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Autore: mieledarancio    07/06/2009    15 recensioni
Quella situazione era assurda. Era impossibile che stessero passando le pene dell'inferno per colpa di un dannatissimo libro dalla copertina nera. Non poteva essere reale.
È solo un incubo, soltanto un fottutissimo incubo. Presto ci sveglieremo e torneremo alla nostra vita continuava a ripetersi Tom insistentemente, cercando di auto-convincersi.
Ma purtroppo quello era tutt'altro che un incubo: il libro era reale, la storia pure.
{ Certi libri non dovrebbero mai essere letti }
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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06. Alone





When you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd scream I'd fight away all of your fears
I held your hand through all of these years
But you still have
All of me
{ Evanescence - My Immortal }




«Tomi...».

Era forse la cinquantesima volta che Tom sentiva suo fratello chiamarlo nel delirio e non sapeva che cosa fare. Ormai era certo che non sarebbe riuscito a sopportarlo ancora per molto - lo faceva soffrire troppo -, ma purtroppo non poteva fare nulla per alleviargli il dolore al braccio né per abbassargli la febbre. Non aveva niente con sé, niente con cui potesse curare Bill.

«Tomi...», lo chiamò ancora il gemello sulle sue spalle.

Il chitarrista strinse le palpebre e cercò di non lasciarsi andare alla disperazione, continuando a camminare in quel labirinto che erano le fogne sotterranee, senza sapere dove andare. Sapeva solo che doveva resistere e cercare un'uscita.

«Bill, sono qui. Devi resistere», gemette Tom, ormai sopraffatto dalla fatica.

Improvvisamente il corpo del cantante cominciò a muoversi in modo convulso sulle spalle del fratello, come se si stesse dimenando per liberarsi da qualcosa, e dalla sua bocca uscirono strani versi confusi, che davano l'idea di qualcuno che stesse soffrendo. A quel punto, Tom si fermò sul posto, facendo scendere il gemello dalle sue spalle e sedendosi per terra, tenendolo sempre stretto fra le sue braccia. Qualcosa non andava.

«Che cosa c'è, Bill?», gli chiese il chitarrista, prendendogli la testa tra le mani.

Le palpebre di Bill si sollevarono di poco, lasciando intravedere i suoi occhi lucidi per la febbre alta. Sembravano inespressivi, ma Tom sapeva benissimo che in quel momento il gemello non stava più delirando ed era abbastanza cosciente per accorgersi che qualcosa non andava. Forse l'impatto violento di poco prima con l'acqua lo aveva stordito più del previsto e le sue condizioni gli avevano portato un sonno pieno di incubi e di visioni spaventose, ma, in quel momento in cui era finalmente sveglio, era capace di percepire il mondo attorno a sé. E in quel mondo qualcuno non c'era.

Deglutì e le sue labbra si aprirono tremanti. «Gu... Gustav?», riuscì a chiedere, non staccando gli occhi da quelli del gemello.

Tom si morse il labbro inferiore, consapevole che il momento che aveva tanto sperato di poter rimandare il più possibile era purtroppo arrivato. Quegli occhi lucidi e pieni di dolore del gemello lo stavano distruggendo e non voleva dirgli quella cosa, che lo avrebbe fatto stare ancora più male.

«Dov'è?», insistette Bill, respirando a fondo e muovendo leggermente la testa per guardarsi attorno.

Tom deglutì nervoso, prendendo coraggio per risultare più sicuro. «Lo... lo abbiamo perso. Dopo essere caduti in acqua, non l'ho più visto», mentì spudoratamente, pregando che il gemello ci credesse.

«Bugiardo».

No, non ci aveva creduto. Forse proprio perché in quel momento era facile leggere la verità negli occhi stanchi e disperati di Tom, o forse semplicemente perché se lo sentiva addosso che era successo qualcosa di brutto, durante la sua incoscienza.

Il chitarrista sospirò affranto, distogliendo lo sguardo da quello di Bill. Non riesco a dirtelo, Bill.

Rimasero in silenzio per tanto tempo, fino a quando Tom non sentì qualcosa di caldo e bagnato scorrergli fra le dita delle mani, che ancora sorreggevano la testa del gemello. Voltò il capo e il suo cuore già abbastanza straziato ricevette un altro colpo: Bill stava piangendo. Non erano servite le parole, aveva capito lo stesso.
Il cantante si sforzò di sollevarsi almeno un po' dalle braccia del gemello per allacciargli le sue al collo e appoggiare la fronte sulla sua spalla. Lì pianse in silenzio, lasciandosi scappare soltanto qualche singhiozzo dalla gola. Tom non poté fare altro che stringerlo e lasciarlo sfogare, rimanendo in silenzio per tutto il tempo e fissando le piastrelle sporche delle fogne. Non poteva fare niente, né per far star meglio il gemello fisicamente né psicologicamente. Era impotente.






«C'è solo un piccolo problema: non ci sono porte qui».

«Ci deve per forza essere una porta. Guarda meglio».

Era da vari minuti che Gustav e David andavano avanti così, cercando un'uscita che purtroppo non c'era. Il manager si ostinava a tastare tutte le mattonelle del muro e aveva costretto gli altri a fare lo stesso. Ma dopo ore passate a sporcarsi le mani con il liquame che colava da quelle superfici, Gustav si era stufato e aveva cominciato a discutere con David. Georg e i quattro uomini con lui li seguivano in silenzio, ormai stanchi ed esasperati.

«Mi sono stufato di cercare, qui non c'è niente!», sbottò alla fine il batterista, lanciando uno sguardo trucido al manager.

David cominciò subito a perdere la pazienza. «Allora intendi restare qui fermo, aspettando che qualcosa venga ad ucciderti?».

«No, ma potremmo cercare un'altra via, invece di rimanere sempre nello stesso punto a cercare!».

Georg alzò gli occhi al cielo e sospirò con fare stanco. «Ragazzi, per favore».

«La porta potrebbe essere qui ed io non me la lascerò scappare!», insistette ancora David, ignorando completamente i lamenti del bassista.

«Benissimo! Vorrà dire che passerai gli ultimi istanti della tua vita cercando qualcosa che non c'è!».

Georg non sapeva più che cosa fare. A quel punto avrebbe persino preferito che arrivasse veramente qualcosa ad ucciderli, così almeno quella tortura sarebbe finita.
Mentre Gustav e David continuavano a discutere, si sedette sul pavimento, appoggiando la schiena contro la parete del muro e chiudendo lentamente gli occhi. Fu in quel momento che qualcosa sotto di lui si mosse: una mattonella più grande delle altre si era infossata nel pavimento, provocando uno strano suono, come di un meccanismo che viene azionato. Gustav e David si zittirono all'istante, fissando confusi il bassista, ancora seduto immobile e con il fiato sospeso.

E adesso che faccio? si chiese irrequieto.

Se si spostava, chissà che cosa poteva succedere. Ma, anche se rimaneva fermo lì, non poteva sapere quello che gli sarebbe capitato. Poi la risposta arrivò da sola. Il pavimento sotto di lui cominciò a spaccarsi in modo sconnesso e le crepe arrivarono fino ai piedi del resto dei suoi compagni, che distavano da lui almeno due metri.
Se si muoveva, il pavimento cedeva completamente e lui cadeva - chissà dove -; se stava fermo... prima o poi sarebbe caduto comunque. Non aveva molto fra cui scegliere, ma forse era meglio cercare di mettersi in salvo, piuttosto che aspettare immobile la morte.

«Georg... devi fare uno scatto veloce verso di noi», mormorò piano Gustav, trattenendo il respiro e non muovendo un muscolo.

Facile a dirsi pensò ironicamente Georg, deglutendo nervosamente.

David spostò lentamente un piede in avanti e si protese verso il bassista, allungando le braccia. «Forza».

Georg prese coraggio e si preparò a scattare in avanti verso il manager. Ma non appena mosse un piede, il pavimento cedette completamente, rompendosi in mille pezzi e facendolo cadere di sotto.

«GEORG!», urlò Gustav, costretto a chiudere gli occhi per l'immensa polvere che si era andata a creare.

Il bassista sentì il vuoto sotto di sé e aprì la bocca per urlare, ma tutto ebbe fine in un istante. La sua schiena sbatté contro qualcosa di duro, facendolo gemere di dolore, e la sua caduta ebbe fine. Per un momento l'aria arrivò sporca ai suoi polmoni, facendolo tossire senza sosta: la polvere era troppa.

Ma che diavolo è successo? si chiese stralunato il bassista.

Non doveva essere già morto? Perché invece sentiva ancora le voci dei suoi compagni chiamarlo da pochi metri di distanza? Aprì lentamente gli occhi e, dopo poco, quando la polvere si fu dissolta almeno un po', riuscì a distinguere la figura di Gustav, inginocchiata sul bordo del cratere in cui lui era caduto. Lo stava fissando stupefatto, ma al tempo stesso sollevato.

«Dio mio, che spavento», commentò David, mettendosi una mano sul cuore.

Georg sollevò di poco la testa, guardandosi attorno spaesato. «Ma che...?».

Nel pavimento si era formato un piccolo cratere piuttosto largo, ma l'altezza da cui era caduto era soltanto di tre metri; era atterrato sui ciottoli rotti e l'unica cosa che si era fatto era stato un piccolo graffio su una gamba e un livido dietro la nuca.
Guardò in alto e lanciò un'occhiata confusa a Gustav, che stava stranamente ridacchiando.

«Te la sei fatta sotto, vero?».






«Voglio camminare».

La voce roca di Bill colse alla sprovvista il gemello, che sobbalzò stupito. Avevano passato quasi un'ora in silenzio, il cantante ancora una volta sulle spalle del chitarrista, che aveva continuato a camminare senza sosta.

Tom cercò di dare alla sua voce un tono deciso. «Non se ne parla».

Sentì Bill sbuffare e improvvisamente cominciò a dimenarsi sulla sua schiena per scendere, ma Tom non mollò la presa tanto facilmente.

«Smettila, Bill», sbottò il chitarrista, fermandosi per risistemarsi il gemello sulle spalle.

Ma Bill non si arrese. «È il braccio a farmi male, non le gambe. Posso camminare da solo».

«Sei troppo debole».

«Anche tu sei stanco».

«Io posso continuare, tu devi riposarti».

Il cantante sbarrò gli occhi scettico e il suo tono di voce aumentò di volume. «Spiegami il perché!».

A quel punto Tom si bloccò sul posto, fissando con occhi spenti il pavimento di piastrelle sotto di sé. Era ora di chiarire la questione, prima che fosse troppo tardi. Magari, se Bill lo avesse saputo, avrebbe collaborato un po' di più.

Inutile illudersi. Non collaborerà mai, dopo ciò che gli dirò pensò con amarezza il chitarrista dentro di sé. Ma almeno lo deve sapere.

Lentamente fece scendere il gemello dalla sua schiena e rimase in silenzio per qualche istante, dandogli le spalle.

Bill lo fissava confuso, con uno strano rimescolio nello stomaco. Che cos'ha?

«Bill», iniziò Tom, senza voltarsi ancora. «Devi essere abbastanza in forze per quando...». Prese un respiro profondo e si costrinse a terminare la frase. «per quando sarai solo».

Fu in quel momento che Bill sentì qualcosa rompersi dentro di sé. Il suo corpo rimase immobile, attraversato da tanti piccolo brividi. Aveva perso David, Georg, Gustav... e adesso suo fratello gli stava dicendo che probabilmente avrebbe perso anche lui. Forse aveva capito male e si costrinse a trovare la forza per chiedere spiegazioni.

«Che significa?».

La sua voce era ancora più roca, forse priva di qualsiasi energia vitale. Dentro di sé si sentiva prosciugato di ogni cosa.

Tom finalmente si girò, fissando intensamente il gemello negli occhi e regalandogli un piccolo sorriso, che purtroppo non celò la sua malinconia. «Significa quello che sono sicuro che tu abbia già pensato».

Bill abbassò gli occhi a terra, ingoiando il magone che sentiva in gola e reprimendo le lacrime. «No. Non resterò solo», sussurrò con decisione.

Velocemente, per quanto il suo fisico glielo permettesse, scattò in avanti e superò il gemello, riprendendo a camminare con le sue gambe.

Tom rimase basito, ma gli ci volle poco per riprendersi e seguire a ruota il fratello. «Che hai intenzione di fare?», gli chiese secco, afferrandolo per il braccio sano e costringendolo a fermarsi.

Bill aveva assunto uno sguardo fin troppo serio e quasi furioso. «Cerchiamo un'uscita. Subito. E se qualcosa ci ucciderà prima, allora saremo in due a morire».

Il chitarrista lasciò andare il braccio del gemello e sospirò sconsolato. Avrebbe dovuto aspettarsi una reazione simile da parte sua. Dopotutto, Bill era una testa calda e lui lo conosceva meglio di chiunque altro. Cercare di fargli cambiare idea sarebbe stata fatica sprecata, non ne valeva neanche la pena.

«Puoi fare quello che vuoi... come pure io, del resto. Se non voglio che succeda, non succederà».

Bill lo guardò truce e fece per ribattere, ma il gemello lo fermò all'istante, fissandolo con ancora più decisione. «Non lo permetterò, Bill. Sappi solo questo».

Detto ciò, il chitarrista gli voltò le spalle e si piegò in avanti per permettergli di risalirgli sulla schiena.

«E adesso sali», gli ordinò con un tono che non ammetteva repliche.

Proprio in quel momento in cui Bill stava per urlargli contro un'offesa, un enorme boato esplose intorno a loro, attraversando tutti i corridoi delle fogne. La terra sotto di loro cominciò a tremare e l'acqua sporca a straboccare fuori dai corridoi sconnessi in cui era contenuta. Entrambi i gemelli caddero a terra, Bill con un gemito di dolore, causato dalla pressione sul braccio ferito. Tom lo raggiunse gattonando, cercando di sorreggerlo e di coprirlo dai pezzi di muro che cadevano dall'alto.

«Sta arrivando», disse Bill, guardandosi attorno terrorizzato.

Il gemello lo fissò confuso. «Che cosa?».

Il cantante lo guardò negli occhi ed esitò un istante prima di parlare. «La cosa che nel sesto capitolo avrebbe ucciso uno dei personaggi».

Tom deglutì nervosamente e immediatamente sentì il corpo del gemello agitarsi vicino al suo.

«Tom, devi andartene. Se mi lasci qui, riuscirai a scappare e quella cosa prenderà me», esclamò Bill, spingendo con una mano il fratello.

Il chitarrista lo fissò scettico. «Stai scherzando, vero?».

«No, te ne devi andare! Adesso!».

«Puoi anche scordartelo, idiota!».

«Tom, per favore!».

Fu proprio in quel momento che il pavimento si ruppe e l'acqua straboccò dalle piastrelle spaccate. Delle foglie nere spuntarono fuori dall'enorme buco che si andò a creare, lasciando poi posto ad un enorme tronco, nero a sua volta.

Tom deglutì nervosamente. «Ma che diavolo...?».

Un albero nero. Ma non era come quelli che i gemelli avevano sempre visto: era mostruoso, sembrava quasi un animale. In mezzo al tronco una bocca piena di denti lanciò un urlo acuto, che costrinse i due fratelli a tapparsi le orecchie con le mani; le radici si muovevano ed erano grosse e appuntite come non mai.

«È con quelle che uccide!», urlò Bill, cercando di sovrastare i versi disumani dell'albero.

«Dobbiamo andarcene di qui!», gli rispose Tom, rimettendosi in piedi e aiutandolo.

Ma non appena mossero un passo, un'enorme radice scattò verso di loro, colpendoli come una frusta e sbattendoli contro il muro a distanze diverse. Si ritrovarono subito divisi. Bill aveva sentito di più il colpo e la sua vista era diventata confusa. Tom cercò di rialzarsi, incurante del dolore, e provò a raggiungere il gemello, ma un'altra radice gli legò i piedi e lo fece cadere a terra. Immediatamente cercò di trascinarlo verso l'acqua. Il cantante, intanto, si era ripreso abbastanza per rendersi conto di quello che stava accadendo: era in trappola contro un muro, una radice a pochi metri da lui mirava direttamente il suo corpo con la punta e suo fratello stava per essere annegato.

Ne basta solo uno perché tutto finisca pensò dentro di sé, guardando terrorizzato il gemello.

In un attimo aveva preso la sua decisione.

Allargò le braccia e fissò deciso la radice davanti a sé. «Avanti! Che cosa stai aspettando? Vieni a prendermi!», urlò furioso.

Tom, lanciando un'occhiata sconvolta verso il gemello, afferrò una piastrella rotta e abbastanza affilata e con decisione la conficcò nella radice che lo teneva stretto. Immediatamente quella lasciò la presa e un altro urlo disumano si diffuse per le fogne.

Bill cercò ancora di aizzare l'albero contro di sé. «Forza!».

Questa volta la radice scattò in avanti ad una velocità stupefacente, puntando al viso del cantante, ancora accasciato a terra contro il muro. Bill trattenne il respiro e chiuse d'istinto gli occhi, stringendo forte le palpebre e preparandosi al colpo finale. Ma quello non arrivò tanto velocemente, come invece aveva creduto: passarono vari secondi e ancora non sentì niente di diverso, non un minimo dolore, a parte quello al braccio ferito. L'unica cosa che sentì fu una folata di vento davanti a sé e un gemito strozzato. Lentamente aprì gli occhi. E il suo cuore mancò di un battito.

«TOM!», urlò con tutta la voce che aveva rimasto in corpo.

I suoi occhi si riempirono di orrore: Tom era davanti a lui, piegato in due, l'enorme radice conficcata nello stomaco e la maglia intrisa di sangue. Si era messo in mezzo per salvarlo. Lo sentì mugolare di dolore, poi la radice diede uno strattone indietro e uscì dal corpo del chitarrista, ritraendosi verso il tronco dell'albero e raggrinzendosi all'istante. Come Bill aveva pensato prima, ne bastava solo uno perché tutto finisse.
L'albero urlò ancora, incominciando a ritirarsi nel pavimento e le sue radici si seccarono improvvisamente. La terra tremò ancora, ma tutto finì in pochi istanti.

Allora Bill si avvicinò immediatamente al gemello. «Tom!», urlò il cantante, afferrando il suo corpo prima che cadesse a terra.

Non riuscì a reggere il suo peso e cadde a terra in ginocchio, tenendolo stretto a sé più forte che poté. Il braccio ferito gli faceva un male terribile e aveva ripreso a sanguinare sotto gli stracci, ma non gli importava niente. Sarebbe anche potuto morire dissanguato, perché in quel momento gli importava soltanto di Tom.

Il chitarrista si lasciò andare senza più forza fra le braccia del gemello. «Te l'avevo detto che non avrei permesso che fossi tu a morire», gemette con un sorriso stentato sulle labbra tremanti.

Bill gli prese la testa fra le mani e subito sentì le lacrime sgorgare fuori dai suoi occhi. «Perché?», singhiozzò forte, portando una mano sull'enorme ferita del gemello e premendocela sopra con forza.

Ma non poteva bloccare il flusso del sangue così e, anche se avesse avuto qualcos'altro, non sarebbe servito comunque a nulla. La ferita era troppo profonda. Letale.

«Devi... devi uscire da qu-qui», gli disse Tom, sforzandosi di parlare, nonostante gli facesse male.

Bill storse la bocca in una smorfia di dolore e lasciò che i singhiozzi avessero la meglio su di lui. «No».

«S-Sì. Continua senza di me. Tu hai l-letto il libro».

Il chitarrista tossì e dalla sua bocca uscirono tante gocce di sangue, che gli sporcarono le labbra. Bill si macchiò le mani con quel sangue e questo lo fece piangere ancora più forte. Tom fece uno sforzo e sollevò una mano sul suo stomaco, dove il gemello teneva ancora la mano sulla ferita. Gliela strinse forte.

«B-Bill», ansimò, mentre una quantità esagerata di sangue gli usciva dalla bocca, quasi soffocandolo. «ti voglio... bene».

La sua voce era irriconoscibile, troppo bassa, roca e piena di sofferenza per essere veramente la sua. Il suo corpo era scosso da terribili brividi di freddo fra le braccia del gemello e il suo respiro diventava sempre più affannoso.
Poi accadde. Un ultimo scossone, un ultimo ansito e finalmente quell'atroce agonia finì. Bill sentì i muscoli del fratello distendersi improvvisamente contro il suo corpo, il tremore cessò e il respiro si spense. Gli occhi castani, identici a quelli del cantante, rimasero aperti, guardando quelli del gemello. Li stava fissando... ma non veramente.

«Tom...», singhiozzò Bill, il viso deformato dal dolore e gli occhi che non riuscivano più a distinguere i contorni della faccia insanguinata del fratello.

Troppe lacrime.

«Tom!», lo chiamò ancora.

Strinse ancora più forte il suo corpo vuoto, scuotendolo leggermente, illudendosi che potesse essere ancora lì con lui. Ma Tom se ne era andato. Per sempre.
Bill conficcò le unghie nella mano del gemello e strinse gli occhi più forte che poté. Non riusciva quasi più a respirare, i singhiozzi glielo impedivano. Ma l'ossigeno necessario per fare una cosa lo trovò: un urlo pieno di dolore, disperato, percorse i corridoi delle fogne. E quando si spense, l'eco ne lasciò ancora qualche traccia.









   
 
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