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Autore: Hotaru_Tomoe    15/04/2017    4 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Storia scritta per la H.I.A.T.U.S. Johnlock Challenge di aprile.
Il tema del mese era "primo incontro alternativo" e ho utilizzato due prompt: incontro in ospedale e mentre Sherlock è sotto copertura.
Titolo malamente rubato all'omonimo telefilm degli anni '90.


DETECTIVE IN CORSIA

“Torni immediatamente se avverte vertigini o capogiri.”
John firmò il foglio di dimissioni e lo consegnò al paziente, poi si rivolse all’infermiera.
“Il prossimo?”
“Può fare una pausa, dottor Watson, sta lavorando ininterrottamente da sei ore, la sostituisce la dottoressa Kendall.”
Ora che glielo aveva fatto notare, John si rese conto di essere stanco morto: gli faceva male il collo, la schiena e le spalle; si portò le mani sulle reni e raddrizzò la schiena con una smorfia: non si sentiva solo stanco, ma anche vecchio. Avrebbe potuto chiedere al primario del pronto soccorso di ridurgli i turni, ma l’alternativa era restare a casa a fissare il vuoto, quindi preferiva restare al lavoro e far finta di essere ancora in Afghanistan a ricucire soldati, invece che in un ospedale di periferia a curare bronchiti e distorsioni.
John raggiunse i distributori automatici che si trovavano in sala d’aspetto e si guardò attorno distrattamente: c’era una donna circa settant’anni che tossiva ininterrottamente, un uomo con una borsa del ghiaccio sul ginocchio e, in fondo alla sala, un ragazzo con il cappuccio della felpa tirato sulla testa, che muoveva continuamente le gambe, si mordeva le unghie e sembrava non riuscire a stare fermo. Anche da lontano, John notò che il suo viso era ricoperto di sudore, era pallido in maniera malsana aveva profonde occhiaie e una barba incolta: un drogato in cerca di metadone, probabilmente, come se ne vedevano tanti in ospedale. Continuavano a tornare notte dopo notte, finché un giorno non si presentavano più, ed era il coroner a occuparsi di loro.
Una delle prime cose che aveva insegnato a John all’università era di non farsi coinvolgere dai pazienti ed era un consiglio che normalmente seguiva, ma quella sera prese dalla macchinetta un caffè per lui e un tè zuccherato per il ragazzo. Gli porse il bicchiere di plastica senza una parola, e senza una parola il ragazzo lo accettò, studiandolo per un attimo con i suoi occhi chiarissimi.
John tornò al lavoro, visitò la signora con la tosse (una brutta bronchite) e l’uomo col dolore al ginocchio (problema al menisco), ma il tossicodipendente non si presentò.
John chiese ai colleghi se qualcuno si era occupato di lui, ma un’infermiera gli disse che se ne era andato prima di essere visitato.

La sera successiva il ragazzo era lì di nuovo, sudato e accartocciato sulla sedia di plastica arancione della sala d’aspetto. Indossava vestiti lisi e sporchi, si guardava intorno con occhi febbricitanti, aveva i sintomi evidenti di una crisi di astinenza e John non riusciva a capire perché avesse attirato tanto la sua attenzione.
Il medico stava per avvicinarsi a lui e chiedergli come stava, quando arrivarono due ubriachi che si erano presi a botte e ancora non avevano finito di litigare. John dovette intervenire per sedare gli animi e, quando uno dei due uomini prese il cestino dei rifiuti per tirarglielo addosso, John lo immobilizzò a terra con una mossa imparata nell’esercito mentre urlava a un’infermiera di portargli un sedativo. Con la coda dell’occhio vide il giovane drogato balzare in piedi, guardarlo intensamente, e poi lasciare il pronto soccorso.

La terza sera il drogato si ripresentò al pronto soccorso, ma per sfortuna di John lo fecero anche i due ubriachi della sera prima: a quanto pareva i due avevano una vecchia ruggine e non volevano saperne di smettere di litigare tra loro, massacrarsi di botte o minacciare chiunque cercasse di dividerli. Questa volta John ricorse alla sua voce da Capitano dei Fucilieri (oltre che a un’ulteriore mossa di atterramento) e riuscì a riportare la calma, ma quando si voltò a guardare in fondo alla sala d’aspetto, il ragazzo se n’era andato di nuovo.

La quarta sera John era deciso a parlare con lui, quindi quando lo vide entrare al pronto soccorso, infranse il protocollo, gli si avvicinò, gli fece cenno di seguirlo e si chiuse con lui in una delle salette per le visite alla fine di un lungo corridoio.
“Nome e cognome?” domandò John, ma non ottenne risposta: l’altro uomo si limitò a studiarlo con i suoi occhi penetranti, seduto sul lettino.
“Va bene, come vuoi - sospirò il medico - Immagino tu conosca già la procedura, ma te la illustro ugualmente: ti prelevo del sangue, facciamo gli esami e in base ai risultati ti darò del metadone, ma mi saresti d’aiuto se mi dicessi di cosa ti fai abitualmente: eroina, cocaina, crack?”
Di nuovo l’altro non disse nulla e John si spazientì. “Ehi, potresti cercare di essere più collaborativo, sto solo cercando di aiutarti. Dio solo sa perché” aggiunse a bassa voce, parlando a se stesso. Afferrò il polso dell’uomo e gli scoprì il braccio per prendere la vena, e si sorprese di non trovare alcun segno di puntura.
“Le iniezioni rovinano la pelle, non posso permettermelo con il mio lavoro” disse l’uomo, facendo sentire per la prima volta la sua voce, che era calda e profonda.
Per la sorpresa John fece cadere a terra la provetta vuota e dovette prenderne un’altra.
“Quindi non sei muto, bene. E che lavoro fai?”
“Vendo il mio corpo per soldi” disse l’altro senza alcuna vergogna.
“Oh…” John si bloccò e per la prima volta lo guardò con attenzione: quella sera si era sbarbato e pettinato e dovette ammettere che aveva un viso molto affascinante, con quegli occhi chiari e gli zigomi alti. Quando gli occhi di John scivolarono sulle sue labbra, la sua mente le associò immediatamente al mestiere che gli aveva confessato di fare, e cercò di scacciare via quelle immagini inopportune dalla sua testa con una vigorosa scrollata del capo. “Non dovresti - lo rimproverò - rischi di contrarre malattie veneree e incontrare persone pericolose.”
“Ma mi fa guadagnare un sacco di soldi, perché sono molto bravo” disse lui, con voce che voleva essere seduttiva. E, dannazione, ci riusciva.
“È sbag… cosa credi di fare?” sibilò John, vedendo che l’uomo si stava sbottonando la camicia e scivolava giù dal lettino: non era solo il suo viso a essere bello, aveva il corpo di un modello, liscio e privo di imperfezioni.
“Sembra che tu non mi creda quando dico di essere bravo nel mio lavoro: vuoi una dimostrazione pratica?”
L’uomo gli si avvicinò ancheggiando, con le labbra schiuse in un sorriso sicuro e John indietreggiò fino a urtare la parete. Dio, erano mesi che non stava con qualcuno e di sicuro non era mai stato con qualcuno che sembrava essere stato creato per sedurre.
“Io… io… - John prese un profondo respiro e gli appoggiò le mani sul petto per tenerlo a distanza - No, no, tu hai bisogno di aiuto, non di questo, non voglio approfittarmi di te” disse infine, anche se con un certo sforzo di volontà.
Cazzo se era bello.
La reazione dell’altro uomo fu del tutto inaspettata: sbuffò infastidito e poi alzò le braccia al cielo.
“Non sei tu!”
“Co-cosa?”
“Quattro sere sprecate, stupido, stupido, stupido!”
“Calmati! Di cosa stai parlando?”
“Eppure rientravi parzialmente nel profilo: drogato di adrenalina, passato militare, insoddisfatto della tua vita attuale.”
“Io non-” iniziò John, ma si fermò davanti allo sguardo dell’uomo, che lo sfidava a smentirlo: era vero, era insoddisfatto della sua vita noiosa e di quel lavoro, ma come aveva fatto a capirlo? Non ne aveva fatto parola con nessuno.
“Però i tuoi valori morali non sono distorti, l’hai appena dimostrato, quindi non sei tu.”
“Insomma, chi accidenti sei?” domandò John afferrandolo per le braccia: d’improvviso quell’uomo non sembrava più un drogato e non mostrava alcun sintomo di una crisi d’astinenza, come se per tutto il tempo avesse recitato una parte. Ma perché?
L’uomo aprì bocca per rispondere, ma in quel momento la porta della saletta si aprì ed entrò la dottoressa Kendall.
“Scusa Watson, hai finito? Avrei bisogno della stanza… oh!”
Gli occhi della donna si spalancarono per la sorpresa e John non aveva dubbi che dall’esterno la scena dovesse sembrare molto ambigua, visto che era praticamente abbracciato a un uomo seminudo.
“No Allison, non è come credi” iniziò John, ma il finto drogato lo interruppe, studiando con interesse la sua collega.
“Sei tu, non è vero?”
La donna mostrò un debole sorriso confuso. “Non capisco, di cosa parla?”
L’uomo prese a girarle intorno. “No, non recitare con me, è inutile. Sei tu: non hai un passato militare, ma sei cresciuta in una famiglia di militari… ah, era ovvio, ma quali sono le tue motivazioni? - l’uomo le tornò davanti e guardò il crocefisso che portava appeso al collo - Religiose? Che banalità! Questa è una vera delusione.”
Vedendo che la dottoressa Kendall era sempre più a disagio, John deciso di intervenire: quell’uomo forse non era drogato, ma stava dicendo delle cose senza senso. Fece per frapporsi tra i due, quando la dottoressa sfilò un bisturi dalla tasca del camice e lo conficcò nel fianco sinistro dell’uomo, che si accasciò a terra.
“Allison! Sei impazzita?”
“Stai attento, è una serial killer!”
La donna cercò di colpire anche John con lo strumento affilato, ma lui schivò il fendente e prese un vassoio per gli strumenti chirurgici per farsi scudo; la dottoressa allora scattò verso la porta e li chiuse dentro.
“Corrile dietro, presto!” gridò l’uomo a terra, che perdeva una allarmante quantità di sangue.
“No, devo fermare l’emorragia - si avvicinò alla porta e vi batté vigorosamente col pugno - Aiuto! Fateci uscire, c’è un ferito!”
“Non sono grave” protestò lui, ma aveva il respiro affannato e tremava.
“Stronzate, stai andando in shock.”
Lo sollevò da terra e lo fece sdraiare sul lettino, esaminando la ferita: sanguinava ma senza zampillare, segno che il colpo non aveva reciso nessuna arteria anche se il taglio era piuttosto profondo; il respiro dell’uomo era regolare, quindi non aveva intaccato il polmone, ma probabilmente aveva danneggiato la milza.
John tornò davanti alla porta e la prese a calci nel tentativo di farsi sentire. “Dannazione, tirateci fuori di qui!”
L’uomo gli porse il suo cellulare. “Chiama la polizia, quella donna non deve scappare.”
John glielo strappò di mano e, ignorando le sue proteste, compose invece il numero del pronto soccorso dell’ospedale.
“Cindy, sono John: mi trovo con un paziente ferito nella sala visite G: trova qualcuno che possa sfondare la porta e allerta una sala operatoria per una rottura della milza!” Poi, vedendo che l’uomo non stava tranquillo e cercava di riprendersi il cellulare, aggiunse: “E chiama anche la polizia: devono arrestare la dottoressa Kendall per aggressione. No, non sto scherzando, fai quello che ti ho detto e fallo ora!”
“Grazie.”
“Ora però smettila di agitarti, o peggiorerai le cose.” Prese alcune garze sterili e fece pressione sulla ferita per bloccare la perdita di sangue, e l’uomo sdraiato sul lettino strinse le labbra per non gridare.
“Lo so che fa male, mi dispiace. Cerca di resistere, saremo fuori di qui in un attimo, te lo prometto.”
“Colpa mia, avrei dovuto schivare quel fendente.”
“Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?”
“Stavo indagando su una serie di omicidi apparentemente senza legame tra loro, finché non ho scoperto che tutte le vittime erano state in questo pronto soccorso qualche giorno prima di morire. Erano tutti delinquenti di piccola tacca, borseggiatori, spacciatori, drogati, quindi ho dedotto che qualcuno si era improvvisato giustiziere e li stava togliendo di torno, perciò ho finto di essere un tossicodipendente per fare da esca.”
“Sei stato molto credibile nel fingere i sintomi.”
“Li conosco - disse l’uomo, tenendosi sul vago - e per il sudore, sono arrivato in ospedale di corsa.”
“Sei un poliziotto, quindi?”
“Consulente investigativo, l’unico al mondo.”
“Aspetta - John aggrottò la fronte - Prima hai detto di esserti sbagliato su di me: pensavi fossi io il colpevole?”
“Ti ho osservato in questi giorni e, come ti ho detto, rientravi parzialmente nel profilo.”
“E nonostante sospettassi di me, mi hai seguito qua dentro e mi hai anche provocato? Tu non sei un consulente investigativo, sei un consulente idiota!” sbottò John.
“Testavo una teoria, anzi due.”
“E quali?”
“Non colpevole, e bisessuale.” L’uomo sorrise debolmente e John non negò nulla.
“Cerchi sempre di sedurre i sospetti?”
“Solo quelli interessanti - rispose, poi chiuse gli occhi - Mi gira la testa.”
“Ehi, no, non addormentarti, resisti - John gli premette le nocche della mano destra sul petto, ma l’uomo non reagì - Non osare morire mentre ti ho in carico! Dannazione, non so nemmeno come ti chiami!”
Finalmente una guardia della sicurezza aprì la porta e John spinse il lettino verso gli ascensori, abbaiando ordini a infermieri e colleghi.

Il danno alla milza era minimo e l’operazione andò bene; un ispettore di polizia passò a vedere come stava il paziente e raccontò a John che la dottoressa Kendall era stata arrestata con l’accusa di essere l’autrice di quattro omicidi.
Pazzesco.
John non si allontanò un attimo da quell’uomo: si disse che lo faceva per scrupolo di coscienza, perché era un suo paziente, ma la verità era che era rimasto completamente affascinato da lui e dalla vita che conduceva e ora non voleva lasciarlo andare.
Si addormentò alle prime luci dell’alba, seduto su una poltroncina accanto al suo letto, e venne svegliato qualche ora più tardi dalla sua voce profonda.
“Sherlock Holmes” disse soltanto.
“Come?” bofonchiò John stroppiciandosi la faccia per scacciare via il sonno.
“È il mio nome, me l’hai chiesto tu ieri notte.”
“Oh, giusto… ehm... John Watson” rispose, porgendogli la mano.
“Dimmi John, cosa ne pensi del violino?”

   
 
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