni, ho desiderato fare altrettanto, accarezzare i suoi capelli, di un colore rosa chiaro, scendere fino alle labbra rosse e posarvi le dita, per sentire se erano morbide come sembravano.
Ovviamente non mi sono fidato di quelle compresse, tanto più che lei ha solo finto di inghiottirle, non sono stupido.
Ma poi avevo visto le sue gambe, così diverse dalla mia coda e così vicine da essere a portata di mano - chissà cosa si prova a camminare - e mi ero distratto, permettendole di trafiggermi.
Col passare dei minuti il dolore alla spalla passò e mi sentii più reattivo. La ragazza non mi aveva avvelenato, quella era davvero una medicina.
Con un certo sforzo, cominciai a muovermi usando le braccia per darmi un appoggio sicuro e feci avanti e indietro sulla passerella, attento al minimo rumore per potermi subito rigettare in acqua. Dovevo allenarmi e tenermi in forma se volevo uscire da lì, quindi accantonai i pensieri su quella donna dagli occhi verdi e immaginai quelli scuri e neri di mio fratello e del resto della mia famiglia.

🌊 § 🐚 § 🌊

"Devi sentirti davvero meglio, quell'iniezione ti ha fatto bene allora!" esclamai il giorno dopo, guardando nella vasca e vedendo lui nuotare sicuro e veloce.
Con mia sorpresa, il tritone si fermò al suono della mia voce e si voltò a guardarmi, come per cercare di capirmi.
"Ho qui qualcosa che ti aiuterà a stare meglio: cibo" dissi, avvicinandomi con un vassoio ed un piatto in mano.
"Ho sentito che non hai voluto mangiare nulla prima, ma forse adesso... Il pesce fresco sarebbe l'ideale, ma ho dovuto agire in fretta e di nascosto dal cuoco."
Sobbalzai quando il tritone piantò le mani sulla passerella e si issò come il giorno precedente.
"Devi essere affamato" dissi, avvicinandomi.
Avevo portato insalata, carote, broccoli e vari vasetti.
"Ortaggi. Puoi considerarli come alghe di terra" gli spiegai.
Decidendo che la lattuga era la cosa più simile alle alghe, la spinsi sul piatto che avevo portato e la feci scivolare verso di lui.
Il tritone respinse il piatto.
Io ripetei l'azione.
Lui pure.
"Non stiamo giocando" sbottai esasperata "Devi mangiare."
Presi una foglia di lattuga e la portai alle labbra, la masticai e la ingoiai, nutrendo poche speranze nel fatto che lui mi avrebbe imitata, visto che il giorno prima aveva fatto fare una brutta fine alle compresse. Tuttavia, quando allungai di nuovo il piatto verso di lui, addentò un pezzo dell'ortaggio, lo masticò e lo inghiottì, finendo in un lampo tutta l'insalata e spingendo di nuovo il piatto verso di me.
"Bene. Facciamo progressi. Proviamo con queste" dissi, addentando una carota e passandogliela. Lui la mordicchiò e la risputò subito, con una smorfia.
"Sarebbe bastato un No, grazie comunque ti sei spiegato, le carote non sono di tuo gradimento."
Anche coi broccoli fece la stessa cosa, mentre i pomodori ebbero il suo benestare.
Quando gli offrii il caviale, contenuto in uno dei barattolini, rimasi perplessa di fronte alla rapidità con la quale lo divorò, e ne aprii subito un altro.
"Non posso credere che ti piaccia tanto, per me è troppo salato."
Trangugiata la seconda porzione, mi porse di nuovo il piatto, ma io non ne avevo più e lui mi fissò risentito.
"Come facevo a sapere che ti piaceva tanto! Ho dovuto approfittare di un momento di distrazione di Suigetsu, il nostro cuoco, per prendere qualcosa per te. Non sapevo cosa inventarmi, né conoscevo i tuoi gusti. A quanto pare non vogliono darti del cibo per fiaccare la tua resistenza e renderti più mansueto" ragionai ad alta voce, mentre lui mi osservava come se capisse quel che dicevo. Poi, senza esitazione si gettò di nuovo in acqua, ricominciando a nuotare ed intorbidendo l'acqua.
La scena si ripeté più volte durante quella settimana. Appena trovavo un attimo di tempo, sgattaiolavo nella stiva, portavo qualcosa da mangiare per il mio nuovo amico e, quando ero sicura che nessuno avrebbe notato la mia assenza, mi fermavo a parlare con lui.
Cercavo di insegnargli a parlare, sillabando, mostrandogli oggetti vari e spiegandogli come si chiamavano, ma niente. Lui sbadigliava, annoiato, oppure si limitava a nuotare nelle mie vicinanze, senza darmi importanza. E mi bagnava, spesso. Ogni volta ero costretta a tornare in cabina a cambiarmi per evitare di destare sospetti.
Il suo viso era spigoloso e teso, quasi controllato, come se fosse determinato a mantenere quella maschera indecifrabile. Eppure a volte scorgevo dell'altro, in fondo ai suoi occhi pareva ticchettare una bomba ad orologeria prossima ad esplodere.
Nonostante questo, giorno dopo giorno ero meno cauta, meno timorosa. Quando, nel giro di mezz'ora mi bagnò per la seconda volta, sbottai: "Smettila! Perché fai così? Io sto solo..."
Tacqui, notando che in quel momento avevo la sua totale attenzione.
Che preferisse un tono normale? Colloquiale?
A quel punto cominciai a raccontargli di tutto e di più, di quello che succedeva a bordo, delle mie migliori amiche che non sentivo da mesi, delle stranezze del nostro cuoco... E lui ascoltava, attento, senza più spruzzarmi. Era un ottimo ascoltatore ed in quei minuti, che dedicavo a lui ogni giorno, mi sentivo libera... Mi sentivo compresa.
Il tritone non disse mai una parola, ma una volta, dopo aver parlato del fatto che avrei tanto voluto non essere costretta a lavorare per quei mostri, ebbi l'impressione che lui volesse dire qualcosa.
Aprì le labbra, come per pronunciare una parola, poi si immerse in acqua, non tornando più vicino a me.

🌊 § 🐚 § 🌊

Ad un certo punto, non so come, non riuscii più a considerarlo un estraneo, un conoscente qualunque e mi spiaceva non sapere come chiamarlo... Quindi decisi di dargli un nome.
Nessuno dell'equipaggio si era azzardato a dargliene uno. Si riferivano a lui con epiteti come: il tritone, il mostro, il fenomeno da baraccone. E li odiavo per il loro essere tanto indelicati.
"Sai... A forza di parlare con te ho preso familiarità, ma mi sta diventando scomodo non poterti chiamare per nome. Vediamo un po'... Che ne dici di Waldo? Una volta ho letto un libro in cui il protagonista era un pesciolino che aveva questo nome. Era molto simpatico."
Lo sguardo del tritone fu così disgustato che capii subito che non approvava quel nome.
"Non ti piace, eh? Che ne dici di Orson oppure Flipper! No, meglio di no, l'ultimo nome mi ricorda troppo il delfino di un telefilm. Op-"
"Sasuke. Il mio nome è Sasuke" mi interruppe una voce maschile dal timbro profondo, baritonale.
Me l'ero immaginato o lui aveva parlato davvero?
"Cos'hai detto?"
Lui mi fissava con il suo solito sguardo scostante, come se niente fosse successo.
Proprio quando cominciavo a pensare di essermi sognata tutto e che la mia mente mi stava giocando un brutto scherzo, lui parlò ancora: "Mi chiamo Sa.Su.Ke." sillabò, come se pensasse che fossi stupida.
"Tu sai parlare" dissi, confermando i suoi sospetti circa la mia intelligenza.
"Sì" mi rispose, secco.
"Sono stata qui a ciarlare per tutto questo tempo e tu non hai pronunciato una sola parola, anche se mi capivi!?" avvampai, imbarazzata da tutte le scempiaggini che gli avevo raccontato solo per non sentirmi sola, "Se avessi saputo che sapevi parlare, io..."
"Tu cosa? Mi avresti lasciato libero? Allora fallo! Liberami!"
"Non posso!"
"Sì che puoi! Io sono uno schiavo qui, né più né meno di un oggetto di vanagloria."
"Forse se sapessero che sai parlare..."
"Non cambierebbe nulla. Io per loro non sono un essere umano senziente e così dovranno continuare a pensare. Se lo dirai a quei bastardi non dirò più nulla."
Il suo sguardo era determinato. Avrebbe di certo messo in atto la sua minaccia. Non gli sarebbe costato nulla continuare a tacere, dopotutto lo faceva ormai da molti giorni.
"Come fai a capire la mia lingua?" gli chiesi.
"Mi sono fermato spesso sotto vari pontili in giro per il mondo. Parlo e capisco varie lingue. Aprendo rápidamente, señorita*. Amo viaggiare e scoprire nuovi luoghi. E la mia stupidità mi ha fatto catturare" concluse, amaro.
Non sapevo cosa dire.
"Aiutami... Questa notte torna di nuovo e apri la porta di questa stiva, mi trascinerò fino al ponte e mi getterò in mare, dovrai semplicemente avvertirmi se arriva qualcuno, controllare se la via è libera."
"Non posso! Mi uccideranno se scoprono che ti ho aiutato a fuggire! È già tanto se riesco a portarti del cibo e a fermarmi a parlare qualche minuto" gli risposi.
"Tu..." cominciò a dire, quando, il rumore della porta della stiva che si apriva attirò la nostra attenzione.
Terrorizzata, presi il piatto che avevo portato con me e, scivolando silenziosamente sul pavimento grazie ai calzini che indossavo, mi nascosi in fondo alla stanza, dietro le pesanti reti da pesca, pregando che nessuno mi scoprisse.
Passi pesanti riverberarono per tutta la stiva.
"Ieri sera non hai chiuso a chiave?" disse una voce che riconobbi come quella del capitano.
"Non sono sceso io ieri, ho mandato Deidara per vedere se magari lui riusciva a convincere il nostro amico a mangiare, ma niente da fare. Deve aver scordato di chiudere prima di restituirmi la chiave" rispose Pain.
Dalla mia posizione non potevo sporgermi per vederlo, ma potevo immaginare benissimo i suoi occhi freddi, i suoi corti capelli rossi la cui piega resisteva a qualunque tempesta e la sua espressione priva di ogni sentimento.
"È qui da quasi due settimane e non ha mangiato nulla?" domandò Tobi.
"Ha rifiutato ogni cosa cercassimo di dargli, come se non si fidasse e temesse di essere avvelenato."
"Dev'essere davvero stupido, non lo faremmo mai, da vivo vale molto di più che da morto" affermò il capitano, "Comunque entro due giorni saremo a terra, ti aspetta una bella teca d'acqua salata, la gente pagherà oro per poterti vedere e toccare, cerca di fare il bravo e non tirare le cuoia" aggiunse, evidentemente rivolto a Sasuke, che sentivo agitarsi di nuovo nella vasca.
"Come faremo a tirarlo fuori da qui questo bastardo?"
"Potremmo sparagli un dardo soporifero o riprovare con la rete."
Sentii dei passi in avvicinamento e il cuore mi balzò in petto per il terrore. Vedevo già il mio cadavere andare alla deriva nell'oceano, quando un improvviso grido -"Pain! Aiutami!"- mi fece sobbalzare, facendo riallontanare l'uomo che mi si era appropinquato.
"Che cazzo succede?"
"Il maledetto ha tentato di portarmi in acqua, afferrandomi una gamba!"
Dopo varie imprecazioni che mi fecero capire che Sasuke gli stava dando del filo da torcere, accolsi con sollievo le parole del primo ufficiale: "Andiamo via, tornerò più tardi da solo. Gli getterò dei pesci vivi, se ha fame mangerà quelli."
Di nuovo passi. Poi la chiusura della porta e il click della chiave nella serratura.
"Puoi uscire adesso" affermò Sasuke ed io, ancora tremante, mi trascinai fuori dalla nicchia in cui mi ero nascosta.
Era di nuovo per metà fuori dall'acqua, con la parte superiore del corpo sulla passerella.
"Grazie" riuscii a dire, una volta raggiuntolo.
"Ti ho salvato la vita. Tu salverai la mia? Voglio tornare a casa, dalla mia famiglia. Se gli umani verranno a conoscenza dell'esistenza di sirene e tritoni, daranno la caccia a tutti noi. Ed io non posso permetterlo."
L'intensità delle sue parole e la loro veridicità, mi spinsero ad acconsentire.
Come sarei riuscita a dormire sonni tranquilli con il senso di colpa di non aver impedito a quei mostri di trasformarlo in un fenomeno da baraccone? Inoltre ormai mi faceva compagnia ogni giorno, ascoltando i miei sfoghi.
Con una fitta al cuore mi resi conto che la sua presenza mi sarebbe mancata, ma non potevo lasciarlo lì.
"Questa notte verrò e ti aiuterò a scappare" dissi, fissandolo negli occhi.
"Bene" rispose lui, semplicemente.

🌊 § 🐚 § 🌊

Passarono diverse ore dal mio colloquio con l'umana e più il cielo, fuori dagli oblò, si scuriva, più diventavo trepidante, impaziente di riavere la mia libertà.
Come promesso, quel maledetto uomo dai capelli rossi e dal viso pieno di strani oggetti di ferro, venne a farmi un'ultima visita, gettando nella vasca alcune orate: il mio pasto. Per poi chiudere di nuovo la porta.
Resistetti alla tentazione di addentarne una, primo perché Sakura mi portava cibo regolarmente, secondo perché temevo avesse iniettato qualcosa nei pesci. Non ero pratico di medicine e simili, ma fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Il tempo passò ancora, la notte era scesa sulla nave, eppure ancora nessuna traccia di Sakura. Poi pian piano il cielo cominciò a schiarirsi e allo stesso tempo il vento si alzò, facendo beccheggiare la nave.

Una tempesta! È il momento ideale per fuggire, seppure riuscissero a vedermi, il vento e l'acqua li ostacolerebbero, ma devo andare sul ponte!

Che mi fossi sbagliato a giudicarla? Che ci avesse ripensato, decidendo di lasciarmi al mio destino?
La cosa mi faceva arrabbiare parecchio, ma non potevo certo prendermela con lei. Era sola, contro un intero equipaggio. Non la credevo tanto vigliacca da rimangiarsi la parola, ma dopotutto era un'umana, non una sirena. Per noi del popolo del mare ogni promessa era un vincolo inscindibile.
Tuttavia il pensiero del destino che mi aspettava - chiuso in una vasca posto davanti al pubblico ludibrio oppure imprigionato e sezionato in quelli che gli umani chiamavano laboratori -, mi era insopportabile.
Mai e poi mai mi sarei piegato di fronte a loro.
Deciso a non darla vinta ai miei aguzzini, presi il coltello che Sakura, nella concitazione del momento, aveva scordato, pronto a mettere in atto il piano B.
Con un ultimo sguardo malinconico, accarezzai la mia coda, poi vi premetti contro la punta dell'arma.
Fu in quel momento che sentii aprirsi di nuovo la porta e vidi spuntare la testa chiara della donna, che, vedendomi in quella posa, impallidì e, chiuso l'uscio, si precipitò da me.
"Che cosa vuoi fare? Sei impazzito?"
Accolsi con sollievo la sua venuta, non volevo davvero arrivare a tanto, ma disperavo di poter riuscire a fuggire senza aiuto.
"Sei in ritardo" ribattei.
"Lo so. C'è stato una specie di banchetto questa sera e sembrava non aver mai fine. Non potevo venire qui con tutta quella gente in giro per la nave. Ho dovuto aspettare. E comunque non avresti ottenuto nulla tagliandoti la coda a parte ucciderti!" mi disse, agitata e con le lacrime agli occhi. Come se la mia morte fosse per lei motivo di dolore. Eppure mi conosceva appena.
Furono le emozioni che lessi in quegli occhi a convincermi a parlare:
"All'interno della coda, ho anch'io le gambe!"
"Cosa?" mi chiese, sbalordita.
"In fondo al mare siamo anche noi organizzati come sulla terra. Abbiamo una città sottomarina, un re, dei clans, delle famiglie, una precisa gerarchia. Ovviamente esistono anche conflitti e persone malvagie che li provocano. Tra questi ultimi, c'è Orochimaru, soprannominato lo stregone del mare, a causa dei suoi innumerevoli esperimenti sui suoi simili. È stato lui a scoprire che oltre alla coda possediamo le gambe, ma sono inutilizzate. Tagliandola attentamente, volevo che restassero solo loro, certo, non saprei utilizzarle adesso e non potrei fuggire, oltre al fatto che non tornerei più a casa, ma almeno non sarei più un tritone. Non avrei più valore per i miei carcerieri."
Mi guardò inorridita, con la mani sulla bocca e le lacrime che scorrevano liberamente sulle guance.
"S-sarebbe r-rimasto il resto della c-coda" disse, smozzicando le parole.
"L'avrei gettata nella vasca e fatta mangiare ai pesci che dovevano essere la mia cena."
Passarono un paio di minuti prima che riprendesse il normale ritmo del respiro. Poi, asciugandosi le lacrime, si rimise in piedi e mi porse la mano.
"È ora di andare!"

🌊 § 🐚 § 🌊

Sakura aprì la dannata porta che in queste settimane avrei voluto più volte divellere dai cardini ed assaporai l'adrenalina che mi scorreva forte in corpo, facendomi muovere il più velocemente possibile, nonostante potessi usare solo le braccia per muovermi. Lei mi aveva procurato un paio di asciugamani con cui avevo tamponato capelli e il resto del corpo per non lasciare tracce d'acqua, e un telo, per scivolare più velocemente sul pavimento, ma fu comunque una gran fatica trascinarmi e non vedevo l'ora di tornare in mare.
Lei si affacciò e mi fece segno di seguirla.
Non saprei precisamente quanto tempo passò, ma mi parve fossero passate ore, e quando vidi uno scorcio di cielo pieno di nuvole direttamente e non attraverso un vetro e sentii gocce di pioggia colpirmi il volto, credetti davvero di avercela fatta.
Sakura mi aveva fatto da guida fino al ponte, sporgendosi per prima ad ogni angolo ed aiutandomi, tirando il telo.
"Questo è il punto più pericoloso. C'è sempre qualcuno qui fuori, una nave di questa portata con può essere lasciata incustodita, specie con questo tempo infernale, ma saranno tanto occupati da non notarti o almeno lo spero. Inoltre il telo nero coprirà il colore dorato della tua coda" mi disse,"vado fuori a controllare."
"Da qui in poi posso cavarmela da solo" ribattei. Non volevo succedesse qualcosa alla mia salvatrice.
"No, non sarò soddisfatta finché non saprò che sei al sicuro" mi rispose, aggrappandosi allo stipite della porta per reggersi in piedi visto che la nave si inclinava pericolosamente da una parte e dall'altra, in balia delle onde.
Non feci in tempo a fermarla, si diede una spinta e uscì fuori.
Attesi nell'ombra per parecchio tempo, poi, quando avevo deciso di seguirla, volente o nolente, lei riapparve, affannata e fradicia, più di quanto la inzuppavo io gettandole addosso l'acqua della vasca.
Mi resi conto in quel momento del motivo per cui lo facevo: ridotta in quel modo somigliava ad una sirena, ad una persona più alla mia portata, più vicina al mio mondo, una persona da portare via con me.
In quelle settimane di chiacchiere in cui lei sola aveva parlato, mi ero accorto di quanto simili fossimo in realtà, nonostante appartenessimo a due razze diverse: la curiosità, la voglia di esplorare, il desiderio di conoscenza. Solo che io avevo dato libero sfogo ai miei desideri, mentre lei, bloccata dalle convenzioni sociali, aveva cominciato tardi a viaggiare.
"Vai dentro, ormai è fatta, posso proseguire da solo. Ti ammalerai" dissi, cercando di tenerla al sicuro. Non volevo che i miei aguzzini capissero che mi aveva aiutato a fuggire.
"Non dire sciocchezze, voglio vederti andare via" ribatté, aiutandomi a reggermi allo stipite.

🌊 § 🐚 § 🌊

Non lo rivedrò più dopo stanotte!
Era questo il pensiero che mi dilaniava, mentre lo aiutavo a raggiungere la libertà.
Mi ero affezionata a lui, non sapevo cosa fossero i sentimenti che in quel momento mi stringevano lo stomaco in una gelida morsa, ma anche se parte di me non voleva lasciarlo andare, sapevo di star agendo per il meglio.
"Reggiti là!" mi disse Sasuke, facendomi aggrappare ad un palo che a dire il vero non sapevo nemmeno a cosa servisse, ma era l'unico modo per restare in piedi a causa del boccheggiare violento della nave.
Avevo intuito che fosse irritato dalla mia testardaggine nel volerlo vedere mentre si gettava in acqua, ma saperlo al sicuro era troppo importante e inoltre... Volevo assaporare ogni attimo di quell'addio.
Riuscivo a fatica a tenere gli occhi aperti a causa del vento e della pioggia che sferzavano impetuosi, ma lo vidi raggiungere il parapetto, resistendo ai continui sbalzi e aggrapparcisi con forza.
Addio... pensai, prima di ritrovarmi il braccio destro chiuso in una morsa e lo sguardo gelido di Pain addosso.
"Scappa Sasuke!" urlai, accorgendomi che un paio di marinai, uno dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda - Deidara - e l'altro con una corta zazzera rossa - Sasori -, lo stavano raggiungendo.
Lui si diede una spinta verso il mare, ma il beccheggio lo rispedì verso la nave, spedendolo tra le braccia dei suoi inseguitori.
Tuttavia non si arrese, anzi diede ad entrambi un paio di pugni, colpendo Sasori al ventre e Deidara alla testa, approfittando dei loro scarsi riflessi. Lui era abituato a lottare in acqua e a tenere gli occhi aperti.
Fu mentre raggiungeva di nuovo il parapetto che Pain tirò fuori una pistola, continuando a tenermi stretta per un braccio. Mi dimenai, cercando di fermarlo ed urlando: "No! Non farlo! Sasuke sta attento! Vattene subito!"
Afferrai il suo polso, decisa ad impedirgli di compiere l'ennesimo errore.
"Puttana!" ringhiò lui, colpendomi con l'altra mano.
Sasuke si girò un attimo verso di me, indeciso, poi il fato fece la sua mossa: un'onda più grande delle precedenti travolse la nave.
Io mi ritrovai senza appigli, avevo lasciato il palo per afferrare la pistola e quindi fui trascinata via dalla violenza dell'acqua, insieme a Pain e a Sasuke.
Sbattemmo contro il parapetto e poi finimmo fuoribordo.
L'impatto violento con l'acqua gelida mi tolse il respiro. Agitai le braccia, tentando di non affondare in quel buio profondo da cui proveniva l'uomo che aveva cambiato la mia concezione del mondo. Mentre l'acqua riempiva pian piano bocca e polmoni, cominciai a perdere forza nei muscoli e mi resi conto che stavo per morire.

Almeno Sasuke è salvo!

L'ultima cosa che vidi fu il volto di Sasuke, un paio di occhi scuri che mi fissavano attraverso l'acqua torbida.
Ti amo. Avrei voluto dirtelo, pensai.
Poi provai solo pace.

🌊 § 🐚 § 🌊

Toccare il gelido oceano fu per me un gran sollievo. Finalmente ero libero!
Poi però ripensai alla figura di Sakura che lottava contro l'uomo che mi aveva catturato e che cadeva in acqua.

Dov'è!?

Cercai tra le ombre traccia di quei capelli chiari e finalmente la vidi, stava affondando a circa trecento metri da me e il suo sguardo vitreo mi spaventò a morte, più di qualunque altra cosa.
Mi diressi da lei, nuotando agilmente con la mia coda e respirando con le branchie, poi la presi di peso e mi diressi di nuovo verso la superficie.
Sperai che al contatto con l'aria lei reagisse, ma niente.
Ebbi davvero paura...
Paura di perderla.

Non permetterò che tu muoia! Cercando di essere il più celere possibile, mi diressi verso una serie di scogli, arrampicandomi a fatica sul più grande di essi e cominciando a fare pressione sul suo petto, per farle sputare l'acqua ed accolsi con gioia i suoi rantoli, quando questo accadde.
Cominciò a tossire, sempre più forte e poi a respirare.
Era salva!
La abbracciai, cercando di tenerla al caldo, mentre intorno a noi, impazzava ancora la tempesta.
Quando, un'ora dopo, il temporale passò e il sole del mattino fece capolino tra le nubi, eravamo fradici, ma vivi.
"Sasuke... Grazie" mormorò lei, stringendosi a me.
Mischiai le mie iridi con le sue, le nostre labbra erano sempre più vicine. Mi spinsi in avanti ancora un po’ fino ad incontrare la bocca socchiusa di Sakura. Il contatto fu morbido e dolce. Un lieve bacio, a fior di labbra.
Sentivo l’emozione penetrarmi in tutto il corpo, in quel momento la calma mi aveva abbandonato, facendomi battere il cuore rumorosamente e quando aprii la bocca fui lieto di trovare già pronta Sakura a ricambiare. Le nostre lingue si unirono per la prima volta e lei non riuscì a trattenere il rossore sulle guance, sentendosi imbarazzata.
Non era, purtroppo, il mio primo bacio, ma fu come se lo fosse. Dopotutto non avevo mai baciato un'umana. Ero emozionato e non riuscivo a chiudere gli occhi. Volevo vedere ogni singolo istante e appoggiai una mano sulla sua guancia per attirarla ancora di più a me.
Continuai a baciarla, sentendomi stupido per quel batticuore, non ero certo un novellino. Eppure adoravo sentire le labbra umane di lei contro le mie. Erano morbide da mordere.
Quando mi staccai avevo la vista appannata e mi occorse uno sforzo immane per mantenermi calmo. Avrei voluto mille altri baci, ma mi stavo già pentendo di avergliene dato uno. Perché non mi bastava. Perché non poteva essere mia. Perché io ero diverso.
Ora che era tutto calmo, riconobbi la zona in cui ci trovavamo. Non eravamo molto distanti dalla terra ferma.
"Sakura, dobbiamo andare. Ce la fai a nuotare almeno per un po'?"
"Sì" mi rispose. Era evidente quanto fosse spossata, ma non poteva rimanere troppo a lungo con quei vestiti gelati, quindi la aiutai a raggiungere la costa e, trovata una spiaggia abbastanza isolata, ve la condussi in fretta.
"In questa zona vivono persone fidate, vai verso ovest. Se chiederai loro aiuto, te lo daranno, ti basta dire che ti ho mandata io."
Vedevo sul suo volto la tristezza per la nostra separazione, ma in quel momento non potevo fare altro. Se solo io non fossi stato un tritone...
Scossi veloce la testa, per scacciare via il pensiero che per un attimo mi aveva attraversato come un fulmine.
Le accarezzai una gota, fissai quegli occhi verdi adesso traboccanti di lacrime e poi, veloce, mi rigettai in acqua, sprofondando nelle profondità del mare.

🌊 § 🐚 § 🌊

TRE MESI DOPO

L'odore di salsedine mi impregnava gli abiti, ma ormai mi ero abituata a quella sensazione. Andavo su quella spiaggia, dove ho visto per l'ultima volta Sasuke, almeno una volta a settimana. All'alba, come se sperassi in un nuovo inizio coincidente con un nuovo giorno.
Eppure ero ancora allo stesso punto. Eppure non avevo più visto la sua coda dorata.
Non appena mi aveva lasciata sola, avevo dato sfugo a tutta la mia tristezza, piangendo disperata, finché non mi ero sentita meglio, più sicura, seppur prosciugata dalle intense emozioni di quegli ultimi giorni e avevo cominciato a camminare verso la direzione che mi aveva indicato.
Fui accolta con sorpresa, ma anche con cortesia dagli abitanti del luogo e finalmente potei contattare la mia famiglia e i miei amici, ma non prima di aver denunciato l'equipaggio dell'Akatsuki per tentato omicidio e sequestro di persona nei miei confronti e per maltrattamento di animali.
Ero sicura che li avrebbero arrestati e processati, anche se magari non condannati. Il mio amico Shikamaru Nara era un ottimo avvocato e mi aveva avvertita del fatto che probabilmente avrei dovuto guardarmi le spalle a lungo e che erano davvero scarse le mie possibilità di spuntarla contro di loro.
Ero una testimine scomoda. Come lo erano loro per i tritoni.
Certo, non avevano prove, se non qualche foto o video e quelli potevano essere tacciati di essere artefatti, ma il solo fatto che loro sapessero era pericoloso per l'incolumità di Sasuke e della sua specie.
Invece l'Akatsuki non aveva fatto ritorno, la nave aveva tagliato ogni contatto con il porto ed io mi chiedevo ogni giorno se fosse perché avessero saputo che ero sopravvissuta e mi ero appellata alle autorità oppure perché la nave era naufragata. Di certo Pain non era sopravvissuto, ma Tobi era un uomo temibile.
"Che cosa ci fa' qui a quest'ora signorina? Non sa che questa è una spiaggia privata?" mi apostrofò una voce, distogliendomi dai miei pensieri.
"Ho il permesso per passeggiare in questo luogo" ribattei, senza guardare il nuovo venuto, che percepivo a qualche metro di distanza.
"Ma non hai il mio di permesso" mi rispose, al che io mi girai stizzita e poi... sgranai gli occhi.
L'uomo che avevo davanti aveva capelli neri leggermente lunghi, occhi intensi dello stesso colore ed indossava maglietta e pantaloncini blu scuro, ma non fu quello a sorprendermi, ma i piedi, saldamente affondati nella sabbia.
Era Sasuke e... aveva le gambe.
Per la prima volta in vita mia temetti di svenire, poi mi ripresi il tempo necessario a gettarmi tra le sue braccia e a stringermi a lui, piangendo.
"Sasuke, sei davvero tu?"
"E chi altri potrebbe essere?"
"Ma perché sei qui e perché hai le gambe?" gli chiesi, una volta ripreso a ragionare.
Ero felice di vederlo e per di più di poterlo stringere a me, sentendolo vicino e... umano. Eppure quella gioia era eclissata in parte dalla consapevolezza che lui aveva perso tutto il suo mondo.
"Ti ho fatto fuggire apposta per non arrivare a tanto, per non farti rinunciare alla tua coda e tu..." cominciai a dire, staccandomi da lui e asciugandomi le lacrime.
"Ero prigioniero. Con o senza coda, sarei comunque morto. Non avrei potuto sopportare né la prigionia né il fatto di aver aperto la caccia ai tritoni e alle sirene. Il tuo aiuto mi è servito molto.
Ti sono grato per tutto quello che hai fatto, ma una volta riunitomi con i miei familiari e raccontato ogni cosa a loro e al mio re, ci siamo resi conto che quegli uomini non si sarebbero arresi facilmente ed infatti abbiamo scoperto che non sono tornati sulla terra ferma, ma si sono rifugiati in un'isola, in attesa di cominciare la caccia."
Tremai sentendo quelle parole, ma non lo interruppi, vedendo la sua serietà.
"Ci serviva qualcuno capace di muoversi sulla terra, fedele al nostro regno e in grado di mettere insieme una controffensiva efficace ed io mi sono offerto volontario per la missione."
"Ma non potrai più tornare indietro" dissi, sottolineando un'ovvietà.
"Sarà interessante esplorare anche la superficie dopo aver conosciuto ogni angolo dell'oceano, ma ovviamente prima abbiamo una missione da compiere."
"Abbiamo?" chiesi, sorpresa.
Lui non mi rispose, ma mi prese per mano, portandomi verso il lato orientale della spiaggia.
Ammirai ammirata la sua camminata sicura e a quel punto mi venne in mente un dettaglio.
"Da quanto tempo hai le gambe?"
"Due mesi" rispose telegrafico.
"Cosa!? Sono due mesi che sei qui e mi contatti solo adesso? Sai da quanto aspetto tue notizie? Tu sei-" urlai, quasi isterica.
Sasuke si fermò di scatto, sorridendo sardonico.
"Dovevo imparare a camminare, a nuotare, a muovermi nel mondo umano e a procurarmi dei documenti di identità, certo che voi umani avete davvero un mucchio di regole da rispettare!"
"E come hai fatto a procurarti dei soldi?" domandai curiosa.
"In fondo al mare ci sono molti relitti irraggiungibili per voi" mi rispose.
"Ma..."
"Smettila di chiacchierare. Sei davvero noiosa," mi apostrofò, facendomi arrabbiare.
Mi fermai, cercando di liberare la mia mano dalla sua, offesa da quell'epiteto poco gentile e dall'essere stata messa da parte per tanto tempo, ma lui me lo impedì, bloccandomi le spalle e strappandomi un bacio stampo, veloce.
"Questo non basterà a farti perdonare" gli dissi per avere l'ultima parola, ma non avevo ancora capito che con Sasuke Uchiha - era quello il cognome scritto sui suoi nuovi documenti - non l'avrei mai avuta.
"Ho una lunga aspettativa di vita davanti. Riuscirò a farmi perdonare" mi rispose.
Fu così che iniziò un nuovo capitolo della mia vita. Della nostra vita.


* "imparo rapidamente, signorina." In spagnolo.
** citazione dalla canzone 'In fondo al mar'

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ANGOLO AUTRICE

Eccomi qui! Con un giorno di anticipo sul previsto. Premetto che è stata una faticaccia scrivere questa storia. Più di 7.000 parole da scrivere su un cellulare sono un suicidio e nemmeno sono soddisfatta del risultato, ma c'est la vie! Ho messo qua e là rimandi alla versione Disney della Sirenetta, come la scena della scelta del nome, la strega del mare (qui stregone) o la tempesta e ho messo il banner alla fine per non rovinare l'effetto sorpresa iniziale con la scoperta che Sasuke è un tritone. Sul finale ho titubato molto, volevo delle motivazioni forti per l'umanizzazione dell'Uchiha e per questo non ho fatto affondare la nave, nonostante la tentazione. Non volevo essere scontata.
Spero il malloppone vi sia piaciuto.
Un bacione e Buona Pasqua, ormai manca poco.
   
 
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